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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Il monachesimo della Comunità dei Figli di Dio

Il nostro monachesimo interiorizzato
"L'invocazione del nome di Gesù"
L’espressione latina fuga mundi ha indicato per secoli una delle caratteristiche essenziali ai primi monaci e padri del deserto che, per appagare la loro fame e sete di contemplazione, letteralmente fuggivano dalle città, considerate focolai di inquinamento e vizi nocivi per i loro ideali. Essere monaco era quindi quasi un sinonimo di “essere fuori”, fuori dalla città, dalla quotidianità civile, dal chiasso, dal mondo. Attualmente il carisma monastico sembra espandersi al di fuori delle mura dei monasteri e influenza la vita spirituale di molte persone.
“Verrà un’epoca in cui i monaci giungeranno alla loro salvezza vivendo in mezzo alla gente” (Silvano del Monte Athos).
Oggi gli scritti dei Padri, sia orientali che occidentali, il significato profondo della liturgia, la lectio divina, la ricchezza della spiritualità dell’Oriente cristiano, sono oggetto di riscoperta da parte di molti laici impegnati in un cammino di fede. L’approfondimento della spiritualità orientale attraverso la lettura di autori ortodossi, la pratica della iconografia e della preghiera del cuore, dicono la realtà di un tema nuovo: il monachesimo interiorizzato. Anche in ambito cattolico alcuni autori spirituali hanno parlato di monachesimo interiorizzato intendendo con questo termine una forma di vita contemplativa accessibile a tutti, indipendentemente dal proprio stato di vita. Il monachesimo interiorizzato è, prima di tutto, un atteggiamento interiore che permette di vedere la vita come manifestazione del sacro in tutte le sue forme.
La Comunità dei figli di Dio ha come carisma specifico quello di vivere una vita cristiana all'insegna di un monachesimo interiorizzato aperto a tutti, teso al riconoscimento del primato di Dio, volto all'accoglienza di chiunque si senta chiamato a tendere alla pienezza della carità.
Il monaco, scrive il Padre, è l’uomo che vive radicalmente questa ricerca del fine ultimo che è Dio, il vero monaco non è che il perfetto cristiano.
Ma in cosa il monachesimo vissuto e proposto dalla CFD si differenzia dal monachesimo tradizionale?
Un primo aspetto consiste nella riscoperta di una “spiritualità monastica e contemplativa dei primi secoli, vissuta anche allora nel mondo, cioè in tutti gli stati di vita ed in tutte le condizioni da uomini e donne. L’universalità di questa vocazione monastica è favorita dall’interiorizzazione dello spirito monastico, non legato alle cose esteriori, ma alla rivelazione di una Presenza che dobbiamo dare con la nostra vita.
Ecco allora emergere l’altro aspetto che fa della CFD il più importante degli esempi di un monachesimo interiorizzato presente nella Chiesa latina, secondo F. Comandini. Per Divo Barsotti “il monachesimo interiorizzato è essenzialmente vita nello Spirito nell’esercizio delle virtù teologali. S’impone che la vita nello Spirito sia vissuta da tutti: tutti dovranno vivere la stessa esperienza di Dio, perché tutti hanno ricevuto lo Spirito Santo nel Battesimo… Il più umile e sconosciuto dei cristiani da solo può salvare il mondo con la dedizione di sé e la docilità allo Spirito divino, cioè con il proprio monachesimo interiorizzato” (F.Comandini).
Lo “stato” monastico dei membri della Comunità non è legato ad aspetti giuridici, quanto all’impegno personale, carismatico, di affermare e rendere testimonianza del primato di Dio, concretamente, nel primato della preghiera.
“Pregare incessantemente”, insiste S. Paolo, perché la preghiera è la sorgente della nostra vita spirituale.
La vita di preghiera, la sua densità, la sua profondità, il suo ritmo, danno la misura della nostra vita spirituale e ci rivelano a noi stessi. La vera preghiera sorge in uno spirito raccolto e silenzioso dove “l’essere è misteriosamente visitato… L’essenziale dello stato di preghiera è ascoltare la presenza di Cristo.” (Evdokimov).
Le troppe parole dissipano; i lunghi discorsi non giovano al senso della Presenza; gli spirituali si contentavano di pronunziare il nome di Gesù, ma in questo nome contemplavano il Regno.
A noi lo Statuto raccomanda “vivamente” l’invocazione al nome di Gesù (art. 21) e “la Preghiera di Gesù” è considerata, insieme col Mattutino di Resurrezione e con l’Acathistos, preghiera specifica della Comunità.
“La Preghiera di Gesù libera i suoi spazi e vi attira Gesù con l’invocazione incessante: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». Questa preghiera del pubblicano evangelico, contiene tutto il messaggio biblico: la Signoria di Gesù, la Sua filiazione divina, dunque la confessione della Trinità, l’abisso della caduta che invoca l’abisso della misericordia divina.
Questa preghiera risuona incessantemente dal fondo dell’anima; Gesù attratto nel cuore, è la liturgia interiorizzata e il Regno nell’anima pacificata.
Il Nome riempie l’uomo come suo tempio, lo trasfigura in luogo della presenza divina” (Evdokimov).
“Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore… Il ricordo di Dio t’invade, ti penetra, diventa la tua occupazione, diventa qualche cosa da cui non sai liberarti. Egli riempie tutta la tua giornata, ogni tuo pensiero, ogni tuo affetto: Dio è qui. Se tu vivi in questa comunione lo Spirito Santo t’invade, ti crea, ti trasforma” (D. Barsotti).
Il cuore prega! E si apre ad accogliere la salvezza nel riconoscimento del proprio peccato.
Tutto il Cristianesimo “si fonda principalmente sulla rovina che il peccato ha compiuto e sulla necessità di una misericordia divina che redima e salvi.
Se questo è vero per tutta l’umanità, è vero per ciascuno di noi. Se non avessimo il sentimento del nostro peccato, non saremmo cristiani.
Certo quando saremo in Paradiso il peccato non sarà più; ma possiamo noi dire di esserci già trasformati nel Cristo? Siamo ancora in cammino. Chi si contenta di sé non è cristiano, chi si contenta della propria impotenza, della propria povertà, non ha bisogno di Gesù. Gesù è il redentore, è colui che ci salva.
Ecco uno degli elementi essenziali della spiritualità monastica. Il monaco non è santo, ma è colui che cerca Dio, è colui che invoca la misericordia, che implora la salvezza.
(Divo Barsotti)

Bibliografia:
Marcello Brunini, La preghiera del cuore, CFD
F. Comandini, Come Monaci nel Mondo, Ed. Il Leone verde, pagg. 94-100
Evdokimov, La novità dello spirito, Ed. Ancora, pag. 90

A cura del Comitato Cultura della Comunità dei Figli di Dio »»»

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