Esaltazione della Santa Croce - Anno A
"Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna"
In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: "Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo.
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui".
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui".
Parola del Signore
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Gesù nel suo dialogo con Nicodemo ripropone la sua elevazione in croce come il centro efficace e definitivo di ogni salvezza, spogliandolo però da ogni elemento sacrale, che purtroppo è restato attaccato talvolta alla venerazione del legno della Croce e delle relative reliquie considerate fine a se stesse.
“Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna “.
In questa frase sono sintetizzati tutti gli elementi della teologia pasquale giovannea:
- La tipologia dell’esodo (il serpente) come segno della nuova e perfetta economia di salvezza;
- L’esaltazione in croce poi descritta nel capitolo 19 e splendidamente commentata dall'evangelista;
- La fede come possibilità unica di comprensione del mistero cristiano;
- La vita eterna come partecipazione salvifica, attraverso la fede, alla stessa vita divina in una piena comunione di amore.
Quando il Cristo sarà elevato nella crocifissione e nella ascensione-esaltazione, la sua comunicazione dello Spirito genererà i nuovi figli di Dio e costituirà una sorgente d’acqua viva per quelli che credono in lui: “ Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me “ (Gv 12,32; cf 7, 37-38).
“ In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui “ (1 Gv 4,9).
La Croce di Cristo è il segno della Pasqua, della gloria e dell’amore di Dio per noi.
La croce, definita da Tacito servile supplicium, “il supplizio degli schiavi”, è il segno della spoliazione totale del Cristo, cioè della sua estrema vicinanza noi. Una vicinanza realizzata sino al confine massimo della morte e della vergogna. La croce di Cristo diventa, allora, un segno e un invito all'amore estremo (Gv 15,13).
La croce, nella teologia della “esaltazione” giovannea e paolina, è anche il segno della vittoria sul male e quindi il segno della nostra liberazione. Su di essa, infatti, vi è, sì, un uomo, ma che è anche Figlio di Dio. l’energia salvifica della divinità è effusa nella nostra mortalità.
La celebrazione odierna è allora squisitamente pasquale ed è segno della speranza estrema.
La croce di Cristo esteriormente è un oggetto e un evento storico; e tale può restare ad una lettura superficiale. La magia, la superstizione, la riduzione del Cristo ad un eroe martire, il puro devozionalismo del legno della croce sono altrettante forme di impoverimento e di incomprensione della croce di Cristo.
Per comprendere che ella è “simbolo di salvezza” (Sap 16,6), bisogna guardare la croce con gli occhi della fede (1a lettura), bisogna “credere nel Cristo” (Vangelo).
La Croce diventa, quindi, un segno della fede.
Il Figlio “discende” dal cielo per incarnarsi ed entrare pienamente nella nostra razza di uomini.
Ma egli “ sale “, perché è Dio e l’ “innalzarsi” glorioso della croce è appunto questo ritorno al Padre.
Lo scopo di questo duplice movimento è espresso da un’altra serie di verbi della stessa pericope: Dio dà il Figlio. Dio manda il Figlio. È ancora la “discesa” di Dio che, attraverso il dono del Figlio, offre il più alto grado di prossimità all’uomo e rivela in pienezza il suo amore.
A questa movimento di “discesa” corrisponde il movimento di “salita”, che ora può essere compiuto dall’uomo: l’uomo ha la vita eterna, l’uomo è salvato.
Cf Gianfranco Ravasi, Celebrare e vivere la Parola, Editrice Àncora/Vita e Pensiero 1982.
Meditazione tratta da: diocesitrivento.it
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