Letteratura Copta, un esempio. Per trattare correttamente un argomento, si deve prima di tutto definire con esattezza i termini impiegati, altrimenti si rischia di parlare senza coerenza. Nel titolo della conferenza troviamo la parola “letteratura” che non fa problema, ma dopo viene l'aggettivo “copta” che viene spesso utilizzato, a parer mio, non adeguatamente. In questa sede intendo “copto” non nel senso di “lingua copta”, ancora meno nel senso nazionalistico che questa parola ha preso negli ultimi secoli, ma come l'espressione della tradizione alessandrina (che sia tramandata in greco, in copto boairico, saidico etc., oppure in arabo) che nasce al tempo della Chiesa indivisa e continua a vivere dopo il concilio di Calcedonia nella Chiesa Ortodossa in Egitto e nei paesi della Predicazione di S. Marco. Non dovremmo mai dimenticare che la parola “copto” è di origine araba e quindi totalmente anacronica quando parliamo di secoli anteriori all'arrivo degli Arabi in Egitto: sarebbe più giusto dire “egiziano cristiano”, ma lasciamo questo problema per un’ altra volta... Stasera, mi limiterò ad un esempio per illustrare la ricchezza della tradizione alessandrina. Il tema, quello della preghiera continua, è spirituale e spero che vi interesserà.
Lo troviamo espresso nella parabola di Gesù sul giudice ingiusto e sulla vedova importuna, dove il Divin Maestro parla della “necessità di pregare sempre, senza stancarsi” (Lc 18,1); anche l’Apostolo ci sprona dicendo: “Pregate incessantemente” e aggiunge: “in ogni cosa, rendete grazie” (1 Ts 5, 17 e 18).