Image Cross Fader Redux
Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Sant'Alfonso Maria de' Liguori, la vita

Nacque a Napoli nel quartiere Marianella il 27 settembre 1696, fu il primogenito della famiglia de’ Liguori, cavalieri napoletani al “seggio” di Portanova. Il diritto di primogenitura ne faceva l’erede dei titoli e dei beni di famiglia, mantenendo alcuni doveri nei riguardi dei fratelli e delle sorelle. Fin da piccolo fu educato con i suoi fratelli ad una preghiera fervente.
La madre insegnava loro i primi elementi della fede Cristiana, li radunava ogni sera per recitare il Rosario e altre preghiere, ed ogni settimana li conduceva da P. Tommaso Pagano, Oratoriano. P. Tommaso fu poi il Confessore e Direttore Spirituale di Alfonso per trent'anni. Quando Alfonso, all'età di trentasei anni lasciò Napoli, si porterà appresso i consigli di P. Tommaso, pazientemente trascritti negli anni, nel suo diario. Alfonso frequentò l’Oratorio di S. Filippo Neri a Napoli, l’unica filiale della sede romana fondata quando S. Filippo era ancora in vita. Alfonso vi passò quasi tutte le Domeniche della sua infanzia e della sua gioventù fino a ventisette anni, nella Confraternita dei Giovani nobili, poi in quella dei Dottori. Qui P. Tommaso Pagano animava la Preghiera.
Alfonso studiò a casa, nel suo palazzo di Napoli al quartiere dei Vergini, come tutti i giovani cavalieri napoletani di ricca famiglia. Il suo Precettore fu Domenico Buonaccia, un Sacerdote calabrese, pubblico professore di grammatica, di discipline umanistiche e di poesia, rinomato nella città di Napoli. Imparò con lui il latino e il greco, il toscano, il francese, lingua usuale della società civile e lo spagnolo, lingua di stato, essendo allora Napoli governata dal vicerè spagnolo. Altri maestri gli insegnarono filosofi a e scienze, matematica, arti nobili (equitazione, scherma ecc..). Il Maestro Gaetano Greco gli insegnò la musica; Alfonso divenne con lui un virtuoso del clavicembalo.
Ricevette l’insegnamento al disegno, alla pittura e all'architettura dal nocerino Francesco Solimena, pittore di grande rilievo nel panorama artistico del XVIII sec., sepolto con i suoi familiari nella Terra Santa dell’Arciconfraternita del SS. Rosario della Cattedrale di Nocera Inferiore, di cui era congregato. “E’ questa competenza in materia che in futuro gli permetterà di fare o almeno di controllare le planimetrie dei suoi conventi e di scrivere un giorno ad un superiore impegnato in una costruzione: «Per ogni problema, anche minimo, che si avrà a riguardo a questa fabbrica, vi dico quel che sempre vi ho detto: attenetevi al parere dell’architetto, non a quello che dicono i Padri, che non capiscono niente in materia».”

Già a dodici anni Alfonso completò gli studi secondari e iniziò l’Università, alla Facoltà di Giurisprudenza. Nel settembre del 1708 sostenne l’esame di retorica con Gianbattista Vico.
Ad Alfonso piaceva andare a caccia e il gioco delle carte, che faceva con un suo compagno di studi, Baldassarre Cito. Curava la pittura, continuando a frequentare lo studio di Francesco Solimena, e la musica, andava spesso a teatro per ascoltare orchestre e arie operistiche. Per lui, la famiglia Liguori – Cavalieri si trasferì dal quartiere Vergini a Via dei Tribunali, per essere più vicini all'Università e al Palazzo di Giustizia. Divenne cavaliere napoletano a tutti gli effetti quando, il 5 settembre 1710, a quattordici anni, prese possesso della sua poltrona, tra i magistrati del seggio di Portanova. Ma divenne poi effettivamente Magistrato quando completò il Dottorato in diritto civile ed ecclesiastico. La legge, al tempo esigeva per avere il dottorato l’età di vent'anni compiuti, cinque anni di immatricolazione e dieci semestri di studio all'Università. Alfonso ottenne dal Viceré la dispensa di tre anni, otto mesi e ventuno giorni di età.

Il 21 gennaio 1713, a sedici anni, ricevette l’anello di dottore, il brevetto di giudice, la toga di avvocato e il diploma convalidato dal sigillo reale. La solenne cerimonia dei nuovi dottori, allora si concludeva con un giuramento solenne che i neo-dottori dovevano pronunciare e firmare, e che si ispirava al Dogma Tradizionale, allora non ancora definito, dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria.
Per avviare Alfonso alla pratica della professione, suo padre lo mise in tirocinio presso l’avvocato Luigi Perrone, celeberrimo avvocato del tempo a Napoli, e presso il giureconsulto Andrea Jovene, Presidente della Vicaria, corte d’appello civile e penale del Regno. Frequentò inoltre l’Accademia dei giovani giuristi, guidata da Domenico Carovita, Presidente dell’alta corte, il Sacro Real Consiglio. A diciotto anni inizia pienamente il suo esercizio nell’avvocatura, divenendo il più giovane avvocato del foro napoletano.
Nei palazzi e nei salotti si diceva: «E’ competente questo avvocato diciannovenne, è maturo, instancabile e capace, e, ciò che più conta, incredibilmente onesto, in un lavoro che invece offre tante occasioni per rubare». Uno dei primi biografi di S. Alfonso scrisse: «Si può riscontrare nel catalogo delle sentenze che, dal 1718 al 1723, tempo durante il quale, dopo il tirocinio, Alfonso esercitò la professione di avvocato, egli non ha mai perso una causa».

Durante quegli anni 1714-1723, il padre, Giuseppe de’ Liguori, progettava per lui i più brillanti matrimoni, che Alfonso costantemente rifiutò. “La più prestigiosa storia d’amore ebbe una svolta imprevista. Il matrimonio era stato già concluso nella mente dei genitori, tra il primogenito di Don Giuseppe, Alfonso, e la primogenita di suo cugino Don Francesco de’ Liguori. Lei si chiamava Teresina, ricca erede dell’incrocio di due fortune, designata principessa di Presoccio e duchessa di Puzzomauro”. Teresina de’ Liguori entrò nel Carmelo dopo aver rinunziato, con atto del 21 aprile 1719 ai suoi feudi in favore del cadetto Cesare. Morì di tisi a vent’anni. S. Alfonso scriverà poi quarantadue anni più tardi “La vita e la morte della Serva di Dio Suor Maria Teresa de’ Liguori”.

Terminati i vari tirocini, Alfonso passò, il 15 agosto 1715 dalla Confraternita dei Giovani Nobili a quella dei Dottori, sempre con gli Oratoriani, continuando nel suo cammino di fede. Nella Confraternita dei Dottori, oltre a tutto quello che già viveva prima in formazione, preghiera, direzione spirituale e fraternità di gruppo, si aggiunsero le iniziative di carità. La confraternita infatti visitava gli ammalati dell’Ospedale S. Maria di Napoli, detto degli Incurabili.
Alfonso visse in questo tempo circa cinque anni di intenso fervore, dal 1715 al 1720, poi verso i venticinque anni, visse un grande momento di smarrimento: di salotto in salotto, spesso a teatro e intorno ai tavoli da gioco, continuamente impegnato in partite. Avvocato, ormai applaudito e acclamato, coglieva dappertutto domande di matrimonio, lusinghieri convenevoli dei servi e complimenti di damigelle, parenti e amici. “Le sue passioni ne furono così dolcemente solleticate che il cuore ne rimase turbato e si attenuò l’ardore. Così, raffreddato spiritualmente, si sentiva autorizzato dal motivo più futile a tralasciare qualche esercizio di pietà. Lui stesso ne era cosciente: se avesse persistito più a lungo in questa mediocrità, non avrebbe potuto esitare, un giorno o l’altro di sbandare solennemente.”
Partecipò come ogni anno, al ritiro della Settimana Santa del 1722 dai Lazzariati ai Vergini. Questo ritiro gli aprì gli occhi e il cuore per sempre. Diede un definitivo addio alla vita mondana dandosi tutto alla visita del SS. Sacramento e agli ammalati dell’Ospedale degli Incurabili. Partecipava a Messa tutti i giorni e si cercava la Chiesa dove si teneva la Solenne Esposizione Eucaristica delle Quarantore e per quanto lontana fosse da casa, vi si fermava a lungo. Nel ritiro della Settimana Santa del 1723 prese la decisione di rinunciare al suo diritto di primogenitura in favore del fratello Ercole. Ancora però tentennava nel lasciare il foro che lascerà definitivamente dopo il processo del luglio 1723 tra il Duca napoletano Filippo Orsini di Gravina, che egli difendeva, e il Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici che riuscì a vincere la causa attraverso alte influenze, corruzioni dei giudici e persino del Presidente del Sacro Real Consiglio, Domenico Caravita, che si lasciò corrompere.

Alfonso togliendosi dalle spalle la toga esclamò interiormente: «Mondo, ti ho conosciuto… Addio tribunali!». Alfonso continuò la sua opera all’Ospedale degli Incurabili, dove il 29 agosto del 1723, giorno che resterà per S. Alfonso, il giorno della conversione, sente interiormente una voce che ripeteva: «Lascia il mondo e datti tutto a me». Alfonso fermandosi, disse in lacrime: «Mio Dio, ho resistito troppo alla vostra grazia. Eccomi: fate di me quel che volete». Corse alla Chiesa della Madonna della Mercede e si immerse in suppliche davanti all’immagine della Madonna fino a che non esclamò: «Addio, mondo e vanità! A voi la mia vita, Signore! Titoli e beni al mio Dio e a Maria». Si alzò poi in piedi, si tolse la spada, con il gesto del cavaliere che si arrende, la depose sull’altare ed esclamò: «Mi impegno a entrare tra i padri dell’Oratorio».
E’ immaginabile il putiferio che si scatenò nella famiglia de’ Liguori. Don Giuseppe, il padre, mobilitò parenti e amici per distogliere il figlio, e gridava continuamente: «E’ capo tuosto». Ma Alfonso ripeteva: «Devo rendere conto alla chiamata di Dio, non ai desideri di mio padre. E così farò». Il padre arresosi ormai davanti alle decisioni di Alfonso, dopo aver parlato con Mons. Cavalieri, con P. Cuttica e P. Pagano, sperava che cambiasse idea durante il Seminario. Alfonso frequentò il Seminario Diocesano da esterno, come aveva preteso il padre, cosa allora possibile. Studiò la Sacra Scrittura e la Teologia sotto la direzione del Sacerdote Giulio Torni. Gli amici di Alfonso ormai gli avevano quasi tutti voltato le spalle, deridendolo. Nell’ambiente forense napoletano era considerato una testa calda. Intanto Alfonso si impegnava nella sua formazione. Partecipò anche alla Confraternita dei Missionari Diocesani detta delle Apostoliche Missioni, ovvero dei Sacerdoti Diocesani che predicavano le missioni in tutto il Regno. Alfonso tutti i Lunedì pomeriggio era presente alla riunione di formazione permanente e talvolta fu ammesso a partecipare alle missioni, dopo la tonsura (17 Settembre 1724). La Domenica mattina si recava all’Oratorio della Confraternita dei Dottori, tranne la quarta Domenica di ogni mese, quando partecipava al ritiro dei Seminaristi esterni tenuto dal P. Cuttica presso i Lazzariati. Nei pomeriggi domenicali faceva catechismo ai bambini. Ogni mattina serviva Messa nella sua Parrocchia, Sant’Angelo a Segno, manteneva lui in ordine l’altare e lo ornava di fiori.

Fu però durante le missioni, dove Alfonso animava il canto e la preghiera e visitava malati e anziani, che entrò in contatto con le più dure povertà dei quartieri popolari di Napoli. Nel 1725, Alfonso entrò nella Compagnia di S. Maria, la quale assisteva spiritualmente i condannati a morte prima dell’esecuzione fino alla sepoltura e i loro familiari, se lasciavano la madre sola o la moglie e i figli senza sostentamento ecc. Si adoperavano anche, quando era possibile, di far assolvere il condannato attraverso qualche fratello più anziano o più influente. Alfonso essendo stato avvocato, si avvaleva delle sue conoscenze nell’ambiente forense e nelle galere. La Compagnia di S. Maria aveva sede presso l’Ospedale degli Incurabili, dove Alfonso già da molti anni si recava a visitare i malati.
Il 6 aprile del 1726, Alfonso dè Liguori venne ordinato Diacono. Il Cardinale Arcivescovo di Napoli lo incarica nelle predicazioni delle Chiese della città. Fu così apprezzato nelle sue predicazioni tanto da cambiare molto il clima nei suoi confronti rispetto a quando iniziò il seminario, in famiglia e nell’alto ambiente napoletano.
Nell’estate del 1726 a causa di un malore per il troppo lavoro e le continue penitenze, dovette fermarsi per circa tre mesi. Il 2 dicembre del 1726 ritornò ad occupare il suo seggio nel Sacro Real Consiglio di Piazza della Portanova, del quale Alfonso continuava ad appartenere per diritto in quanto magistrato. Si affacciava di tanto in tanto per portare il suo consiglio e il suo voto negli affari della città, fino al 1732, quando iniziò la lontananza continua da Napoli. Il 21 dicembre 1726, a trent’anni, Alfonso de’ Liguori venne ordinato Sacerdote. Intensificò il ministero della predicazione iniziato da Diacono potendolo arricchire ora col Sacramento della Riconciliazione.

S. Alfonso scrisse in questo tempo la prima delle sue centodieci opere, le Massime eterne, composta verso il 1728 e poi fatto stampare e ristampare anonimo. Ci sono state di quest’opera 421 edizioni italiane e 753 straniere. Ad opera di Don Alfonso de’ Liguori ed alcuni suoi amici, Domenico Letizia, Vincenzo Mandarini, Luigi Lago, Michele de’ Alteris e Gennaro Sarnelli che per Alfonso diventò un fratello gemello, nacquero le cosiddette “cappelle serotine”, incontri di catechesi serali per il popolo.
Nel 1728, durante una predicazione che Alfonso tenne nella Chiesa dello Spirito Santo a Napoli, si fermò ad ascoltarlo il padre, Giuseppe, il quale restò così preso e commosso da riconciliarsi definitivamente con il figlio. Alfonso così potette con più tranquillità fare ciò che ormai da tempo stava progettando, quello di lasciare definitivamente la casa paterna.
Nel Giugno del 1729, a trentatre anni, Alfonso andò a vivere al Collegio dei Cinesi, un Seminario per futuri Preti cinesi e indiani. Là prima di lui era già andato a viverci il suo grande amico Gennaro Sarnelli. Le cappelle serotine ormai erano portate avanti da altri Sacerdoti insieme a Gennaro Sarnelli che ne guidava l’andamento. Quando Alfonso non era in missione le andava a visitare.

Il P. Matteo Ripa, fondatore del Collegio dei Cinesi a Napoli, affidò a Don Alfonso quasi tutto il ministero della Chiesa del Collegio, le celebrazioni, gli uffici, la predicazione e la Confessione. Molta gente seguiva e frequentava quella Chiesa da ogni parte di Napoli; partecipavano all’Adorazione quotidiana, alla predicazione e si accostavano al Sacramento della Riconciliazione. In questo tempo molte ragazze che frequentavano la Chiesa del Collegio dei Cinesi entrarono in clausura o divenivano “monache di casa”, le laiche consacrate.
Alfonso quando si ritirava dal suo ministero faceva di frequente penitenze corporali come condire con polveri amare i cibi, portava cilizi, si flagellava, dormiva per terra o su un tavolo e molte notti le trascorreva davanti all’Eucaristia, ma mai però consigliava questa penitenza a chi andava da lui. Nel 1731 a delle Monache che chiedevano gli strumenti di supplizio più adatti per santificarsi rispose che più che catenelle, lui avrebbe mandato una bella provvista di libri che avrebbero potuto aiutarle a santificarsi, e spedì loro otto libri di meditazione contenenti opere spirituali e sei vite di Santi. In questo tempo Alfonso visse un altro periodo difficile nella sua spiritualità: un forte tempo di aridità, che però stavolta affrontò con fede e perseveranza, tanto da acquisire un ulteriore slancio nel suo zelo.

Mentre era intenzionato a partire per la Cina scoprì durante le sue missioni nel Regno delle Due Sicilie che la Cina bisognosa di missioni è vicino a Napoli, nella povertà delle montagne e delle campagne della Campania e della Basilicata. Nelle missioni che si tenevano nei paesi, Don Alfonso si rese conto che c’erano grandi zone di campagna che non erano raggiunte dai missionari. Fu qui che decise, a trentacinque anni, di lasciare Napoli per andare tra i pastori e i contadini.
Nel 1732 Don Alfonso si trasferisce a Scala, sulle montagne della Costiera Amalfi tana. Questo è il luogo in cui si radunano i primi seguaci di Don Alfonso e le prime donne che ne condivisero l’ideale. Furono fondati i Redentoristi e le Redentoriste tra il 1731 e il 1733. Fu nel 1730 che Don Alfonso ebbe chiara l’idea di fondareuna Congregazione di Missionari per gli abbandonati. In quest’anno conosce Maria Celeste Crostarosa, con la quale il 17 Maggio del 1731 fondò il nuovo istituto delle Redentoriste, di cui facevano parte le stesse donne che nel 1721, sotto la Regola della Visitazione, aprirono a Scala un Monastero.
Nel 1732 i primi compagni di Don Alfonso alloggiarono nella foresteria delle Suore. Suor Maria Celeste Crostarosa raccontò di continue visioni sul futuro della fondazione. A queste, si è scritto, che il 6-7-8 novembre 1732 si aggiunsero alcuni fenomeni straordinari avvenuti nella Chiesa del Monastero durante una Solenne Esposizione Eucaristica, alla presenza delle suore, di Don Alfonso con i suoi compagni, dei Vescovi di Scala e di Castellammare di Stabia e di sei dignitari ecclesiastici. Apparve una Croce sanguinante e poi gloriosa, la spugna e la lancia della Passione. Lo stesso fenomeno sarebbe accaduto un mese prima, davanti alle Suore e ai Missionari di Don Alfonso, sempre durante un’Esposizione Eucaristica e nei giorni della Presentazione della Vergine, dopo un violento terremoto, il 29 – 30 Novembre e il 1 Dicembre.

Su questi fenomeni ci fu un certo movimento. I Vescovi di Scala e Castellammare di Stabia informarono il Nunzio Apostolico a Napoli, Mons. Simonetti, e il Cardinale Banchieri, Segretario di Stato che disposero una inchiesta canonica. Papa Clemente XII ne chiese gli Acta summaria che gli furono inviati poi dal nuovo Vescovo di Scala, Mons. Santoro, il 7 febbraio 1733. Vi si trovano le disposizioni, tutte affermative, dei due Vescovi presenti, di diciannove monache, cinque canonici, di Don Alfonso de’ Liguori e di tre suoi compagni. Si stese poi un lungo silenzio su questi eventi. Questi saranno poi gli elementi dello stemma Redentorista: su tre montagnette, la Croce unita alla lancia e alla spugna della Passione, con il motto: “Copiosa apud eum redemptio”.
Il 9 novembre 1732 è il giorno in cui ufficialmente nacque, nell’Oratorio della foresteria delle Suore, la Congregazione dei Padri del Santo Salvatore, che a Roma cambierà il nome in Santissimo Redentore, sotto la cura del Vescovo di Castellammare, Mons. Falcoia.
Facendo capo alla Cattedrale di Scala, con il pieno appoggio del Vescovo e del Clero scalese, molti centri della Costiera Amalfi tana beneficiarono della presenza dei Padri di Don Alfonso. Arrivarono in quel tempo molte richieste di Vescovi che avrebbero voluto una fondazione Redentorista nella propria Diocesi.
Dopo la missione tenuta a Tramonti, nel Gennaio – Febbraio del 1733, i compagni di Don Alfonso, in continuo dissidio sulle modalità di fondazione, lasciarono Don Alfonso, il quale però ebbe tutto l’appoggio del Cardinale Pignatelli, Arcivescovo di Napoli, che lo esortava a non lasciare Scala e di contare su Dio. Nel Maggio del 1733, anche nel Monastero delle Redentoriste avvenne una scissione, tra Suor Maria Celeste Crostarosa e Mons. Falcoia che aveva modificato la Regola di Crostarosa. Suor Maria Celeste si disse pronta ad osservare la Regola che la comunità avrebbe adottato ma non a firmarla. La Superiora a nome del Capitolo la dichiarò espulsa. Il 25 Maggio 1733, partì con due sorelle per Foggia, dove fondò un altro Monastero. Alfonso che in quel momento era assente da Scala, non poté farci nulla.

Nell’Aprile – Maggio 1733 si unirono a Don Alfonso, Don Gennaro Sarnelli, da poco Ordinato Sacerdote, e Cesare Sportelli, ex avvocato anche lui. La Congregazione si ricostituì. Si stabilirono in una casa a Scala di proprietà della famiglia Amendola che trent’anni dopo passerà alla famiglia Anastasio. La prima fondazione dopo Scala fu Villa Liberia a Caiazzo, nel 1734, dove rimasero P. Saverio Rossi, giovane di Caiazzo e Fratel Andrea, e fu subito “missione permanente” come a Scala. Dopo Caiazzo, Ciorani di Mercato S. Severino (1736), Nocera dei Pagani (1742), Deliceto (1744), Materdomini di Caposele (1746). Tra il 1737 e il 1738, i Redentoristi dovettero abbandonare sia Caiazzo che Scala.
A partire dal 1732 Don Alfonso nelle sue missioni andava diffondendo le sue raccolte di Canzoncine spirituali: “O bella mia speranza”, “Fermarono i cieli”, ecc. Di questo periodo sono anche la Massime eterne, le Orazioni della divina Madre per ciascun giorno della settimana e alcune Coroncine in onore dei dolori di Maria, di Gesù Bambino e dell’Immacolata. A chi non sapeva leggere, Don Alfonso distribuiva immagini della Madonna.
In questo tempo emerse il problema che parecchi, anche dei più validi, lasciavano l’Istituto. Alfonso, non potendo ancora impegnare i suoi seguaci con voti pubblici di castità, povertà e obbedienza, in quanto un decreto regio del 9 Aprile, ribadito il 23 Luglio del 1740, proibiva l’istituzione di Chiese e di istituti religiosi senza previo consenso del Re, decise, dopo aver molto pregato e consultatosi con persone sagge, di impegnarli con un voto di perseveranza.

Il 21 Luglio 1740, festa di S. Maria Maddalena, Protettrice della Congregazione, a Ciorani nell’Oratorio della comunità, i Padri e i Fratelli emisero con una lunga formula, il voto di perseveranza, con accorgimenti e clausole da non ledere il potere civile e nello stesso tempo da emettere voti religiosi. Con questo atto la Congregazione fondata da S. Alfonso iniziava ad assumere la sua consistenza di un Istituto Religioso.
Con la morte del Vescovo di Castellammare di Stabia, Mons. Falcoia, il 20 Aprile 1743, si concluse un “protettorato” lungo e invadente. Il 6 Maggio 1743, Don Alfonso convocò a Ciorani un’assemblea Generale dei Padri.
Il 9 Maggio, festa di S. Prisco di Nocera, egli fu eletto canonicamente Rettore Maggiore, vale a dire Superiore Generale a vita. La congregazione raggiunse così un suo sviluppo e una sua autonomia. Il primo atto del Superiore Generale, con il consenso unanime del Capitolo, fu l’emissione dei tre voti religiosi, tenuti in poca considerazione da Mons. Falcoia. Tutti i Padri e i Fratelli emisero, tra le mani del Superiore appena eletto, i quattro voti di obbedienza, castità, povertà e perseveranza nella Congregazione, ed infine lo stesso Rettore Maggiore emise i voti tra le mani del Capitolo. Mons. Falcoia aveva ristretto i limiti di ingresso in Congregazione tra il Suddiaconato e i trent’anni. L’assemblea del 10 settembre 1743 stabilì che il Rettore Maggiore poteva dispensare dal Suddiaconato come condizione di ingresso e l’età minima fu abbassata a diciotto anni. Molti giovani furono attirati dal carisma della nuova Congregazione di P. Alfonso de’ Liguori.

Alla fine del 1742 furono avviati i lavori di costruzione della fondazione di Nocera dei Pagani, divenuta poi la Casa Madre della Congregazione; i lavori furono diretti da P. Cesare Sportelli. Non poche difficoltà accompagnarono questa fondazione e una scia di nemici si scatenarono contro, finanche un gruppo di malavitosi, che piazzarono due barili di polvere esplosiva sotto la nuova Chiesa. Furono avanzati molti pretesti per fare in modo che non si aprisse la casa di Nocera dei Pagani, tra cui che la Congregazione non era autorizzata né dal re e né dal Papa; senza legale riconoscimento non c’era il diritto a possedere e l’insicurezza avrebbe danneggiato i giovani.
Altre fondazioni nacquero in quel tempo, tra cui a Deliceto (FG), nel 1744. Una regione di grande povertà dove i Padri patirono il freddo e la fame. Alla fine di Luglio del 1745, P. Alfonso de’ Liguori inviò Vito Curzio a Troia, a cercare qualche aiuto presso amici. Venuta la sera, il Fratello cercò ospitalità a dei religiosi che lo misero alla porta. Passò la notte all’aperto e la mattina dopo, febbricitante se ne tornò a piedi, ripercorrendo i trenta chilometri di strada. Non ce la fece ad arrivare in Convento e si fermò al centro di Deliceto, a casa di un Sacerdote amico. Vi rimase per quaranta giorni e lì morì, il 18 settembre 1745, a trentanove anni.
Nel 1746 nacque la fondazione di Materdomini di Caposele (AV), una delle più importanti della Congregazione. Ebbe come fondatore P. Cesare Sportelli e come grande punto di riferimento S. Gerardo Maiella, il cui corpo è conservato in quel Santuario.
Nocera, Deliceto e Caposele ottennero rispettivamente nel 1743, nel 1745 e nel 1747 la firma della Camera Reale per la costruzione di una casa che non avesse aspetto di convento, e che i preti che vi avrebbero alloggiato dovevano essere del tutto sottoposti ai Vescovi dei luoghi.

P. Alfonso provò ad avviare la procedura di riconoscimento da parte del re nel 1747 e nel 1748, attraverso tutte le conoscenze che lui aveva a Napoli, ma non riuscì ad ottenerla. Il fondatore pensava che non si potesse ottenere l’approvazione del Papa senza prima quella del re. Nel 1748 incontrò a Napoli, Mons. Giuseppe Maria Peroti, stretto collaboratore di Papa Benedetto XIV, che gli schiarì le idee: una Bolla Pontificia avrebbe provocato anche il reale exequatur.
Mons. Peroti consegnò lui stesso al Papa un memoriale di Alfonso de’ Liguori che fu inoltrato per conoscenza al Cardinale di Napoli. Alfonso, per accompagnare le istanze romane, delegò P. Andrea Villani e Fratel Francesco Tartaglione. Il 25 febbraio 1749, con la Lettera Apostolica Ad Pastoralis Dignitatis fastigium di Benedetto XIV, furono approvate le Regole e l’Istituto del Santo Salvatore, ma sotto il titolo di Santissimo Redentore, dato che esistevano già i Canonici del Santo Salvatore. Alla notizia, P. Alfonso si prostrò con la faccia a terra, fece suonare le campane della comunità e pronunciò il versetto 15 del Salmo 80 «Dio degli eserciti, visita questa vigna, proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato». Alfonso nel guidare la crescita della sua Congregazione insisteva fortemente che ogni uno dei membri era chiamato alla Santità.

Amava dire: «non solo santo, ma grande santo». Alla comunità di Nocera dei Pagani, in una delle conferenza tenute di Sabato disse: «Signori, come Redentoristi, noi siamo tenuti ad aspirare alla santità. Il Signore ci off re dei mezzi che neanche il re o il Papa possiedono. Non dobbiamo mai dire “basta”, mai accontentarci di essere mediocri in qualsiasi cosa, mai fermarci, ma sempre avanzare, ogni giorno di più, se vogliamo arrivare». Per P. Alfonso, per arrivare alla santità alla base doveva esserci l’umiltà, che sostiene l’obbedienza, la povertà, la non considerazione di sé, la condivisione nella vita comune, la carità, la purezza delle intenzioni. Alfonso temeva alla stessa maniera l’ebbrezza del successo e le depressioni dell’impotenza, perciò insisteva che la purezza d’intenzione è vigilanza interiore. Diceva che un operaio del Vangelo che non vigila costantemente sulle sue intenzioni, sui suoi desideri e sui moti del cuore, difficilmente raccoglierà i frutti delle sue fatiche. Il cuore di tutta l’opera alfonsiana è l’amore per i poveri.
Lo specifico per vocazione è l’annuncio del Vangelo alla povera gente di campagna e l’assolvere le anime più sprovviste di aiuti spirituali. Ebbe a dire che se capitassero due missioni una per Napoli e una per i bovari di Salerno, e non vi fossero le condizioni di predicarle contemporaneamente, è presso i bovari che bisognava andare per primo, rimandando Napoli ad altro tempo, perché il fine della Congregazione è stare in mezzo ai più emarginati, rendendosi simili a Gesù Cristo povero, umiliato e disprezzato. Il fine della missione non è altro che quello di suscitare l’amore per Gesù nella sua Passione.

P. Alfonso nutriva un amore speciale per la Madonna che lo sostenne e lo accompagnò nei momenti cruciali della sua vita e che lo rese protagonista anche di fenomeni mistici, come quello di Foggia che raccontò quarantacinque anni dopo in una lettera come testimonianza: «A quanti leggeranno questa lettera, noi affermiamo per vero e attestiamo con giuramento quanto segue. Trovandoci a Foggia nell’anno 1732, tenevamo al popolo un corso di prediche nella chiesa di S. Giovanni Battista. Questa chiesa possedeva allora un grande quadro detto dell’Antica Immagine, al centro del quale si trovava un’apertura ovale e ricoperta di un velo nero. Ora, per diversi giorni e a più riprese, noi abbiamo visto apparire da questa apertura il volto della Santissima Vergine Maria. Il viso era simile a quello di una ragazza di tredici anni o quattordici anni, era coperto da un velo bianco, e si muoveva da destra verso sinistra. Non eravamo soli a contemplarlo, poiché lo vedeva anche tutto il popolo che si trovava riunito per la predica, e che con grande fervore si raccomandava alla Santissima Madre di Dio, in una esplosione di grandi singhiozzi.

In fede di quanto detto, abbiamo munito di sigillo il presente attestato. Dato in Nocera dei Pagani, il 10 settembre 1777. Alfonso Maria dei Liguori, Vescovo».
Durante dei sermoni sulla Madonna, ad Aiello di Castel S. Giorgio nel febbraio del 1738, a Foggia nel 1746 e ad Amalfi nel 1758, S. Alfonso ebbe delle estasi in pubblico, mentre nella grotta di Scala, ebbe più visioni della la Madonna.
L’amore di S. Alfonso per la Madonna si concretizzò anche in un’opera che scrisse nel 1734, una delle sue più famose, Le glorie di Maria, che fu poi pubblicata nel 1750. Di questo scritto si sono avute circa un migliaio di edizioni. Scrisse inoltre, 14 poesie, tra le più famose O bella mia speranza del 1737 e Sei pura, sei pia del 1750. Nel 1748, nella sua Teologia Morale, inserì una dissertazione sull’Immacolata Concezione della Vergine Maria ed un’altra sull’infallibilità del Papa nei suoi pronunciamenti ex cattedra in materia di fede e di costumi: i due Dogmi furono proclamati rispettivamente da Papa Pio IX, l’8 Dicembre 1854, e dal Concilio Ecumenico Vaticano I, il 10 Giugno 1870.

Tra gli altri scritti di rilievo, L’amore delle anime, cioè riflessioni ed affetti sulla Passione di Gesù Cristo del 1751; la Novena di Natale del 1758 e in questi stessi anni, le Visite al Santissimo Sacramento di cui furono pubblicate undici edizioni, e altre dieci opere circa, tra libri e opuscoli in cui mostrò chiaramente la totalità del mistero del Redentore: Incarnazione, Passione, Eucaristia e Sacro Cuore, approfondendolo con semplicità e profondità. In questa visione si comprende l’appendice della “Novena di Natale” con la Novena al Cuore di Gesù del 1758. In una visione trinitaria più ampia c’è da collocare la Novena allo Spirito Santo che pubblicò nel 1766. L’opera più grande di S. Alfonso fu la Teologia Morale, ma si distinse altresì per i suoi insegnamenti sulla preghiera. Nel 1757 scrisse il Breve trattato sulla necessità della preghiera. Nel 1759 scrisse Del gran mezzo della preghiera per conseguire la salute eterna e tutte le grazie che desideriamo da Dio. In questo libro, che ha avuto duecentotrentotto edizioni, il Santo affronta la grande questione tra la salvezza e la santità, tra la grazia e la libertà.

“Dio ha pronte, e per tutti gli uomini, le grazie necessarie alla loro salvezza e alla loro santità. Ma, poiché Dio vuole gli uomini liberi, occorre che gli adulti imparino a chiedergliele […]. ciò che puoi fare, lo puoi per la «grazia efficace» del Signore, senza il quale non possiamo fare nulla (Gv. 15, 5). E ciò che non puoi? Puoi almeno chiedere sempre di poterlo fare. Questa preghiera elementare, questo grido verso Dio, verso Maria, è un atto facile. Se Dio non donasse sempre e a tutti la «grazia sufficiente» per questo semplice atto, comanderebbe l’impossibile, paralizzerebbe la libertà, distruggerebbe la speranza cristiana. Non sarebbe più Padre, ma tiranno. Rinnegherebbe la sua stessa parola che dice: «Chiedete e riceverete» e «tutto ciò che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo concederà». «Chi prega si salva; chi non prega si danna», è lo slogan alfonsiano, dieci volte scritto mille e mille volte predicato. Tutti i santi si sono salvati e santificati con la preghiera. Tutti i dannati si sono dannati per non aver pregato; se avessero pregato, non si sarebbero certamente perduti! E sarà questo il colmo della loro disperazione: aver avuto tanta facilità per salvarsi chiamando Dio in aiuto, e ora il tempo è passato… Chi ha mai gridato verso Dio trovandolo sordo?”
“Bisogna gridare verso Dio! Ne ho sempre la grazia sufficiente. Di questa grazia non bisogna abusare, ma trasformarla in preghiera, come la vela che accoglie il vento. E’ qui in gioco la mia libertà, una libertà…da far paura. Ebbene, ecco la dimostrazione pratica. Alfonso ci fa pregare per ottenere la grazia sempre pregare: «O Dio del mio cuore, so che voi mi venite sempre in aiuto quando vi prego.
Ma ecco la mia fama: ho timore di non ricorrere a voi e, per mia colpa di avere così l’immensa sventura di perdere la vostra grazia. Ah! Per i meriti di Gesù Cristo, datemi la grazia della preghiera, ma una grazia abbondante di pregare sempre e di pregare bene. O Maria madre mia, ottenetemi, per l’amore che portate a Gesù Cristo, la grazia che imploro: quella di pregare, e di non smettere mai di pregare, fino alla morte. Amen !»”

S. Alfonso coniugò infine la morale e la santità di vita nella sua opera pastorale, la Praxis Confessarii del 1754 corollandola con una serie di altre opere: Modo di conversare continuamente e alla familiare con Dio e Regole per ben vivere del 1754, Regolamento di vita di un Cristiano del 1759, Uniformità alla volontà di Dio del 1755, Pratica di amar Gesù Cristo del 1768.
S. Alfonso volle che i suoi missionari, dopo aver sradicato i vizi e convertito i peccatori, animassero i fedeli ad essere tutto per Dio, li educassero alla perseveranza indirizzandoli alla vita perfetta.
Tra il 1743 e il 1751, tra le tante missioni e ritiri, P. Alfonso de’ Liguori tenne corsi di Teologia Morale per i suoi studenti a Ciorani, a Deliceto e a Nocera dei Pagani.
Nel 1751 a Nocera dei Pagani trasferisce il Governo Generale del suo Istituto. Questo sarà un ulteriore periodo difficile per S. Alfonso. Per l’Istituto fu negato l’exequatur del Regno delle Due Sicilie all’approvazione Pontificia, per cui non si potevano fondare nuove case. Molti giovani chiedevano di entrare nell’Istituto, così, nell’aprile del 1755, P. Alfonso fondò una casa a S. Angelo a Cupolo, nel Ducato di Benevento dello Stato Pontificio, un luogo vicino e nello stesso tempo fuori del Regno delle Due Sicilie. Al periodo difficile si aggiunse un duro colpo per S. Alfonso, nell’Agosto del 1753, morì il suo Padre Spirituale P. Paolo Cafaro.

Gli anni dal 1753 al 1760 li dedicò in buona parte alla seconda, terza e quarta edizione della Theologia Moralis e al governo della Congregazione. Fino alla sua consacrazione a Vescovo nel 1762, terrà solo quattro missioni: a Benevento, nel Novembre – Dicembre 1755, ad Amalfi , nel Novembre 1756, a Salerno nel Gennaio 1758 e a Nola, nel febbraio 1759; e alcuni ritiri: a Ciorani, nella Settimana di Passione del 1755 e a Napoli, agli Ordinandi, nel Marzo del 1755 e agli studenti dell’Università, nella Quaresima del 1757. Nel 1761 i Redentoristi si insediarono ad Agrigento, e per non incorrere alla violazione della Legge del Regno che impediva la fondazione di nuove case religiose, il Vescovo di Agrigento, Mons. Lucchesi, li sistemò nel suo palazzo. Il decennio dal 1753 al 1762 fu un decennio sofferto ma intenso per S. Alfonso che da Nocera dei Pagani animava sei case come Rettore Maggiore. Qui incontrò più volte S. Gerardo Maiella, in circostanze terribili e sublimi. Trascrisse le Memorie per difendere le case della Congregazione delle tante difficoltà e scrisse trentaquattro opere e opuscoli.

Il 2 maggio del 1762 P. Alfonso Maria de’ Liguori fu nominato Vescovo di S. Agata dei Goti. All’inizio rifiutò la nomina, ma Papa Clemente VIII non ne volle sapere, lo volle Vescovo e senza lasciare l’incarico di Rettore Maggiore dei Redentoristi, che porterà avanti assistito da un Vicario Generale, P. Andrea Villani. Il 20 giugno del 1762 fu Ordinato Vescovo nella Chiesa di S. Maria Sopra Minerva a Roma, per le mani del Cardinale Rossi, Prefetto della Congregazione del Concilio. Fece l’ingresso nella Diocesi di S. Agata dei Goti, l’11 luglio del 1762. Il 17 luglio 1775, dopo che
Mons. de’ Liguori aveva per la quarta volta presentato le sue dimissioni al governo della Diocesi, furono finalmente accettate da Papa Pio VI; era ormai ottantenne e molto malato. Il 27 luglio 1775 Mons. de’ Liguori lascia il palazzo dove risiedeva, ad Arienzo, circondato dal popolo in lacrime, e ritorna a Nocera accolto trionfalmente.
Riprese la guida della Congregazione fondando a Frosinone nel 1776 e a Benevento nel 1777. In questo periodo scrisse circa 21 opere. Nel 1777, la Congregazione del Santissimo Redentore conta ormai nove case: quattro case nello Stato Pontificio e cinque nel Regno delle Due Sicilie. Non avendo ancora ottenuto l’exequatur per la Regola approvata da Benedetto XIV, dal 1777 Mons. de’ Liguori, con l’aiuto di alcuni confratelli e di vari avvocati, iniziò a preparare uno statuto legale appoggiato dal Grande Elemosiniere della Corte, Mons. Matteo Testa. Nel 1779 incaricò in segreto i due consultori generali, Angelo Maione e Fabrizio Cimino. Dopo aver redatto un Regolamento Interno, secondo le norme del Consiglio di Stato, la Congregazione del Santissimo Redentore ottenne, finalmente, dopo quarant’anni, l’approvazione unanime di uno statuto legale nel Regno, il 22 gennaio 1780.

A Roma pensarono che Mons. de’ Liguori avesse sostituito il reale Regolamento con la Regola approvata da Benedetto XIV. Papa Pio VI, credendo di trovarsi di fronte all’ennesimo sopruso del re di Napoli, attraverso la Sacra Congregazione dei Vescovi e dei Religiosi, tagliò l’Istituto in due: le cinque case del Regno delle Due Sicilie dovevano considerarsi come appartenenti alla Congregazione del Santissimo Redentore, alle quattro case dello Stato Pontificio assegnarono un presidente, con decreto del 22 settembre 1780, confermato il 24 agosto 1781. In questo periodo la malattia di Mons. de’ Liguori si aggravava gradualmente. Nel novembre del 1780 rivolse la sua ultima conferenza alla comunità, sull’efficacia della preghiera e sulla sua importanza decisiva. P. Andrea Villani, che fu eletto coadiutore con diritto di successione, governava in sua vece. Celebrò la sua ultima Messa il 25 novembre 1785. Si faceva portare davanti all’Eucaristia dove vi rimaneva per ore, diventava sempre più desideroso di riceverla. Si faceva leggere dai confratelli testi sulla Madonna e accompagnare lungo i corridoi per pregare con la Via Crucis. Morì il 1 agosto 1787, all’età di novant’anni.

Fu Beatificato nel settembre 1816, Canonizzato il 26 maggio 1839, dichiarato Dottore della Chiesa il 23 marzo 1881 e proclamato Patrono dei Confessori e dei moralisti il 26 aprile 1950.

(Da Don Roberto Farruggio, "Sulle Orme dello Spirito… nel bimillenario cammino della Chiesa Priscana", Editrice Gaia, Angri 2007).

Nessun commento:

Posta un commento