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A chi non piace la ‘teoria Gender’

A. Brandi e G. Amato: perché diciamo no al Gender nelle scuole

Fonte: www.lindro.it
Di Alessandra Benignetti
Il “gioco del rispetto” nell’asilo di Trieste e il caso Dolce e Gabbana sono solo gli ultimi due episodi che mostrano come il dibattito sulla questione delle famiglie omogenitoriali e dell’educazione gender in Italia sia tutt’altro che sopito, e che, al contrario, sia più acceso che mai.
Ma che cos’è la teoria gender e qual è lo stato dell’attuazione dei programmi volti a diffondere questi insegnamenti in Italia? Uno degli esempi più famosi a questo proposito è quello dei pamphlet distribuiti nelle scuole dall’UNAR lo scorso anno, e poi ritirati tra polemiche, prese di distanze e disapprovazione generale. Nel 2013, recependo le direttive in materia del Consiglio d’Europa, l’allora governo Monti varò un piano triennale (2013-2015) di azioni pilota volte a combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.
L’Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali (UNAR), che dipende dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, sulla base di questo piano predisponeva e coordinava la “Strategia Nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, le cui linee guida contemplano anche l’adozione di misure volte a promuovere il contrasto all’omofobia e la promozione dell’identità di genere nei programmi scolastici e nel materiale didattico delle scuole e delle università italiane. Una delle prime misure messe a punto a questo scopo dall’UNAR è stata quindi, nel gennaio del 2014, la diffusione di tre opuscoli, destinati rispettivamente alle scuole primarie, medie e superiori, e redatti, su commissione proprio dell’UNAR, dagli psicologi dell’Istituto A.T. Beck.

La Costituzione sancisce il diritto dei genitori di scegliere il tipo di istruzione da impartire ai propri figli

L’avvocato Gianfranco Amato, presidente dell’associazione Giuristi per la Vita, una delle più attive nel chiedere il ritiro di questi opuscoli, spiega che però il testo di questi pamphlet, oltre a promuovere modelli familiari alternativi e la possibilità di scelta consapevole del proprio genere sessuale, sosteneva che i principi e i modelli religiosi e della Chiesa, fossero una delle principali cause del sentimento omofobo e delle discriminazioni contro le persone omosessuali. Affermazioni, secondo Amato particolarmente gravi rispetto al diritto alla libertà religiosa tutelato e garantito dall’art. 19 della Costituzione.
A questo punto è intervenuta la politica, con un interpellanza parlamentare sul caso promossa dal gruppo del NCD al Senato, e qualche giorno dopo, come racconta lo stesso Amato l’operato dell’UNAR viene sconfessato dallo stesso Dipartimento per le Pari Opportunità, per bocca dell’allora viceministro Maria Cecilia Guerra, la quale biasimò, inoltre, lo stesso direttore dell’UNAR, Marco De Giorgi, definendo inaccettabile la diffusione di materiale di quel tipo da parte di un ufficio del Dipartimento sulle pari opportunità senza una previa consultazione con il MIUR. Parere, questo, condiviso poi proprio dal Sottosegretario del MIUR, Gabriele Toccafondi. La presa di distanza da parte dei ministeri, l’esposto dalla stessa associazione di Amato e la netta presa di posizione del Cardinale Angelo Bagnasco nel marzo del 2014, hanno contribuito a determinare il ritiro di questi pamphlet, disposto con una circolare del Ministero dell’Istruzione nel successivo mese di aprile, tra le polemiche del gruppo parlamentare di SEL. Nonostante la vicenda degli opuscoli dell’UNAR però, materiale di questo tipo continua a circolare negli istituti scolastici italiani, come ha dimostrato il caso dell’asilo di Trieste, che ha sollevato nutrite polemiche e proteste sia tra i politici, sia tra le associazioni di genitori.
La seconda forza è di carattere materiale e finanziario: dietro alle industrie della fecondazione in vitro, del cambiamento di sesso, del porno, del condom, degli uteri in affitto, dell’eutanasia e dell’aborto vi sono miliardi di dollari di profitti. Che il grande capitale sia interessato a questo grande business, d’altronde, spiega perché la grande stampa sia tutta pro-LGBT.
Abbiamo quindi chiesto ad Antonello Brandi, Presidente dell’associazione Pro Vita, che cosa si intende con il concetto di ideologia gender e quali interessi ci sarebbero dietro questo tipo di progetti educativi: Dietro all’ideologia del Gender vi sono due forze: una ideologica, neo-marxista che si rifà alla Scuola di Francoforte, e che vuole capovolgere i principali parametri antropologici sui quali si è sviluppata la società umana dal suo inizio, il cui scopo principale è quindi quello di liquidare la famiglia tradizionale ed eliminare la legge naturale dalle coscienze dei bimbi dalla tenera età anche attraverso la loro sessualizzazione precoce. Il problema oggi non sono i libretti dell’UNAR “Educare alla diversità” la cui distribuzione è stata bloccata l’anno scorso continua il presidente di Pro Vita ma la distribuzione di decine di libretti pubblicati da diverse case editrici che vengono fatti leggere nei nostri asili nido e che promuovono apertamente la transessualità, l’omosessualità o le famiglie composte da genitori dello stesso sesso.
Progetti che, spiega Antonello Brandi, vengono inoltre abbondantemente finanziati dall’amministrazione pubblica: 120.000 euro erogati da Zingaretti a 4 associazioni LGBT nel Lazio, 425.000 euro del bando MIUR di dicembre scorso. E mentre centinaia di migliaia di euro vengono spesi per propagandare la cultura gender, le nostre scuole cadono a pezzi ed i nostri figli devono portarsi la carta igienica a scuola!
Inoltre, spiega Brandi, spesso queste iniziative sono prese senza il consenso dei genitori, nonostante il diritto dei genitori di scegliere il tipo di istruzione da impartire ai propri figli sia sancito dalla nostra Costituzione e dalle principali convenzioni sui diritti umani adottate dal nostro Paese. L’insegnamento della possibilità di scegliere tra diversi e innumerevoli modelli di genere oltre a quello assegnatoci dalla natura, viene motivata dall’UNAR come risposta al problema della discriminazione. Abbiamo chiesto ad Amato se esiste oggi davvero in Italia un problema di discriminazione tale da giustificare l’inserimento a tutti i costi di questi programmi di insegnamento nelle scuole italiane, a partire dalla più tenera età.
Dalle parole di Amato si apprende che secondo lo studio intitolato “The Global Divide On Homosexuality pubblicato dal Pew Research Center” di Washington sull’atteggiamento verso l’omosessualità nelle principali aree geografiche del mondo, l’Italia si colloca nella top ten, tra le dieci nazioni più gay friendly a livello mondiale, con il 74 per cento della popolazione che dichiara la propria non ostilità all’omosessualità, e un 18 per cento che, invece, professa un atteggiamento contrario. I dati statistici non confermerebbero quindi la situazione di emergenza omofobia descritta dall’UNAR. Nel giugno 2013 inoltre, continua Amato, l’istituto demoscopico SWG pubblicava il sondaggio Scenari di un’Italia che cambia nel quale, nel descrivere le categorie più odiate dagli italiani nessuno si è espresso contro gli omosessuali o i transessuali, o li ha dichiarati nemici.
Amato mette poi in evidenza come lo stesso concetto di omofobia non appaia ad oggi definito né a livello clinico, né a livello giuridico e come questa evidente indeterminatezza renda la nozione di omofobia pericolosamente manipolabile. Secondo l’avvocato questo è esattamente quello che è successo con la storia dei libretti dell’UNAR. E forse quello che ha spinto molte persone a bollare come omofobi due come Dolce e Gabbana, che omofobi, per forza di cose, attenendosi al significato letterale del termine, non possono proprio essere.
Contro la campagna gender nelle scuole Pro Vita ha lanciato, infine, anche una petizione che, spiega Antonello Brandi, è stata appena chiusa e in poco più di 9 settimane ha superato le 120.000 firme. Stiamo ancora trascrivendo i moduli e sapremo la cifra esatta entro 7 giorni circa. Stiamo intraprendendo altre iniziative come produzione e distribuzione di video, conferenze e manifestazioni.
Ricordo che vi è in Senato una proposta di Legge, il decreto Fedeli, che vuole introdurre l’educazione al genere nelle scuole e nelle università erogando a questo fine 200 milioni di euro“.
Il dibattito, quindi, rimane più che aperto.

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