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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

"Come si fa a pregare" di Benoît Standaert

Inizia qui la pubblicazione a capitoli dell'opera di Benoît Standaert "Come si fa a pregare".
Vi propongo questa lettura perché, al pari dell'opera di Matta el Meskin "Consigli per la preghiera", anche quest'opera di Benoît Standaert potrà essere di nutrimento per molte anime. Entrambi gli autori possiedono il grande dono di saper arrivare diretti al cuore, entrando nel merito della preghiera per mezzo di parole semplici, comprensibili da chi ha in cuor suo il desiderio autentico d'intrattenersi intimamente con Dio.

Introduzione

Il dono della preghiera
(Sulla soglia)
Signore, insegnaci a pregare: tutto ha inizio con questa umile richiesta. Noi non riusciamo a pregare, dobbiamo imparare a farlo. E nessuno è in grado di insegnarci, all'infuori del Signore. I discepoli vedevano Gesù pregare. Una volta, quando ebbe finito, gli chiesero: «Signore, insegnaci a pregare». In cosa precisamente consisteva la preghiera di Gesù? E cos'è la preghiera in sé? Dobbiamo ammettere di non saperlo: la preghiera come tale ci è sconosciuta. Chi vuole pregare, si trova innanzi tutto di fronte a una realtà inafferrabile. La via della preghiera comincia nell'oscurità, si avanza a tentoni.
È bene stupirsene e tenerne il debito conto. I discepoli di Gesù erano ebrei osservanti, per nulla sprovveduti quanto alla preghiera. Ne potevano trovare molte, belle e lunghe, nella loro tradizione. E tuttavia, vedendo pregare Gesù, gli chiedono: «Signore, insegnaci a pregare».
L'abate Macario, padre del deserto egiziano (IV secolo), riceve degli ospiti che gli pongono la stessa domanda: «Abba, come si fa a pregare?». Anch'essi frequentavano regolarmente la liturgia e conoscevano le Scritture, in particolare il passo di Lc 11 che riferisce la medesima domanda posta dai discepoli a Gesù. Dovevano pur conoscerne la risposta! E tuttavia, anch'essi chiedono: «Abba, come si fa a pregare?».
Beato chi accoglie questa domanda dal profondo di sé, non la mette immediatamente da parte e non la soffoca con discorsi eruditi. Solo lasciando che questa domanda si esprima liberamente e prendendola sul serio, si può trovare la soglia della casa della preghiera. Alla fine di queste pagine, la domanda dei discepoli di Gesù e degli ospiti di Macario non troverà una soluzione ultima e definitiva, ma risuonerà ancora, forte e santa, per rivelarci chi siamo in verità. Sì, insegnaci a pregare, ancora e ancora.
La domanda in sé è già preghiera, anzi preghiera autentica. Pregare infatti significa riconoscersi impotenti, ammettere la propria incapacità, confessare la propria povertà. Chi non ha imparato a scendere fino in fondo alla propria povertà, rischia di restare sempre sulla soglia dell'universo della preghiera. Tutti i maestri di preghiera sono concordi su questo punto. La scuola di preghiera è una scuola di povertà autentica.

Giovanni Climaco, monaco al Sinai (VII secolo), giungerà a dire:
Non c'è maestro di preghiera.
La preghiera ha in se stessa il suo maestro. 
Dio dona la preghiera a chi gliela chiede (2).

Con queste parole del resto egli non fa che citare le Scritture. Nella preghiera di Anna, la madre di Samuele, si trova quest'idea riportata solo nella traduzione greca della Bibbia: «Dio dona la preghiera a chi gliela chiede» (1 Sam 2,9, LXX).
Anna è uno dei grandi modelli della preghiera biblica. Ferita nel più intimo di sé, all'inizio del primo libro di Samuele, essa rovescia letteralmente il suo cuore davanti a Dio al tempio di Silo (1Sam 1). Il sacerdote in servizio, Eli, non mostra la minima comprensione verso di lei. Cerca perfino di cacciarla via dicendole: «Va' altrove a smaltire la tua sbornia!». Ma lei, coraggiosamente, protesta la verità della sua preghiera, anche davanti a questo sacerdote che non ne capisce niente: «No, mio signore! lo sono una donna affranta e non ho bevuto né vino né altra bevanda inebriante, ma sto solo sfogando il mio cuore davanti al Signore. Finora mi ha fatto parlare l'eccesso del mio dolore e della mia amarezza» (vedi 1 Sam 1,14-16). La sua sterilità diventerà feconda, e segnerà tutta la storia messianica che segue. Suo figlio, Samuele, il figlio della sua povertà e della sua preghiera, consacrerà i due primi re del popolo di Dio. Alla nascita di suo figlio, Anna canta il suo rendimento di grazie che preannuncia da lontano il Magnificat della Vergine Maria. Ora, proprio al cuore del suo cantico scopriamo la chiave preziosa di ogni vita di preghiera: «Dio dona la preghiera a chi gliela chiede».
Anna ci insegna a scendere fino al punto più basso e a raggiungere la nostra povertà più segreta. Non aver vergogna della tua impotenza, ci dice, ma abbandona tutto, molla la presa e dona come chi presenta l'oblazione o chi versa l'acqua: sfoga così il tuo cuore davanti al Signore. La sorgente è appena oltre la tua sete più penosa, la maternità è oltre il riconoscimento della sterilità. Signore, insegnaci a pregare.
Al cuore di questa confessione di impotenza la preghiera è vissuta come dono, una grazia tutta pura che viene dall'alto.
Isacco il Siro (monaco divenuto vescovo, e ritornato dopo appena qualche mese alla solitudine della vita eremitica, VII secolo) dedica una pagina intera dei suoi Discorsi a questa irruzione meravigliosa del dono della preghiera al cuore della povertà confessata. «Beato l'uomo che conosce la sua infermità!». Così inizia il discorso. In questa infermità infatti imparerà a supplicare, e si farà povero. Nel suo grido finirà per spezzare e frantumare il suo cuore. Ora, precisamente in questo istante sentirà una forza ergersi dentro di sé. Dio infatti «non disprezza un cuore contrito e umiliato», come ci insegna Davide nel famoso Salmo 51 (50). «Appena un uomo è umiliato, subito lo circonda e l'avvolge la misericordia. Non appena si avvicina la misericordia, subito il cuore sente l'aiuto, perché una certa confidenza e forza palpita in lui (...). Comprende che la preghiera è il porto dell'aiuto, la fonte della salvezza, il tesoro della confidenza, l'ancora di salvezza nelle tempeste, la luce degli ottenebrati, il bastone dei malati, il presidio nel tempo delle tentazioni, la medicina nel tempo della malattia, lo scudo che soccorre nella battaglia, la freccia acuta contro i nemici...».
L'uomo è trasformato e la litania che sgorga come da sé nel cuore di Isacco è l'indizio di questa trasformazione. Tutto diventa preghiera, azione di grazie e stupore. "L'uomo, percependo la presenza della grazia, non prega e non si affatica più come nelle altre preghiere appassionate. Mentre il cuore si riempie di gioia e di stupore, moti frequenti di ringraziamento e di gratitudine sorgono in lui che in silenzio se ne sta in ginocchio. Allora, mosso da quella sollecitazione interiore, che la meraviglia per l'intelligenza della grazia di Dio ha grandemente provocato, improvvisamente leva la voce e lode senza saziarsi, mentre quella sollecitazione interiore si esprime in un rendimento di grazie detto anche con la lingua e incessantemente e meravigliosamente si ripete» (3).
Questa testimonianza del monaco siriano ci conduce al cuore della nostra riflessione: non sappiamo - e non giungeremo mai a sapere nel modo giusto - cos'è la preghiera, ma a chi persevera nella supplica confessando la propria impotenza sarà dato, come ad Anna, di poter pregare.
Impariamo così una struttura fondamentale della preghiera: la povertà autentica è trasformata dall'interno unicamente per dono del Signore. Il poeta citato in esergo diceva la stessa cosa della sua arte: tutto considerato, è puramente un dono di Dio.

Dichten is geen kunste kom geen kunste
(La poesia non è un'arte, suvvia, non è un'arte)
Dichten is een gunste Gods een gunste.
(La poesia è dono di Dio, nient'altro che dono) (4).

(Parole avvolte nel silenzio)
Ritroveremo questa idea di fondo lungo tutto il libro, al cuore di ogni capitolo. L'accento potrà cadere di volta in volta su aspetti diversi: sia sulla povertà, con tutta la fatica estenuante e umiliante che un vero apprendimento della preghiera comporta; sia soprattutto sulla dimensione di gratuità che abita la preghiera e che sola le consente di esprimersi a pieno.
Il libro gravita intorno alla preghiera vocale che nella tradizione giudeo-cristiana costituisce il canale per eccellenza dell'orazione. In questa tradizione si prega innanzitutto per mezzo delle parole. I salmi, il Padre Nostro, le preghiere mariane, quelle che si recitano a tavola, in strada o al capezzale dei malati, o ancora la cosiddetta "Preghiera di Gesù" che oggi riscopriamo in Occidente, sono altrettante formule e usi in cui le parole ci pongono alla presenza di Dio e ci consentono di vivere della sua alleanza. Nello stesso ordine queste formule ripercorrono curiosamente l'esperienza della vita di preghiera che i fedeli hanno seguito, dai primi secoli ai nostri giorni. Quasi senza volerlo, seguendo l'evolversi di queste formule il libro ci fa attraversare più di venti secoli di preghiera. La matrice di ogni preghiera resta il salmo, e di conseguenza il capitolo che vi è dedicato. Anche il Padre Nostro, nella sua struttura raccolta, contiene tutto ciò che può desiderare o sperare il cuore di un battezzato. Questi due capitoli sono le colonne portanti che sostengono l'intera costruzione, mentre un arco unisce il punto di partenza, 'la preghiera originaria' anteriore a ogni formula verbale, al limite estremo dell'arte della preghiera, il silenzio (ultimo capitolo ) (5).
Il balbettio delle parole che rivolgiamo a Dio per pregare si accompagna sempre a tratti di silenzio. C'è il silenzio al di qua di ogni espressione verbale, dove il verbo non è ancora formato, e c'è il silenzio più forte e più ricco di tutte le parole, che possono solo infrangersi nel meraviglioso al di là delle parole.
La preghiera vocale di Anna nel tempio di Silo aveva un'eco nel silenzio, là dove senza parole essa «sfogava il suo cuore davanti al Signore». Allo stesso modo il grande Paolo in ognuna delle sue lettere esorta i suoi fratelli e sorelle a pregare senza sosta, a lodare e benedire, e testimonia di non essere egli stesso altro che preghiera di intercessione e azione di grazie per loro, e tuttavia confessa: «Non sappiamo come dobbiamo pregare». Anche lui dunque sperimenta nella sua vita di preghiera una zona che sfugge a ogni comprensione, alla presa della volontà o all'esercizio di un metodo. E aggiunge subito dopo: «Ma lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza e intercede per noi con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26). Con quest'ultima espressione egli mette a tema un mistero arcano che intriga e affascina ancor oggi tutti coloro che riflettono e si interrogano sulla preghiera. Al fondo della nostra vita di preghiera lo Spirito emette un gemito che intercede nel bene per tutti noi. Questi 'gemiti' non sono ancora parola, precedono ogni suono articolato, lo attraversano e lo superano al tempo stesso, poiché anche quando le parole si sfiancano non cessa nel profondo di noi stessi il grande gemito divino.
Tutta la nostra ricerca lungo queste pagine non dovrà mai perdere di vista questo insegnamento essenziale dell'apostolo: al centro di tutto il vortice di preghiere con le nostre parole e le nostre formule, uno Spirito è all'opera e viene in aiuto alla nostra debolezza e geme, supplica e intercede «con gemiti inesprimibili». Riscoprire nell'esperienza cosa esattamente significhino queste due ultime parole, è senza dubbio fra i segni dei tempi più caratteristici della nostra generazione. Costituisce il filo rosso che tiene insieme questa raccolta di studi sulla preghiera.

[1] «Fare poesia non è arte, suvvia/ non è arte/ Fare poesia è nell'ordine del dono, /di un dono di Dio» (Guido Gezelle, prete e poeta, morto nel 1899).
[2] Giovanni Climaco, Scala Paradisi (280 gradino, sulla preghiera), SEI, Torino 1941, vol. II, p. 290.
[3] Isacco di Ninive, Discorsi Ascetici (traduzione M. Gallo), Città Nuova, Roma 1984, pp. 144-146.
[4] Notiamo il gioco di parole in fiammingo fra 'kunst' (arte, tecnica e dunque anche prodezza) e 'gunst' (favore, dono, pura grazia).
[5] Nella nostra opera Le tre colonne del mondo. Vademecum per il pellegrino del XXI secolo (Qiqajon, Comunità di Bose, 1992) il capitolo centrale (Il dono della preghiera) è un piccolo trattato sulla preghiera (pp. 85-136). L'intenzione che lo guida corrisponde essenzialmente a quella che attraversa anche queste pagine. Pregare sembra di fatto seguire un movimento unico, sempre nuovo e sostanzialmente identico.

Tratto da "Come si fa a pregare" di Benoît Standaert
Benoît Standaert è un monaco benedettino dell’abbazia di Sant’Andrea a Zevenkerken, nei pressi di Brugge, nelle Fiandre occidentali. Esperto di spiritualità biblica, Benoît Standaert si occupa di formazione in patria e all'estero. Ha studiato a Roma, Gerusalemme e Nimega.
Con traduzione italiana ha pubblicato: Il Vangelo di Marco. (1984); Pregare il padre nostro. (1988); Vademecum per il pellegrino del XXI secolo. (1999); Come si fa a pregare? (2002); Lo spirito dell’apostolo. Quando il mistero ha un’anima. (con C.M. Martini e G. Danneels, 2002); La strada di Gesù. (2003); Lo spazio Gesù. (2004); Il timore di Dio è il suo tesoro. (2006); Spiritualità, arte di vivere. (2007); Pregare il Padre nostro. (con O. Clément, 2010); Perdono e riconciliazione. (2011); Marco, Vangelo di una notte, Vangelo per la vita. (2012). Le tre colonne del mondo. (2013).

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