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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Il buon Pastore

Di Don Divo Barsotti.

È il Salmo che tutta l'antichità cristiana sembra avere amato di più.
Anticamente era questo Salmo che introduceva il Sacrificio eucaristico. Il canto di questo Salmo accompagnava l'assemblea liturgica nella sua processione verso l'altare. Il posto che occupava nella Liturgia della Chiesa ci dice già come questo Salmo debba essere interpretato: come il Salmo della iniziazione cristiana.
Quanto Dio compie per un'anima è qui espresso con le più semplici parole e con un accento che difficilmente si ritrova nell'Antico Testamento; possiamo dire che questo Salmo ha un carattere evangelico "ante litteram".

Quando Gesù parlerà del "Buon Pastore" Egli certamente si rifarà alla grande profezia di Ezechiele (capitolo 34) e anche ad altri oracoli profetici - Zaccaria, Isaia anche - ma probabilmente Egli si richiamerà in modo più diretto, forse, a questo Salmo. Se il capitolo del "Buon Pastore" del IV Vangelo è una continuazione meravigliosa, stupenda, dell'oracolo di Ezechiele, le parabole invece del "Buon Pastore" nei Vangeli sinottici sembrano più facilmente ispirarsi a questo Salmo divino.

Ma noi dobbiamo prima di tutto chiederci, se vogliamo interpretarlo, che cosa intenda dire l'autore ispirato.

Prima di tutto, il Salmo vuole significare la Provvidenza di Dio verso un'anima in particolare oppure verso tutto un popolo?
Il carattere intimo delle espressioni sembra più direttamente volerci significare la Provvidenza di Dio riguardo a un'anima in particolare, riguardo a un pio israelita, a ogni anima pia che si affidi al Signore. È dunque questo un documento di religione personale fra i più mirabili che abbia la Sacra Scrittura.
Ma noi dobbiamo renderci conto che mai la religione nella Sacra Scrittura è personale, che non importi un riferimento a tutta la storia sacra. Ognuno di noi è salvo nella universale salvezza: Dio non vede che la sua Chiesa. Il rapporto che Egli ha con ogni anima lo ha non al di fuori di essa, non come un rapporto privato: è personale, ma non cessa di essere pubblico; è personale, e tuttavia è un rapporto che Dio ha prima con tutto Israele, poi con tutta quanta l'umanità.
Così non si può opporre a questo documento la religione nazionale che si esprime negli altri Salmi, in cui non la vita intima e personale di un'anima, ma si canta direttamente invece la vita nazionale, la storia di tutto un popolo condotto per mano da Dio. E questa interferenza, e questo rapporto di una religione personale con una religione pubblica, nel Salmo è chiaramente insinuato, perché in fondo la Provvidenza di Dio verso un'anima singolare è veduta nel quadro degli avvenimenti stessi di Israele.

La storia di ogni anima ripete la storia di Israele.
In tanto l'anima vive un suo rapporto con Dio in quanto l'anima vive quello che ha vissuto tutto il popolo di Israele condotto dalla mano di Dio, Pastore di questo popolo attraverso il deserto fino alla terra di Canaan, dove Israele poteva mangiare i frutti della vite contro gli avversari incapaci di impedirgli la conquista della terra promessa da Dio. È nel quadro di questa storia nazionale, pubblica, che è contemplata e vissuta poi la vita personale del credente nel suo rapporto individuale, personale, con il suo Signore.
In questo Salmo si vede tutta la storia di Israele, ma fatta storia intima di un'anima. La storia tutta di Israele è il suo cammino attraverso il deserto. Cammino che è sicuro, in quanto Israele è condotto dalla mano di Dio; Dio lo guida come suo Pastore attraverso il mare, attraverso il deserto, fintanto non giunge nella terra promessa. E lungo il deserto fa sgorgare dalla rupe l'acqua a dissetare il suo popolo, e nel deserto Dio condurrà il popolo suo per i sentieri della giustizia, perché gli darà la sua Legge.

Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.
Il passaggio dalla metafora al linguaggio diretto (prima si parla di pascoli verdi, poi si parla di sentieri della giustizia), a quello che la metafora vuol significare, è giustificato precisamente perché Israele, nel deserto, non viene soltanto alimentato dalla manna, non viene dissetato soltanto dall'acqua che sgorga dalla rupe, ma viene sorretto e alimentato dalla parola di Dio, parola che Dio dice a Israele sul monte Sinai: la Legge della giustizia. "Non di sola manna, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". La parola di Dio è stata per Israele veramente nutrimento e pane a lungo il cammino.
E il cammino è difficile: non sono verdi pascoli soltanto, non sono soltanto acque: è il deserto orribile: nel Salmo si parla di valle oscura. Ma tutti i pericoli che Israele corre nel deserto sono facilmente superati perché Dio conduce suo popolo. Non temerei alcun male, perché tu sei con me, dice poi il Salmo. La difesa, la forza, la sicurezza anzi di Israele non è che la protezione divina. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. In se medesimo questo popolo non ha nulla su cui appoggiarsi tranne questo Dio misterioso che lo guida, lo difende.

Poi? Poi attraverso il deserto Israele giunge alla mensa.
Il passaggio dalla vita nomade alla vita sedentaria nella terra di Canaan è espresso così nei profeti: Israele starà sotto i suoi fichi a mangiare dice Amos e ripetono gli altri profeti. I profeti esprimono il possesso della terra di Canaan come uno stare tranquillamente a mangiare i frutti della terra. E quali sono i frutti della terra? Lo dice appunto il Salmo: la mensa - l'olio, il vino e il pane - i tre cibi fondamentali dei quali si nutre Israele una volta entrato in possesso della terra di Canaan.
Ma si noti. Anche il possesso della terra di Canaan è forse termine di questa Provvidenza divina? No! la terra di Canaan è per la costruzione del tempio onde poi Israele possa vivere nella presenza di Dio. Tutto è ordinato al vivere nella divina presenza, nel tempio. E Israele vivrà tutta la sua lunga storia, per lunghissimi anni, nel tempio ad adorare Dio. Termine della storia di Israele è il sacrificio, termine della storia di Israele è l'adorazione di Dio, è questo vivere nella divina presenza.

Questa è la vita di Israele: in essa l'agiografo vede ora la vita di ogni anima.
La vita di ogni anima, infatti, non ripete che la storia di tutto il popolo. Non abbiamo una storia privata. La vita religiosa non è vita privata, è vita personale, ma non privata. Noi facciamo parte della Chiesa, non ne siamo al di fuori. Un'anima che viva il suo rapporto con Dio non si estranea, non si esclude dalla Chiesa, non ne esce fuori, ma entra nel suo intimo cuore, realizza il suo mistero, partecipa sempre più intensamente al mistero della sua vita, di tutta la sua vita, della vita di tutta l'umanità redenta, della vita di tutto il popolo eletto. Ecco perché la vita religiosa di un'anima ripete la storia di Israele.

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Così inizia il Salmo. Pastore, per tutti i popoli orientali, è il re; il re viene chiamato pastore perché è lui che guida. Però il termine nella Sacra Scrittura, già nell'Antico Testamento, ha un carattere molto più intimo di quanto questo appellativo non comporti negli altri documenti: dice un rapporto che giustifica poi nel IV Vangelo l'espressione: Io conosco loro e loro conoscono me. Importa cioè un reciproco donarsi, una reciproca intimità.
Questo allora fa capire in che senso noi dobbiamo intendere questo mio del versetto: Il Signore è il mio pastore. Questo mio è genitivo oggettivo o soggettivo? Cioè che vuol dire: Il Signore è il mio pastore? - che è il pastore di me - oppure che: è il pastore che mi appartiene? Certo, immediatamente vuol dire il pastore di me: è Colui che mi conduce, è il pastore che mi guida. Ma non è escluso l'altro senso, tanto non è escluso che poi il Salmista dirà non manco di nulla, e queste parole le dice perché in fondo colui che è pastore è veramente anche la proprietà, il possesso, la ricchezza di colui che è guidato. E questo è bellissimo; si vedrà in fondo infatti quale è la ricchezza dell'anima anche dell'israelita: è vivere alla presenza di Dio per lunghissimi anni. Quale sarà la ricchezza dell'anima cristiana che vivrà questo Salmo? Quale se non il possesso di Dio?

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla dice dunque il Salmista.
L'espressione già introduce un tema che poi avrà il suo pieno sviluppo nel IV Vangelo, e questo sviluppo importa una reciproca conoscenza, una reciproca intimità, un reciproco possesso, tanto che nel IV Vangelo il Pastore sarà proprietà delle pecore, perché Egli darà la sua vita per loro.
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Indubbiamente, in una esegesi letterale, queste parole vogliono significare molto meno. Ma noi dobbiamo renderci conto che se nell'esegesi letterale queste parole che vogliono significare che al Salmista non manca nulla perché il Pastore lo porta per verdi pascoli. Questa interpretazione è suscettiva di un allargamento, di un approfondimento che porta poi a quella interpretazione ultima che darà a queste parole Gesù medesimo nel IV Vangelo: reciproco possesso. Il pastore possiede, sì, le pecore, perché le conosce; ma anche le pecore posseggono il pastore perché lo conoscono e ha dato la sua vita e per loro.

Il Salmo si può dividere in due parti principali: prima il cammino, poi il riposo.
[...] La divisione del Salmo in due parti è anche resa più chiara dal cambiamento dell'immagine. Prima, appunto, il cammino attraverso verdi pascoli, vallate tenebrose... poi, invece, il sedersi a mensa per consumare un banchetto apparecchiato dall'ospite.
Nella storia di Israele questi due atti sono ben distinti: prima, la liberazione dalla schiavitù dell'Egitto e la peregrinazione attraverso il deserto; poi (Libro di Giosuè) l'entrare nella terra di Canaan e là riposare, riposare per mangiare i frutti della vite, dell'ulivo e del fico, come dicono i profeti e come dice qui il Salmo. Alla vita nomade succede la vita sedentaria. E, ultimo frutto della vita sedentaria, non solo la costituzione della nazione, ma anche l'edificazione del tempio: e nella vita del pio israelita, il cammino della virtù, il cammino dell'anima attraverso le peripezie della vita, fintanto che l'anima non giunge a celebrare Dio e a lodarlo nel tempio.
Ma direi che i due atti di questa vita religiosa sono maggiormente identificabili nella vita cristiana:
- in un cammino che è tutta la vita presente,
- in un riposo che è tutta la vita futura nel tempio di Dio.

Su pascoli erbosi mi fa riposare ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.
Prima il Salmista vede tutti i beni che gli derivano da una provvidenza specialissima di Dio verso di lui: l'alimento onde l'anima giorno per giorno ristora le sue forze e le fa continuare il cammino, l'acqua che la disseta. Uscendo di metafora, acqua e pascolo solo la giustizia divina, la Legge di Dio che nutre l'anima nella sua meditazione, nel suo adempimento.
Nella vita di Israele il cammino attraverso il deserto è reso più facile dalle oasi e dall'acqua che sgorga dalla rupe; ma soprattutto, il dono supremo, in questo cammino, è nel dono della Legge, nella parola di Dio, nelle parole che Dio rivolge a Israele attraverso Mosè.

Nella vita cristiana che cos'è quest'acqua, che cos'è questo verde pascolo?
Mentre nell'antico Israele tutto è ordinato alla Legge, nel Cristianesimo la Legge è ordinata invece ai Sacramenti. La manna, l'acqua che sgorga dalla rupe percossa da Mosè, sono in ordine al dono della Legge divina; nel Cristianesimo è la Legge divina, invece, che è ordinato all'acqua, che lo Spirito; al pascolo, che è il Sacramento eucaristico.
Ma questa visione della provvidenza speciale di Dio verso l'anima viene integrata dall'elemento negativo che appare nella seconda strofa: le persecuzioni, le difficoltà, i pericoli del cammino - dai quali pericoli però l'anima è salva perché è protetta da Dio, unicamente da Dio.
Nella seconda parte della prima strofa si contempla di più la vita cristiana come cammino attraverso il deserto. Nella prima strofa, di fatto, è meno evidente riferimento all'Esodo, il riferimento ai libri della Legge. La valle tenebrosa, la valle di morte (per spiegare meglio l'ebraico) ci rappresenta in un modo anche più fedele i pericoli e le difficoltà del cammino di Israele attraverso il deserto. E ci dice anche più chiaramente quel che è stato Dio per Israele: protezione miracolosa, unica difesa nella sua debolezza. In questo pericolo, in questa minaccia, in queste difficoltà, la sicurezza di Israele è il Signore.

L'unico conforto di Israele è il "bastone" di Dio.
Il Salmista vede il bastone come difesa e protezione di Dio per il suo popolo di fronte ai nemici che lo hanno perseguitato perché non volevano che avanzasse attraverso il deserto verso la terra che Dio gli aveva promessa.
Indubbiamente, nell'Antico Testamento la peregrinazione attraverso il deserto è vista sempre come tentazione, come prova necessaria al raggiungimento delle divine promesse. Sempre così è il procedimento divino nella Sacra Scrittura: Dio promette, ma sottopone a una prova; se l'anima supera nella fede alla prova, ottiene quanto Dio le aveva promesso, altrimenti viene buttata via, viene buttata fuori. Adamo ha la promessa dell'immortalità, viene sottoposto alla prova, cade, viene cacciato dal Paradiso. Ma ecco Abramo: Abramo ha la promessa, viene sottoposto alla prova, supera la prova della sua fede, ottiene la promessa. Israele ha la promessa della terra sacra, viene sottoposto alla prova: quarant'anni nel deserto, difficoltà, pericoli, lotte, guerra; Israele supera tutto nella sua fede e ottiene la promessa, entra nella terra di Canaan.
Ora, tutto il cammino dell'anima, non solo il cammino di Israele, ma anche il cammino di ogni anima, di ogni israelita, rimane lo stesso. Quale? Dio è per l'anima veramente promessa di infinito bene. Già nell'antico Israele il bene dell'anima non è l'olio, il vino, il pane, non è la casa, ma è Dio stesso. Di fronte ai beni dei malvagi, che fanno dubitare di una provvidenza divina, il pio israelita potrà dire: Sì, sono divenuto come un giumento, non ho capito più nulla, ma Tu eri con me. E poi potrà dire che essere unito a Dio è l'unico suo bene e nessun bene uguaglia questa sua unione con Dio.
Già il pio israelita vedeva così. Per il pio israelita del Salmo quale è la promessa divina? È la mensa che Dio gli apparecchierà. Ma quale sarà poi questa mensa? In fondo al Salmo sarà detto: sarà il vivere nella divina presenza, il poter adorare il Signore nel suo tempio, sarà il culto di Dio. E per te cristiano che cos'è questa mensa se non la visione beatifica? se non l'essere nel tempio divino a contemplare Dio eternamente? È per questo la prova! Dio ti promette, e sottopone alla prova la tua fede. Quale è la tua fede?...

Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Quanto? In che modo? Non però soltanto le prove ci consolano perché dimostrano una provvidenza divina - questa sarebbe un'esegesi molto stiracchiata - ma la sicurezza di una difesa. Nonostante che ci sentiamo come allo sbaraglio, nonostante che sentiamo tutto il mondo contro di noi, anche ci sentiamo sorretti.
Tutto il mondo contro di noi: è veramente così. L'inferno non è soltanto contro la Chiesa. Le porte dell'inferno non prevarranno contro la Chiesa; se la vita di ogni anima è la vita di tutta la Chiesa, la vita di tutta la Chiesa dice la vita della mia anima, tutto il male che preme sulla Chiesa, che assedia la Chiesa, questo male preme su me, assedia anche me.
L'anima nella sua solitudine, nella sua povertà e debolezza non ha altro conforto che la fede in una protezione divina, che la fede in una difesa di Dio, di un Dio che per l'israelita era veramente presente, che per te è veramente presente, ma rimane, per l'israelita e per te, assolutamente nascosto e in silenzio.
Per il fatto che Dio ti guida, la valle tenebrosa non cessa di essere tenebrosa, la valle di morte non cessa di essere la valle di morte.

Il cammino dell'anima è il cammino della fede.
Tutta la vita dell'anima quaggiù è questo cammino, e in questo cammino solo questa luce guida l'anima, solo questa nube la discende: Dio. Se l'anima ha fede, trova davvero nella sua fede ogni sicurezza, ogni pace. E le tenebre, i pericoli, le difficoltà non turbano l'anima, non le danno alcun senso di una sua sconfitta. Di fatto, nella sua prova l'anima vince. L'anima supera la prova ed è immediatamente esaudita (non vi è passaggio). Non più una pecora, ma un uomo, un uomo che mangia a un banchetto. E il banchetto dice riposo, la quiete, finalmente data da una vittoria. Sotto gli occhi dei miei nemici. Ecco, l'anima non ha più nemmeno bisogno di combattere, ella riposa, ella vive, ella usa di tutti i beni che Dio ha messo a sua disposizione; alla mangia e beve.

Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici.
Si passa dall'immagine del cammino, del pastore e delle pecore che sono condotte ai pascoli, all'immagine del banchetto. E il banchetto importa tutti i doni di Dio, i doni che Dio ha profuso su Israele conducendolo nella terra di Canaan: l'olio, il vino, il pane. Indubbiamente, per l'israelita l'olio, il pane, il vino erano realmente l'olio, il pane e il vino. Per l'antica Chiesa cristiana in questa espressione vi era già tutta l'iniziazione cristiana, vi sono già significati i Sacramenti divini.

Questo Salmo è per eccellenza il Salmo della iniziazione cristiana.
Qual'è il pane che Egli ti dona? quale è il vino che ti inebria? Qual'è l'olio che ti dà forza? Non è forse l'acqua del Battesimo? Il richiamo all'acqua è al principio del Salmo perché con l'acqua del Battesimo il cristiano inizia la sua vita. L'olio non è forse la Cresima, l'unzione sacra che ti irrobustisce? Il vino non è forse l'Eucaristia che non soltanto sazia la tua fame ma anche ti dà l'ebbrezza divina? Non ti è dato soltanto il pane quotidiano, ma anche il vino che inebria! Sovrabbondanza di beni!
L'iniziazione cristiana passa attraverso queste tre tappe: il Battesimo, la Cresima, l'Eucaristia. Ma solo l'iniziazione cristiana? Non è questo il cammino dell'umanità anche avanti la Rivelazione profetica? La vita religiosa dell'umanità si scandisce nelle tre feste annuali della seminagione, della mietitura, della vendemmia; e nella seminagione fecondata dalle acque della primavera è il primo incontro e l'unione del cielo con la terra da cui verranno poi come frutto il nutrimento degli uomini, la messe che garantisce la vita, e finalmente la vendemmia che oltre la vita dà anche la gioia.
Nella vita religiosa di Israele, le tre feste della religione primitiva acquistano un contenuto nuovo, perché questa vita religiosa importa una comunione più intima con la Divinità, una nuova alleanza. Non è come la ripresa continua della creazione al principio della primavera: è la liberazione del popolo d'Israele dalla schiavitù dell'Egitto, l'inizio di una nuova storia nazionale nella forza di una nuova libertà; non è, al principio dell'estate, il dono del pane, ma il dono della Legge di Dio, nuovo nutrimento a un popolo che Dio si è scelto per compiere attraverso di lui un suo disegno di amore; non è, al termine dell'estate, l'ebbrezza del vino, ma la gioia pura di un popolo che è entrato nel possesso dei beni promessi da Dio.

Per il Cristianesimo la resurrezione di Gesù, introduce l'umanità nel Regno divino.
Il dono dello Spirito ci alimenta della vita di Dio; e finalmente, al termine di tutto la vita del mondo, la gloria irromperà una volta per sempre su tutta la creazione trasfigurandola in una eterna luce.
Il cristiano entra in questo nuovo mondo, che la resurrezione ha aperto, con l'acqua del Battesimo , si inoltra nel cammino rinvigorito nella unzione dello Spirito, e già vive le primizie della vita celeste nell'ebbrezza del Vino eucaristico. Dio non ci dona soltanto la vita. Non è forse Gesù nel IV Vangelo che ci dice che Egli è venuto per donarci non soltanto la vita, ma la vita sovrabbondante? È nella divina ebbrezza che termina l'iniziazione cristiana. Ma l'ebbrezza divina del cristiano non è che anticipazione della vita celeste.
Così il Salmo termina nell'attesa di quei lunghissimi anni che prolungheranno e renderanno perfetta la gioia fuggitiva che il cristiano ha pregustato quaggiù. Se il Cristianesimo di fatto ha sostituito la Pasqua giudaica con la Pasqua cristiana, la Pentecoste ebraica con la Pentecoste cristiana, non ha ancora sostituito nessuna festa alla festa ebraica dei tabernacoli: il Cristianesimo vive ancora nell'attesa. Come la resurrezione del Cristo una volta per tutte ha introdotto l'umanità nel Regno di Dio, come lo Spirito una volta per sempre è disceso e ha riempito la terra, così una volta per tutte la gloria di Dio irromperà nella creazione, e la festa di una dimora dell'uomo nella Casa di Dio sarà per lunghissimi anni.

Fonte: www.figlididio.it

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