XXVIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A
"Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti"
In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Parola del Signore
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Dio invita gli uomini ad entrare nel suo disegno di amore, ben rappresentato dall’immagine del banchetto di nozze : è la parabola che ci presenta Matteo.
Dio Padre prepara un banchetto di nozze per suo Figlio. L’Apocalisse le chiama “le nozze dell’Agnello” (Ap.19,7). “La fidanzata, la sposa dell’Agnello” è “la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, splendente della gloria di Dio” (Ap.21,9ss), cioè la Chiesa e l’umanità intera: noi siamo invitati alle nozze. Così “invitati a nozze” che siamo “promessi all’unico sposo, che è Cristo”! (2Cor.11,2).
Le forme del rifiuto sono il disprezzo della chiamata alle nozze e la partecipazione senza il dovuto rispetto.
Il disprezzo della chiamata.
Gli invitati non vollero venire. Il re insiste mandando altri servi: “Ecco, ho preparato il mio pranzo, i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze.
L’insistenza del re manifesta la sua generosità e la sua paziente speranza. E’ incredibile, ma vero: Dio ci offre tanti doni, ci propone tanta gioia, vuole farci entrare nell’intimità della sua famiglia e noi disprezziamo i doni di Dio, mostrando più interesse per le cose nostre che per la sua incredibile offerta: non se ne curarono e andarono (Lc.14,16-24 riporta la parabola e concretizza: non accettarono l’invito con la scusa della compera di un campo, dell’acquisto di cinque paia di buoi, del proprio matrimonio).
Addirittura, l’invito del re incontra negli invitati reazioni ostili ed aggressive: altri poi presero i suoi servi, li insultarono ed uccisero. Ancor più incredibile: la generosità dell’invito provoca l’aggressività sino all’omicidio.
A questo punto il re deve intervenire: mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Perché non leggere in questo particolare un accenno a quanto, alla stesura del Vangelo, è già avvenuto a Gerusalemme, distrutta dai Romani nel 70 d.C. (Mt.23,37-39)? Naturalmente, per essere precisi, bisognerà riflettere che la rovina della città deriva non tanto dalla punizione di Dio, che qualche volta l’AT immagina come arrabbiato per la nostra condotta cattiva, quanto piuttosto dal rifiuto del Messia e dalla condanna dell’Innocente .
Il secondo momento della parabola racconta che il re, dopo il rifiuto dei primi invitati, manda i suoi servi a chiamare, “ai crocicchi delle strade, tutti quelli che troverete”.
Il rifiuto dei primi provoca l’estensione dell’invito a tutti gli uomini, anche ai più poveri, anche ai diseredati. Figura, questa, della predicazione del Vangelo ai pagani, dopo la morte e risurrezione di Gesù. I servi radunano tutti quelli che trovano e la sala si riempie di commensali.
La partecipazione senza le dovute disposizioni.
Per un banchetto di nozze regali occorre essere vestiti in modo adeguato. Certamente il re avrà messo a disposizione degli invitati abiti nuziali. Ma un invitato ha rifiutato, o, comunque, ha trascurato d’indossarne uno. L’abito sempre nella Scrittura indica la disposizione morale e l’orientamento esistenziale della persona.
Ed ecco il re, entrato a vedere i suoi ospiti scorto uno che non aveva indossato l’abito nuziale, gli disse. “Amico, come hai potuto entrare qui senza abito nuziale?”. Ed egli ammutolì.
E’ un avvertimento importante: non basta accogliere semplicemente l’invito, è necessario anche rispondervi nel modo adeguato. Altrimenti saremo esclusi, o, meglio, noi stessi ci escluderemo dal banchetto con la nostra resistenza alla grazia. La generosità divina ha bisogno della nostra disponibilità, il suo dono magnifico esige che ci sia l’accoglienza dovuta.
“ L’uomo provi (cioè, “esamini”) se stesso” (1Cor.11, 28). La consuetudine della Chiesa mostra che quella prova è necessaria, perché nessuno, consapevole di essere in peccato mortale, per quanto si creda pentito, si accosti alla santa Eucaristia prima della confessione sacramentale. Che, se si trova in caso di necessità e non ha modo di confessarsi, faccia prima un atto di contrizione perfetta”. Riconoscendo il ministero del perdono da Gesù affidato alla sua Chiesa, rimane l’obbligo di dichiarare quei peccati gravi nella prossima confessione (Istruzione Eucharisticum Mysterium 25 maggio 1967).
Il brano si chiude con un severo avvertimento di Gesù: molti (cioè “tutti”) sono chiamati, ma pochi eletti. Una affermazione che l’evangelista ha inserito qui per scuoterci dal nostro torpore e spingerci a rispondere prontamente agli inviti del Signore.
A proposito dell’uomo senza l’abito leggi l‘interessante intuizione di un commentatore moderno, A.Maillot (riportata da Alessandro Pronzato, Pane per la Domenica, Gribaudi 1983).
Quell’individuo ha frainteso sul significato dell’invito. Ha creduto di dover partecipare ad un funerale, non a un pranzo di nozze. È il simbolo di quei cristiani che non arrivano a credere che il Regno è un banchetto nuziale. E si vestono e adottano una faccia come per una sepoltura. È l’immagine del “credente”, ma rivestito di severità, austerità, tristezza, silenzio immusonito, mentre invece bisognerebbe indossare l’abito della gioia e della speranza.
Proviamo a domandarci: il clima delle nostre assemblee liturgiche rivela che siamo radunati insieme per festeggiare le nozze del Figlio, oppure che compiamo una mesta, pesante, noiosa cerimonia?
Il nostro volto esprime la gioia dei risuscitati, degli invitati a celebrare la vittoria del Cristo sulla morte, oppure tradisce la cupezza, la sofferenza, la sfiducia o, peggio, la noia?
Oh, lo so. Qualcuno tirerà in ballo la fame nel mondo, la violenza, la sfiducia, la minaccia nucleare, i regimi oppressivi. Ma questo qualcuno non comprende che la gioia non è evasione dai problemi. La gioia è una forza. È una sfida. È qualcosa che afferra il cristiano quando celebra l’Eucaristia e lo costringe ad andare a recarla in un mondo senza pace e senza gioia. La gioia il cristiano non la tiene per sé. Né la rinchiude all’interno della chiesa.
"Ci preceda e ci accompagni sempre la tua grazia, Signore, perché, sorretti dal tuo paterno aiuto, non ci stanchiamo mai di operare il bene.
O Padre, che inviti il mondo intero alle nozze del tuo Figlio, donaci la sapienza dello Spirito, perché possiamo testimoniare qual è la speranza della nostra chiamata, e nessun uomo abbia mai a rifiutare il banchetto della vita eterna o a entrarvi senza l’abito nuziale."
Il fantasmagorico banchetto messianico del profeta Isaia viene da te riconosciuto nella Eucaristia, che, destinata a tutti i popoli della terra, provoca un canto di stupore e di riconoscenza, perché il Padre non può darci di più, non sa darci di più, non ha da darci di più?
In ogni Messa non soltanto Dio non ti delude, ma supera le tue stesse aspettative. Perché non pregare, perché l’Eucaristia diventi effettivamente il canto più alto della tua vita?
Perché non chiedere nella preghiera e perché non proporci come impegno quotidiano quella libertà interiore per cui, dinanzi all’abbondanza e dinanzi all’indigenza, non perdiamo mai la fiducia in Dio Padre e scopriamo più facilmente le strade per vivere in ogni situazione la gioia del dono, più che come risposta al bisogno, come pienezza di risposta all’amore?
La santa Messa è chiamata anche banchetto nuziale, dove noi siamo così “invitati a nozze” da essere “promessi all’unico sposo, che è Cristo” (2Cor.11,2).
Ripètiti le parole di Gesù nel discorso della sinagoga a Cafarnao (Gv 6): “Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno” (v.51), “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (v.54), “rimane in me e io in lui” (v.56), “colui che mangia me vivrà per me” (v.57).
Ad ognuno di noi Gesù, lo sposo, non domanda forse una partecipazione alla Eucaristia più profonda nella fede, più intensa nell’attenzione, più generosa nell’amore?
Che noi assomigliamo a quelli che presentano mille scuse per non accettare l’invito a nozze, è più facile di quanto possiamo immaginare.
Dio ci offre tanti doni, ci propone tanta gioia, vuole farci entrare nell’intimità della sua famiglia e noi disprezziamo i doni di Dio, magari non con reazioni ostili ed aggressive come il secondo gruppo di servi, ma mostrando più interesse per le cose nostre che per la sua incredibile offerta. Quante scuse, quante attenuanti, quante giustificazioni siamo bravi a trovare!
Conosci anche tu persone semplici, che ad ogni livello hanno ricevuto molto meno di noi, le quali però vivono la partecipazione eucaristica più intensamente di noi?
Può darsi che le parole del re entrato per vedere i commensali [“Amico, come hai potuto entrare qui senza abito nuziale?”] qualche volta siano vere anche per noi. “L’abito nuziale” è certamente la grazia di Dio, e quindi l’amicizia vera col Signore. Ma l’abito nuziale è anche l’attenzione della mente, il fervore dello spirito, l’affetto del cuore. L’abito nuziale è anche la promessa della conversione, il desiderio di pregare di più, l’impegno di diventare prossimo di chi ha bisogno.
Quale abito nuziale ti manca e che il Maestro desidera che tu indossi?
Molti (cioè “tutti”) sono chiamati, ma pochi eletti. Dunque, è certissimo che anche tu sei chiamato a partecipare al banchetto nuziale. Non vuoi essere anche tu tra gli eletti?
Essere tra i chiamati dipende da Dio, ma essere tra gli eletti dipende soltanto da te.
L’Eucaristia è il momento più alto, più gioioso, più ricco della tua giornata o della tua settimana?
Meditazione tratta da: diocesitrivento.it
Quanto ci tocca nell'intimo (non solo) questa parabola!
RispondiEliminaE' la storia degli ebrei, quelli che per primi lo rifiutarono.
E' la nostra storia, raccolti ai crocicchi delle strade, a cui Dio ha aperto le porte del banchetto.
C'è così tanto da amare.
Se ci sentiamo autentici figli di Dio, come non gioire, come non partecipare alla festa al Padre Nostro?
Egli si sposa con le anime.
Lo Spirito Santo grazia che Gesù Cristo ci dona , rinnova, cura ogni ferita ,asciuga ogni lacrima, riscalda , insegna ad amare,.Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo FIGLIO, perché chi crede in LUI non muoia Amen. Che gioia Stare con Gesù , gioia da donare.
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