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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Meditazione sul Vangelo secondo Matteo 17,1-9

(Correlato con Marco 9,2-10 e con Luca 9,28-36)
La trasfigurazione si distingue perché risponde ad un diverso scopo. Oggi si svela la sua gloria divina della sua natura umana. Essa vale come rassicurazione per i suoi apostoli più intimi riguardo a Chi è davvero Gesù e a quel che pure noi possiamo diventare. La via che Gesù sta percorrendo nasconde un significato. Ma si tratta di un anticipo fugace e provvisorio: la strada da percorrere è ancora quella della Croce. E difatti i tre discepoli prediletti, chiamati a vedere in anticipo la gloria di Gesù, sono i medesimi che nel Getsemani, saranno chiamati a vedere la sua debolezza e la sua passione sofferente.

Le gioie splendide e inattese non sono il definitivo, non sono la meta, ma soltanto un anticipo profetico della meta che verrà. Tra alcune settimane ci avviamo a celebrare la Pasqua che è esattamente memoria e anticipo di quella trasfigurazione che alla fine vedrà anche "questo nostro corpo corruttibile vestirsi di incorruttibilità e questo corpo mortale vestirsi di immortalità" per usare le parole di San Paolo.

«Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo»: Questa frase è per noi. Se per qualche motivo non vediamo più la gloria del Signore, ci resta però il Gesù terreno e ci resta la parola della voce che ci spiega chi Egli è. Non si tratta di una parola che trasmette nozioni qualsiasi, ma ci racconta chi è Dio, chi siamo noi, e qual è il senso della storia nella quale viviamo. Dunque una parola che indica ciò che dobbiamo fare e come dobbiamo interpretare le cose che accadono. Non resta che ascoltarla con cuore attento, obbedienza e conversione. Questa è la fede. E questa è l'unica via che conduce alla Pasqua cioè alla Resurrezione. 

Il vangelo della trasfigurazione è un vero itinerario quaresimale: una strada di vita cristiana per tutti noi. Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni li condusse in disparte. Su un alto monte… e ancora oggi Gesù invita noi suoi discepoli a momenti di distacco dalle cose e dagli impegni consueti, ci invita a cercare il silenzio, la riflessione, la preghiera. Effettivamente abbiamo bisogno di trovare pace e interiorità nelle nostre giornate piene di impegni, di preoccupazioni più o meno valide, di stanchezza, di stress, possibilmente in compagnia di Gesù su quella santa montagna. 

Nelle nostre giornate e nei nostri propositi quaresimali, dovremmo programmare momenti di preghiera ("il nostro stare con Gesù in disparte") e vivere di conseguenza qualche esperienza forte in uno dei tanti luoghi dove siamo aiutati per un incontro vero con il Signore. E la nostra casa e la nostra camera non fa eccezione : diciamo pure che se non riusciamo a trovare un luogo per cui “E’ bello stare con Gesù” si può più agevolmente trovare un tempo per cui “Signore, è bello per noi stare qui, facciamo tre tende”. E se non ci riesci, non dimenticare che al massimo 7 giorni e poi di nuovo Gesù si trasfigurerà davanti a te nel monte della tua chiesa parrocchiale, sotto forma di buon pane bianco, di ostia consacrata bianca e splendente, trasfigurato sull’altare nelle mani del sacerdote.

Mosè scese dal monte Sinai - le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte – e non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con il Signore (Es 34,29). Dunque ricordiamoci che la magnificenza della rivelazione divina si comunica anche a coloro che la ricevono e diventano i mediatori della parola di Dio. Gesù invece era la luce (luce da luce, Dio vero da Dio vero) che illumina ogni uomo con luce propria e non con luce riflessa, e oggi solo per pochi secondi si è rivelato in questo splendore sul Tabor. 

Al tempo di Mosè una nube adombrava l'arca dell'alleanza per indicare la presenza di Dio. Gesù era ancora in embrione nel seno della Vergine Maria quando l’Angelo del Signore disse "......su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo" ad indicare Chi è la nuova Arca dell'alleanza che porta con sé la vera Parola di Dio. 

Una volta Elia era nascosto nella cavità di un monte mentre avvilito e fuggiasco e perseguitato era alla ricerca del suo Dio. Ecco che lo trova in una pace interiore, ristoratrice come "il mormorio di un vento leggero" nella calura del deserto dopo fenomeni violenti di fuoco e uragani e terremoti. Anche Gesù era in una tempesta, ma non era affatto preoccupato, anzi dormiva e fu svegliato dalle invocazioni di paura dei suoi amici …."E il vento cessò". Ancor prima di dire che la sua presenza porta la pace, possiamo affermare che Gesù E’ LA PACE (Shalom).

Elia disse a Eliseo: «Domanda che cosa io debba fare per te prima che sia rapito lontano da te». Eliseo rispose: «Due terzi del tuo spirito diventino miei». Quegli soggiunse: «Sei stato esigente nel domandare …..». Ecco una differenza non luminosa ma addirittura incandescente tra Elia e Gesù : uno dona due terzi del suo spirito ad un solo uomo, e l’altro dona tutto il suo Santo Spirito divino a tutti tutti tutti gli uomini di tutti i tempi, inclusi i suoi nemici, i lontani, addirittura a chi non l’ha mai sentito nominare … !!!!

Domenica passata la serpe diceva “Se sei Figlio di Dio ……” e sappiamo come è andata a finire, ossia che al contrario di quanto accadde nell’Eden, stavolta il tentato ha tenuto per sé la verità di fondo senza cederla all’ingannatore, e Gesù sa di essere il Figlio, sa che il Padre è la roccia, la difesa, la bontà. Sa che il Padre è il Padre e nessuno è più grande di Lui, più buono di Lui, più sapiente di Lui. 

Oggi la Chiesa ci propone una solenne conferma di quanto Gesù ha detto nel deserto domenica scorsa, e oggi ritroviamo la stessa verità ma vista con gli occhi del Padre. "Questi è il mio Figlio prediletto". E' veramente Lui il Figlio che amo, non ho altri che Lui. Veramente sono il Padre suo, "Io e Lui siamo una cosa sola". E ciò vale anche per i “Figli nel Figlio” cioè me e te come figli adottivi, che il primogenito ha portato nella casa del padre strappandoci dall’orfanotrofio o dal riformatorio e rendendoci partecipi dell’eredità luminosa della vita eterna, oggi intravista nella luce del Tabor.

"La bellezza salverà il mondo". E’ una affermazione contenuta in uno dei romanzi dello scrittore russo Fedor Dostojewski che ci introduce benissimo a questa seconda domenica di Quaresima in cui si parla della Trasfigurazione. 

Trasfigurazione, con il punto di partenza e quello di arrivo indicati da due parole pronunciate lassù. La prima è rivolta ai discepoli, cioè a tutti noi: “È il mio Figlio. Ascoltatelo” Così inizia la trasfigurazione: chi lo ascolta diventa come lui. Ascoltarlo significa essere trasformati, poiché la Parola chiama, fa esistere, guarisce, cambia il cuore, rafforza, fa fiorire la vita, la rende bella. La seconda parola del fenomeno evangelico odierno la pronuncia Pietro e diverrà una sua esperienza ma anche di tutti i discepoli del Signore, inclusi io e te : “È bello per noi essere qui”.

Paolo oggi scrive al suo amico Timoteo una frase di emozionante bellezza: “Cristo Gesù ha fatto risplendere la vita”. Gesù ha reso splendida la nostra esistenza, non solo il suo volto e le sue vesti, non solo il futuro o i desideri di ciascuno, ma la nostra vita qui e adesso, la vita di tutti, la vita segreta di ogni creatura. Ha riacceso la fiamma delle cose, ha fatto risplendere l'amore, ha dato splendore agli incontri e bellezza alle vite, sogni nuovi e bellissime canzoni alla nostra voce. 

Anche Mosè ed Elia sono uomini del monte, hanno scalato l'Oreb per vedere il Signore. Ricompaiono ora sul Tabor e conversano con Gesù: perché ascoltare Gesù equivale a vedere Dio. Mosè ed Elia, la Legge e i profeti, l'intera Sacra Scrittura, hanno così raggiunto la loro meta.

Pietro, Giacomo e Giovanni ricevono il dono di poter assistere ad un anticipo della gloria della Resurrezione. Gesù svela l'altra faccia del suo mistero: non solo la Croce, ma anche la Gloria. E allora Gesù apre i loro occhi per riconoscere la sua bellezza finale e sembra dire: "Ecco chi sono! Ecco chi state seguendo!". 

"Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo." Queste parole fanno ripensare a tutte le nostre ingiustificabili superficialità, soprattutto nella fede. Forse abbiamo proprio bisogno di fermarci un po' e di ascoltare. Ascoltare Gesù e non solo le chiacchiere vuote della televisione o di internet. Ascoltarlo e mettere a tacere le vanità, le distrazioni e i pettegolezzi che ci circondano, e la sua Parola quotidianamente viene annunciata e spezzata nelle nostre comunità e quindi può rimettere ordine nella nostra vita.

E' importante non dimenticare nei momenti delle tenebre, ciò che abbiamo visto nei momenti della luce. Anche a noi il Signore dà tanti momenti di luce, come sul Tabor; quando vengono i giorni difficili, dobbiamo ricordare.

Egli è vero uomo e vero Dio. Il concilio di Calcedonia lo espresse in questi termini: "Una sola persona in due nature. Le sue due nature, senza confusione alcuna, ma senza separazione alcuna possibile sono la divina e l'umana".

Abramo è il nodo centrale tra benedizione e maledizione, così come lo sarà il popolo che nascerà da lui: Israele. Israele sarà una benedizione per i popoli ma questo avverrà solo se i popoli benediranno o sarà una maledizione ma solo se questi malediranno...La benedizione o la non benedizione dipendono dalla posizione che si assume verso colui che è benedetto. 

Se non impariamo a vedere Benedizione dove il mondo vede dei vinti, non riusciremo a prendere parte alla benedizione perché non avremo la capacità di leggere la Storia nello sguardo di Dio. 

E’ bello restare lì, è bello non andare via. Ci vorrebbero delle tende, tre, per rendere definitivamente stabile questo momento di Gloria. Mosè ed Elia vivi con Gesù vivo... sarebbe il caso di restare così per sempre ad ascoltarli...
Ma perché Mosè ed Elia lì con Gesù a parlare di morte e resurrezione da morte (così narrano gli altri evangelisti)? Perché né dell’uno, né dell’altro conosciamo il luogo della sepoltura. Elia è rapito da un carro di fuoco e Mosè muore, solo, sul Nebo e nessuno sa dove sia il suo corpo. 

Ma c’è anche qualcos’altro che lega Mosè ed Elia: il monte Sinai. Mosè sul Sinai incontra il Dio dei suoi padri che da un roveto ardente si rivolge a lui. Anche Elia ha un incontro del tutto particolare con Dio sul Sinai-Oreb. Dopo essersi allontanato dalla città perché perseguitato dalla regina Gezabele, Elia, stanco e sfiduciato è oppresso dall’angoscia e desidererebbe solo morire, ma mentre egli è nascosto in una fenditura della roccia del monte, ecco che all’esterno si susseguono eventi straordinari e spaventosi: vento, fuoco, terremoto. Tuttavia in nessuno di questi eventi Elia ravvisa la presenza di Dio. Ad un tratto però tutto tace ed è "dumiah" : "un silenzio simile a un soffio". Elia all’udire il silenzio di un soffio, si copre il volto: Dio infatti è lì in quel silenzio simile al calore di un bacio che si avvicina.
Al calore di quel soffio o dinanzi al roveto che arde e non brucia ci verrebbe voglia di fare "le tende"... Ma Elia scese dal Sinai-Oreb per ricondurre il popolo al Signore nonostante che la regina Gezabele continuasse ancora a cercarlo per ucciderlo. Anche Mosè scese dal Sinai e tornò verso l’Egitto da dove era fuggito per condurre il popolo verso la Terra della Promessa e perché il popolo adorasse il Signore e non più gli idoli d’Egitto. Nessuno di loro fece tende sul monte Sinai.

Sul Tabor tre tende ce le faremmo tutti, ma è sul Calvario che non vorremmo poggiare nemmeno uno sgabellino per sostare un attimo. Per essere sinceri, a parole diciamo che vorremmo restarvi a lungo, magari come adorazione perpetua... ma questo è altra cosa rispetto al Calvario, quello vero... quello dove si ha paura di dire: sì io lo conosco, ero con lui dalla Galilea... Dire di voler condividere il dolore della gente è diverso dal restare affianco a chi soffre senza andare mai più via. Raccogliere fondi per la fame del mondo è diverso dal morire di fame al posto di chi muore. Lì non ci piace più costruire tende!

"Ascoltatelo!" e piantiamo tende dove Lui le pianterebbe e dove noi non vorremmo mai piantarle. 

L’antico tentatore sa che Dio esiste, ma vuole che l’uomo creda che di Dio non ci si può fidare.

Gesù, condotto dallo Spirito e insieme tentato dal diavolo, non mette in dubbio il suo essere Figlio di Dio, il suo essere "il Figlio di Dio". Ripetuta è l’ipotesi del demonio .... la stessa del serpente .... "Se sei Figlio di Dio", cioè: "Ma sei proprio sicuro di essere Figlio, sei proprio sicuro che il Padre ti ami, che la volontà del Padre sia il bene?"
La prova, affrontata e vinta da Gesù nel deserto, ha tre aspetti, ma una sola verità di fondo: sa di essere il Figlio, sa che il Padre è la roccia, la difesa, la bontà. Sa che il Padre è il Padre e nessuno è più grande di Lui, più buono di Lui, più sapiente di Lui.
Il vangelo della Trasfigurazione è la stessa verità, vista con gli occhi del Padre. "Questi è il mio Figlio prediletto". E’ veramente Lui il Figlio che amo, non ho altri che Lui. Veramente sono il Padre suo, "Io e Lui siamo una cosa sola"

Cristo è la “Luce”. Essendo il Figlio, generato dall’eternità, essendo Dio, essendo “luce da luce”, egli non è un “illuminato”, non è uno che riceve luce come la luna brilla dello splendore del sole, come una luce riflessa. “Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce”. E’ la manifestazione dell’identità divina del Figlio. Ma è l’identità divina portata nella sua “carne”, nel suo volto, nelle sue vesti, nella sua storia. 

Come il Cristo tentato nel deserto, l’uomo potrà scoprire che ciò di cui, in apparenza, potrebbe dubitare maggiormente, l’essere figlio, è in realtà la verità più salda e importante che vive.

Tre tappe come se fossero tre preghiere. All'inizio: “Sia fatta la mia volontà”. Poi: “Sia fatta la mia volontà con l’aiuto di Dio”. Infine: “Padre, sia fatta la tua volontà”.

“Sia fatta la tua volontà”.
Ecco che non esiste allora realtà più chiara ed evidente della parola del Padre: “Ascoltatelo”. La preghiera non è più solo intercessione, invocazione, ma si fa silenzio di chi riconosce che la volontà del Padre è l’unica realtà da cercare, l’unica realtà di cui non dubitare, quando, invece, ogni progetto dell’uomo è destinato, presto o tardi, a naufragare. La preghiera diviene allora amore al Vangelo, diviene silenziosa ricerca del senso delle Scritture, diviene vero affidamento delle proprie scelte a Dio.

Abramo “nostro padre nella fede”. ...... la chiamata di Dio non indica una meta. Il paese sarà indicato dopo. La fede non è obbedienza a Dio, a condizione che prima Dio chiarisca le sue intenzioni e l’uomo dia il suo assenso, dopo aver riflettuto se il progetto di Dio merita di essere seguito. La fede è obbedienza a Dio stesso, prima che Dio indichi la sua volontà. E’ la disponibilità dell’uomo che, prima di decidere e non dopo aver deciso il cammino da percorrere, intreccia la ricerca di questo cammino con la Parola di Dio. 

Piuttosto nella luce della Trasfigurazione che sa che la proposta di Dio sarà infinitamente migliore di ciò che la nostra mente può concepire, perché nascerà dal suo infinito amore di Padre.

Sul monte di Abramo, con il figlio Isacco, avviene nella certezza che Dio salverà il figlio. “Ecco il fuoco e la legna, ma dov'è la vittima per l’olocausto?” domanderà Isacco. E Abramo, non mentendo, ma certo per la fede nella bontà del suo Signore, risponderà: “Il Signore provvederà la vittima”. Egli non sa ancora come sarà salvata la vita del figlio e da dove e quando Dio darà la vittima, ma la fede ha dato a lui la certezza che “io e il ragazzo andremo lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi”. 

Nell'innamoramento l’altro, che prima era uno dei tanti, o forse uno sconosciuto, di colpo diventa l’unico, il solo al mondo che interessi. Tutto il resto indietreggia e si colloca su uno sfondo neutro. Non si è capaci di pensare ad altro. Avviene una vera e propria trasfigurazione. La persona amata viene vista come in un alone luminoso. Tutto appare bello in lei, perfino i difetti. Se mai, ci si sente indegni di lei. L’amore vero genera umiltà. Concretamente cambia qualcosa anche nelle abitudini di vita. Ho conosciuto ragazzi che al mattino i genitori non riuscivano a tirare fuori dal letto per andare a scuola; se si trovava loro un lavoro, dopo un po’ lo abbandonavano; oppure si trascinavano negli studi senza laurearsi mai… Poi, una volta innamoratisi di qualcuno e diventati fidanzati, al mattino saltano dal letto, sono impazienti di terminare gli studi, se hanno un lavoro se lo tengono caro. Che cosa è successo? Niente, semplicemente quello che prima facevano per costrizione, ora lo fanno per attrazione. 

Qualcosa del genere dovrebbe succedere una volta nella vita per diventare cristiani veri, convinti, gioiosi. «Ma la ragazza o il ragazzo, si vede, si tocca!». Anche Gesù si vede e si tocca, però con altri occhi e con altre mani: quelli del cuore, della fede. Egli è risorto ed è vivo. È un essere concreto, non un’astrazione, per chi ne fa l’esperienza e la conoscenza. Anzi, con Gesù le cose vanno ancora meglio. Nell’innamoramento umano, ci si inganna, attribuendo all’amato doti che forse non ha e con il tempo si è spesso costretti a ricredersi. Nel caso di Gesù, più si conosce e si sta insieme, più si scoprono nuovi motivi per essere orgogliosi di lui e confermati nella propria scelta.

Se un ragazzo, o una ragazza, se ne sta tutto il tempo chiuso in casa, senza vedere nessuno, non succederà mai niente nella sua vita. Per innamorarsi bisogna frequentarsi! Se uno è convinto, o semplicemente comincia a pensare che forse conoscere Gesù in questo modo diverso, trasfigurato, è bello e vale la pena, allora bisogna che cominci a "frequentarlo", a leggere i suoi scritti. Le sue lettere d’amore sono il Vangelo: lì egli si rivela, si "trasfigura". La sua casa è la Chiesa: lì lo si incontra. 

Tutti i simboli delle epifanie del primo testamento, la nube luminosa, la voce dal cielo, l’ombra che si stende sulla vita degli uomini, sono richiamati in questo racconto e riferiti alla persona di Gesù, per dire come in lui, per mezzo di lui, Dio si stia definitivamente e pienamente rivelando, si stia facendo vicino, stia realizzando le sue antiche promesse di una presenza piena, ultima, invincibile, all’interno della storia degli uomini. 

Egli è Colui nel quale la legge di Mosè e la profezia di Elia vengono compiute, realizzate, colui nel quale si instaura quel regno messianico per la cui inaugurazione Israele attendeva di nuovo la venuta di Elia e Mosè (dice un testo rabbinico: “Dio disse a Mosè: quando manderò il profeta Elia, te pure manderò, perché voi dovete venire entrambi ”). 

Questo mistero di rivelazione e vicinanza, secondo le parole di Paolo, sembrerebbe però non essersi compiuto se non quando “ egli ha vinto la morte ”, e cioè nella Pasqua di morte e resurrezione del Signore, di cui la trasfigurazione sul Tabor è profezia e preludio. La notte dopo il sabato, che sul Tabor è intravista dalla fede, è richiamata dalle stesse parole di Gesù, che chiede di tacere la visione “finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti ”.

Alla nostra fede è posta una domanda radicale: se lui ha la gloria, anzi se Gesù è la gloria di Dio, e questo sin dall’inizio, perché dopo c’è la croce? Perché dovremo guardarlo crocifisso e sepolto? Dove sarà la gloria di Dio mentre Gesù sarà rinchiuso in un cortile per essere torturato? Mentre sanguinerà e gli sputeranno addosso? Dove saranno Mosè ed Elia mentre, sulla croce, a fianco di lui rimarranno solo due ladri condannati a morte e maledetti dalla legge? Dove sarà la luce della Trasfigurazione mentre Gesù sarà deposto nel buio, quando le mani amiche di Giuseppe d’Arimatea chiuderanno con la pietra il sepolcro nuovo che avrà saputo mettere a disposizione del maestro morto? Noi siamo tentati di rispondere: dopo! La luce sarebbe venuta dopo! Dopo la sofferenza. Dopo tre giorni sarebbe cambiato tutto, e quella luce che il Tabor ci ha fatto intravedere sarebbe ricomparsa nella pienezza della resurrezione. Ma proprio la Trasfigurazione ci impedisce di pensare così: se Gesù possedeva già la gloria di Dio, ne era la personificazione, vuol dire che non è possibile pensare a un prima e a un dopo, ad un prima di sofferenza e umiliazione e a un dopo di gloria e di vita. Deve esserci un’altra risposta.

Il suo cammino, e per tutta la sua durata, sin dal suo inizio, tutto è stato gloria, anche nei momenti difficili e duri. Lì, in anni lunghi, quelli del silenzio e quelli delle parole, quelli di Nazaret e quelli senza una pietra dove posare il capo, in una esistenza per gli altri, lì c’è la gloria di Dio. Anche nelle ore della passione: in un uomo che malgrado i suoi discepoli lo avessero tradito lui non li ha traditi, e anzi li ha cercati di nuovo, dopo, per radunarli e donare loro il suo Spirito, lì c’è la gloria. Lì, in una persona che non solo ha perdonato chi gli stava togliendo la vita, ma lo ha anche scusato perché non sapeva ciò che stava facendo, lì c’è la gloria. Non solo dopo, come se prima avesse dovuto pagare un prezzo per poter arrivare poi al premio, al superamento. E’ insuperabile l’amore con cui Gesù è morto, è glorioso, è per sempre, Gesù è resuscitato con le piaghe e i fori dei chiodi, cioè con i segni della crocifissione, il cui valore è infinito perché infinita è la gloria di Dio che quella morte è.

Trasfigurare la nostra vita, partecipare a questa luce, allora, non è solo cosa che riguarda il nostro corpo alla fine, dopo la nostra morte, quando anche noi saremo strappati dal nostro sepolcro, ma è realtà già oggi. Ogni volta che viviamo come hanno vissuto Abramo e Gesù. 

Gesù in alto, con a destra Mosè e a sinistra Elia, in trasparenza è Gesù in alto, sul monte Golgota, con a destra e a sinistra due ladri condannati a morte. Con Mosè ed Elia parlava, e con i due ladroni parla. Con Pietro, Giacomo e Giovanni ha pazienza, e ricomincia a parlare, sul Tabor, anche se non hanno compreso. E con i discepoli scappati di nuovo, nel momento della morte, parla, li cerca, se li va a riprendere sulla strada di Emmaus. 

Cosa significò la trasfigurazione per i tre discepoli che assistettero ad essa? Finora essi avevano conosciuto Gesù nella sua apparenza esterna, un uomo non diverso dagli altri, di cui conoscevano la provenienza, le abitudini, il timbro di voce... Ora conoscono un altro Gesù, il vero Gesù, quello che non si riesce a vedere con gli occhi di tutti i giorni, alla luce normale del sole, ma è frutto di una rivelazione improvvisa, di un cambiamento, di un dono. 

Dopo averci fatto contemplare Gesù debole, tentato, messo alla prova in ogni cosa come noi, nella seconda domenica la Chiesa ci invita a confessare che proprio in quest’uomo debole, normale, in tutto a noi uguale, dimora la gloria di Dio. Ecco il legame profondo tra la prima e la seconda domenica di quaresima: Dio abita, con la sua luce ineffabile, nella debolezza umana.

Nell’uomo Gesù, tentato come ogni uomo, che deve come ogni uomo compiere il suo viaggio, Dio stesso si sta definitivamente rivelando, si sta rendendo presente, sta abitando la trama della storia dell’umanità. La debolezza è la dimora di Dio. 

La nostra povera vita di donne e di uomini, come luogo in cui, proprio grazie alla nostra debolezza, Dio vive, si rende presente. 

I Padri del deserto dicevano che Dio va cercato non al termine delle nostre lotte quotidiane, ma in esse, mentre esse avvengono, e l’unico modo che abbiamo per trovare Dio, incontrarlo, è allora rimanere sempre nella lotta, senza cercare di dimenticare le tenebre che sono in noi o le zone enigmatiche, incomprensibili anche a noi stessi, che ci fanno fare ciò che non ci piace. Vivere significa lottare. La vita di ciascuno di noi è un lungo, affascinante, faticoso viaggio verso la riunificazione di noi stessi, l’unificazione delle parti di noi che sono disgregate. 

Lasciare tutto, rimanere esposti e deboli, rinunciare a tutti gli appoggi per vivere di fede, è il vero senso della quaresima. Per questo la debolezza diventa luogo in cui si incontra Dio (1^ lettura su Abramo). 

L’unica grande convinzione che ci deve guidare nel viaggio è che Dio ci ama ed è con noi. 

E’ nell’assunzione della nostra debolezza, che diventiamo sempre più capaci di amare gli altri. Vivendo così, pian piano abbracciamo le nostre e le altrui debolezze, e impariamo ad immagine di Dio ad essere compassionevoli. 

Ciò che ci unisce tutti non sono innanzitutto le nostre virtù, i nostri punti di forza, ma proprio le nostre debolezze. Ma si arriva fin qui solo dopo che hai imparato ad abbracciare e conoscere la propria debolezza, che ti fa amare te stesso e gli altri. 

Chi lo ascolta diventa come lui. Ascoltarlo significa essere trasformati. La Parola chiama, fa esistere, guarisce, cambia il cuore, rafforza, fa fiorire la vita, la rende bella.

L’intera esistenza altro non è che la gioia e la fatica di liberare tutta la luce sepolta in noi.

Paolo infine, come abbiamo appreso dalla seconda Lettura, scrive al suo discepolo Timoteo una frase di emozionante bellezza: “Cristo Gesù ha fatto risplendere la vita”.
Gesù ha fatto splendida l’esistenza, non solo il suo volto e le sue vesti, non solo il futuro o i desideri, ma la vita qui e ora, la vita di tutti.

Tratta dal sito: parrocchiaspiritosanto.org

2 commenti:

  1. Nella santa confessione vivo con CRISTO la SUA trasfigurazione vorrei restare con LUI ,ma ancora mi chiede di vivere nel mondo e portare LUI nel mio quotidiano nelle azioni più semplici. Gesù conosci la mia fragilità Tienimi nel Tuo Cuore .Grazie fratello Franco in CRISTO Gesù desidero recitare L' AVE MARIA per te e insieme a te. Lode e benedizione a Gesù e Maria.

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    1. Il mistero di Cristo ci apre le porte della fornace ardente dello Spirito Santo: la PREGHIERA.
      La preghiera permeata d'amore viene da Dio e a Lui torna in un vortice di passione che lascia appagati, senza forze.

      Cara Sabrina, il Signore ci benedica in unione d'amore a Lui, alle nostre famiglie e al prossimo.

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