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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Meditazione sul Vangelo secondo Giovanni 9,1-41

Vangelo di Domenica 30 Marzo 2014 - IV domenica di Quaresima - Anno A
L'acqua, domenica scorsa, la luce, oggi. Questo vangelo racconta la conquista della luce e porge l’invito a far sì che il nostro itinerario quaresimale ci porti a rivivere lo straordinario dono ricevuto nel giorno del nostro Battesimo, cioè la luce di appartenere a Dio.
Dopo il Natale, il nostro vivere non è più un vagare nel buio e in una inquietante perplessità, ma è un avanzare nella luce verso una meta sicura. Colui che è nato a Betlemme così ci dice a buon diritto di sé: "Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita".

Siamo in quaresima e ci stiamo avviando verso il massimo mistero della nostra fede, e la liturgia risente di ciò, e propone delle letture che la Chiesa primitiva usava proprio in questo periodo per preparare i catecumeni al battesimo : ecco quindi brani particolarmente lunghi e densi di simbolismo. Domenica scorsa parlammo del simbolismo dell’acqua con la samaritana, anche oggi ne parliamo, ma in più oggi parliamo soprattutto della luce. Tutti noi l’abbiamo scoperta da piccolini e non siamo stati in grado di apprezzarla, o meglio l’abbiamo cercata quando il buio ci inquietava. Poi in un modo o nell'alto la luce non ci è più mancata, se non in qualche black out notturno dove siamo andati a cercare soccorso con le candele o con le lampade di emergenza. La luce ci è diventata poi familiare e connaturale e non ce ne accorgiamo più di quanto sia preziosa. Diversamente sono andate le cose per chi la luce non l’ha più vista, neppure a mezzogiorno. Chi è cieco sempre, 24 ore al giorno, che emozione può provare nel ritrovare la luce degli occhi ?

Gesù ridona la vista ad un cieco nato, e con una meticolosità tale da far pensare a Giovanni lì accanto che ascolta un interrogatorio poliziesco con tanto di testimoni. Ma quel racconto, quel cieco, quelle risposte, quel contesto deviante, sono la mia e la tua vita, siamo io e te, sono la nostra condizione di ciechi e di prigionieri e poi arriva la Luce che illumina ogni uomo (ogni uomo che gli permette di accostarsi) e lo restituisce alla vita vera. E’ capitato anche a me e a te quando eravamo ciechi e bisognosi di aiuto. E’ arrivata la Parola che ci toglie il fango dagli occhi, è arrivata la luce e la fede, ma è un arrivo che potremmo definire come un “già e non ancora”, ovvero la nostra povera fede è ancora un germe che deve crescere e svilupparsi aggrovigliata com'è di limiti e debolezze che continuano a convivere (e forse a desiderare) ancora le tenebre dove non vedi e non vuoi essere visto.

Oggi potremmo avere la sensazione di parlare di una guarigione, ma nella trama del racconto emerge anche la storia di una “conversione” e soprattutto si continua a tessere un processo a Gesù che culminerà poi nella croce. Ho detto “conversione” perché non solo Gesù ha offerto la sua potenza a quel povero cieco, ma gli ha dato anche una crescita nella conoscenza di Dio. Diciamo che gli ha offerto una catechesi nella Verità, e quell'uomo l’ha liberamente accolta, al contrario di molti altri presenti (sia in quel giorno accanto alla piscina di Siloe, sia purtroppo oggi). E questo non è un particolare secondario : infatti ieri come oggi, il desiderio di guarire senza conoscere Dio prepara la strada alle trappole delle magie e dei riti imbroglioni.

Il paragone tra fede e luce è legittimo e fruttuoso. La luce ci rivela le cose, ci da il senso delle distanze e delle proporzioni, ci offre un orientamento. Anche senza black out, è capitato a tutti di alzarci di notte nel buio più assoluto e non sapere dove stava la porta, urtare contro qualche ostacolo. Quando eravamo nelle tenebre era precisamente quel che ci capitava nella vita finché poi arrivò la grande Luce di Cristo, che rivelò agli uomini il Padre (le altre religioni che credono in Dio neppure si sognano di affermare sul loro Dio quel che ha affermato Gesù), poi ha rivelato il senso della vita e del mondo, ha dato una risposta all'interrogativo esistenziale più profondo (chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo – risalenti agli Estratti di Erodoto). 

Il cristiano chiede anche alla sua fede di dargli una visione del mondo e dei problemi della vita, ad esempio della giustizia sociale, dei rapporti di lavoro, della malattia, del tempo libero, del matrimonio, dell’aborto. Eppure non manca la pressione delle forze “del mondo” che lo vorrebbero impedire, che vorrebbero il cristiano “non cristiano” quando esce dalla chiesa e dalle sue preghiere, e quindi o diventa un cittadino con le idee allineate oppure scatta subito l’accusa di integralismo, e purtroppo questo complesso fa presa in molti cristiani che quindi vivono una fede schizofrenica, buona per la messa e la chiesa e non applicabile con decisione alle questioni della vita e del mondo. Il contrario cioè di quel che ha fatto Gesù.

Il vero cristiano, come questo cieco di oggi, non deve accontentarsi di essere un illuminato e uno che ha iniziato a vedere, ma deve anche essere un testimone della luce (frase di Giovanni 1,8) anche perché il cristiano (come il personaggio del Vangelo odierno) è sotto l’osservazione e l’attenzione di tutti, è una persona pubblica, è atteso da chi cerca di tendergli tranelli ma anche da chi spera e che ancora non ha avuto l’incontro con Gesù. Tu, ex cieco, sei stato sanato anche per lui.

Racconta padre Piero Gheddo, decano dei missionari italiani (nel suo libro «I 155 anni del Pime in India e Bangladesh», Emi), che i primi quattro missionari del Pime (Pontificio istituto missioni estere) arrivarono in India nel 1855 e rimasero inorriditi: devoti indù che si facevano schiacciare dalle ruote di carri carichi di idoli, cadaveri portati dal Gange e mangiucchiati dalle bestie, vedove arse vive sui roghi dei mariti morti, malati soffocati dal fango del fiume sacro (messo loro in bocca per guarirli), feste di dodici giorni per le «nozze» di scimmie sacre, e via disgustando. Analogo orrore provarono gli spagnoli quando si videro offrire sangue umano come pietanza dagli Aztechi. E si potrebbe continuare con tutte le parti del mondo prima che la «luce di Cristo» (come ebbe a dire l’allora cardinale Ratzinger) facesse piazza pulita dei demoni mai sazi di morte che imperavano sull'umanità. Immaginate cosa sarebbe oggi l'esistenza se venisse a mancare Colui che disse "….. Io sono la luce del mondo".

Io e te e tutto il mondo siamo ciechi, ma Dio ci vede benissimo. Ne vuoi la prova? Eccola : E’ vero o no che anche tu davanti al male del mondo, come sempre, afferri qualcuno e lo sbatti sul banco degli imputati (e spesso e volentieri afferri anche Dio per il bavero ed in malo modo) e poi fai la tua requisitoria sulle colpe ? E’ vero o no che per la prima volta in vita tua UNO SOLO E’ STATO IN GRADO DI DARTI UNA RISPOSTA DIVERSA e cioè : «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio». Insomma l'inizio del brano, che ci mostra Gesù che vede, è una provocazione alla nostra poca fede. Quante volte abbiamo l'impressione che Dio sia cieco? Che non veda la sofferenza degli uomini, che non si chini a vedere le mie difficoltà? E invece Lui ci vede benissimo, e noi, spesse volte, no. 

Il punito o il maledetto (secondo la gente) diventa discepolo, e la cecità non è più limite ma apertura ad una dimensione più profonda, più luminosa della realtà stessa. Questa coscienza di chiarezza era così forte che in origine i cristiani chiamavano il Battesimo proprio "Illuminazione". I dotti del tempo di Gesù, davanti a questa illuminazione si irrigidiscono, non vogliono capire, non vogliono vedere. Così i genitori del cieco hanno paura del giudizio dei Farisei: anche loro vivono nelle tenebre del pensiero altrui, dell'omologazione che impedisce di essere liberi di fronte alle scelte (già allora essere cristiani era un problema). Chi è cieco e chi ci vede dentro questo racconto? Chi credeva di vederci benissimo è, in realtà, inchiodato ai suoi pregiudizi (anche religiosi!) o al giudizio degli altri. Il cieco, maledetto da Dio - secondo gli uomini - è in realtà, l'unico a vederci benissimo! 

L'uomo guarda le apparenze, mentre invece Dio guarda il cuore (e la 1^Sam di oggi ce lo dice espressamente nell'episodio della scelta di Davide come nuovo re di Israele). 

Gesù ha posato il cuore e le mani sul volto del fratello che soffre. In realtà è la luce che cerca me, che mi si fa vicina, che mi passa accanto e mi vede: Gesù passando vide un uomo cieco, il suo “passare” non è il mio e il tuo raggiungere la metropolitana, ma il suo passare è cercare chi ha bisogno di aiuto. 

Gesù inizia tutta una piccola liturgia di dita, di acqua, di saliva (segno della Parola di Dio) e di fango (segno della nostra condizione), liturgia di Cristo attorno al viso di un cieco, attorno al nuovo tempio di Dio che è il corpo dell'uomo. Gesù lascia ad altri l'analisi del male, lui guarisce; annulla la teologia del castigo così cara al vaniloquio di chi non ha niente da fare, poiché non è Dio che spegne gli occhi dei suoi figli, e non è lui che manda il cancro, ma ritorna alla teologia della creazione, a un Dio ancora e sempre intento a fare e a rifare l'uomo come all'inizio della Bibbia, ove creò LA LUCE e l’uomo e un aiuto (la donna) che gli fosse simile. 

I Farisei sanno la teologia e la morale e dimenticano la vita in quanto si comportano come funzionari delle regole ed analfabeti del cuore, cioè difensori della sana dottrina e indifferenti al dolore, guardano alla teologia e non vedono l'uomo e il suo miracolo. L'essenza etica del cristianesimo è il valore assoluto di qualsiasi persona umana. C'è più vita nel grido di un uomo ferito o di un uomo felice, che in tutti i libri. 

"Noi sappiamo" - ripetevano spesso con presunzione. E dunque essi sapevano che quell'uomo era cieco a causa delle colpe commesse da lui e dai suoi familiari ("Sei nato tutto nei peccati..."). 

Non il male, ma "le opere di Dio" sono l'ultima parola. E dunque Gesù riteneva inutile cercare un colpevole, come se non esistesse un'altra strada per rispondere al male. 

Questa via nuova venne percorsa dal cieco: il quale compì le opere di Dio nel momento del nuovo giorno in cui credette alla parola di Gesù. "Io credo, Signore" - disse infatti il cieco al termine di quella convulsa giornata, esprimendo così, con le parole, una fede che lo aveva di già animato fin dall'inizio, quando era andato obbediente a lavarsi nella piscina di Siloe. In tal modo davvero gli si aprirono gli occhi - anche quelli del cuore - e ritrovò una speranza per la sua vita.

Iesse è un buon padre di famiglia, ma in fondo non ha capito i suoi figli. Non importa, è consapevole della sua limitatezza, è grande nella sua umiltà e si lascia guidare da Samuele. Non oppone alcuna resistenza all'inviato del Signore, forse un po’ di sorpresa sulla scelta imprevista, ma niente di più. Iesse è comunque felice perché sa che solo Dio vede nell'abisso del cuore di ogni uomo che rimane inaccessibile per chiunque anche per il proprio padre. In barba a qualunque faciloneria psicologica non possiamo mai comprendere pienamente noi stessi e il nostro prossimo foss’anche nostro figlio. E se talvolta ci spingiamo fino ad osare di catalogarlo è solo per una malcelata voglia o presunzione di possesso. Quanti meno conflitti nelle nostre famiglie se come Iesse fossimo consapevoli della limitatezza del nostro giudizio e, all'occorrenza, non disdegnassimo di farci aiutare nelle scelte e nei comportamenti da qualche "inviato" da Dio. Una cosa sola so: prima ero cieco e ora ci vedo. E’ uno dei pochi miracoli che Gesù compie senza che nessuno glielo chieda. Sembra quasi che Gesù lo compia per rabbia nei confronti dei suoi stessi discepoli che vogliono incasellare tutto e tutti in una visione rassicurante del mondo. No, non sta espiando alcuna colpa il povero cieco, tutt'altro, ha il grande merito di diventare segno vivente della potenza dell’amore di Dio. 

Gesù "vide" l’uomo "cieco" (che non vede) dalla nascita.

Sabato: il giorno delle proibizioni e dei divieti, diventa giorno di salvezza, giorno della luce, giorno della vita ritrovata, perché "venire alla luce" è come rinascere. 

Da quell'acqua riemerge veramente l’uomo nuovo. I presenti faticano a riconoscerlo come la persona di prima: rinnovato dalla grazia dell’incontro con il Messia, è davvero irriconoscibile; da quel fango, impastato di saliva e spalmato sugli occhi, Cristo ha rimodellato l’uomo nuovo, un "figlio della luce".

"Tu l’hai visto": è un verbo al passato, l’incontro è compiuto, resta ora da comprenderlo, per accoglierlo in tutta la sua portata. L’uomo guarito viene invitato a considerare quanto ha già ricevuto, perché solo così può ricevere la pienezza della luce, quella della fede nel Messia, Gesù Cristo. 

La Chiesa da sempre ha utilizzato questo testo evangelico in chiave catecumenale: nell'acqua della piscina è rappresentato l’evento del battesimo quale sacramento dell’illuminazione, incontro con la vera e intramontabile luce della fede. Il cristiano oggi, come il cieco guarito allora, deve sapersi voltare indietro e "capire" il dono già ricevuto nel battesimo, e ripercorrere un itinerario di riscoperta della fede. Gesù gli dice: "Tu l’hai visto"; spetta a te professare: "Io credo, Signore!". E’ necessario fare luce nostro battesimo, per diventare "figli della luce”". 

La guarigione del cieco nato ci riguarda da vicino. In un certo senso, siamo tutti ciechi nati. Il mondo stesso è nato cieco. Stando a quello che ci dice la scienza, per milioni di anni c’era la vita sulla terra, ma era una vita allo stato cieco, non esisteva ancora l’occhio per vedere. L’occhio, nella sua complessità e perfezione, è una delle funzioni che si sono formate più lentamente. Questa situazione si riproduce in parte nella vita di ogni singolo uomo. Il bambino nasce incapace ancora di distinguere i contorni delle cose. È solo dopo qualche settimana che comincia a mettere a fuoco le cose.

C’è un altro senso in cui noi siamo nati ciechi. C’è un altro occhio che deve ancora aprirsi: l’occhio della fede! Esso permette di scorgere un altro mondo, quello di Dio, della vita eterna, il mondo del Vangelo, il mondo che non finisce neppure con la… fine del mondo. Questo ha voluto ricordarci Gesù con la guarigione del cieco nato.

La piscina di Siloe. Con ciò Gesù voleva significare che l’occhio della fede comincia ad aprirsi nel battesimo, quando riceviamo il dono della fede. Per questo nell'antichità il battesimo si chiamava anche "illuminazione", ed essere battezzati si diceva "essere illuminati".

Il recupero della vista da parte del cieco procede infatti di pari passo con la sua scoperta di chi è Gesù. All'inizio, per il cieco Gesù non è che un uomo: «Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango…». Più tardi alla domanda: «Che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?», egli risponde: «È un profeta!». Ha fatto un passo avanti; ha capito che Gesù è un inviato di Dio. Infine, incontrando di nuovo Gesù, gli grida: «Io credo, Signore!».

«E, io, a che punto sono di questo cammino? Chi è Gesù di Nazaret per me?». Che Gesù sia un uomo nessuno lo nega. Che sia stato un profeta, un inviato da Dio, anche questo è ammesso quasi universalmente. Molti si fermano qui. Ma non basta. Anche un musulmano, se è coerente con quello che trova scritto nel Corano, riconosce che Gesù è un profeta. Non per questo si considera un cristiano. Il salto avviene quando si proclama, come il cieco nato, Gesù "Signore" e lo si adora come Dio. La fede cristiana non è primariamente credere qualcosa (che Dio esiste, che c’è un al di là…), ma un credere in qualcuno. Gesù nel Vangelo non ci dà una lista di cose da credere; dice: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me». 

Solo con Cristo, luce del mondo, possiamo apprezzare i colori della nostra esistenza, camminare senza perderci, salvarci dal caos del non senso. Solo la fede in Gesù, tradotta in fede nella divina Provvidenza, illumina gli angoli più oscuri della nostra esistenza. Il peccato, il dolore e la morte, nella luce di Dio, non ricevono una risposta ma una trasfigurazione.

L’incontro con il cieco si apre con una domanda che è poi l’interrogativo che tutti ci poniamo di fronte al male: Di chi è la colpa? Gesù non risponde alla domanda se non per dire di chi non è colpa. Poi gli dona la vista. Il Signore illumina tutti ma si sceglie alcuni per renderli testimoni speciali della sua gloria. 

I farisei rimangono nel peccato, cioè nelle tenebre, non perché siano ciechi ma perché dicono “noi vediamo”. C’è dunque una visione totalizzante della fede. Ma potrebbe essere diversamente? E’ davvero fede un incontro con Cristo che non cambia la nostra visione delle cose, dei fatti e delle persone?

Il vangelo di oggi ci invita a riconsiderare la nostra posizione di fronte al Signore. Se l’incontro con lui mi ha lasciato nelle tenebre del peccato e del pessimismo, della diffidenza e della disperazione, vuol dire che come i farisei ho preferito le regole (del buon vivere, della sicurezza, del non lasciarsi coinvolgere, del disegnarmi un’immagine di Dio a mio piacimento) al Signore. 

Se i nostri figli non si sentono attratti da Gesù è anche perché non vedono in noi la sua luce trasfigurante. Per poter essere credibili a noi stessi e agli altri dovremmo far trasparire la luce di Cristo nella nostra vita. 

Illuminazione, azione compiuta da Gesù affinché noi vediamo e siamo strappati alle tenebre. 

Di fronte al male, noi sentiamo il bisogno di una spiegazione, vogliamo trovare il colpevole: «Ha peccato questo cieco, per meritare la cecità, oppure hanno peccato i suoi genitori?».

Prosegue il diverso "vedere" dei testimoni. Gesù è uscito di scena, ma inizia il processo contro di lui, condotto attraverso il cieco guarito. 

I farisei con il loro sapere teologico e la loro autorità, non pensano di incontrare Gesù per interrogarlo, ma emettono su di lui un giudizio: «Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore!». Si consuma così il processo in contumacia in cui coloro che si fanno giudici dell’opera di Dio concludono con disprezzo che tanto Gesù quanto il cieco nato e ora vedente sono dei peccatori. 

Quelli che vedevano e credevano di vedere appaiono ciechi, e quanti indicavano gli altri come peccatori risultano preda di una cecità peccaminosa, con i cuori induriti. Chiediamoci: chi è cieco e chi vede? Resta cieco chi indurisce il cuore davanti a Cristo. Vede colui che discerne la sua cecità e si apre all'azione sanante del Signore. 

Capacità di vedere è grazia del Signore.

“Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo”. Gesù si proclama come Messia (il riferimento è Is 49,6 dove il servo sofferente è descritto come luce delle nazioni).

Il cieco è arrivato alla fine del suo cammino. Ha aderito alla grazia, i suoi occhi vedono finalmente, vedono veramente, vedono la Luce, e vedere la Luce significa adorare il Signore. Il Signore ha aperto gli occhi ma anche il cuore, tuttavia il cieco è stato protagonista del suo percorso di fede (per lui, Gesù è un profeta... viene da Dio… è il Messia…).

«Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo” il vostro peccato rimane», quindi Gesù è chiaro: chi è pronto ad uscire dal peccato ne è salvo, ma chi di questi non ha coscienza non ha modo per uscirne.

Vedere significa avere goduto di una grazia e saperne farne uso. 

Le parole della Preghiera eucaristica V: ”Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli; infondi in noi la luce della tua parola per confortare gli affaticati e gli oppressi; fa’ che ci impegniamo lealmente al servizio dei poveri e dei sofferenti. La tua Chiesa sia testimonianza viva di verità e di libertà, di giustizia e di pace, perché tutti gli uomini si aprano alla speranza di un mondo nuovo”.

Il cristiano dovrebbe essere una persona impegnata e presente. Pronta a veder gli altri, perché per grazia di Dio, gli è concesso di vedere la Verità.

"Volgendosi ai discepoli in disparte disse: Beati gli occhi che vedono ciò che vedete: Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che vedete ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono". Chiediamoci allora alla fine di questa riflessione, se i nostri occhi vedono veramente. Poi chiediamo a Dio la grazia di renderci meno ciechi. 

Il bambino nasce se non proprio cieco, almeno incapace ancora di distinguere i contorni delle cose. È solo dopo qualche settimana che comincia a mettere a fuoco le cose. Se il bambino fosse in grado di esprimere quello che prova quando comincia a vedere chiaramente il volto della mamma, le persone, le cose, i colori, che “oh!” di meraviglia si ascolterebbe! Che inno alla luce e alla vista! Il vedere è un miracolo. Solo che non ci facciamo caso perché ci siamo abituati e lo diamo per scontato. Ecco allora che Dio a volte opera la stessa cosa in modo repentino, straordinario, così da scuoterci dal nostro torpore e renderci attenti. È quello che fece con la guarigione del cieco nato e di altri ciechi nel Vangelo.

Non si tratta di credere genericamente in Dio, ma di credere in Cristo. 

Il recupero della vista da parte del cieco procede infatti di pari passo con la sua scoperta di chi è Gesù. All'inizio, per il cieco Gesù non è che un uomo: “Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango...”. Più tardi alla domanda: “Che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?”, ed egli risponde: “È un profeta!”. Ha fatto un passo avanti; ha capito che Gesù è un inviato da Dio, che parla e opera in nome di lui. Infine, incontrando di nuovo Gesù, gli grida: “Io credo, Signore!” e si prostra dinanzi a lui per adorarlo, riconoscendolo così apertamente come suo Signore e suo Dio.

Tratta dal sito: parrocchiaspiritosanto.org

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