Per consuetudine, quando diciamo che Cristo si è umiliato fino alla morte di croce, intendiamo che Egli ha accondisceso a umiliarsi, Lui che è Dio, con il dono d'amore estremo per la nostra salvezza. Noi invece, che siamo poveri esseri umani eppur figli di Dio, generalmente consideriamo l'umiliazione in due maniere ben distinte e opposte: una donata e l'altra forzata.
L'umiliazione che è dono è sempre ispirata dall'amore ed è alimento che parimenti dall'anima sgorga e la nutre, come la preghiera, per eccellenza dono e nutrimento di Dio nell'atto d'amore a doppio senso.
L'umiliazione forzata è quella in cui ci troviamo costretti quando siamo in evidente difetto col prossimo; questo secondo il comune senso di vergogna, a meno che un'eccessiva superbia soverchi ogni senso del pudore e, in tal caso, significherebbe chiudere la porta in faccia a Dio.
L'amore non può mai essere coercitivo e dunque un'anima che appartiene a Dio non può conoscere umiliazione neppure nei frangenti più negativi e delicati, poiché questa, posseduta dall'amor di Dio, può trovare perfino gratificante ciò che per altri potrebbe essere umiliante. Perciò l'amore non conosce umiliazione.