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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Benedetto XVI amministra la Comunione ai fedeli inginocchiati

Caro amico ti scrivo... come non inginocchiarsi?
Inizia in questo modo una curiosa lettera (quanto intensa di contenuti), inviatami qualche tempo fa da un amico “fedele” che mi ha fatto riflettere parecchio su alcune abitudini e atteggiamenti da parte di cristiani praticanti moderni. Lo spunto nasce dall’omelia del Giovedì Santo pronunciata da papa Benedetto XVI nella quale il Santo Padre ha toccato un tasto sensibile alla sua spiritualità: l’inginocchiarsi in chiesa.
In effetti, da quando, in ogni Messa, il papa ha deciso di amministrare la Comunione ai fedeli inginocchiati, questo gesto ha raccolto ben poche lodi e rari imitatori. In quasi tutte le chiese del mondo le balaustre sono state eliminate, la comunione si riceve in piedi e non si è incoraggiati a inginocchiarsi neppure durante la consacrazione: gran parte dei liturgisti lo considera un gesto devozionale tardivo, superato, addirittura inesistente nella genesi dell’eucarestia.

Ebbene, il papa ha voluto dare “un segno di profondo rispetto e un punto esclamativo circa la presenza reale…Deve essere chiaro questo: è qualcosa di particolare! Qui c’è Lui, è di fronte a Lui che cadiamo in ginocchio”.
Proseguendo l’omelia il papa chiede di “rivolgere la nostra attenzione su ciò che gli evangelisti ci riferiscono riguardo l’atteggiamento di Gesù durante la sua preghiera. Matteo e Marco ci dicono che egli ‘cadde faccia a terra’, assunse quindi l’atteggiamento di totale sottomissione, quale è stato conservato nella liturgia romana del Venerdì Santo. Luca, invece, ci dice che Gesù pregava in ginocchio. Negli Atti degli Apostoli, egli parla della preghiera in ginocchio da parte dei santi: Stefano durante la sua lapidazione, Pietro nel contesto della resurrezione di un morto, Paolo sulla via del martirio. Così Luca ha tracciato una piccola storia della preghiera in ginocchio nella Chiesa nascente. I cristiani, con il loro inginocchiarsi, entrano nella preghiera di Gesù nel Monte degli Ulivi. Nella minaccia da parte del potere del male, essi, in quanto inginocchiati, sono dritti di fronte al mondo, ma, in quanto figli, sono in ginocchio davanti al Padre. Davanti alla gloria di Dio, noi cristiani ci inginocchiamo e riconosciamo la sua divinità, ma esprimiamo in questo gesto anche la nostra fiducia che Egli vinca”.

Le parole del papa descrivono l’attesa e l’incontro alla mensa del Signore intrisi di commozione e stupore, ed è qui che i dubbi del carissimo amico assumono toni di forte dubbio e concreta confusione: “nell’assistere a certi atteggiamenti mi chiedo se siamo realmente convinti di cosa andiamo a ricevere…Un viavai disordinato di fedeli che si distraggono a salutare con sorrisi, battute e buffetti l’amico o il conoscente incrociato nel percorso che porta ai piedi dell’altare, per non parlare del ritorno al proprio posto dopo essersi comunicati. Non si è ancora sciolta l’ostia consacrata che si è distolti da tutto ciò che accade in chiesa, un veloce segno della croce e tanti saluti alla meditazione, alla preghiera”.
Come se non bastasse, la lettera termina con alcune considerazioni importanti e meritevoli di personali riflessioni in proposito.
“Mi domando spesso se l’abito indossato dai fedeli durante la liturgia, rappresenti la moralità e il contegno che un tempo era imposto per non dare scandalo e occasione di cattivi pensieri, soprattutto mi chiedo se i moderni capi d’abbigliamento siano lo specchio della nostra società: edonistica e materialista”.

In questi tempi in cui con un po’ di presunzione e superficialità si giudica l’operato di Sanctæ Romanæ Ecclesiæ, sarebbe opportuna un’introspezione personale per riflettere se davvero riusciamo a cogliere questi cambiamenti in favore di una fede un po’ troppo permissiva nel plasmare un Decalogo ‘ad personam’ piuttosto che una più corretta imposizione delle regole di comportamento coerente con la Dottrina cristiana.

Confesso di aver concluso la lettura dell’epistola concorde con l’analisi espressa dall’amico scrivano. Lo spirito d’osservazione (che fin qui m’assiste) ha dato modo, prima di stendere questa riflessione, di ‘ verificare sul campo ’ la nitidezza e la rispondenza delle osservazioni contenute nello scritto ricevuto.
Ricordo don Cesare, quando interrompeva la liturgia e con un lungo silenzio accompagnato da qualche ‘sguardo traverso’ imponeva una sorte di auto-ravvedimento e compostezza a coloro che si distraevano o disturbavano nei momenti carichi di sacralità della Santa Messa…
E ancora i ripetuti inviti di don Achille ad accostarsi nei banchi vicini all’altare per pregare, per cantare a gran voce i canti assembleari proposti dalle Corali…

Il non aver rimosso dalla mente certi insegnamenti, mi riporta a quegli istanti integri di fede, in ginocchio con le mani giunte, la testa abbassata e le labbra che lodavano la pienezza dei Sacramenti: “Signore Gesù Cristo, credo che tu sei veramente in me con il tuo Corpo, Sangue, anima e divinità e, umiliato del mio nulla, ti adoro come mio Dio e mio Signore. O Gesù, Figlio di Dio, umilmente qui ti adoro, sei mia vita, mio tesoro e sarai mio premio in cielo. Signore, ti ringrazio che sei venuto nella mia anima e hai appagato i miei desideri. Il mio cuore esulta per tanto favore e riposa sicuro in te. Ti ringrazio, Gesù buono, della tua visita così preziosa. Il mio cuore in te riposa e già batte col tuo Cuor.”
Ci accostavamo convinti, tornavamo sulla via di casa come i discepoli di Emmaus, ci batteva forte il cuore, e la certezza, fortificava l’impegno dell’essere testimoni di Cristo. Bei tempi quei tempi…

A cura di Carlo Mologni

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