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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Autobiografia di S. Margherita Maria Alacoque - Parte II di III

41. Lotta eroica contro una ripugnanza naturale
Racconterò solo una di queste occasioni di mortificazione superiori alle mie forze, attraverso cui mi fece provare davvero l’efficacia delle sue promesse. Si tratta di una cosa per la quale tutta la nostra famiglia provava una grande avversione naturale, al punto che mio fratello aveva ottenuto, nel contratto che regolava la mia entrata in convento, che non sarei mai stata costretta su questo punto. La cosa era stata concessa, essendo di per sé insignificante, ma dovetti adattarmi a farla, perché su ciò fui attaccata con tale veemenza, che non sapevo più cosa fare. Mi pareva mille volte più facile sacrificare la mia vita e, se non avessi amato la mia vocazione più della mia vita, l’avrei sacrificata piuttosto che costringermi a fare ciò che volevano farmi fare.
Invano opponevo resistenza, perché il mio Sovrano voleva questo sacrificio, da cui dipendevano tanti altri. Rimasi tre giorni a combattere con tanta violenza, che facevo compassione, soprattutto alla mia maestra, davanti alla quale mi sentivo in dovere di fare quanto lei chiedeva, ma il coraggio mi mancava e morivo di dolore perché non riuscivo a piegare il mio carattere, e le dicevo: «Mi tolga la vita piuttosto che farmi venir meno al voto di obbedienza!». E lei: «Vattene», mi disse, «non sei degna di praticarla e ora ti proibisco di fare ciò che ti avevo ordinato». Questo mi parve troppo. Dissi subito: «Bisogna morire o vincere». Andai davanti al santissimo Sacramento, mio solito rifugio, dove rimasi per tre o quattro ore a piangere e a gemere, nella speranza di trovare la forza di vincermi: «Ahimè! Mio Dio, mi avete dunque abbandonata? Come, c’è ancora qualcosa nel mio sacrificio che deve essere consumato fino al completo olocausto?».
Ma il mio Signore voleva spingere all’estremo la fedeltà del mio amore verso di Lui, come mi ha mostrato in seguito, e godeva nel vedere la sua indegna schiava esitare fra l’amore divino e le ripugnanze naturali. E alla fine fu Lui a vincere, perché, senza altra consolazione né armi che queste parole: «L’amore non deve avere riserve», andai a gettarmi alle ginocchia della mia maestra, chiedendole la misericordia di consentirmi di fare ciò che aveva voluto che facessi. Lo feci, sebbene mai abbia provato tanta ripugnanza. È una ripugnanza che ho provato ogni volta che mi è toccato rifarlo, ma non ho mai smesso di continuare a farlo per quasi otto anni.

42. Questo sacrificio le procura un nuovo torrente di grazie
Fu dopo questo primo sacrificio che tutte le grazie e i favori del mio Sovrano raddoppiarono e inondarono la mia anima, a tal punto che ero come costretta a dire spesso: «Interrompete, o mio Dio, questo torrente che mi travolge, oppure aumentate la mia capacità di riceverlo!». E qui tralascio tutte quelle predilezioni e profusioni del suo puro amore, così grandi che non saprei come esprimerle.

43. Si nutrono timori sulla sua vocazione. Nostro Signore si offre come suo garante
Questo mi provocò altri attacchi, mentre stavo per fare la mia professione di fede. Mi dicevano che si vedeva bene che non ero adatta a vivere secondo lo spirito della Visitazione, che teme questi sentieri soggetti all’inganno e all’illusione. Lo riferì subito al mio Signore, lamentandomene: «Ahimè! Mio Signore, sarà dunque a causa vostra che sarò respinta?». A ciò mi fu risposto: «Di’ alla tua superiora che non ha nulla da temere accettandoti, che io rispondo per te e che, se mi crede solvente, sarò io la tua cauzione». Avendole riferito ciò, lei mi ordinò di chiedergli, per essere sicura, che mi rendesse utile alla santa religione con la pratica corretta di ogni osservanza. A questo, la sua amorevole bontà mi rispose: «Bene! Figlia mia, te lo concedo e ti renderò più utile alla religione di quanto lei può pensare,ma in un modo che solo io conosco. D’ora innanzi adatterò le mie grazie allo spirito della tua regola, alla volontà delle tue superiore e alla tua debolezza, sino a farti considerare sospetto tutto quanto ti allontanerà dalla pratica corretta della tua regola, che mi pare tu preferisca a tutto il resto. Inoltre, sarò lieto se preferirai la volontà delle tue superiore alla mia, quando t’impediranno di fare quel che io ti avrò ordinato. Lascia che facciano quel che vogliono di te. Io saprò trovare il modo di realizzare i miei disegni, anche con mezzi che ti sembrano opposti e contrari. E mi riservo solo la direzione del tuo intimo e,in particolare, del tuo cuore, che io non cederò mai ad altri avendovi fissato la sede del mio amore». La nostra madre superiora e la nostra maestra rimasero contente di tutto questo e gli effetti si manifestarono con tale evidenza, che non poterono più dubitare che quelle parole provenissero dalla Verità. Infatti, non sentivo alcun turbamento in me e mi dedicai interamente a obbedire, qualunque pena dovessi patire per farlo. La stima e il compiacimento erano per me un supplizio insopportabile e li consideravo un giusto castigo per i miei peccati, che mi parevano così grandi, che tutti i tormenti immaginabili mi sarebbero stati dolci da soffrire pur di espiarli e soddisfare la giustizia divina.

44. Prende i voti
Essendo dunque pervenuta al bene tanto desiderato della sacra professione, quel giorno il mio divino Maestro volle ricevermi in sposa in un modo che mi sento incapace di esprimere. Dirò solo che mi preparò e mi trattò come una sposa del Tabor. La cosa era per me più dura della morte, perché non mi vedevo affatto conforme al mio sposo, che immaginavo tutto sfigurato e straziato sul Calvario. Ma mi fu detto: «Lasciami fare ogni cosa a suo tempo, perché voglio che tu sia ora il gingillo del mio amore, che vuole giocare con te a suo piacimento, come fanno i bambini con i giocattoli. È necessario che ti abbandoni, cieca e senza resistenza, lasciandomi divertire a tue spese, e tu non ci perderai». Mi promise di non lasciarmi più, dicendomi: «Sii sempre pronta a ricevermi, perché ormai voglio abitare in te per poter conversare e intrattenermi con te».

45. Gratificata dalla misteriosa presenza del suo divino Maestro
D’allora innanzi mi gratificò con la sua presenza divina, in un modo che mai prima avevo sperimentato; mai prima avevo ricevuto una grazia così grande, che in seguito ha sempre manifestato i suoi effetti su di me. Lo vedevo, lo sentivo vicino a me, lo sentivo molto meglio che se fosse stato tramite i sensi del corpo, i quali mi avrebbero potuto distrarre e allontanare. Invece, a tutto ciò non potevo frapporre barriere, non essendovi alcuna mia partecipazione. Questo determinò in me un forte annientamento e mi sentii subito come caduta e annichilita nell’abisso del mio nulla, da cui non sono più uscita, per rispetto e omaggio a questa infinita grandezza, al cospetto della quale avrei voluto stare sempre con la faccia rivolta verso la terra o in ginocchio. Così ho poi fatto, nella misura in cui il lavoro e la mia debolezza me l’hanno consentito. Perché non mi concedeva requie se non ero in una posizione rispettosa, e io osavo sedermi solo quando ero in presenza di qualcuno, a causa della mia indegnità di cui mi ha sempre mostrato la grandezza, al punto che non osavo comparire in pubblico se non con grande turbamento. Desideravo che si conservasse ricordo di me solo per disprezzarmi, umiliarmi e ingiuriarmi, perché null’altro mi è dovuto. Questo unico amore della mia anima traeva molto piacere dal fatto che venissi trattata così e, malgrado la sensibilità del mio carattere orgoglioso, non mi concedeva altra soddisfazione, allorché ero con altri, che quella di mettermi in condizione di essere contraddetta, umiliata, disprezzata, e voleva che tutto questo fosse il mio cibo delizioso, che mai mi ha fatto mancare e che per Lui non era mai abbastanza. Anzi, faceva Lui stesso ciò che altre creature o io per prima mancavamo di fare. Ma, mio Dio, più intensamente sentivo il gusto di questo cibo quando eravate Voi a intervenire, e sarebbe troppo lungo da raccontare.

46. Le due santità dell’amore e della giustizia
Mi onorava con i suoi incontri talvolta come un amico, talaltra come lo sposo più appassionato o come un padre tutto preso d’amore per il suo unico figlio e in mille altri modi, di cui non racconterò gli effetti che producevano in me. Dirò solo che mi mostrò in Lui le due santità: una di amore e l’altra di giustizia, entrambe altissime, che sarebbero state esercitate continuamente su di me. La prima mi avrebbe fatto soffrire una specie di purgatorio molto doloroso, per confortare le anime sante che vi erano prigioniere e alle quali Lui avrebbe permesso di rivolgersi a me. E quanto alla sua santità di giustizia, così terribile e spaventosa per i peccatori, mi avrebbe fatto sentire il peso del suo giusto rigore, facendomi soffrire per i peccati e «in particolare per le anime che mi sono consacrate, per le quali ti farò vedere e sentire in seguito cosa dovrai patire per amore mio».

47. Si sforza di ritrarsi dal percorso straordinario e se ne lamenta con Nostro Signore
Dio mio, Voi che conoscete la mia ignoranza e la mia incapacità nell’esprimere tutto quanto è accaduto tra la vostra sovrana Maestà e la vostra infima e indegna schiava, per l’effetto sempre operante del vostro amore e della vostra grazia, datemi il modo di poter dire qualche piccola cosa di ciò che è più intellegibile e sensibile, affinché io possa mostrare fino a quale eccesso di liberalità è giunto il vostro amore nei confronti di un oggetto così miserabile e indegno. Non nascondevo nulla alla mia superiora e alla maestra, sebbene spesso non comprendessi io stessa ciò che dicevo loro; e poiché loro mi fecero capire che questi percorsi straordinari non erano consoni alle figlie di Santa Maria, provai un forte dolore e, di conseguenza, non c’è sforzo che non abbia fatto per ritrarmi da quel percorso. Ma invano, perché quello Spirito aveva già preso un tale possesso del mio spirito, che non potevo più disporne, come di ogni altra mia potenza interiore, che sentivo tutta assorbita in Lui. Facevo ogni sforzo per applicarmi a seguire il metodo d’orazione che mi veniva insegnato con le altre pratiche, ma nel mio spirito non rimaneva nulla. Potevo anche leggere i miei punti d’orazione: tutto svaniva e riuscivo ad apprendere e a ricordare solo ciò che il mio divino Maestro m’insegnava, cosa che mi ha fatto soffrire molto. Perché le mie superiore facevano di tutto per distruggere le sue azioni in me e mi ordinavano di fare altrettanto. Combattevo contro di Lui per quanto potevo, seguendo esattamente tutto ciò che l’obbedienza mi ordinava per allontanarmi dalla sua potenza, che rendeva la mia inutile. Mi lamentavo con Lui: «Cosa!» gli dicevo. «O mio sovrano Maestro! Perché non mi lasciate sul sentiero comune delle figlie di Santa Maria? Mi avete condotta nella vostra santa casa al fine di perdermi? Concedete quelle grazie straordinarie ad anime scelte, che vi corrisponderanno meglio e vi glorificheranno più di me, che, invece, vi oppongo solo resistenza. Io non desidero altro che il vostro amore e la vostra croce e questo mi basta per essere una buona monaca, che è tutto quanto desidero». Mi fu risposto: «Combattiamo, figlia mia, ne sono contento, e vedremo chi vincerà, il Creatore o la sua creatura, la forza o la debolezza, l’onnipotente o l’impotente. Ma chi vincerà, sarà vincitore per sempre». Questo mi gettò in un’estrema confusione, durante la quale Lui mi disse: «Sappi che non mi sento affatto offeso da tutti questi conflitti e dinieghi che mi opponi in nome dell’obbedienza, per la quale io ho dato la mia vita. Ma voglio insegnarti che sono il padrone assoluto dei miei doni e delle mie creature, e che nulla potrà impedirmi di portare a compimento i miei disegni. Ecco perché voglio non solo che tu faccia ciò che le tue superiore ti diranno, ma pure che tu non faccia nulla di ciò che ti ordino senza il loro consenso. Io amo l’obbedienza e, senza di questa, non mi si può piacere». Questo piacque alla mia superiora, che mi disse di abbandonarmi alla sua potenza, cosa che feci sentendo subito grande gioia e pace nella mia anima, la quale pativa una crudele tirannia.

48. Nostro Signore le chiede un nuovo abbandono di se stessa
Lui mi chiese, dopo la santa comunione, di rinnovargli il sacrificio della mia libertà e di tutto il mio essere, cosa che feci con tutto il cuore. «A patto», gli dissi, «o mio sovrano Maestro, che Voi non facciate mai apparire in me nulla di straordinario, tranne ciò che più possa causarmi umiliazione e abiezione di fronte agli uomini e distruggermi nella loro stima. Ahimè, mio Dio, sento la mia debolezza e temo di tradirvi e di non sapere far si che i vostri doni siano al sicuro con me». «Non temere nulla, figlia mia», mi disse, «vi metterò ordine io e ne sarò il guardiano, rendendoti incapace di oppormi resistenza». «Come! Mio Dio, mi lascerete vivere senza più soffrire?». Mi fu subito mostrata una grande croce, di cui non potevo vedere la fine, ed era tutta coperta di fiori.

49. I fiori e le spine della croce. Tre desideri imperiosi
«Ecco il letto delle mie caste spose, dove ti farò consumare le delizie del mio puro amore. A poco a poco questi fiori cadranno e ti rimarranno solo le spine, ora nascoste per via della tua debolezza. Queste ti faranno sentire così acutamente le loro trafitture, che avrai bisogno di tutta la forza del mio amore per sopportarne il dolore». Queste parole mi rallegrarono molto, perché pensavo che non avrei mai avuto abbastanza dolori, umiliazioni e disprezzo capaci di soddisfare l’ardente sete che ne avevo, e che non avrei potuto provare una sofferenza peggiore di quella che provavo perché non soffrivo a sufficienza, dal momento che il suo amore non mi lasciava requie né di giorno né di notte. Queste dolcezze mi affliggevano. Volevo la croce tutta pura e avrei voluto vedere il mio corpo sempre provato dalle austerità o dalle fatiche, cui mi applicavo per quanto le mie forze potevano sopportare. Infatti, non mi era possibile vivere un solo momento senza sofferenza e più soffrivo e più accontentavo questa santità d’amore che aveva acceso tre desideri nel mio cuore, i quali mi tormentavano senza tregua: il primo era di soffrire, il secondo di amarlo e comunicarmi e il terzo di morire per unirmi a lui.

50. Si occupa dell’asina e dell’asinello durante il ritiro della sua professione e riceve la grazia di un amore ardente per la croce
Da quando il mio sovrano Maestro mi accompagnava ovunque, non mi preoccupavo più del tempo né del luogo. Ero indifferente a ogni disposizione che veniva presa nei miei confronti, perché ero sicurissima che, essendosi Lui concesso a me senza che l’avessi meritato, ma solo per la sua pura bontà, non avrebbero potuto togliermelo. Lo sperimentai durante il ritiro della mia professione, quando mi mandarono nell’orto a badare a un’asina e al suo asinello. L’asina mi dava non poco lavoro, perché non mi era permesso di legarla e volevano che la tenessi nell’angolo che mi era stato indicato, per paura che facesse danni, di modo che ero sempre lì a correre. Non avevo tregua sino all’Angelus della sera, quando andavo a cena; poi durante una parte del Mattutino ritornavo nella stalla per farli mangiare. Ero contenta di questa occupazione e non mi avrebbe dato fastidio neppure se fosse durata tutta la vita. Il mio Sovrano mi teneva una compagnia così fedele, che tutte quelle corse che dovevo fare non mi allontanavano da Lui. Fu lì che ricevetti grazie così grandi, che mai ne avevo sperate di simili, soprattutto quella che mi fece conoscere sul mistero della sua santa morte e passione. È un abisso impossibile da descrivere e la lunghezza dell’eventuale racconto me lo fa evitare, ma mi ha ispirato un tale amore per la Croce, che non posso vivere un solo momento senza soffrire: soffrire in silenzio, senza consolazione, sollievo o compassione, e morire con quel Sovrano della mia anima, schiacciata sotto la croce di ogni sorta di obbrobri, umiliazioni, dimenticanze e disprezzo. Queste cose sono durate per tutta la mia vita, la quale, grazie alla sua misericordia, è interamente trascorsa in questi esercizi, che sono quelli dell’amore puro. Lui ha sempre badato a fornirmi in abbondanza questo nutrimento, che gli è tanto gradito, senza mai dire basta.

51. Esigenze della santità di Dio
Il mio divino Maestro m’impartì una volta questa lezione: «Sappi», mi disse in merito a una colpa che avevo commesso, «che sono un Maestro santo che insegna la santità. Sono puro e non posso sopportare la minima macchia. Per questo bisogna che tu agisca in mia presenza con semplicità di cuore e con intenzione retta e pura. Perché non tollero il minimo inganno e ti farò conoscere che l’eccesso del mio amore mi ha indotto a rendermi tuo Maestro, affinché tu ti modelli a modo mio e secondo i miei disegni. Io non posso sopportare le anime tiepide e pigre e, se sono dolce nel sopportare le tue debolezze, non sarò per questo meno severo e puntuale nel correggere e punire le tue infedeltà». E questo è quanto mi ha dimostrato per tutta la vita. Posso dire che non mi lasciava passare la minima colpa, dovuta a poca volontà o a negligenza, senza che mi punisse e mi rimproverasse, ancorché sempre nella sua misericordia e infinita bontà. Devo confessare che nulla mi era più doloroso e terribile che vederlo anche solo un po’ arrabbiato con me. Tutti gli altri dolori, castighi e mortificazioni non erano nulla al confronto. Così chiedevo prontamente la penitenza per le mie colpe e Lui si accontentava di quelle che l’obbedienza mi imponeva.

52. Lui respinge le opere della volontà
Ciò che Lui biasimava con più severità era la mancanza di rispetto e di attenzione verso il santissimo Sacramento, soprattutto nel momento dell’ufficio e dell’orazione, le mancanze di rettitudine e purezza nelle intenzioni, e la curiosità vana. Sebbene i suoi occhi puri e chiaroveggenti scoprano anche le minime mancanze di carità e umiltà per biasimarle severamente, nulla è paragonabile alla mancata obbedienza, nei confronti sia dei superiori sia delle regole. La minima risposta che manifesti ripugnanza per i superiori gli è intollerabile in un anima religiosa. «T’inganni», mi diceva, «se pensi di potermi piacere con questo genere di azioni e mortificazioni scelte dalla tua volontà, fatte più per piegare che per assecondare la volontà dei tuoi superiori. Sappi che respingo tutto ciò come il frutto corrotto dalla volontà individuale, di cui ho orrore in un’anima religiosa. Preferirei che godesse di tutti gli agi per obbedienza, piuttosto che si sfiancasse a forza di penitenze e digiuni voluti dalla sua volontà». Quando mi capita di fare questo tipo di penitenze e di mortificazioni per mia scelta e senza ordine suo o della superiora, non mi consente nemmeno di offrirgliele e mi corregge imponendomi una penitenza come per le mie altre colpe. Ognuna di queste trova la sua particolare pena nel purgatorio, lì dove mi purifica per rendermi meno indegna della sua divina presenza, comunicazione e intervento, perché Lui faceva tutto in me. E una volta, finita un’Ave maris stella di disciplina, che mi era stata assegnata, mi disse: «Ecco la mia parte». E poiché io continuavo, aggiunse: «Ecco, ora è quella del demonio». A tali parole smisi immediatamente. Un’altra volta, in cui facevo la disciplina per le sante anime del purgatorio e volevo farne più di quanto me ne avessero consentito, le anime mi circondarono, lamentandosi per come le battevo. Tutto ciò mi convinse a morire piuttosto che superare di tanto o di poco i limiti dell’obbedienza. In seguito, Lui mi assegnava una penitenza, ma io non ci trovavo nulla di difficile, perché a quel tempo le mie pene e le mie sofferenze erano immerse nella dolcezza del suo amore. Spesso gli chiedevo di allontanarlo da me, per lasciarmi gustare con piacere le amarezze delle sue angosce, dei suoi abbandoni, delle sue agonie, dei suoi obbrobri e degli altri suoi tormenti. Ma Lui mi rispondeva che dovevo sottopormi indifferentemente a tutte le sue diverse disposizioni e non mettermi a imporre regole a Lui. «Ti farò capire in seguito che sono un direttore saggio e sapiente, il quale sa guidare le anime senza pericolo, quando queste si abbandonano a me dimenticando se stesse».

53. Si riposa sul petto di Nostro Signore, che per la prima volta le mostra il suo cuore infiammando quello di lei
Una volta, davanti al santo Sacramento, con un po’ di tempo a disposizione, perché le mie incombenze me ne lasciavano assai poco, mi ritrovai tutta investita da questa presenza divina, così forte che mi dimenticai di me stessa e del luogo dov’ero. Allora mi abbandonai a questo divino Spirito, consegnando il mio cuore alla forza del suo amore. Lui mi fece riposare a lungo sul suo petto divino e lì mi fece scoprire le meraviglie del suo amore e i segreti inesplicabili del suo sacro Cuore, che mi aveva sempre tenuto nascosti. Quando me lo aprì per la prima volta, fu in modo così forte e toccante, che non mi lasciò ombra di dubbio, considerati gli effetti che questa grazia produsse in me, al punto che temo sempre di sbagliarmi in tutto quanto dico che è accaduto in me. Ecco come mi pare che la cosa si sia svolta.Lui mi disse: «Il mio Cuore divino arde così tanto d’amore per gli uomini e per te in particolare, che, non potendo contenere in se stesso le fiamme della sua carità ardente, deve diffonderle per mezzo tuo e manifestarsi agli uomini per arricchirli dei suoi preziosi tesori. Io te li rivelo, affinché tu sappia che contengono le grazie santificanti e salvifiche necessarie per allontanare gli uomini dall’abisso della perdizione. Ti ho scelta, sebbene tu sia un abisso d’indegnità e ignoranza, per il compimento di questo grande disegno, in modo che tutto sia fatto da me». In seguito, mi chiese il mio cuore, che gli supplicai di prendere, cosa che fece e lo mise nel suo adorabile Cuore, dove me lo fece vedere simile a un piccolo atomo che si consumava in quella fornace incandescente. Ritiratolo di lì come una fiamma ardente in forma di cuore, lo rimise nel posto da cui l’aveva preso, dicendomi: «Ecco, mia amata, un prezioso pegno del mio amore, che chiude nel tuo costato una piccola scintilla delle sue più vive fiamme, affinché ti serva da cuore e ti consumi fino all’estremo momento. Il suo ardore non si spegnerà e potrà trovare un po’ di refrigerio solo nel salasso. Io lo segnerò talmente col sangue della mia Croce, che ti porterà più umiliazioni e sofferenze che sollievo. Ecco perché voglio che tu chieda con semplicità questo rimedio, sia per praticare quel che ti è stato ordinato, sia per darti la consolazione di versare il tuo sangue sulla croce delle umiliazioni».

54. Come segno ha sempre un dolore al fianco e diviene discepola del sacro Cuore
«Come segno che la grande grazia che ti ho fatto non è un’immaginazione, ma il fondamento di tutte quelle che ti concederò, sappi che, pur avendo io chiuso la ferita nel tuo costato, il dolore ti rimarrà per sempre e, se finora hai avuto solo il nome di mia schiava, adesso ti conferisco quello di amata discepola del mio sacro Cuore». Dopo una grazia così grande e che si protrasse per un lungo periodo, durante il quale non sapevo se mi trovavo in cielo o sulla terra, rimasi molti giorni come infiammata e inebriata. Ero talmente fuori di me, che non riuscivo a dire una parola se non facendomi violenza, e mi toccava farmene una così grande per distrarmi e mangiare, che mi ritrovavo allo stremo delle forze nel tentativo di sopportare il mio dolore e me ne sentivo molto umiliata. Non riuscivo a dormire, perché quella ferita, il cui dolore mi è così prezioso, mi causa ardori così violenti, che mi consuma e mi fa bruciare viva. Sentivo una così grande pienezza di Dio, che non sapevo esprimerla alla mia superiora come avrei desiderato fare, nonostante la pena e l’imbarazzo che queste grazie mi causavano nel raccontarle, per via della mia grande indegnità, che mi avrebbe piuttosto spinta mille volte a scegliere di raccontare i miei peccati a tutti. Questo mi sarebbe stato di grande consolazione, se mi fosse stato consentito farlo e leggere ad alta voce la mia confessione generale in refettorio, per mostrare il fondo di corruzione che era in me, e per evitare che attribuissero valore alle grazie che ricevevo.

55. Nei primi venerdì del mese, il sacro Cuore le appare come un sole sfolgorante, come una fornace ardente
Quanto ho riferito sul dolore al costato, si rinnovava nei primi venerdì del mese nel seguente modo: il sacro Cuore mi appariva come un sole sfolgorante di luce vivissima, i cui raggi ardenti colpivano il mio cuore. Me lo sentivo ben presto infiammato da un fuoco tale, che mi pareva di ridurmi in cenere, ed era soprattutto in quel momento che il mio divino Maestro mi spiegava ciò che voleva da me e mi rivelava i segreti di quell’amabile Cuore. Una volta, fra le altre, in cui il santo Sacramento era esposto, dopo essermi assorta in me stessa con uno straordinario raccoglimento di tutti i sensi e di tutte le facoltà, Gesù Cristo, il mio dolce Maestro, si presentò a me, sfolgorante di gloria con le sue cinque piaghe, scintillanti come cinque soli. Da questa sacra umanità uscivano ovunque fiamme, ma soprattutto dal suo adorabile petto, che pareva una fornace, e apertasi la fornace, mi veniva svelato il suo amoroso e amabile Cuore, che era la sorgente viva di quelle fiamme. Fu allora che mi rivelò le meraviglie inesplicabili del suo puro amore e fino a quale eccesso aveva spinto il suo amore per gli uomini, dai quali riceveva solo ingratitudine e indifferenza. «Ciò mi ferisce più di tutto quanto ho sofferto durante la mia passione», mi disse. «Se mi contraccambiassero con un po’ d’amore, stimerei poco quanto ho fatto per loro, e vorrei, se fosse possibile, fare ancora di più. Invece, non hanno che freddezza e rigetto per tutte le mie premure che mirano a far loro del bene».

56. Dovrà supplire all’ingratitudine degli uomini
«Ma, almeno tu, dammi il piacere di supplire alle loro ingratitudini nella misura in cui ne sei in grado». Confessando la mia incapacità, mi rispose: «Tieni, ecco quanto ti serve per supplire a ciò che ti manca». E contemporaneamente il suo Cuore divino si apri e ne usci una fiamma così ardente, che credetti mi dovesse consumare. Ne fui interamente penetrata e non riuscivo più a sopportarla, al punto che gli chiesi di avere pietà della mia debolezza. «Sarò la tua forza», mi disse. «Non temere nulla, ma presta attenzione alla mia voce e a ciò che ti chiedo, affinché tu ti disponga al compimento dei miei disegni».

57. Si comunicherà il più spesso possibile e in particolare i primi venerdì. Farà l’Ora Santa
«Innanzitutto, mi riceverai attraverso il santo Sacramento tutte le volte che l’obbedienza te lo vorrà permettere, nonostante ogni umiliazione e mortificazione che te ne potrà derivare e che dovrai ricevere come pegni del mio amore. Inoltre, ti dovrai comunicare tutti i primi venerdì del mese e, tutte le notti tra il giovedì e il venerdì, ti renderò partecipe di quella tristezza mortale che ho voluto provare nel giardino degli Ulivi. Quella tristezza ti porterà, senza che tu possa capirlo, a una specie di agonia più dura da sopportare che non la morte. E per accompagnarmi nell’umile preghiera che allora, in mezzo a tutte le angosce, rivolsi al Padre mio, ti leverai tra le undici e la mezzanotte e ti prosternerai per un’ora con me, con la faccia a terra, sia per placare la collera divina, chiedendo misericordia in nome di tutti i peccatori, sia per addolcire in qualche modo l’amarezza che provavo in seguito all’abbandono dei miei apostoli e che mi costrinse a rimproverarli perché non erano stati capaci di vegliare un’ora insieme a me. In quell’ora, tu farai quello che t’insegnerò. Ma ascolta, figlia mia, non credere con leggerezza a ogni spirito e non fidarti, perché Satana muore dalla voglia di infamarti. Quindi, non fare nulla senza l’approvazione di chi ti guida, in modo che, avendo dalla tua parte l’autorità dell’obbedienza, lui non ti possa ingannare. Infatti, non ha alcun potere su coloro che obbediscono».

58. La superiora la mortifica e le rifiuta ogni cosa. L’assale una forte febbre
Durante tutto questo tempo non avevo coscienza di me, né sapevo dove mi trovavo. Quando mi portarono via, vedendo che non riuscivo a rispondere e neanche a reggermi, se non con grande fatica, mi condussero dalla nostra Madre. Io mi gettai ai suoi piedi, ma lei, vedendomi fuori di me, tutta febbricitante e tremante, mi mortificò e mi umiliò con tutte le sue forze, cosa che mi fece un piacere incredibile e mi rese felice. Mi sentivo talmente colpevole e confusa, che qualunque trattamento severo mi fosse stato riservato, mi sarebbe parso troppo dolce. Dopo che le ebbi detto, con grande imbarazzo, cos’era accaduto, Lei mi umiliò ancora di più e non mi permise di fare, per questa volta, ciò che io credevo che Nostro Signore mi chiedeva di fare, considerando con disprezzo tutto quanto le avevo detto. Questo mi consolò molto e mi ritirai in grande pace. Il fuoco che mi divorava mi causò ben presto una forte e continua febbre, ma mi piaceva molto soffrirne e ne parlai solo quando mi mancarono le forze. Il dottore si accorse che da molto tempo ne ero affetta e ne soffrii ancora a lungo, per oltre sessanta accessi. Mai ho provato tanta consolazione; tutto il mio corpo soffriva atroci dolori e questo alleviava un po’ la sete ardente che avevo di soffrire. Quel fuoco divorante, infatti, si nutriva e si saziava solo del legno della croce, di ogni tipo di sofferenze, disprezzo, umiliazioni e dolori, anche se io non provavo dolore che potesse uguagliare quello di non soffrire abbastanza. Pareva che ne sarei morta.

59. Le appaiono le tre persone della Santa Trinità
Invece, Nostro Signore continuava a tributarmi le sue grazie e ricevetti, in un momento durante il quale avevo perso i sensi, quella incomparabile per cui si presentarono a me le tre persone della Santa Trinità, che riempirono di grande consolazione la mia anima. Non sono in grado di spiegare quel che mi accadde; posso solo dire che mi parve che il Padre eterno, mostrandomi una grandissima croce irta di spine, insieme a tutti gli altri strumenti della passione, mi disse: «Tieni, figlia mia, ti faccio lo stesso dono che ho fatto al mio amato Figlio». «E io», mi disse il mio signore Gesù Cristo, «ti ci crocifiggerò come io sono stato crocifisso e ti terrò compagnia». La terza di quelle adorabili persone mi disse che lui era solo amore e che mi avrebbe consumata purificandomi. Il mio animo rimase in una pace e in una gioia inconcepibili e l’impressione che mi fecero quelle divine Persone non si è cancellata mai più. Mi apparvero sotto forma di tre giovani vestiti di bianco risplendenti di luce, tutti della stessa età, grandezza e bellezza. Allora non capii, come ho capito in seguito, le grandi sofferenze che tutto ciò comportava.

60. La obbligano a chiedere la salute come prova delle rivelazioni
Poiché mi fu chiesto di chiedere la salute a Nostro Signore, lo feci, anche se temevo di essere esaudita. Ma mi venne detto che, grazie al ristabilirsi della mia salute, si sarebbe capito se tutto ciò che mi accadeva proveniva dallo Spirito di Dio. Dopodiché mi sarebbe stato permesso di fare quanto Lui mi aveva comandato, riguardo sia alla comunione dei primi venerdì sia alla veglia di un’ora che voleva da me durante la notte fra il giovedì e il venerdì. Avendo riferito per obbedienza tutto ciò a Nostro Signore, riacquistai subito la salute. Infatti, la santissima Vergine, mia buona Madre, avendomi gratificata con la sua presenza, mi fece grandi carezze e mi disse dopo un lungo incontro: «Riprendi coraggio, cara figlia mia, con la salute che ti porto da parte del mio divino Figlio, perché hai ancora un lungo e doloroso cammino da percorrere, sempre sotto il peso della croce, trafitta dai chiodi e dalle spine e lacerata dai colpi di frusta. Ma non temere, non ti abbandonerò e ti prometto la mia protezione». È una promessa che ha poi avuto modo di farmi sentire quando più mi è stato necessario. Il mio sovrano Signore continuava sempre a gratificarmi con la sua presenza attuale e sensibile, come ho già detto, avendomi promesso che sarebbe stato così per sempre. In effetti non me ne privava, nonostante tutte le colpe che potevo commettere.

61. La santità di Dio non sopporta macchia alcuna
Poiché la sua santità non sopporta alcuna macchia, Lui mi mostra anche la più piccola imperfezione e non la tollera quando è frutto della pur minima volontà o negligenza. Essendo io tanto imperfetta e miserabile da commettere molte colpe, seppure involontarie, confesso che per me è un insopportabile tormento apparire al cospetto di questa Santità, dopo che mi sono lasciata andare a qualche infedeltà, e non c’è supplizio cui non mi sacrificherei, piuttosto che sopportare la presenza di questo Dio santo allorché la mia anima è macchiata da una colpa. Sarebbe per me mille volte più dolce gettarmi in una fornace ardente.

62. Nostro Signore le mostra un quadro di tutte le sue miserie
Una volta che mi ero lasciata andare a un moto di vanità parlando di me stessa, mio Dio, quante lacrime e quanti gemiti mi causò questa mancanza! Nel momento in cui restammo soli, Lui mi rimproverò in questo modo con un viso severo: «Cos’hai tu, polvere e cenere, da poterti glorificare, visto che non hai nulla di tuo se non il nulla e la miseria, che mai devi perdere di vista, così come mai devi uscire dall’abisso del tuo nulla? E per fare in modo che la grandezza dei miei doni non ti faccia dimenticare chi sei, voglio mettertene davanti agli occhi il quadro». E subito mi mostrò questo quadro orrendo, dove c’era una sintesi di ciò che io sono. Questo mi sorprese tanto e mi suscitò tanto disgusto di me stessa, che, se lui non mi avesse sorretta, sarei svenuta dal dolore. Non riuscivo a capire l’eccesso di una così grande bontà e misericordia, che non mi aveva ancora fatta sprofondare nell’inferno e riusciva a sopportarmi, mentre io non riuscivo a sopportare me stessa. Ed era questo il supplizio mediante il quale Lui puniva in me i minimi moti di vana compiacenza, così costringendomi talvolta a dirgli: «O mio Dio! Ahimè! Fatemi morire oppure celatemi questo quadro, perché non posso vivere vedendolo». Infatti, mi causava dolori insopportabili di odio e vendetta contro me stessa e, poiché l’obbedienza non mi permetteva di compiere su di me i rigori che questa visione mi suggeriva, non posso esprimere quanto soffrivo. Sapendo che quel Sovrano della mia anima gradiva tutto ciò che l’obbedienza mi ordinava e traeva un particolare piacere dal vedermi umiliata, questo mi rendeva così ligia nell’accusarmi dei miei peccati al fine di riceverne penitenze, che, per quanto dure fossero, mi parevano un dolce refrigerio in confronto a quella che m’infliggeva Lui, che vedeva difetti anche in ciò che pareva più puro e perfetto. È quanto mi fece provare un giorno di Ognissanti, in cui mi fu detto in modo intelligibile: «Nulla di sozzo nell’innocenza, I Nulla si perde nella Potenza, Nulla accade in quel beato soggiorno, Tutto si consuma nell’amare». Le spiegazioni date in merito a queste parole, per molto tempo mi hanno tenuta impegnata. «Nulla di sozzo nell’innocenza», cioè non dovevo avere alcuna macchia nella mia anima né nel mio cuore. «Nulla si perde nella Potenza», cioè dovevo dare tutto e abbandonare tutto a Lui, che era la potenza stessa; perché a dargli tutto non si perde nulla. Quanto agli altri due versi, si riferivano al paradiso, lì dove nulla accade, perché tutto è eterno e ci si consuma nell’amore. E poiché in quello stesso istante mi fu mostrato un piccolo assaggio di questa gloria, Dio mio, in quale trasporto di gioia e desiderio tutto ciò mi trascinò! Ero in ritiro e passai tutto il giorno immersa in questi piaceri inesplicabili, di cui mi pareva che non si potesse fare altro che andare subito a goderne. Ma le altre parole mi fecero capire che ero ben lontana dal vero. Eccole: «Invano il tuo cuore sospira, Per entrarvi come credi. I Bisogna solo aspirarvi, Attraverso il cammino della croce». Dopodiché mi fu mostrato tutto quanto dovevo soffrire nella mia vita e tutto il mio corpo fu scosso da un tremito, sebbene allora non lo capissi a causa di quel quadro, come l’ho poi capito per gli effetti che me ne sono derivati.

63. Dio chiede umiltà e sincerità nella confessione
Mentre mi preparavo a fare la mia confessione annuale, cercando con grande scrupolo tutti i miei peccati, il divino Maestro mi disse: «Perché ti tormenti? Fa’ ciò che è in tuo potere, supplirò io a quanto mancherà. In questo sacramento chiedo solo che un cuore contrito e umiliato, mosso da una volontà sincera di non dispiacermi mai più, si accusi senza mascheramenti. In tal caso, io perdono subito e ne consegue una perfetta emendazione».

64. Teme che lo spirito che la guida non sia lo spirito di Dio
Questo Spirito sovrano, che operava e agiva in me indipendentemente da me stessa, aveva preso possesso assoluto del mio essere spirituale e anche corporale, al punto che potevo avere nel mio cuore moti di gioia e di tristezza solo se così Lui voleva e occuparmi unicamente delle incombenze che Lui mi suggeriva. Ciò mi ha sempre tenuta in un oscuro timore di essere ingannata, nonostante tutte le assicurazioni che ho potuto ricevere del contrario, sia da Lui sia da chi mi guidava, cioè dai miei superiori. Mi erano stati assegnati direttori solo affinché esaminassero come agiva in me, con loro piena libertà di approvare o disapprovare. Il mio dolore era che, invece di liberarmi dell’inganno in cui credevo davvero di essere caduta, costoro mi ci spingevano ancora di più, sia i miei confessori sia gli altri, dicendomi di abbandonarmi alla potenza di quello spirito e di lasciarmi guidare senza riserve. Anche se si fosse fatto di me un giocattolo nelle mani del demonio, come pensavo, dovevo continuar a seguire i suoi impulsi.

65. L’abito dell’innocenza
Feci dunque la mia confessione annuale, dopo la quale mi parve di vedermi e sentirmi al contempo spogliata e rivestita di un abito bianco, mentre mi venivano rivolte queste parole: «Ecco l’abito dell’innocenza di cui rivesto la tua anima, in modo che tu viva solo la vita di un Uomo-Dio, cioè in modo che tu viva come se tu non vivessi più, ma mi lasciassi vivere in te. Io sono la tua via e tu non vivrai più se non in me e per me, e voglio che tu agisca come se non agissi, ma mi lasciassi agire e operare in te e per te, rimettendo a me la cura di ogni cosa. Non devi più avere volontà, se non per non averne, lasciandomi volere per te in tutto e per tutto».

66. «Voglio solo te»
Una volta, quest’unico amore dell’anima mia mi apparve recando in una mano il quadro della vita più felice che si possa immaginare per un anima religiosa, tutta immersa nella pace, nelle consolazioni interiori ed esteriori, di una perfetta santità, unita al plauso e alla stima degli uomini e con altre cose grate alla natura. Nell’altra mano recava un altro quadro di una vita completamente povera e abietta, sempre crocifissa da ogni sorta di umiliazioni, disprezzo e contrasti, sempre sofferente nel corpo e nello spirito. Mostrandomi questi due quadri, mi disse: «Scegli, figlia mia, quello che ti piace di più. Ti concederò le stesse grazie sia che tu scelga l’uno sia che tu scelga l’altro». Gettatami ai suoi piedi per adorarlo, gli dissi: «O mio Signore, voglio solo Voi e la scelta che Voi farete per me». E dopo che mi ebbe fatto molte pressioni affinché mi decidessi, aggiunsi: «Voi mi siete sufficiente, o mio Dio! Fate di me ciò che più potrà glorificarvi, senza tenere conto dei miei interessi né delle mie soddisfazioni. Siate contento Voi e questo mi basterà». Allora mi disse che, come Maddalena, io avevo scelto la parte migliore, che non mi sarebbe più stata tolta, perché sarebbe stata la mia eredità per sempre. E presentandomi il quadro della crocifissione, disse: «Ecco quello che ho scelto per te e quello che più mi è gradito, sia per il compimento dei miei disegni, sia per renderti conforme a me. L’altra è una vita di godimento e non di merito; è la vita eterna». Accettai dunque questo quadro di morte e crocifissione, baciando la mano di colui che me lo presentava. Sebbene la mia natura fremesse, lo abbracciai con tutto l’affetto di cui il mio cuore era capace, stringendomelo al petto, e lo sentii così fortemente impresso in me, che mi pareva di essere un composto di tutto quanto vi avevo visto raffigurato.

67. È Dio che illumina la superiora sul modo di guidarla
Mi trovai talmente cambiata nelle disposizioni, che non mi riconoscevo più. Lasciai giudice di tutto la mia superiora, con cui non potevo nascondere nulla né omettere nulla di tutto quello che mi ordinava, purché provenisse direttamente da lei. Lo spirito che mi possedeva mi faceva provare una terrificante ripugnanza quando lei mi ordinava qualcosa o mi voleva guidare seguendo i consigli altrui. Questo accadeva perché Lui mi aveva promesso di darle sempre i lumi necessari affinché mi guidasse secondo i suoi disegni.

68. Satana ottiene il permesso di tentarla
Le grazie più grandi che ricevevo dalla sua bontà, mi venivano durante la santa Comunione e nella notte, in particolare quella tra il giovedì e il venerdì, quando si producevano favori inesplicabili. Una volta Lui mi avverti che Satana aveva chiesto di mettermi alla prova nel crogiolo delle contraddizioni e delle umiliazioni, delle tentazioni e degli abbandoni, come l’oro nella fornace. Lui gli aveva tutto permesso, tranne l’impurità, non volendo che mi fosse data alcuna pena a questo proposito, perché la odiava con tale forza, che non aveva voluto permettergli di attaccarmi neppure minimamente con quella. Dovevo, invece, restare in guardia per tutte le altre tentazioni, soprattutto quelle dell’orgoglio, della disperazione e della gola, di cui avevo più orrore che della morte. Mi assicurò che non dovevo temere nulla, perché Lui sarebbe stato come un forte inespugnabile dentro me e avrebbe combattuto per me, divenendo il premio delle mie vittorie e circondandomi con la sua potenza affinché non soccombessi. Ma bisognava che vegliassi continuamente su tutto ciò che proveniva dall’esterno, mentre lui si prendeva cura dell’interno. Non tardai molto ad avvertire le minacce del mio persecutore. Si presentò sotto forma di un moro spaventoso, con gli occhi scintillanti come due carboni, e mi disse, digrignando i denti: «Che tu sia maledetta, ti agguanterò e, se solo potrò per un unica volta tenerti in mio potere, ti farò provare quello di cui sono capace e ti farò male ovunque». Sebbene mi facesse altre minacce, non m’intimoriva affatto, bensì mi sentivo fortificata dentro me. Mi pareva che non avrei temuto neanche tutte le furie dell’inferno, per la grande forza che sentivo in me, insieme alla virtù di un piccolo crocifisso cui il mio sovrano Liberatore aveva dato la forza di allontanare tutti quei furori infernali. Lo portavo sempre sul cuore, notte e giorno, e ne traevo grande sostegno.

69. In balia delle persecuzioni. È sorretta dal suo angelo custode, che la rimprovera quando necessario
Fui mandata a lavorare in infermeria, dove solo Dio sa ciò che ho dovuto soffrire, sia a causa del mio carattere sensibile, sia a causa degli uomini e del demonio, che spesso mi faceva cadere e rompere tutto quanto avevo in mano. Dopodiché mi prendeva in giro, ridendomi talvolta in faccia: «Sciattona! Non combinerai mai niente di buono». Questo faceva sprofondare il mio spirito in una tristezza e in una prostrazione così profonde, che non sapevo cosa fare, perché spesso mi toglieva la possibilità di parlarne con la nostra superiora, sapendo che l’obbedienza distruggeva tutte le sue forze. Una volta, mi spinse dall’alto di una scala mentre reggevo un braciere pieno di fuoco, e mi ritrovai a terra, senza che il fuoco si fosse spento e senza che mi fossi fatta alcun male, anche se chi mi vide cadere pensò che mi fossi rotta le gambe. Ma io sentivo il mio fedele angelo custode che mi sosteneva e avevo spesso la felicità di godere della sua presenza e di essere rimproverata e corretta da lui. Una volta, essendomi voluta immischiare a parlar del matrimonio d’una parente, mi mostrò che questo era indegno di un’anima religiosa e mi rimproverò severamente. Disse che, se mi fossi di nuovo immischiata in quel genere di faccende, mi avrebbe nascosto il suo volto. Non poteva sopportare la benché minima immodestia o mancanza di rispetto alla presenza del mio sovrano Maestro, davanti al quale lo vedevo prosternato a terra, e voleva che facessi lo stesso. E io lo facevo il più spesso possibile e non trovavo posizione più dolce a causa delle mie continue sofferenze nel corpo e nello spirito, perché era la più conforme al mio nulla, che mai perdevo di vista. Anzi, me ne sentivo sempre immersa, che fossi nella sofferenza o nella gioia, lì dove non riuscivo più a provare alcun piacere.

70. Il pane di salvezza delle sofferenze
Questa santità d’amore mi spingeva così forte a soffrire per ricambiarlo, che avevo requie solo sentendo il mio corpo schiacciato dalle sofferenze, il mio spirito immerso in ogni sorta di derelizioni e tutto il mio essere sprofondato nelle umiliazioni, nel disprezzo e nei contrasti, che non mi mancavano mai, grazie a Dio, il quale non me ne lasciava priva un solo momento, sia dentro sia fuori di me. Allorché questo pane di salvezza scarseggiava, ne dovevo cercare dell’altro nella mortificazione; il mio carattere sensibile e orgoglioso me ne forniva molte occasioni. Lui voleva che non mi lasciassi sfuggire alcuna opportunità e, quando mi accadeva di farlo, a causa della grande violenza che dovevo farmi per superare le mie ripugnanze, me lo faceva pagare il doppio. Quando voleva qualcosa da me, insisteva talmente, che mi era impossibile resistere, e il fatto di averlo voluto fare spesso, mi ha portata a soffrire molto. Lui esigeva tutto ciò che era più in contrasto col mio carattere e contrario alle mie inclinazioni, e voleva che camminassi incessantemente nella direzione a loro contraria.

71. Trionfa sulle sue ripugnanze naturali con atti di eroismo
Ero talmente schifiltosa, che la minima sporcizia mi sconvolgeva lo stomaco. Lui mi rimproverò tanto su questo punto, che una volta, volendo pulire il vomito d’una malata, non riuscii a impedirmi di farlo con la lingua e di mangiarlo, dicendogli: «Se avessi mille corpi, mille amori, mille vite, io li immolerei per esservi schiava». E allora trovai in quell’azione tali delizie, che avrei voluto trovarne di simili ogni giorno, per imparare a vincermi, senza altro testimone che Dio. Ma la sua bontà, cui solo ero in debito di avermi dato la forza per dominarmi, non mancò di rendermi palese il piacere che quel gesto gli aveva procurato. Infatti, la notte successiva, se non mi sbaglio, mi tenne quasi due o tre ore con la bocca incollata sulla piaga del suo sacro Cuore, e mi sarebbe difficile esprimere ciò che provavo allora e gli effetti che questa grazia produsse nella mia anima e nel mio cuore.
Questo basta a spiegare le grandi bontà e misericordie riversate dal mio Dio su una creatura così miserabile. Tuttavia, Lui non voleva affatto attenuare la mia sensibilità né le mie grandi ripugnanze, sia per onorare quelle che Lui aveva voluto patire nel giardino degli Ulivi, sia per fornirmi strumenti di vittorie e umiliazioni. Ma, ahimè, io non sono sempre fedele e spesso cado! Era una cosa cui pareva prendere gusto, sia per confondere il mio orgoglio, sia per rafforzarmi nella diffidenza verso me stessa, mostrandomi che senza di Lui potevo solo far male e avere continue cadute senza potermi risollevare. Allora quel sovrano Bene della mia anima veniva in mio soccorso e, come un buon padre, mi tendeva le braccia del suo amore, dicendomi: «Sai bene che non puoi nulla senza di me». Questo mi faceva sciogliere di riconoscenza per la sua amorevole bontà e mi mettevo a piangere, vedendo che non si vendicava dei miei peccati e delle mie continue infedeltà, ma m’inondava di eccessi d’amore con cui sembrava combattere le mie ingratitudini. Talvolta me le metteva sotto gli occhi, insieme alla moltitudine delle sue grazie, e mi ritrovavo nell’impossibilità di parlargli se non con le lacrime agli occhi, soffrendo più di quanto riesco a riferire. Così quel divino Amore si divertiva con la sua indegna schiava. E una volta in cui ero stata colta da nausea mentre accudivo una malata che aveva la dissenteria, mi rimproverò così aspramente, che, per riparare a questa colpa, mi vidi costretta, mentre andavo a buttare via ciò che quella aveva fatto, a bagnarvi a lungo la lingua dentro e a riempirmene la bocca. Avrei ingoiato tutto se Lui non mi avesse ricordato l’obbedienza, che non mi permetteva di mangiare nulla senza permesso. Dopodiché mi disse: «Sei davvero pazza a fare queste cose!». Io gli risposi: «O mio Signore, lo faccio per farvi piacere e conquistare il vostro cuore divino, che spero non mi rifiuterete. Ma Voi, mio Signore, cosa non avete fatto per conquistare il cuore degli uomini e, nonostante ciò, loro ve lo rifiutano e molto spesso vi cacciano via». «È vero, figlia mia, che il mio amore mi ha fatto sacrificare tutto per loro, senza esserne ricambiato. Ma io voglio che tu supplisca, per i meriti del mio sacro Cuore, alla loro ingratitudine».

72. Nostro Signore esige da lei un pesante sacrificio per la sua comunità
«Io voglio donarti il mio Cuore. Ma prima bisogna che tu diventi la sua vittima immolata, di modo che, con la sua intercessione, tu allontani i castighi che la giustizia divina del Padre mio armato di collera vuole, nel suo giusto sdegno, infliggere a una comunità religiosa, per riprenderla e correggerla». Al contempo me la mostrava con quei difetti che l’avevano irritato e con tutto quel che avrei dovuto soffrire per acquietare la sua giusta collera. Questa vista mi fece fremere tutta e non ebbi il coraggio di sacrificarmi. Dissi che non era a causa mia e che non potevo farlo senza il consenso dell’obbedienza. Ma il timore che me lo imponessero mi fece trascurare di chiederlo e Lui mi perseguitava senza sosta e non mi conce deva tregua. Mi scioglievo in lacrime, vedendomi infine costretta a dirlo alla superiora, la quale, vedendo la mia pena, mi disse di offrirmi per tutto quanto Lui desiderava da me, senza riserve. Ma, mio Dio, fu allora che la mia pena raddoppiò, perché non avevo proprio il coraggio di dire si e continuavo a opporre resistenza.

73. Poiché all’inizio aveva opposto resistenza, il sacrificio le viene imposto in condizioni più dolorose
La vigilia della Presentazione, questa divina Giustizia mi apparve armata in modo così terribile, che ero fuori di me e, non potendo più opporre resistenza, mi fu detto come a san Paolo: «È duro recalcitrare contro gli strali della mia giustizia! Poiché mi hai opposto tante resistenze pur di evitare le umiliazioni che dovrai soffrire per questo sacrificio, te le raddoppierò. Infatti, ti chiedevo solo un sacrificio segreto; ora lo voglio pubblico e, al contempo, estraneo a ogni ragionamento umano e unito a circostanze così umilianti, che ti saranno motivo d’imbarazzo per il resto della tua vita, sia dentro te sia di fronte agli uomini. Così imparerai cosa vuol dire opporre resistenza a Dio». Lo capii bene, ahimè, perché mai mi sono trovata in tale stato; ecco alcune piccole cose, ma non tutto. Dopo l’orazione della sera non mi fu possibile uscire insieme alle altre e rimasi nel coro fino all’ultimo momento della cena, piangendo e gemendo di continuo. Andai poi a fare la piccola refezione perché, essendo la vigilia della Presentazione, era giorno di digiuno. Dopo essermi trascinata a viva forza nella sala della comunità, mi trovai così fortemente sospinta a fare questo sacrificio ad alta voce, nel modo in cui Dio aveva detto di volerlo da me, che fui costretta a uscire per recarmi a chiedere il permesso alla superiora, che allora era malata. Confesso che ero talmente fuori di me, che mi pareva di essere con piedi e mani legati, priva di ogni libertà sia dentro sia fuori, a parte le lacrime che versavo in abbondanza, pensando che erano la sola espressione di quanto soffrivo. Mi vedevo come la peggiore criminale della terra, trascinata in catene al luogo del mio supplizio. Vedevo pure questa santità di Dio, armata degli strali della sua giusta collera, pronta a scagliarli per gettarmi nell’abisso, così mi pareva, di quelle fauci spalancate dell’inferno, che vedevo aperte e pronte a inghiottirmi. Mi sentivo bruciare da un fuoco divorante, che mi penetrava fino al midollo, e tutto il mio corpo era in preda a un grande tremito. Non riuscivo a dire altro che: «Mio Dio, abbiate pietà di me, in virtù della grandezza della vostra misericordia». E per tutto il resto del tempo, gemevo sotto il peso del mio dolore, senza poter trovare la forza di raggiungere la superiora, dalla quale arrivai verso le Otto, quando una sorella che mi aveva trovata mi condusse da lei. La superiora fu molto sorpresa al vedermi in quello stato, che non riuscivo neanche a esprimere, pur credendo che lo si capisse vedendomi, sebbene non fosse vero. La superiora, la quale sapeva che solo l’obbedienza avrebbe avuto potere su quello spirito che mi teneva in tale stato, mi ordinò di raccontarle la mia pena. Le raccontai del sacrificio di tutto il mio essere che Dio voleva gli facessi, davanti a tutta la comunità, e il motivo per cui me lo chiedeva. Non riferirò quel motivo, per timore di ferire la santa carità e, al contempo, il Cuore di Gesù Cristo, da cui questa cara virtù nasce. È il motivo per cui non vuole che la s’intacchi neanche un po’, qualunque pretesto venga a tal fine addotto.

74. La notte d’agonia
Infine, avendo fatto e detto ciò che il mio divino Sovrano voleva da me, in casa se ne parlò e vennero espressi diversi pareri. Lascio tutte queste circostanze alla misericordia del mio Dio. Ma credo di poter assicurare che mai avevo sofferto tanto; neanche se avessi messo insieme tutte le sofferenze fino ad allora patite e tutte quelle che ho patito poi e tutte insieme mi fossero durate fino alla morte, non sarebbe paragonabile a ciò che dovetti sopportare quella notte, con cui Nostro Signore volle gratificare la sua indegna schiava, per rendere onore alla notte dolorosa della sua passione, sebbene la mia ne fosse solo un piccolo assaggio. Venivo trascinata da una parte all’altra, in condizioni di terribile smarrimento. Quella notte, quindi, trascorse fra i tormenti che Dio mi mandava e senza riposo, fin quasi all’ora della santa messa, quando mi pare di avere udito queste parole: «Finalmente la pace è fatta e la mia santità di giustizia è soddisfatta dal tuo sacrificio in omaggio a quello che io feci al momento della mia Jncarnazione nel seno di mia Madre. Il merito di questo mistero ho voluto unirlo e rinnovarlo con quello che tu mi hai fatto, applicandolo in favore della carità, come ti ho già spiegato. Perciò non devi pretendere più nulla per quello che potrai fare e soffrire, né al fine di accrescere i tuoi meriti, né al fine di soddisfare penitenze o per altri motivi, avendo tutto sacrificato e messo a mia disposizione a vantaggio della carità. Quindi, a mia imitazione, agirai e soffrirai in silenzio, senza altro interesse che la gloria di Dio, la quale si compirà quando il regno del mio sacro Cuore sarà edificato in quello degli uomini, cui voglio manifestarlo per mezzo tuo».

75. Continua a soffrire per placare la giustizia di Dio
Il mio Sovrano mi diede questi santi insegnamenti dopo che l’avevo ricevuto durante la comunione, ma non mi tolse dal mio stato di dolore, nel quale sentivo una pace inalterabile, grazie all’accettazione di tutto ciò che soffrivo e mi veniva mostrato che avrei sofferto sino al giorno del Giudizio, se questa era la volontà del mio Dio. Lui non mi fece più apparire agli occhi degli altri se non come oggetto di contraddizione, come una fogna di rifiuti, disprezzo e umiliazioni, che vedevo con piacere piovermi addosso da ogni parte, senza ricevere consolazione né dal cielo né dalla terra. Pareva che tutto cospirasse per annientarmi. Venivo continuamente interrogata e le poche risposte che mi venivano cavate a forza, servivano solo come strumenti per accrescere il mio supplizio. Non potevo mangiare, né parlare, né dormire, e ogni mio riposo e ogni mia incombenza era rimanere prosternata davanti al mio Dio, la cui sovrana grandezza mi teneva annientata nell’abisso più profondo del mio nulla, sempre piangendo e gemendo per chiedergli misericordia e allontanare gli strali della sua giusta collera. L’incarico che avevo allora, tenendo continuamente occupati il mio corpo e il mio spirito, mi causava un tormento insopportabile; tanto più che, nonostante tutte le mie pene, il mio sovrano Maestro non mi consentiva la benché minima omissione, né voleva farmi dispensare dai miei doveri. Lo stesso era anche per tutti gli altri doveri e l’osservanza delle regole, verso cui sentivo che la forza della sua potenza sovrana mi trascinava come una criminale al luogo di un nuovo supplizio. Ne trovavo ovunque ed ero così inghiottita e immersa nella mia sofferenza, che non avevo più spirito né vita, tranne che per vedere quanto di doloroso mi accadeva. Tutto ciò non mi causava il minimo moto d’inquietudine e tristezza, anche se in mezzo a tutti questi tormenti ero sempre portata verso ciò che era più contrario alla mia natura immortificata e opposto alle mie inclinazioni.

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