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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Teologia dell'amore

Aida, angelo mio
Ricordo di Aida nel quarto anniversario del suo transito - 2 dicembre 2015.

Aida, angelo mio, pensavo stamattina venendo a salutarti al Camposanto, che io ho avuto una vita ricca e serena della quale posso solo ringraziare il Signore e il regalo più bello che il Signore mi ha fatto in questa vita, come ricordo ogni mattina nel mio canto di lode, è quello di avere conosciuto te, di essermi innamorato di te e che tu hai ricambiato il mio amore.
Certo avrei desiderato potere condividere la tua compagnia anche nella vecchiaia, che non è una stagione triste, ma particolare perché il ritmo si rallenta: c’è più tempo a disposizione, si possono meglio gustare gli eventi e le relazioni con le persone che si amano e per le quali si desidera tutto il bene possibile. Invece questa stagione dobbiamo viverla separati. Da separati o a distanza? Come quando eravamo fidanzati e io vivevo a Pavia e tu a Lipari, e ci incontravamo solo le settimane in estate e qualche volta nelle vacanze di Natale e di Pasqua. Ma quella era una distanza relativa perché avevamo dei canali di comunicazione: prima le cartoline e poi le lettere e una telefonata alla settimana, con le tue lunghe attese all'ufficio postale dove era allora il telefono pubblico, perché non avevi ancora il telefono in casa. E poi anche da sposati, i mesi in cui tu eri a Pavia e io a Roma, anche se allora non avevamo più problemi col telefono. Certo ora non ti posso né scrivere, né telefonare, ma ci sono altre forme di comunicazione che la fede ci offre, come la preghiera e l’eucarestia, una sorta di "internet dello spirito".

E così la separazione diventa distanza perché io ho la possibilità di parlarti ogni giorno per diverse ore. Posso parlarti al mattino appena alzato, poi nella Messa del mattino o della sera, quindi nelle preghiere del pomeriggio e infine nelle visite quotidiane al Camposanto, quando inizio il mattino portandoti un bacio sulla tomba.
Di tutti questi momenti quello che amo di più è quello nella Messa dopo la Comunione, quando io chiedo al Signore di non tardare, di venire a prendermi presto e di far sì che quando questo avvenga io scorga subito il suo volto luminoso e dietro di esso il tuo sorriso radioso. La tua accoglienza con un bacio sulle labbra, che questa volta sei tu a darmi per ricambiare quello che ti diedi io sul letto dell’ospedale, quando ormai il tuo corpo era nel freddo della morte. E quindi mi prendi per mano e mi accompagni nella casa della nostra eternità sull'idea di quella di via XXIV maggio, che preparammo con tanto amore e che non siamo mai riusciti ad abitare. Ed è lì che incontro e saluto tutte le persone care, parenti e amici che ogni giorno ricordo nell'Eucarestia. A cominciare da mia Mamma fino all'ultimo che mi ha preceduto nel Regno.
Lì cominciano le nostre giornate in una vita il cui il giorno non ha tramonto, in cui le distanze di tempo e di spazio si percorrono con la volontà, in cui non si piange più, ove la gioia che è nell'animo di tutti splende anche sui volti.
Angelo mio, è da quando tu sei andata via che io penso a questo momento e alla possibilità finalmente di trascorrere insieme nuovamente le festività e soprattutto la Pasqua del Signore.
Si, la Pasqua. E’ il pensiero che coltivo nella mente e nel cuore fin da quando - nel corso della malattia - parlammo di un viaggio come voto quando saresti guarita. Io pensavo a Lourdes, e avevo anche prenotato il viaggio per la primavera del 2011 approfittando di una proposta che prevedeva il volo diretto da Catania. Poi questa ipotesi venne cancellata, così ritirai la prenotazione perché temevo che il trasferimento dalle Eolie a Roma, da dove sarebbe partito l’aereo diretto, sarebbe stato per te troppo faticoso. Fu allora che tu mi dicesti:
Aida nella Basilica della Natività
“Se dobbiamo fare un viaggio per voto preferirei tornare in Terrasanta”. In Terrasanta ci eravamo già stati due volte. Compresi però che, in questi mesi, era maturata per te una devozione speciale al Crocifisso. Così ti risposi: “Certamente, amore mio. Tu pensa a guarire”.
Poi questa occasione non si è potuta realizzare in questa vita, così ho cominciato a pensare che non era cancellata, ma solo rimandata alla vita eterna. Ho pensato che sarebbe stato bellissimo se questo viaggio si fosse realizzato nel periodo pasquale per condividere insieme i patimenti di Gesù, la sua crocefissione e la sua resurrezione. Pensavo e pregavo che questo potesse avvenire già lo scorso anno ma non era questa la volontà del Signore. Per un pò ho creduto, come era già avvenuto nel dicembre del 2011, che il Signore mi avesse abbandonato. Poi ho letto un pensiero di Massimo il Confessore riportato da Von Balthasar nel suo libro “Teologia dei tre giorni”. Massimo esclude che Dio possa abbandonare definitivamente chi si rivolge a lui e che quelli che a noi sembrano abbandoni siano invece orientamenti ordinati alla salvezza e ne individua quattro tipi: quello che subì Gesù, che fu un abbandono apparente che doveva servire alla salvezza di tutti; l’apparente abbandono inflitto come prova; l’apparente abbandono imposto come purificazione; e l’abbandono inflitto come punizione, come quello rivolto agli ebrei, per la loro disobbedienza e ribellione.
Sono considerazioni che mi hanno colpito perché per certi versi richiamavano i miei ragionamenti di questi tre anni. Perché il Signore mi ha tolto Aida, perché non si è preso me al suo posto come lo avevo supplicato o anche me insieme a lei. Perché questo tempo di grigiore e di deserto senza gioia? Forse il Signore ha voluto punirmi e io sto scontando una sorta di purgatorio? Forse il Signore vuole mettermi alla prova per vedere se sono degno di condividere con Aida l’eternità? Forse il Signore vuole che io compia qui, sulla terra, una missione che fatico a comprendere e focalizzare?
Ma se il Signore voleva era che io testimoniassi che l’amore è più forte della morte, che la vita eterna comincia su questa terra, che c’è una contiguità e una connettività fra vita terrena e Regno di Dio, che le battaglie giuste che compiamo in questo mondo servono anche alla costruzione del Regno, sono consapevole di aver lavorato in questi anni proprio per questo dando quanto di meglio fossi in grado di dare. Continuare su questa strada sarebbe solo una ripetizione. Così qualche settimana fa sono tornato alla carica e ho chiesto al Signore se fosse quella che sta arrivando la Pasqua del grande pellegrinaggio. Certo non vorrei guastare la festività ai miei parenti e amici, soprattutto ai più piccoli per i quali le feste sono occasione di gioia.
Comunque, sia il giovedì santo il momento propizio, o sia un altro che vuole il Signore, spero che l’attesa non sia troppo lunga e comunque, se non sarà il momento di effettuare questo viaggio in corpo e anima con un corpo risuscitato e trasfigurato, potrò sempre farlo con la mente e col cuore.
Il Giovedì Santo è l’inizio dei tre giorni fatidici, quelli che von Balthasar chiama del cammino verso la croce (venerdì santo), del cammino verso i morti (sabato santo) e del cammino verso il Padre (domenica di Pasqua); ma nell'eternità senza tempo e senza tramonto, ogni giorno potrà essere giovedì, venerdì, sabato santo, così la possibilità del pellegrinaggio non è compromessa e il libro del teologo tedesco sarà la nostra guida nel viaggio.

Così nulla mi vieta di immaginare, come d'altronde faccio tutti i giorni nell'Eucarestia, che io giunga finalmente nel Regno di Dio, che venga accolto da Aida, accompagnato nella casa della nostra eternità e che qui vi incontri parenti ed amici, e dopo averli salutati ci sediamo tutti sul grande terrazzo che si apre proprio dove la casa da su via XXIV maggio, ma qui non c’è via XXIV maggio con il suo traffico e i suoi frastuoni, c'è invece una grande e ampia veduta su Lipari, sulle colline e le contrade. Un grande terrazzo che mi ricorda quello della casa delle zie alla Serra dove giocavo da bambino.
Ci sono tutti: i nostri genitori, i nonni, gli zii e le zie, gli amici più cari, Gabriella, Saverio, Mimmo: mio cugino, Peppe di Napoli, Cesare di Pavia, Ivana e Silvia, e tanti altri. Ci sediamo tutti in cerchio ed è una giornata stupenda, non fa né caldo né freddo e lo scenario è magnifico. E’ lo scenario di Lipari come si può ammirare dalla Serra, ma non ci sono case né strade, tutto è come doveva essere prima che si cominciasse a costruire...
Mi guardo intorno e osservo con maggiore attenzione chi mi sta intorno, cosa che non ho potuto fare al momento del saluto, quando Aida me li presentava uno a uno. Sono tutti in forma splendente e sono quasi tutti più giovani di come li ricordassi. I nostri genitori saranno sulla cinquantina come Madre Floriana... mentre Florenzia è giovane come nella foto che si fece a New York, vestita da suora. Aida, Gabriella, Saverio, Mimmo, Ivana, Silvia, Beppe e gli altri amici non superano la trentina. E poi ci sono i bambini che non sono mai piccolissimi. Delia per esempio è una bambina di cinque o sei anni anche se ne aveva uno solo quando fu stroncata dalla malattia.
Chiedo spiegazioni ad Aida sottovoce. Qui, mi risponde, l’aspetto esteriore varia a secondo delle circostanze. Sono scomparse le malattie e le imperfezioni, l’età è per lo più un incrocio fra la considerazione che ognuno ha di sé e il come ci percepiscono e ci ricordano gli altri, inoltre se si vuole ci si può rendere irriconoscibili. Ti ricordi che i pellegrini di Emmaus non riconobbero Gesù e come la stessa Maddalena scambiò il risorto per l’ortolano in un primo tempo? Sono le caratteristiche dei corpi resuscitati e trasfigurati.
Ecco perché Delia, che noi ricordiamo piccolina, sembra che abbia cinque anni, perché lei vorrebbe sembrare più adulta, ma non troppo, perché le piace essere coccolata e vezzeggiata.
In quel momento giungono zia Anna e zia Sara con un carrellino dove ci sono delle bevande: tè, caffè, succo di arancio e di pompelmo... e dei biscotti. Sono sorpreso. Ma qui si mangia? Chiedo ad Aida. Non per nutrici, – mi risponde – il cibo e le bevande hanno un significato conviviale. Si cucina come espressione di cultura e si consuma per condividere momenti di fraternità e di comunione. E lo stesso si può dire per il lavoro. Non lo si fa a scopo di guadagno ma come manifestazione di sé e mezzo di relazione con gli altri.
Devo quindi trovarmi un lavoro? C’è tempo e poi vedrai che in molti hanno pensato a te. Qui sei abbastanza conosciuto e non solo fra la gente del nostro tempo, ma ora c’è qualcosa di più imminente. Hai chiesto con tanta insistenza di celebrare la Pasqua qui nel Regno e di celebrarla con me…
Si, vorrei andare a Gerusalemme al tempo del Signore così adempiamo quel voto che non è stato possibile nella vita terrena. Sarà la terza volta che visitiamo la Terrasanta insieme, ma questa volta sarà diverso e non solo perché siamo ormai cittadini dell’eternità ma perché incontreremo Gesù di persona e lo sentiremo parlare e potremo verificare come sono andati veramente i fatti, anche quelli più controversi. E’ possibile?
Qui tutto è possibile e il tempo e lo spazio sono dimensioni che si superano facilmente. Andremo subito a Gerusalemme al tempo del Signore e ci immergeremo nel Venerdì Santo, che comincia con l’ultima Cena del giovedì sera.
A proposito - dico - certamente con noi possono venire tutti gli amici che lo desiderano, e durante il pellegrinaggio ci terremo in contatto e potremo scambiarci anche brevemente impressioni e considerazioni, senza disturbare. Una vera discussione la rimanderemo alla fine della giornata quando faremo il punto su quello che abbiamo visto e udito.
La sala dell'Ultima Cena
Così partiamo per il Pellegrinaggio. Subito siamo a Gerusalemme nella sala dove Gesù consumò con gli apostoli l’ultima cena. Assistiamo alla lavanda dei piedi, all'uscita di Giuda, all'istituzione dell’Eucarestia, poi il cammino nella notte e la passeggiata sino al Getsemani, l’allontanamento di Gesù con Pietro, Giovanni e Giacomo; la preghiera in solitudine con gli apostoli che non reggono al sonno; quindi l’uscita dal giardino e l’incontro con i soldati guidati da Giuda; il bacio di Giuda e l’arresto di Gesù. Dal Sinedrio a Pilato: il processo e la condanna; la via crucis, la crocefissione e la morte in croce, la deposizione e la sepoltura. Queste le tappe più salienti di questa prima sconvolgente giornata.
Quanto vediamo e soprattutto quanto vedo io per la prima volta non è nemmeno lontanamente paragonabile a quanto avevamo visto, letto e ascoltato nelle rappresentazioni più crude. Un crescendo di emozioni fino al grido finale sulla croce. La passione di Gesù, e la passione di Maria. Mentre la guardavo prima sulla via del Calvario e poi sotto la croce mi risuonavano nella mente le parole dello Stabat Mater, attribuite a Jacopone da Todi: “Stabat mater dolorosa, iusta crucem lacrimosa dum pendebat filius”.
Ogni tanto sentivo risuonarmi nella mente invocazioni, preghiere e commenti; la compartecipazione e la commozione erano forti. Non so quanti di quelli che ci avevano seguito avessero già assistito a questa pagine sconvolgenti di storia. Ma forse anche per chi l’avesse vista e rivista l’effetto era ugualmente traumatico, come se fosse la prima volta.
Ci siamo ritrovati seduti in cerchio appena fuori dalle mura della città vecchia. Lasciamo parlare Michele – suggerisce in mio amico Beppe di Napoli – che ha atteso questo momento per anni, l’ha pensato e ripensato. Tutti acconsentono e io non mi tiro indietro.

Ci sono cose che mi colpiscono in questa prima giornata che von Balthasar chiama del “cammino verso la croce”: innanzitutto che l’ultima cena si presenti a un tempo come il momento conclusivo della missione terrena del Figlio - il momento delle raccomandazioni importanti e della consegna cruciale - e allo stesso tempo già proiettata verso la partita finale, quella decisiva da cui deriva il successo della Missione: l’assunzione sul Cristo di tutto il peccato del mondo e la battaglia contro la morte per la vita eterna di chi crede in Lui.
Gesù ha trascorso tre anni della sua vita predicando e insegnando. Ha sottolineato più e più volte da cosa riconosceranno i suoi discepoli: dall'amore che avranno gli uni per gli altri. Ha ricordato più e più volte che tutti i comandamenti possono ricondursi a uno solo: ama il Signore tuo Dio e il prossimo come te stesso. Ha ricordato quanto aveva già detto il profeta Osea, che Dio vuole misericordia e non sacrifici. Infine ha sottolineato che nel giudizio universale non verrà chiesto conto a ciascuno delle proprie devozioni, ma della carità verso il prossimo: ero affamato e mi avete dato da mangiare, ero nudo e mi avete vestito, ero ferito e mi avete soccorso…
Ora, giunto alla conclusione del percorso, ha ancora un insegnamento da ricordare perché sa che fra tutti è il più importante e il più difficile: quello che nei secoli rischierà di essere dimenticato proprio dai suoi discepoli: il primo fra voi deve farsi servo dei propri fratelli. E così passa a lavare i piedi di ciascuno di loro, perché questo impegno rimanga scolpito nei loro occhi e prima ancora nel loro cuore.
Ora si che può compiere l’altro gesto: il sacramento principe. Istituire l’Eucarestia, cioè creare il ponte fra questo mondo e il Regno, anzi, la profezia del Regno in questo mondo: “Fate questo in memoria di me”, mangiate il mio corpo e bevete il mio sangue.
A questo punto non ha più niente da insegnare. Il Figlio può dedicarsi completamente al grande atto della sua missione: l’assunzione su di sé del peccato degli uomini per giustificarli quali figli di Dio. E per questo che rivolto a Giuda dice : quello che devi fare fallo in fretta, io sono pronto allo scontro con le schiere del male.
Von Balthasar ha scritto che il diavolo “è assente da tutta la storia della passione, la quale si gioca solo tra il Padre e il Figlio; c'è in ballo il peccato del mondo e con questo avvenimento - senza lotta esplicita - la potenza avversaria è ‘disarmata’. (Col 2,159  H.U. von Balthasar, La teologia dei tre giorni, pag. 99).
Non sono del tutto d’accordo col grande teologo. Concentriamo le nostre menti e i nostri cuori su questo momento cruciale della redenzione:
(NB: qui l'autore esprime un concetto che non concorda con la teologia ufficiale)
Il diavolo non è assente dalla storia della Passione, anzi, la presidia perché spera che l’uomo Gesù non resista alla sofferenza e riesca ad avere in qualche momento la supremazia sul Figlio cercando di fargli abbandonare la croce, o quanto meno decida di non subire più la sofferenza. Certo il diavolo sarà costretto a fare un pò da comprimario e avrà avuto un ruolo marginale, perché i due attori principali sono il Padre e il Figlio. D'altronde ai lati del Padre e del Figlio non c’è solo il diavolo con i suoi sodali, che scientemente o no cercano di rendere più gravoso il cammino verso la croce, ci sono anche tutti coloro che, con lo sguardo fisso alla Passione, hanno offerto nel tempo le loro sofferenze a sostegno del Cristo.
Quelle poche centinaia di metri che separano il Pretorio dal Calvario e dalla croce divengono, in qualche modo, l’epicentro del mondo, lo scenario in cui si gioca non solo il destino dell’umanità ma dell’intero creato. Per questo la Passione è così singolarmente cruenta. E questo il Figlio lo ha compreso bene nel Getsemani, anzi ancor prima, come testimonia Giovanni (12,20 36). La missione che lui ha accettato liberamente e per la quale si è spogliato della divinità è giunta al culmine, è completa.
E' quindi la mattina della domenica delle palme che egli annuncia: “è venuta l’ora” tanto attesa e tanto temuta (12,23), e aggiunge: “Adesso l’anima mia è turbata”( 12,27). Von Balthasar ci ricorda che il termine usato per indicare questo turbamento è taraché, che sta a significare che "colui che è venuto per vincere la morte si lascia totalmente afferrare dalla consapevolezza della violenza, dell’ostilità, del carattere antidivino di quelle potenze che si trattava di vincere“( pag. 113). Citando Thusing, von Balthasar aggiunge che “un movimento spirituale prende possesso di Gesù, con una forza che presso gli altri uomini implicherebbe un disorientamento assoluto”. Un disorientamento che in parte traspare dal monologo riportato ancora da Giovanni: "Ora che l’anima mia è turbata, che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome” (Gv 12, 27-28).
Non pensare a me Padre, vai avanti nel nostro progetto di redenzione - e il Padre gli risponde con una voce come tuono dall'alto: “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora”. Ecco che Gesù rivolto alla folla commenta: “Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,31-32).
Questa è la grande partita che si gioca fra il Padre e il Figlio, un padre amorevole e un figlio obbediente, ove l’amore del Padre non è solo rivolto al Figlio, ma a tutti gli uomini che vuole amare e da cui vuole essere amato liberamente, per questo ha consentito a questo progetto. Ma anche se il Padre è amorevole e il Figlio è un figlio obbediente non per questo si tratta di una partita meno tragica.
Una tragedia che va ingigantendosi lungo la strada perché la sofferenza del Figlio è inclusiva, siccome a questa si aggiungono le sofferenze degli uomini, che dalla Passione in poi accettano di portare la croce col Cristo finché egli non sarà innalzato.
La croce non viene prima della gloria ma la croce è già la sua gloria. “E la gloria di Gesù viene rettamente compresa solo quando viene intesa come gloria del crocifisso che si manifesta nella resurrezione“ (Balthasar, pag. 114).
In questo disorientamento-turbamento sta l’origine di quell'angoscia che Gesù prova nel Getsemani, quella che gli fa sudare sangue. Non è un fatto psicologico, poiché deriva dal com-patire con i peccatori “poiché i peccati del mondo vengono caricati su di lui, Gesù non distingue più se stesso o il proprio destino da quello dei peccatori - e questo tanto meno, come afferma Bonaventura, quanto maggiore è l’amore - sperimentando Lui stesso l’angoscia e il terrore che essi avrebbero dovuto giustamente provare” (pag.97).
Il cammino della croce è il cammino per liberare il mondo dalla schiavitù del peccato e dalla morte, per rendere l’uomo libero di relazionarsi per guadagnare la redenzione e di vita eterna.
La sofferenza di Gesù è una sofferenza che i teologi chiamano vicaria, che cioè è assunta in sostituzione dei peccatori. Non si tratta, come ricorda von Balthasar e come abbiamo già osservato, di una sofferenza esclusiva ma inclusiva, che vuole condurre altri a soffrire con lui. Divenire cristiani significa pervenire alla croce. Vuol dire che Cristo ha fatto di me un organo della sua redenzione. Ne segue che noi portiamo nel nostro corpo la sofferenza di morte del Cristo e non la nostra sofferenza, per cui non la nostra vita, ma “ la vita di Cristo si manifesta nella nostra carne mortale “(2Cor 4,10s.). Questa è la consapevolezza che portiamo nel nostro cuore a conclusione di questa prima giornata, ove ognuno può considerare dentro di sé quale è stato il proprio contributo al successo del progetto di Dio.
L'Altare della crocifissione
Io l’ho fatto guardando Gesù sulla croce, ascoltando le sue parole, ripensando alle torture del Pretorio, alla via crucis, ai chiodi con cui lo si è infisso sulla croce e alle ore di sofferenza sul legno, comprendendo quanto grande sia stata la sua funzione vicaria e quanto piccolo il sostegno che noi uomini gli abbiamo portato, o che almeno io gli ho portato. Le sofferenze del crocifisso inserite fra due salmi, che lui accenna solamente e che la gran parte dei presenti non comprende: il salmo 22,2 “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” e il salmo 31,6 “Padre nelle tue mani raccomando il mio spirito”, quando ebbe constatato che tutto era ormai compiuto. Due salmi che hanno lo stesso significato: ricordare al Padre che lui, il Figlio, ha portato a compimento il proprio compito e che ora tocca a lui completare il disegno senza temere che questo atto sia talmente forte da coartare il libero arbitrio degli uomini. Questa indubbiamente è una preoccupazione forte del Padre fin dal tempo della creazione, cioè che l’uomo sia libero nelle sue scelte.
In mezzo vi stanno due disposizioni.
Il perdono per tutti, dicendo al ladrone pentito che la sera stessa sarebbe stato con lui in Paradiso, come a sottolineare che questo perdono era pieno e operava da subito per chi si pentiva. Quindi l’affidamento di Maria a Giovanni, entrambi chiamati a essere da quel giorno madre e figlio e anzi, Maria chiamata a essere come per Giovanni, madre di tutti, quindi Madre della Chiesa e noi, attraverso la figliolanza di Giovanni, a essere figli di Maria e fratelli di quanti credono in Cristo.
Infine quella parola: “Ho sete”, che forse sfuggiva al corpo straziato e febbricitante del quale non voleva controllare in alcun modo la sofferenza, o forse era rivolta al Padre, del quale non tollerava più l’abbandono anche se apparente e strumentale: ho sete del tuo amore, ho sete della tua comunione.
Il silenzio cade sulle mie parole in quella sera tranquilla di primavera appena iniziata. E’ Aida la prima a parlare.
Non avevo mai compreso che questo cammino fino al Calvario fosse non solo così sconvolgente per Gesù, ma soprattutto così centrale nella storia dell’umanità e dell’universo. Certo la conquista della vita eterna pretendeva un sommovimento inaudito, rispetto al quale gli sconvolgimenti di cui parlano gli evangelisti avvenuti subito dopo la morte di Gesù, sono poca cosa, ma hanno un senso simbolico, preciso.
Capisco, che quanto è accaduto e ho cercato di illustrare può essere sorprendente perché supera di gran lungo le nostre devozioni. Che cosa sono in confronto a questo cammino reale le nostre Via crucis? Eppure, amore mio, è stata proprio la tua devozione al Crocifisso che è andata crescendo nei mesi della malattia fino agli ultimi giorni, che mi ha colpito e mi ha fatto capire. Mi ha fatto capire che non solo tu ti affidavi a Lui - e da qui la richiesta di un pellegrinaggio in Terrasanta anziché a Lourdes in caso di guarigione - ma ancor più mi forniva la spiegazione di quel tuo soffrire in silenzio, senza lamentarti, lasciando trasparire solo una volta, negli ultimi giorni, ciò che realmente provavi. Si certamente anche per non affliggermi troppo conoscendo la mia fragilità, ma soprattutto perché tu stavi unendo le tue sofferenze a quelle di Cristo. Da allora, nella via crucis che recito tutti i giorni, ti ho pensato alla nona stazione, lungo la strada del Calvario con le pie donne che piangono.
Ma ora dobbiamo andare avanti. Già entriamo nel sabato e quindi nel nuovo cammino, quello che Gesù compie, per dirla con von Balthasar, verso i morti. Ci vedremo domattina nel giardino dove hanno sepolto Gesù. Sarà un percorso più semplice e al tempo stesso più complesso.

Di buon mattino, il sabato santo siamo tutti nel giardino dove la sera precedente Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo avevano sepolto Gesù in una tomba scavata nella roccia. Ci sono anche delle guardie messe lì dai sacerdoti e noi ci sediamo un pò discosti. E’ Aida a parlare per prima. Perché ieri sera hai detto che il cammino di oggi sarà allo stesso tempo più semplice e più complesso? Che significa?
Significa che i Vangeli e il Nuovo Testamento sono molto parchi sul sabato santo, per quanto invece si sono profusi in informazioni sul venerdì. Il sabato è il giorno in cui Gesù è morto e, per quello che è dato sapere anche fra i discepoli, Egli giace nel sepolcro come tutti i morti. Non credo che noi possiamo seguirlo nel cammino che compie, se non attraverso un'esperienza mistica, soggettiva e personale. I riferimenti a un'attività di Cristo in questo giorno sono molto scarni e perfino difficili e controversi da interpretare. Forse il passo più conosciuto è quello della prima lettera di Pietro: “E in spirito egli andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione”(3,19), e più avanti: “E’ stata annunziata la buona novella anche ai morti, perché pur avendo subito, perdendo la vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano secondo Dio nello spirito”(4,6).
A parte la sottolineatura che ci andò “in spirito” e quindi non era ancora risorto, i nodi più controversi mi sembrano soprattutto due: l’annunzio della buona novella e la liberazione dei prigionieri per portarli con sé in cielo chi riguarda? Tutti i morti o solo alcuni? E chi per la precisione?
Il secondo nodo è il significato di questa “discesa agli inferi” - come recita il Credo - o meglio, del cammino verso i morti o lo stare con i morti. E’ per avere potere sopra gli inferi, come afferma l’Apocalisse? (Ap.1,18). E che significato ha questo potere?
Su questi interrogativi si rilevano differenze che risalgono all'antichità, come gli indirizzi che riguardano l’Oriente e l’Occidente.
Per gli ortodossi, Cristo portò alle anime degli inferi il suo Vangelo, la Buona Novella, e confermò la sua vittoria su Satana e sulla morte: "E poiché molti lo accolsero furono salvati”.
Per la Chiesa d'Oriente la discesa agli inferi di Cristo costituisce la principale rappresentazione della nostra redenzione. Cristo vincitore della morte oltrepassa le porte degli inferi che giacciono ai suoi piedi e tende a coloro che languono nelle tenebre dello Sheol la sua mano salvatrice, a cominciare dai Patriarchi, i profeti e tutti i giusti che attendevano la redenzione. E' chiaro che qui non si pensa solo al Cristo in spirito, giacché per la Chiesa d’Oriente, nel Sabato santo è avvenuta la resurrezione, di modo che, prima di manifestarsi agli apostoli e ai discepoli, il Salvatore deve compiere un atto di giustizia verso chi è morto prima della gloria della croce.
In Occidente invece la liturgia e la teologia considerano soprattutto il silenzio della croce: la Chiesa veglia con Maria tacendo e pregando sulla tomba. A differenza della Chiesa d’Oriente, per quella d’Occidente fra il venerdì santo e la Pasqua sembra non accadere nulla.
L’affermazione che Gesù “discese agli inferi” comincia a farsi strada nel IV secolo. Questa proposizione della “discesa agli inferi” però, è stata accettata solo gradualmente e soprattutto attraverso gli scritti di Sant'Agostino .
Ma al di là delle formule teologiche, che cosa Gesù vede nello Scheol? Qualche spiraglio lo aprono i mistici come Adrienne von Speyr che influenza fortemente la riflessione teologica di Von Balthasar.
Cristo penetra nell'inferno (o Inferi, Ade, Scheol) per obbedienza al Padre. Infatti l’Inferno è il luogo dove Dio non è, in cui non c’è la luce della fede, della speranza, dell’amore, della partecipazione alla vita di Dio; l’Inferno è ciò che Dio nel suo giudizio ha rigettato fuori dalla sua creazione, esso è pieno di ciò che non si accorda assolutamente con Dio, ciò da cui Egli si allontana eternamente; ed è pieno della realtà di ogni assenza di Dio nel mondo, della somma del peccato del mondo, pieno quindi di quello di cui Dio crocefisso ha liberato il mondo. Nell'inferno si svolge l'incontro - vi va non come trionfatore pasquale, ma nell'estrema obbedienza del cadavere - con l’orrore del peccato staccato agli uomini nell'opera di redenzione. Egli lo ‘attraversa’ (senza lasciar traccia, perché nell'inferno e nell'esser morto non vi è direzione né tempo), e lo misura in tutta la sua estensione nella sua informità, facendo esperienza del secondo Caos. Qui Egli è privo di ogni luce spirituale proveniente dal Padre e deve, nella pura obbedienza, cercare il Padre proprio là dove non lo può in nessun caso trovare. Eppure, questo inferno è un ultimo mistero del Padre in quanto creatore (che ha dato la libertà all'uomo). Così il Figlio fatto uomo prende conoscenza ‘sperimentalmente’ di queste tenebre, di qualcosa che fino ad allora era stato riservato al Padre. L’Inferno è visto così nella sua ultima possibilità, un fatto trinitario. Nel Sabato Santo il Padre ne consegna la chiave al Figlio”.
Se questo è il contenuto oggettivo teologico delle esperienze che Adrienne compie, l’esperienza soggettiva è molto più drammatica. Ella sperimenta prima di tutto una straordinaria solitudine, la separazione da tutti gli uomini. “Era la massima dimensione dell’esser solo, era l’’esser abbandonati’”. Davanti a lei ed intorno a lei vedeva un enorme flusso di peccati. Solo peccati, in qualche modo deposti, privi del possessore. Mancavano loro i rapporti di vicinanza e contemporaneità all'uomo. Adrienne non vede uomini e non sa dire se non ve ne siano o non li abbia visti lei. Può darsi che tutto ciò sia solo il fondo del mondo, i peccati che sono così pesanti da affondare fin giù al fondo di tutto, mentre forse le anime che li commisero sono in tutt'altro luogo.
Cristo deve passare attraverso l’Inferno per tornare al Padre; egli deve infatti poter vedere completamente l’ampiezza dell’opera da lui compiuta, il cui risultato infine, è il peccato senza coloro che gli appartengono; da ultimo Egli ha provocato la separazione fra peccato e peccatore; nell'inferno si imbatte nel peccato nudo, privo di ogni rapporto”.
Von Balthasar osserva ne “La teologia dei tre giorni “ che: “se il Padre deve essere considerato il creatore dell’umana libertà - con tutte le conseguenze prevedibili! - allora anche il giudizio e l'inferno appartengono originariamente a lui e che se egli manda il Figlio nel mondo per salvarlo, anziché giudicarlo, e se a lui rimette tutto il giudizio, (Gv 5,22), allora deve introdurlo, in quanto incarnato, anche nell'inferno (come suprema conseguenza della libertà umana). Il Figlio dunque può transitare nell'inferno solo da morto, il sabato santo. Questa introduzione è necessaria se ‘i morti devono ascoltare la voce del figlio di Dio’ e, ascoltandola, ‘vivere’ (Gv.5,25). Il Figlio deve ‘osservare quanto di imperfetto, di deforme, di caotico c’è nell'ambito della creazione’, per riportarlo sotto il suo possesso, in quanto Redentore” (pag.156).
L’Inferno che appartiene al campo del Padre è un mistero del Padre in quanto creatore, un’ultima conseguenza di quell'amore divino in cui Egli ha creato gli uomini per la libertà, dando loro la possibilità di dire sì o no a lui. “Il peccato… è la conseguenza del fatto che nell'amore - osserva Adrienne - deve dominare una libertà che rende possibile anche il rifiuto”. L’inferno è “il resto che non si può redimere, che non si può sciogliere, è il buio contrappeso al luminoso mistero d’amore fra Padre e Figlio”.
Von Balthasar mette in guardia: in quanto evento trinitario il cammino verso i morti è necessariamente un evento salvifico. E un evento salvifico non si può limitare a priori. Quando in passato si volevano distinguere il limbo, il purgatorio e il vero e proprio inferno, era per sostenere che non c’era rimediabilità all'inferno vero e proprio. Così l’inferno sarebbe rimasto fuori dalla portata di Cristo? Per questa limitazione non c’è nessun riferimento biblico né indicazione dettata dalla ragione. E quindi? Ciò significa che tutti gli uomini, prima e dopo di Cristo, sono ormai redenti e che Cristo con la sua esperienza dell’inferno, lo ha svuotato e, perciò, tutta la paura della dannazione è privata di contenuto? Significherebbe, interviene von Balthasar, cadere nell’eccesso opposto. Di certo si può dire (con Origene), che nell'essere con i morti Cristo introduce in quello che potrebbe essere raffigurato come il fuoco dell’ira divina il fattore della misericordia. E allora?
Le affermazioni salvifiche universalistiche sono affermazioni di speranza per tutti, ma non vogliono dire che effettivamente tutti si salveranno.
Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini, ma non la vuole passando sopra la loro libertà. Di nessun esser umano ci è stata rivelata la dannazione eterna e la Chiesa non ha mai insegnato in modo dogmaticamente vincolante, a proposito di qualcuno che sia caduto nella dannazione eterna, nemmeno di Giuda che pure tradì Gesù e poi condannò se stesso impiccandosi. Possiamo sperare nella salvezza di tutti, ma di fatto non possiamo sapere se tutti si salveranno.
La libertà di Dio, così come la libertà dell’uomo, sono un mistero insondabile. L’unica risposta sulla base della testimonianza biblica è che la misericordia di Dio mantiene aperta una possibilità di salvezza per ogni essere umano che sia disposto a convertirsi e si penta delle proprie colpe, anche se tali colpe fossero enormemente grandi ed egli avesse sprecato tutta la propria vita precedente.

Siamo alla fine del sabato santo. E’ vero che non abbiamo camminato, ma abbiamo ugualmente seguito Gesù con gli occhi della mente e del cuore in un viaggio sconvolgente. Siamo passati attraverso l’inferno e non sentiamo affatto il bisogno di scambiarci impressioni personali, ora abbiamo, ci pare, dinnanzi a noi un cammino più semplice.
Non pensiamo di potere seguire Gesù, ma di poterlo incontrare in alcuni momenti, questo sì. Forse non nel momento della Resurrezione quando rotola la pietra che copre il sepolcro e il vivente esce dalla tomba nella quale è stato rinchiuso. Ci sarà stata pure una ragione perché a questo evento non ha assistito nessuno, perché altrimenti qualcuno nel tempo avrebbe parlato. Potremo assistere all'incontro con la Maddalena, oppure al momento in cui Gesù compare agli apostoli e poi ascende al cielo se, come suggerisce Giovanni, resurrezione, ascensione e pentecoste avvengono tutte nello stesso giorno. Comunque noi vorremmo chiudere questo pellegrinaggio assistendo alla discesa dello Spirito Santo nel Cenacolo. Ne parlo con gli altri e sono tutti d’accordo. Aida é visibilmente emozionata. Non l’ho mai vista così interessata e appassionata, ma certo questi sono eventi unici nella storia che ora, grazie all'eternità, possiamo vedere e rivedere. Magari con maggiore calma.
Decidiamo comunque di non andare via, ma di rimanere lì nel giardino e di assistere agli eventi per quanto ci sia permesso di conoscerli. Passiamo così la notte discutendo e meditando sulle cose viste. Al mattino presto, mentre é ancora buio, vediamo arrivare delle donne che si dirigono al sepolcro. La pietra che ne copre l’entrata è stata rimossa. Quando? neppure noi ce ne siamo accorti. Seguiamo le donne, mentre parlano con qualcuno. Ecco, Gesù si fa riconoscere dalla Maddalena, che in un primo momento lo aveva scambiato per il giardiniere. Quindi arrivano al sepolcro Pietro e Giovanni. A quel punto lasciamo il giardino e facciamo un salto prima sulla strada per Emmaus e poi nella casa dove gli apostoli sono riuniti con Maria, la madre del Signore. Ora Gesù ascende al cielo e come aveva promesso, manda agli apostoli e a Maria lo Spirito Santo.
Gli amici mi dicono che non possiamo concludere così questo pellegrinaggio, come hai fatto per il venerdì e il sabato è bene che tu sottolinei i significati e gli insegnamenti emersi anche in questa domenica.
Non mi faccio pregare. Dobbiamo parlare del mistero più grande del creato: della Resurrezione e di come essa ha cambiato l’Universo.
Si tratta di un evento discreto: la rivelazione della resurrezione non avviene “davanti a tutto il popolo, ma solo davanti a testimoni preordinati da Dio “(At. 10,41), così come l’incarnazione e la nascita. Anzi qui, a mio avviso, a maggior ragione. Qual'era uno dei nodi più controversi che il Padre e il Figlio discussero dal Getsemani fin sulla croce? Proprio il fatto che una risurrezione per l’eternità era un atto così forte e clamoroso che avrebbe rischiato di coartare la libertà dell’uomo, giacché se fosse avvenuta dinnanzi al popolo, dinnanzi alle guardie, dinnanzi ai romani chi avrebbe più potuto negarlo? Però questo evento portentoso doveva anche garantire che quanti avessero voluto credervi avrebbero anche trovato i riscontri, per quanto impervi, per quanto difficili.
Cristo si manifesta - osserva von Balthasar - entrando nel nascondimento. “Voi mi cercherete ma non mi troverete “ (Gv 7,34), “a partire da adesso non mi vedrete più” (Mt 23,39). Anche ciò che lo Spirito rivelerà di lui nella storia rimarrà sempre segno di contraddizione e non si affermerà mai in maniera diretta o adialettica nella storia del mondo (pag. 227).
Ma dove stanno allora i riscontri per credere? Almeno al momento decisivo, quando Gesù fu arrestato e giustiziato, i discepoli non nutrivano certezza alcuna che potesse esserci una resurrezione. Anzi, ciò che li invade è un senso di fallimento e di paura, per questo fuggono e quasi tutti si trovano lontani dal Calvario quando avviene la crocifissione. Dovette intervenire qualcosa che in poco tempo provocò il cambiamento radicale del loro stato d’animo, che li portò a un'attività del tutto nuova e alla fondazione della chiesa. Questo qualcosa - dice il teologo Dibellius - è il nucleo storico della fede di Pasqua”. Non poteva essere la testimonianza delle donne a risvegliare la fede senza vita dei discepoli, ma solo il Risorto stesso che dà a essi, con la sua persona, il Dio vivo. Una forza di convincimento e di conversione spinge i discepoli, per la prima volta, alla confessione della divinità del Risorto che non poteva avvenire prima di Pasqua. Solo la presenza di Cristo vivente in mezzo a loro legittima gli anni della predicazione e il fatto che Gesù è il Signore, il Messia; quindi un fatto reale non una visione, non un fenomeno psicologico.
A partire dall'avvenimento di Pasqua si svela ai discepoli il senso della vita precedente di Gesù e della globalità delle Scritture che lo stesso Risorto spiega riferendole a se stesso, ed essi cominciano a capire che è il Padre che lo ha risorto perché tramite la resurrezione ha portato a compimento la sua azione creativa mediante la resurrezione dei morti. Non è un caso che la Resurrezione del Cristo fin dall'inizio viene vista come primizia della vita eterna per molti.
E come la Resurrezione trasforma gli inferi liberando i giusti, così trasforma il Paradiso che con gli uomini risorti diverrà il Regno di Dio.
Potremmo concludere qui la nostra riflessione, ma forse è bene soffermarci su alcuni particolari che possono aiutarci a comprendere meglio questo evento straordinario.
Il primo riguarda il corpo risuscitato e trasfigurato che conserva un certo interesse per chi come me è appena giunto, mentre forse per voi è il quotidiano. Vorrei sottolineare quello che scrive Von Balthasar citando Schlier: Gesù viene riconosciuto e tuttavia non si riesce a riconoscerlo. Egli è presente nel dare se stesso e tuttavia si sottrae. Egli si da per essere toccato e rifiuta di essere toccato. Egli è corporalmente presente, ma nella diversità celeste e incomprensibile. E i vangeli lasciano l’una accanto all’altra le diverse e in parte contraddittorie tradizioni, operando solo leggeri tentativi di armonizzazione. Noi sappiamo ora che i corpi risuscitati e trasfigurati hanno una certa autonomia di autorappresentazione, ma al tempo di Gesù e non solo allora, questo fatto colpì molto e lo si attribuì in buona sostanza alla confusione dei testimoni.
Il secondo: ha un senso che egli sia apparso innanzitutto alle donne, come a Maria Maddalena in Giovanni ( 20. 16-17) e Marco (16,9), o sempre a Maria di Magdala e all'altra Maria in Matteo (27,61)? Von Balthasar osserva: è come se l’aspetto direttamente maschile e gerarchico della storia della fondazione della chiesa ricevesse un contrappeso nel ruolo fortemente accentuato che hanno le donne fin dal momento della crocefissione, fino alla sepoltura, alla scoperta del sepolcro vuoto e all'annunzio della resurrezione. E’ come se Gesù guardasse oltre le culture del tempo e le consuetudini, a quando le donne non saranno più discriminate e potranno assumere quel ruolo che spetta loro di diritto. Non sarà un caso che la Madonna sia stata incoronata regina del Cielo e della terra...
Infine un ultimo problema: leggendo i Vangeli e gli Atti si rischia di fare un pò di confusione circa agli eventi della domenica della Resurrezione. Avviene tutto in quella domenica (il primo giorno dopo il sabato)? Dalla resurrezione alle apparizioni, all'ascensione al Cielo e alla discesa del Paraclito, oppure questi eventi sono scaglionati nel tempo?
Luca sembra proporre entrambe le soluzioni: nello stesso giorno nel Vangelo, eppure cadenzato nel tempo negli Atti degli apostoli, dove separa l’evento di Pasqua e quello dell’Ascensione con un periodo di 40 giorni, facendo dell’Ascensione il presupposto per la missione dello Spirito il giorno di Pentecoste.
Gli altri evangelisti, in particolare Giovanni, sembrano propendere per l’unico giorno di Pasqua.
Von Balthasar osserva che nel Luca degli Atti sembra prevalere una visione pedagogica e certamente anche cultuale, mediante il prolungamento del ciclo temporale e festivo, mentre Giovanni fonde insieme in una visione teologica altrettanto fondamentale, Pasqua, Ascensione e Pentecoste, facendo che già nel giorno di Pasqua il Risorto spiri alla chiesa lo Spirito (20,22); egli però, almeno di sfuggita, accenna alla salita al Padre (20,17) che precede la spirazione dello Spirito ( pag.187).
Alla fine di questo pellegrinaggio noi sappiamo che questo è avvenuto, giacché nel Regno di Dio il tempo non esiste e si vive una grande giornata senza tramonto.
Questo pellegrinaggio che ho compiuto col cuore e la mente è stata una esperienza sconvolgente. Dei tre giorni particolarmente impressi mi rimangono le centinaia di metri dal Pretorio al Golgota in cui Gesù dialoga col Padre, i cui termini possiamo solo ipotizzare. Un dialogo che è cominciato nel Getsemani, anzi, ancor prima, come ci dice Giovanni (12,20 36). Il Figlio che prega il Padre di lasciarlo andare fino in fondo in questo progetto di completamento e allo stesso tempo di rivoluzionamento della creazione, che esalterà l’uomo facendolo pienamente interlocutore di Dio, e il Padre che teme che proprio il gesto della resurrezione possa minare il progetto di non voler coartare il libero arbitrio dell’uomo. E mentre si svolge questo dialogo drammatico fra il Padre e il Figlio, ecco che ai lati del cammino verso il Golgota, come tifosi che accompagnano i corridori in bicicletta che si inerpicano verso il gran premio della montagna, si dispongono da un lato i sodali del demonio che insultano, scherniscono, strattonano e sputano, sperando che Gesù abbandoni la croce o quantomeno escluda da sé la sofferenza ammettendo la sconfitta, (“Se sei il figlio di Dio chiedi a tuo padre che mandi i suoi angeli a liberarti”), e dall'altra tutti coloro che dalla Passione in poi hanno scelto di condividere le sofferenze di Cristo.
Fra questi c’eri tu, Aida, angelo mio, che avevi capito tutto e che mentre io pregavo per la tua guarigione tu offrivi al Signore, in silenzio, le tue sofferenze, associandole a quelle di Lui. Per questo ti ho sempre presente nella recita quotidiana della mia via Crucis.
Questo che va dal Getsemani al Calvario è il grande dramma cosmico che culminerà sulla croce.
Aida, angelo mio. Questo pellegrinaggio fatto con la mente e col cuore è stato un momento forte del nostro dialogo che da quattro anni si sviluppa fra vita terrena ed eterna. Questa volta, più di altre, io sono penetrato nel Regno di Dio, ho condiviso con te e gli amici momenti come già fossi un cittadino del Regno.

Io comunque sono sempre pronto, in attesa.
Il tuo Michele

Autore: Michele Giacomantonio
Tratto da: michelegiacomantonio.com

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