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Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Divo Barsotti: il sacerdote, il mistico, il padre. Di Cristina Siccardi

Ci sono state anime che hanno vissuto il Concilio Vaticano II con serena aspettativa e che hanno letto, esaminato ed elaborato uno per uno i 16 documenti dell’Assise. Dalle speranze sono, però, amaramente passati alla constatazione della realtà: con l’intento di consegnare alla Chiesa una nuova pastorale si è dato uno spazio smisurato all’uomo, accantonando Dio. Fra queste anime emerge quella mistica di don Divo Barsotti (1914-2006).

Ma chi era il fondatore dei Figli di Dio?
Finalmente uno dei suoi figli, padre Serafino Tognetti, ce lo rivela grazie ad un profilo a tutto tondo, proposto nel suo libro: Divo Barsotti. Il sacerdote, il mistico, il padre (San Paolo Editore, Cinisello Balsamo (MI) 2012, pp. 405).

«Dobbiamo essere grati a padre Serafino Tognetti per il dono che ci fa con questo libro. Egli ha vissuto per oltre vent’anni con don Barsotti», ha scritto nella prefazione il Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, «e penso sia la persona che lo ha conosciuto più profondamente. (…) Questo sacerdote, incardinato nella diocesi di San Miniato ma vissuto a Firenze, è stato – a mio giudizio – uno dei doni più preziosi che il Signore ha fatto alla Chiesa. (…). Più leggo e studio l’opera di don Divo, più resto conquistato dalla sua unità interiore, da una “logica intrinseca” che tiene assieme un’impressionante ricchezza di temi».

Il volume fa scoprire, in tutta la sua ampiezza di pensiero e di spiritualità, la grande personalità di don Barsotti. Era un mistico e amava i mistici. Andava concretamente sulle loro tracce, nei luoghi dove erano vissuti, nei conventi che li avevano visti protagonisti di intrecci tra Cielo e terra, nelle chiese dove avevano assistito alla Santa Messa e dove avevano pregato: si inseriva nel loro ambiente, respirando i profumi della loro terra e osservando i loro paesaggi. Ed era un mistico che sognava i suoi amici: «Quando morì Pio XII feci un sogno. Vidi don Orione, che mi prendeva a braccetto (…). Si aprì una porta (…). C’era sì, un morto nel letto, alcuni che pregavano, una cosa triste. Ma lui mi portò via, aprì la porta, s’entrò nella luce. Quello che dobbiamo vivere sempre: un aprirsi della porta ed entrar nella luce: Cristo è presente. Mia gioia, il Cristo è risorto!».

Un giorno arrivò nella terra natia di san Giovanni della Croce, suo grande amico, del quale ammirava l’immensa fede e la vita contemplativa, e a lui dedicherà ben tre libri. Fra le viuzze di Cordoba antica, in un suo pellegrinaggio del 1958, trovò una lapide: «Qui visse san Giovanni della Croce ‒ 1586» e allora: «L’ho rivisto piccolo frate nelle viuzze deserte mentre ritornava in convento come qualunque altro frate, nascosto nel suo raccoglimento e nella sua umiltà».

La bella e chiara biografia scritta da padre Tognetti entra nel fervido e provvidenziale dibattito in corso sul Concilio Vaticano II e diventa utile strumento per comprendere da vicino la figura di un monaco che ha vissuto intensamente le aspettative e le cocenti delusioni di un evento che ha rivoluzionato l’operatività della Chiesa in maniera così profonda da alterare la trasmissione della Fede. Il monaco percepì da vicino e con sgomento il clima di banalizzazione in cui era stato inserito l’annuncio cristiano, un clima che perdeva sempre più la dimensione soprannaturale per acquisire una comune prassi ecclesiale dai lineamenti sempre più umani e sociali.

I teologi alla moda furoreggiavano, mentre don Divo, guardato con sospetto, conscio della messa al bando della Tradizione, si dimostrò infastidito degli osanna indirizzati continuamente al Concilio, un atteggiamento che gli pareva essere frutto di «cattiva coscienza» e poi, forse, «perché ha voluto dir troppo, – il Concilio – non ha detto molto». Denunciò la precisa volontà dei Padri conciliari e dei Vescovi del postconcilio di non condannare più l’errore, con la pretesa di rinnovare la Chiesa «quasi che il “loro” Concilio potesse essere il nuovo fondamento di tutto». Disse: «Sono perplesso nei riguardi del Concilio medesimo: la pletora di documenti, la loro lunghezza, spesso il loro linguaggio, mi fanno paura. (…) Ma soprattutto mi indigna il comportamento dei teologi. Crederò loro quando li vedrò veramente bruciati, consumati dallo zelo per la salvezza del mondo. (…) Tutto il resto è retorica. Soltanto la santità salva la Chiesa. E i santi dove sono?».

Una domanda che interroga la ragione e interroga la fede: la Chiesa ha bisogno di santi e, soprattutto, di santità sacerdotale, quella a cui ha sempre mirato don Barsotti, anelando ad una vita che fosse un «continuo miracolo», come quello che ogni giorno rinnovava all’altare. Durante il Santo Sacrificio, al momento della Consacrazione, raccontano i testimoni, fra cui lo stesso Cardinale Caffarra, i suoi occhi s’inondavano di lacrime.
(Cristina Siccardi)