“Fratelli carissimi, si ami anzitutto Dio e quindi il prossimo, perché sono questi i precetti che ci vennero dati come fondamentali.” - S. Agostino - Regola, 1
S. Agostino, nel percorrere il suo cammino di esperienza umana e cristiana, approdò a una particolare intuizione di Vita monastica, conformata allo stile degli Apostoli e della prima comunità cristiana di Gerusalemme, e fissò il suo pensiero in merito scrivendo un testo intitolato appunto "Regola per i servi di Dio" che è precisamente quello qui riportato.
La “Regola agostiniana” è un codice stabile di norme che organizzano e orientano la Vita Comune sulla base dei Consigli Evangelici di Povertà, Castità, Obbedienza.
Il movente che spinse alla composizione della "Regola" è certamente da vedersi in relazione con i Monasteri fondati da Agostino e che richiamavano continuamente le sue attenzioni e premure.
La data esatta che stabilisce l'origine di questo autorevole testo non ci è tramandata e non è facile stabilirla, comunque sono molte le ragioni che ci orientano verso un periodo abbastanza preciso per cui certamente non si è lontano dal vero se si colloca verso l'anno 400, nel momento più fecondo e intenso della vita pastorale e culturale del Vescovo Agostino.
La Regola agostiniana è molto breve, essenziale e concreta; scende ai particolari solo quando è necessario, mentre su tanti aspetti, dopo aver dato le indicazioni basilari, lascia spazio alla libertà, all'intuizione e alla maturazione della Comunità.
Agostino, nel tracciare le norme per i suoi monasteri, prende spunto da motivazioni bibliche ed ecclesiali, prosegue poi esponendo tutta la sua ricchezza spirituale e la profonda conoscenza delle persone e delle varie realtà della vita umana.
Ne è venuto fuori così un capolavoro di dottrina teologica, di sensibilità psicologica e di equilibrata esperienza umana dove il buon senso, la comprensione, il primato dell'amore, della verità e della giustizia, assieme al rispetto per l'autorità e all'attenzione per le singole persone, trovano una meravigliosa e armonica combinazione.
La fortuna di questo testo, veramente illuminato e prezioso, è testimoniata non solo dalla continuità e vitalità della fondazione monastica, maschile e femminile, di cui Agostino è padre e maestro, ma anche dal fatto che moltissimi Istituti religiosi sorti in ogni epoca lo hanno scelto o ricevuto dalla Chiesa come norma di vita e fondamento di organizzazione.
Chi volesse approfondire la conoscenza della vita religiosa e monastica secondo S. Agostino troverà utilissimo completare la lettura di queste pagine con altri scritti del medesimo santo qui elencati per comodità dei lettori: Il lavoro dei monaci - La verginità consacrata - Le lettere 48, 60, 78, 157, 210, 211, 243 - Il commento al Salmo 132 - I Discorsi 355, 356 - Parte dei Dialoghi e delle Confessioni.
Auguriamo che la miglior conoscenza di S. Agostino nella sua ricchezza umana e cristiana aiuti gli uomini di oggi a penetrare il senso e l'esperienza di "essere Chiesa" e a provare la gioia di impegnarsi, ciascuno nella sua vocazione e missione, per promuovere il Regno di Cristo.
P. Marziano Rondina OSA
REGOLA DI SANT'AGOSTINO
Prologo
1. Fratelli carissimi, si ami anzitutto Dio e quindi il prossimo, perché sono questi i precetti che ci vennero dati come fondamentali.
2. Questi poi sono i precetti che prescriviamo a voi stabiliti nel monastero.
Capitolo 1 - Scopo e fondamento della vita comune
3. Il motivo essenziale per cui vi siete insieme riuniti è che viviate unanimi nella casa e abbiate una sola anima e un sol cuore protesi verso Dio.
4. Non dite di nulla: "E' mio", ma tutto sia comune fra voi. Il superiore distribuisca a ciascuno di voi il vitto e il vestiario; non però a tutti ugualmente, perché non avete tutti la medesima salute, ma ad ognuno secondo le sue necessità. Infatti così leggete negli Atti dagli Apostoli: Essi avevano tutto in comune e si distribuiva a ciascuno secondo le sue necessità.
5. Chi, da secolare, possedeva dei beni, entrato che sia nel monastero, li trasmetta volentieri alla Comunità.
6. Chi poi non ne possedeva, non ricerchi nel monastero ciò che nemmeno fuori poteva avere. Tuttavia si vada incontro ai bisogni della sua insufficienza, anche se, quando egli si trovava fuori, la sua povertà non era neppure in grado di procurargli l'indispensabile. Solo che non si ritenga felice per aver conseguito quel vitto e quelle vesti che fuori non si poteva permettere.
7. Né si monti la testa per il fatto di essere associato a chi, nel mondo, nemmeno osava avvicinare, ma tenga il cuore in alto e non ricerchi le vanità della terra, affinché i monasteri, se ivi i ricchi si umiliano e i poveri si vantano, non comincino ad essere utili ai ricchi e non ai poveri.
8. D’altra parte, quelli che credevano di valere qualcosa nel mondo, non disdegnino i loro fratelli che sono pervenuti a quella santa convivenza da uno stato di povertà. Vogliano anzi gloriarsi non della dignità di ricchi genitori ma della convivenza con i fratelli poveri. Né si vantino per aver trasferito alla Comunità qualche parte dei loro beni; né il fatto di distribuire al monastero le loro ricchezze, anziché averle godute nel mondo, costituisca per essi motivo di maggiore orgoglio. Se infatti ogni altro vizio spinge a compiere azioni cattive, la superbia tende insidie anche alle buone per guastarle; e che giova spogliarsi dei propri beni dandoli ai poveri e diventare povero, se la misera anima nel disprezzare le ricchezze diviene più superba che non quando le possedeva?
9. Tutti dunque vivete unanimi e concordi e, in voi, onorate reciprocamente Dio di cui siete fatti tempio.
Capitolo 2 - La preghiera
10. Attendete con alacrità alle preghiere nelle ore e nei tempi stabiliti.
11. L'oratorio sia adibito esclusivamente allo scopo per cui è stato fatto e che gli ha dato il nome. Se perciò qualcuno, avendo tempo, volesse pregare anche fuori dalle ore stabilite, non ne sia ostacolato da chi abbia ritenuto conveniente adibire l'oratorio a scopi diversi.
12. Quando pregate Dio con salmi ed inni, meditate nel cuore ciò che proferite con la voce.
13. E non vogliate cantare se non quanto è prescritto per il canto. Evitate quindi ciò che al canto non è destinato.
Capitolo 3 - Frugalità e mortificazione
14. Domate la vostra carne con digiuni ed astinenza dal cibo e dalle bevande, per quanto la salute lo permette. Ma se qualcuno non può digiunare, non prenda cibi fuori dell'ora del pasto se non quando è malato.
15. Sedendo a mensa e finché non vi alzate, ascoltate senza rumore e discussioni ciò che secondo l’uso vi si legge, affinché non si sfami soltanto la gola, ma anche le orecchie appetiscano la parola di Dio.
16. Se alcuni vengono trattati con qualche riguardo nel vitto perché più delicati per il precedente tenore di vita, ciò non deve recare fastidio né sembrare ingiusto a quegli altri che un differente tenore ha reso più forti. Né devono crederli più fortunati perché mangiano quel che non mangiano essi; debbono anzi rallegrarsi con se stessi per essere capaci di maggiore frugalità
17. Così pure, se a quanti venuti in monastero da abitudini più raffinate si concedono abiti, letti e coperte che non si danno agli altri che sono più robusti e perciò veramente più fortunati, quest'ultimi devono considerare quanto i loro compagni siano scesi di livello passando dalla loro vita mondana a questa, benché non abbiano potuto eguagliare la frugalità di coloro che sono di più forte costituzione fisica. E poi, non debbono tutti pretendere quelle cose che sono concesse in più ad alcuni non per onore ma per tolleranza, onde evitare quel disordine detestabile per cui in monastero i ricchi si mortificano quanto più possono, mentre i poveri si fanno schizzinosi.
18. D'altra parte, siccome gli ammalati devono mangiar meno per non aggravarsi, durante la loro convalescenza dovranno esser trattati in modo da potersi ristabilire al più presto, anche se provenissero da una povertà estrema; infatti la recente malattia ha loro procurato quello stato di debolezza che il precedente tenore di vita aveva lasciato nei ricchi. Ma appena si siano ristabiliti, tornino alla loro vita normale, che è certamente più felice, poiché è tanto più consona ai servi di Dio quanto meno è esigente. Ormai guariti, il piacere non li trattenga in quella vita comoda a cui li avevano sollevati le esigenze della malattia. Si considerino anzi più ricchi se saranno più forti nel sopportare la frugalità, perché è meglio aver meno bisogni che possedere più cose.
Capitolo 4 - Custodia della castità e correzione fraterna
19. Il vostro abito non sia appariscente; non cercate di piacere per le vesti ma per il contegno.
20. Quando uscite, andate insieme ed insieme rimanete quando sarete giunti a destinazione.
21. Nel modo di procedere o di stare, in ogni vostro atteggiamento, non vi sia nulla che offenda lo sguardo altrui ma tutto sia consono al vostro stato di consacrazione.
22. Gli occhi, anche se cadono su qualche donna, non si fissino su alcuna. Certo, quando uscite, non vi è proibito veder donne, ma sarebbe grave desiderarle o voler essere da loro desiderati, perché non soltanto con il tatto e l'affetto ma anche con lo sguardo la concupiscenza di una donna ci provoca ed è a sua volta provocata. E perciò non dite di avere il cuore pudico se avete l'occhio impudico, perché l'occhio impudico è rivelatore di un cuore impudico. Quando poi due cuori si rivelano impuri col mutuo sguardo, anche senza scambiarsi una parola, e si compiacciono con reciproco ardore del desiderio carnale, la castità fugge ugualmente dai costumi anche se i corpi rimangono intatti dall'immonda violazione,
23. Ed inoltre chi fissa gli occhi su una donna e si diletta di essere da lei fissato, non si faccia illusione che altri non notino questo suo comportamento; è notato certamente e persino da chi non immaginava. Ma supposto che rimanga nascosto e nessuno lo veda, che conto farà di Colui che scruta dall'alto e al quale non si può nascondere nulla? Dovrà forse credere che non veda, perché nel vedere è tanto più paziente quanto più è sapiente? L'uomo consacrato tema dunque di spiacere a Dio per non piacere impuramente ad una donna; pensi che Dio vede tutto, per non desiderare di vedere impuramente una donna, ricordando che anche in questo caso si raccomanda il Suo santo timore dov'è scritto: E' detestato dal Signore chi fissa lo sguardo.
24. Quando dunque vi trovate insieme in chiesa e dovunque si trovino pure donne, proteggete a vicenda la vostra pudicizia. Infatti quel Dio che abita in voi, vi proteggerà pure in questo modo, per mezzo cioè di voi stessi .
25. E se avvertite in qualcuno di voi questa petulanza degli occhi di cui parlo, ammonitelo subito, affinché il male non progredisca ma sia stroncato fin dall'inizio.
26. Se poi, anche dopo l'ammonizione, lo vedrete ripetere la stessa mancanza in quel giorno o in qualsiasi altro, chiunque se ne accorga lo riveli come se si trattasse di un ferito da risanare. Prima però lo indichi ad un secondo o a un terzo, dalla cui testimonianza potrà essere convinto e quindi, con adeguata severità, indotto ad emendarsi. Non giudicatevi malevoli quando segnalate un caso del genere; al contrario non sareste affatto più benevoli se tacendo permetteste che i vostri fratelli perissero, mentre potreste salvarli parlando. Se infatti tuo fratello avesse una ferita e volesse nasconderla per paura della cura, non saresti crudele nel tacerlo e pietoso nel palesarlo? Quanto più dunque devi denunziarlo perché non imputridisca più rovinosamente nel cuore?
27. Tuttavia, qualora dopo l'ammonizione abbia trascurato di correggersi, prima di indicarlo agli altri che dovrebbero convincerlo se nega, si deve parlarne preventivamente al superiore: si potrebbe forse evitare così, con un rimprovero più segreto, che lo sappiano altri. Se negherà, allora al preteso innocente si opporranno gli altri testimoni: alla presenza di tutti dovrà essere incolpato non più da uno solo ma da due o tre persone e, convinto, sostenere, a giudizio del superiore o anche del presbitero competente, la punizione riparatrice. Se ricuserà di subirla, anche se non se ne andrà via spontaneamente, sia espulso dalla vostra comunità. Neppure questo è atto di crudeltà ma di pietà, per evitare che rovini molti altri col suo contagio pestifero.
28. Quanto ho detto sull'immodestia degli occhi, si osservi con diligenza e rettitudine anche nello scoprire, proibire, giudicare, convincere e punire le altre colpe, usando amore per le persone e odio per i vizi.
29. Chiunque poi fosse andato tanto oltre nel male da ricevere di nascosto da una donna lettere o qualsiasi dono anche piccolo, se lo confesserà spontaneamente gli si perdoni pregando per lui; se invece sarà colto sul fatto e convinto, lo si punisca molto severamente, a giudizio del presbitero o del superiore.
Capitolo 5 - Oggetti d'uso quotidiano e loro custodi
30. Conservate i vostri abiti in un luogo unico, sotto uno o due custodi o quanti baste ranno a ravviarli per preservarli dalle tarme; e, come siete nutriti da una sola dispensa, così vestitevi da un solo guardaroba. Se possibile, non curatevi di quali indumenti vi vengano dati secondo le esigenze della stagione, se cioè riprendete quello smesso in passato o uno diverso già indossato da un altro; purché non si neghi a nessuno l'occorrente. Se invece da ciò sorgono tra voi discussioni e mormorazioni, se cioè qualcuno si lamenta di aver ricevuto una veste peggiore della precedente e della sconvenienza per lui di vestire come si vestiva un altro suo confratello, ricavatene voi stessi una prova di quanto vi manchi del santo abito interiore del cuore, dato che litigate per gli abiti del corpo. Comunque, qualora questa vostra debolezza venga tollerata e vi si consenta di riprendere quello che avevate deposto, lasciate nel guardaroba comune e sotto comuni custodi quello che deponete.
31. Allo stesso modo nessuno mai lavori per se stesso ma tutti i vostri lavori tendano al bene comune e con maggior impegno e più fervida alacrità che se ciascuno li facesse per sé. Infatti, la carità di cui è scritto che non cerca il proprio tornaconto, va intesa nel senso che antepone le cose comuni alle proprie, non le proprie alle comuni. Per cui vi accorgerete di aver tanto più progredito nella perfezione quanto più avrete curato il bene comune anteponendolo al vostro. E così su tutte le cose di cui si serve la passeggerà necessità, si eleverà l'unica che permane: la carità.
32. Ne consegue pure che, se qualcuno porterà ai propri figli o ad altri congiunti stabiliti in monastero un oggetto, come un capo di vestiario o qualunque altra cosa, non venga ricevuto di nascosto, anche se ritenuto necessario; sia invece messo a disposizione del superiore perché, posto fra le cose comuni, venga distribuito a chi ne avrà bisogno. Perciò se qualcuno avrà tenuto nascosto l’oggetto donatogli, sia giudicato colpevole di furto.
33. I vostri indumenti siano lavati secondo le disposizioni del superiore da voi o dai lavandai: eviterete così che un eccessivo desiderio di vesti troppo pulite contagi l'anima di macchie interiori.
34. Anche la lozione del corpo, quand'è necessaria per ragioni di malattia, non si deve mai negare, ma si faccia su consiglio del medico e senza critiche; per cui, anche contro la propria volontà, al comando del superiore il malato faccia quanto si deve fare per la salute. Se invece lui lo vuole e può risultargli dannoso, non si accondiscenda al suo desiderio: talvolta ciò che piace è ritenuto utile, anche se nuoce.
35. Infine, trattandosi di sofferenze fisiche nascoste, si dovrà credere senza esitazione servo di Dio chi manifesta la propria indisposizione. Si consulti però il medico, se non si è certi che per guarirlo giova ciò che gli piace.
36. Ai bagni o dovunque sarà necessario andare, non si vada in meno di due o tre. E chi ha necessità di portarsi in qualche luogo, dovrà andarvi non con chi vuole ma con chi gli sarà indicato dal superiore.
37. La cura degli ammalati, dei convalescenti e degli altri che anche senza febbre soffrano qualche indisposizione, sia affidata ad uno solo, che ritiri personalmente dalla dispensa quel che avrà giudicato necessario a ciascuno.
38. I custodi della dispensa, del guardaroba e della biblioteca servano con animo sereno i loro fratelli,
39. I libri si chiedano giorno per giorno alle ore stabilite; e non si diano a chi li chiederà fuori orario.
40. Ma vesti e calzature, se necessarie a chi le chiede, vengano date senza indugio da chi le ha in custodia.
Capitolo 6 - Il condono delle offese
41. Liti non abbiatene mai, o troncatele al più presto; altrimenti l'ira diventa odio e trasforma una paglia in trave e rende l'anima omicida. Così infatti leggete: Chi odia il proprio fratello è un omicida.
42. Chiunque avrà offeso un altro con insolenze o maldicenze o anche rinfacciando una colpa, si ricordi di riparare al più presto il suo atto. E a sua volta l'offeso perdoni anche lui senza dispute. In caso di offesa reciproca, anche il perdono dovrà essere reciproco, grazie alle vostre preghiere che quanto più frequenti tanto più dovranno essere sincere. Tuttavia chi, pur tentato spesso dall'ira, è però sollecito a impetrare perdono da chi riconosce d'aver offeso, è certamente migliore di chi si adira più raramente ma più difficilmente si piega a chiedere perdono. Chi poi si rifiuta sempre di chiederlo o non lo chiede di cuore, sta nel monastero senza ragione alcuna, benché non ne sia espulso. Astenetevi pertanto dalle parole offensive; ma se vi Fossero uscite di bocca, non vi rincresca di trarre i rimedi da quella stessa bocca che diede origine alle ferite.
43. Quando però per esigenze di disciplina siete indotti a usare parole dure nel correggere gli inferiori, non si esige da voi che ne chiediate perdono, anche se avvertire di aver ecceduto: per salvare un'umiltà sovrabbondante non si può spezzare il prestigio dell'autorità presso chi deve starvi soggetto. Bisogna però chiederne perdono al Signore di tutti, che sa con quanta benevolenza amiate anche coloro che forse rimproverate più del giusto. L'amore tra voi, però, non sia carnale, ma spirituale.
Capitolo 7 - Spirito dell'autorità e dell’obbedienza
44. Si obbedisca al superiore come ad un padre, col dovuto onore per non offendere Dio nella persona di lui. Ancor più si obbedisco al presbitero che ha cura di tutti voi.
45. Sarà compito speciale del superiore far osservare tutte queste norme; non trascuri per negligenza le eventuali inosservanze ma vi ponga rimedio con la correzione. Rimetta invece al presbitero, più autorevole su di voi, ciò che supera la sua competenza o le sue forze.
46. Chi vi presiede non si stimi felice perché domina col potere ma perché serve con la carità. Davanti a voi sia tenuto in alto per l'onore; davanti a Dio si prostri per timore ai vostri piedi. Si offra a tutti come esempio di buone opere; moderi i turbolenti, incoraggi i timidi, sostenga i deboli, sia paziente con tutti. Mantenga con amore la disciplina, ne imponga il rispetto; e, sebbene siano cose necessarie entrambe, tuttavia preferisca piuttosto di essere amato che temuto, riflettendo continuamente che dovrà rendere conto di voi a Dio.
47. Perciò, obbedendo maggiormente, mostrerete pietà non solo di voi stessi ma anche di lui, che si trova in un pericolo tanto più grave quanto più alta è la sua posizione tra voi.
Capitolo 8 - Osservanza della Regola
48. Il Signore vi conceda di osservare con amore queste norme, quali innamorati della bellezza spirituale ed esalanti dalla vostra santa convivenza il buon profumo di Cristo, non come servi sotto la legge, ma come uomini liberi sotto la grazia.
49. Perché poi possiate rimiravi in questo libretto come in uno specchio onde non trascurare nulla per dimenticanza, vi sia letto una volta la settimana. Se vi troverete ad adempiere tutte le cose che vi sono scritte, ringraziatene il Signore, donatore di ogni bene. Quando invece qualcuno si avvedrà di essere manchevole in qualcosa, si dolga del passato, si premunisca per il futuro, pregando che gli sia rimesso il debito e non sia ancora indotto in tentazione.
Bibliografia minima di riferimento:
S. Agostino, La regola, Nuova Biblioteca Agostiniana - Città Nuova.
Luc Verheijen, La regola di S. Agostino, 2 voll., Ed. Augustinus.
PROLOGO
R E G U L A SANCTI PATRIS NOSTRI AUGUSTINI
PROLOGO
1. Ante omnia, fratres carissimi, diligatur Deus, deinde et proximus, quia ista sunt praecepta principaliter nobis data.
2. Haec sunt quae ut observetis, praecipimus in monasterio constituti.
CAPUT I - DE FINE ET FUNDAMENTO VITAE COMMUNIS
3. Primum, propter quod in unum estis congregati, ut unanimes habitetis in domo et sit vobis anima una et cor unum in Deum.
4. Et non dicatis aliquid proprium, sed sint vobis omnia communia, et distribuatur unicuique vestrum a praeposito vestro victus et tegumentum, non aequaliter omnibus, quia non aequaliter valetis omnes, sed potius unicuique sicut cuique opus fuerit. Sic enim legitis in Actibus Apostolorum, quia erant illis omnia communia et distribuebatur unicuique sicut cuique opus erat (Act. 4, 32 et 35).
5. Qui aliquid habebant in saeculo, quando ingressi sunt monasterium. libenter illud velint esse commune.
6. Qui autem non habebant, non ea quaerant in monasterio quae nec foris habere potuerunt. Sed tamen eorum infirmitati quod opus est tribuatur, etiam si paupertas eorum, quando foris erant, nec ipsa necessaria poterat invenire. Tantum non ideo se putent esse felices quia invenerunt victum et tegumentum, quale foris invenire non poterant.
7. Nec erigant cervicem, quia sociantur eis ad quos foris accedere non audebant, sed sursum cor habeant et terrena vana non quaerant, ne incipiant esse monasteria divitibus utilia, non pauperibus, si divites illic humiliantur et pauperes illic inflantur.
8. Sed rursus etiam illi qui aliquid esse videbantur in saeculo non habeant fastidio fratres suos qui ad illam sanctam societatem ex paupertate venerunt. Magis autem studeant, non de parentum divitum dignitate, sed de pauperum fratrum societate, gloriari. Nec extollantur, si conununi vitae de suis facultatibus aliquid contulerunt, nec de suis divitiis magis superbiant, quia eas monasterio partiuntur, quam si eis in saeculo fruerentur. Alia quippe quaecumque iniquitas in malis operibus exercetur ut fiant, superbia vero etiam bonis operibus insidiatur ut pereant; et quid prodest dispergere dando pauperibus et pauperem fieri, cum anima misera superbior efficitur divitias contemnendo, quam fuerat possidendo?
9. Omnes ergo unanimiter et concorditer vivite, et honorate in vobis invicem Deum cuius templa facti estis.
CAPUT II - DE ORATIONE
10. Orationibus instate horis et temporibus constitutis.
11. In oratorio nemo aliquid agat nisi ad quod est factum, unde et nomen accepit; ut si forte aliqui, etiam praeter horas constitutas, si eis vacat, orare voluerint, non eis sit impedimento, qui ibi aliquid agendum putaverit.
12. Psalmis et hymnis cum oratis Deum, hoc versetur in corde quod profertur in voce.
13. Et nolite cantare nisi quod legitis esse cantandum; quod autem non ita scriptum est ut cantetur, non cantetur.
CAPUT III - DE FRUGALITATE ET MORTIFICATIONE
14. Carnem vestram domate ieiuniis et abstinentia escae et potus, quantum valetudo permittit. Quando autem aliquis non potest ieiunare, non tamen extra horam prandii aliquid alimentorum sumat, nisi cum aegrotat.
15. Cum acceditis ad mensam, donec inde surgatis, quod vobis secundum consuetudinem legitur, sine tumultu et contentionibus audite; nec solae vobis fauces sumant cibum, sed et aures esuriant Dei verbum.
16. Qui infirmi sunt ex pristina consuetudine, si aliter tractantur in victu, non debet aliis molestum esse nec iniustum videri, quos facit alia consuetudo fortiores. Nec illos feliciores putent, quia sumunt quod non sumunt ipsi, sed sibi potius gratulentur, quia valent quod non valent illi.
17. Et si eis, qui venerunt ex moribus delicatioribus ad monasterium, aliquid alimentorum, vestimentorum, stramentorum, operimentorum datur, quod aliis fortioribus et ideo felicioribus non datur, cogitare debent quibus non datur, quantum de sua saeculari vita illi ad istam descenderint, quamvis usque ad aliorum, qui sunt corpore firmiores, frugalitatem pervenire nequiverint. Nec debent velle omnes, quod paucos vident amplius, non quia honorantur, sed quia tolerantur, accipere, ne contingat detestanda perversitas, ut in monasterio, ubi, quantum possunt, fiunt divites laboriosi, fiant pauperes delicati.
18. Sane, quemadmodum aegrotantes necesse habent minus accipere ne graventur, ita et post aegritudinem sic tractandi sunt, ut citius recreentur, etiam si de humillima saeculi paupertate venerunt, tamquam hoc illis contulerit recentior aegritudo, quod divitibus anterior consuetudo. Sed cum vires pristinas reparaverint, redeant ad feliciorem consuetudinem suam, quae famulos Dei tanto amplius decet, quanto minus indigent. Nec ibi eos teneat voluptas iam vegetos, quo necessitas levarat infirmos. Illi se aestiment ditiores, qui in sustinenda parcitate fuerint fortiores; melius est enim minus egere, quam plus habere.
CAPUT IV - DE CUSTODIA CASTITATIS ET FRATERNA CORRECTIONE
19. Non sit notabilis habitus vester, nec affectetis vestibus placere sed moribus.
20. Quando proceditis, simul ambulate; cum veneritis quo itis, simul state.
21. In incessu, in statu, in omnibus motibus vestris nihil fiat quod cuiusquam offendat aspectum, sed quod vestram decet sanctitatem.
22. Oculi vestri, et si iaciuntur in aliquam feminarum, figantur in nemine. Neque enim, quando proceditis, feminas videre prohibemini, sed appetere, aut ab ipsis appeti velle, criminosum est. Nec solo tactu et affectu, sed aspectu quoque, appetitur et appetit concupiscentia feminarum. Nec dicatis vos animos habere pudicos, si habetis oculos impudicos, quia impudicus oculus impudici cordis est nuntius. Et cum se invicem sibi, etiam tacente lingua, conspectu mutuo corda nuntiant impudica, et secundum concupiscentiam carnis alterutro delectantur ardore, etiam intactis ab immunda violatione corporibus, fugit castitas ipsa de moribus.
23. Nec putare debet qui in femina figit oculum et illius in se ipse diligit fixum, ab aliis se non videri, cum hoc facit; videtur omnino, et a quibus se videri non arbitratur. Sed ecce lateat et a nemine hominum videatur, quid faciet de illo desuper inspectore quem latere nihil potest? An ideo putandus est non videre, quia tanto videt patientius, quanto sapientius? Illi ergo vir sanctus timeat displicere, ne velit feminae male placere. Illum cogitet omnia videre, ne velit feminam male videre. Illius namque et in hac causa commendatus est timor, ubi scriptum est: Abominatio est Domino defigens oculum (Prov. 27, 20).
24. Quando ergo simul estis in ecclesia et ubicumque ubi et feminae sunt, invicem vestram pudicitiam custodite; Deus enim qui habitat in vobis, etiam isto modo vos custodiet ex vobis.
25. Et si hanc de qua loquor oculi petulantiam in aliquo vestrum adverteritis, statim admonete, ne coepta progrediatur, sed de proximo corrigatur.
26. Si autem et post admonitionem iterum, vel alio quocumque die, id ipsum eum facere videritis, iam velut vulneratum sanandum prodat, quicumque hoc potuit invenire; prius tamen et alteri vel tertio demonstratum, ut duorum vel trium possit ore convinci et competenti severitate coërceri. Nec vos iudicetis esse malevolos, quando hoc indicatis. Magis quippe innocentes non estis, si fratres vestros, quos indicando corrigere potestis, tacendo perire permittitis. Si enim frater tuus vulnus haberet in corpore, quod vellet occultare, cum timet sanari, nonne crudeliter abs te sileretur et misericorditer indicaretur? Quanto ergo potius eum debes manifestare, ne perniciosius putrescat in corde?
27. Sed antequam aliis demonstretur, per quos convincendus est, si negaverit, prius praeposito debet ostendi, si admonitus neglexerit corrigi, ne forte possit, secretius correptus, non innotescere ceteris. Si autem negaverit, tunc nescienti adhibendi sunt alii, ut iam coram omnibus possit non ab uno teste argui, sed a duobus vel tribus convinci. Convictus vero, secundum praepositi, vel etiam presbyteri ad cuius dispensationem pertinent, arbitrium, debet emendatoriam sustinere vindictam. Quam si ferre recusaverit, etiam si ipse non abscesserit, de vestra societate proiciatur. Non enim et hoc fit crudeliter, sed misericorditer, ne contagione pestifera plurimos perdat.
28. Et hoc quod dixi de oculo non figendo, etiam in ceteris inveniendis, prohibendis, indicandis, convincendis vindicandisque peccatis, diligenter et fideliter observetur, cum dilectione hominum et odio vitiorum.
29. Quicumque autem in tantum progressus fuerit malum, ut occulte ab aliqua litteras vel quaelibet munuscula accipiat, si hoc ultro confitetur, parcatur illi et oretur pro illo; si autem deprehenditur atque convincitur, secundum arbitrium presbyteri vel praepositi gravius emendetur.
CAPUT V - DE HIS QUIBUS UTITUR TRANSITURA NECESSITAS EORUMQUE CUSTODIBUS
30. Vestes vestras in unum habete, sub uno custode vel duobus vel quot sufficere potuerint ad eas excutiendas, ne a tinea laedantur; et sicut pascimini ex uno cellario, sic induimini ex uno vestiario. Et, si fieri potest, non ad vos pertineat, quid vobis induendum pro temporis congruentia proferatur, utrum hoc recipiat unusquisque vestrum quod deposuerat, an aliud quod alter habuerat; dum tamen unicuique, quod cuique opus est, non negetur. Si autem hinc inter vos contentiones et murmura oriuntur, cum queritur aliquis deterius se accepisse quam prius habuerat et indignum se esse qui ita vestiatur, sicut alius frater eius vestiebatur, hinc vos probate quantum vobis desit in illo interiore sancto habitu cordis, qui pro habitu corporis litigatis. Tamen si vestra toleratur infirmitas, ut hoc recipiatis, quod posueritis, in uno tamen loco, sub communibus custodibus habete quod ponitis.
31. Ita sane, ut nullus sibi aliquid operetur, sed omnia opera vestra in commune fiant, maiori studio et frequentiori alacritate, quam si vobis singuli propria faceretis. Caritas enim, de qua scriptum est quod non quaerat quae sua sunt (1 Cor. 13, 5), sic intellegitur, quia communia propriis, non propria communibus anteponit. Et ideo, quanto amplius rem communem quam propria vestra curaveritis, tanto vos amplius profecisse noveritis; ut in omnibus quibus utitur transitura necessitas, superemineat, quae permanet, caritas.
32. Consequens ergo est ut etiam si quis suis filiis, vel aliqua necessitudine ad se pertinentibus, in monasterio constitutis, aliquid contulerit, vel aliquam vestem, sive quodlibet aliud inter necessaria deputandum, non occulte accipiatur, sed sit in potestate praepositi, ut in re communi redactum, cui necessarium fuerit, praebeatur. Quod si aliquis rem sibi collatam celaverit, furti iudicio condemnetur.
33. Indumenta vestra secundum arbitrium praepositi laventur, sive a vobis, sive a fullonibus, ne interiores animae sordes contrahat mundae vestis nimius appetitus.
34. Lavacrum etiam corporum, cuius infirmitatis necessitas cogit, minime denegetur, sed fiat sine murmure de consilio medicinae, ita ut, etiam si nolit, iubente praeposito, faciat quod faciendum est pro salute. Si autem velit, et forte non expedit, suae cupiditati non oboediat. Aliquando enim, etiam si noceat, prodesse creditur quod delectat.
35. Denique, si latens est dolor in corpore, famulo Dei, dicenti quid sibi doleat, sine dubitatione credatur; sed tamen, utrum sanando illi dolori, quod delectat expediat, si non est certum, medicus consulatur.
36. Nec eant ad balneas, sive quocumque ire necesse fueiit, rninus quam duo vel tres. Nec ille qui habet aliquo eundi necessitatem, cum quibus ipse voluerit, sed cum quibus praepositus iusserit, ire debebit.
37. Aegrotantium cura, sive post aegritudinem reficiendorum, sive aliqua imbecillitate, etiam sine febribus laborantium, uni alicui debet iniungi, ut ipse de cellario petat, quod cuique opus esse perspexerit.
38. Sive autem qui cellario, sive qui vestibus, sive qui codicibus praeponuntur, sine murmure serviant fratribus suis.
39. Codices certa hora singulis diebus petantur; extra horam qui petierit, non accipiat.
40. Vestimenta vero et calceamenta, quando fuerint indigentibus necessaria, dare non differant, sub quorum custodia sunt quae poscuntur.
CAPUT VI - DE PETENDA VENIA ET OFFENSIS CONDONANDIS
41. Lites aut nullas habeatis, aut quam celerrime finiatis, ne ira crescat in odium, et trabem faciat de festuca, et animam faciat homicidam. Sic enim legitis: Qui odit fratrem suum homicida est (1 Io. 3, 15).
42. Quicumque convicio, vel maledicto, vel etiam criminis obiectu, alterum laesit, meminerit satisfactione quantocius curare quod fecit, et ille qui laesus est, sine disceptatione dimittere. Si autem invicem se laeserunt, invicem sibi debita relaxare debebunt, propter orationes vestras, quas utique, quanto crebriores habetis, tanto saniores habere debetis. Melior est autem qui, quamvis ira saepe temptatur, tamen impetrare festinat, ut sibi dimittat, cui se fecisse agnoscit iniuriam, quam qui tardius irascitur et ad veniam petendam difficilius inclinatur. Qui autem numquam vult petere veniam, aut non ex animo petit, sine causa est in monasterio, etiam si inde non proiciatur. Proinde vobis a verbis durioribus parcite; quae si emissa fuerint ex ore vestro, non pigeat ex ipso ore proferre medicamenta, unde facta sunt vulnera.
43. Quando autem necessitas disciplinae, minoribus coërcendis, dicere vos verba dura compellit, si etiam in ipsis modum vos excessisse sentitis, non a vobis exigitur, ut ab eis veniam postuletis, ne apud eos quos oportet esse subiectos, dum nimia servatur humilitas, regendi frangatur auctoritas. Sed tamen petenda venia est ab omnium Domino, qui novit etiam eos, quos plus iusto forte corripitis, quanta benevolentia diligatis. Non autem carnalis, sed spiritalis inter vos debet esse dilectio.
CAPUT VII - DE REGENDI OBOEDIENDIQUE RATIONE
44. Praeposito tamquam patri oboediatur, honore servato, ne in illo offendatur Deus; multo magis presbytero, qui onmium vestrum curam gerit.
45. Ut ergo cuncta ista serventur et, si quid servatum non fuerit, non neglegenter praetereatur, sed emendandum corrigendumque curetur, ad praepositum praecipue pertinebit; ita, ut ad presbyterum, cuius est apud vos maior auctoritas, referat, quod modum vel vires eius excedit.
46. Ipse vero qui vobis praeest, non se existimet potestate dominantem, sed caritate servientem felicem. Honore coram vobis praelatus ist vobis, timore coram Deo substratus sit pedibus vestris. Circa omnes seipsum bonorum operum praebeat exemplum, corripiat inquietos, consoletur pusillanimes, suscipiat infirmos, patiens sit ad omnes. Disciplinam libens habeat, metum imponat. Et quamvis utrumque sit necessarium, tamen plus a vobis amari appetat quam timeri, semper cogitans Deo se pro vobis redditurum esse rationem.
47. Unde vos magis oboediendo, non solum vestri, verum etiam ipsius miseremini, quia inter vos, quanto in loco superiore, tanto in periculo maiore versatur.
CAPUT VIII - DE REGULAE OBSERVANTIA
48. Donet Dominus, ut observetis haec omnia cum dilectione, tamquam spiritalis pulchritudinis amatores et bono Christi odore de bona conversatione flagrantes, non sicut servi sub lege, sed sicut liberi sub gratia constituti.
49. Ut autem vos in hoc libello tamquam in speculo possitis inspicere, ne per oblivionem aliquid neglegatis, semel in septimana vobis legatur. Et ubi vos inveneritis ea quae scripta sunt facientes, agite gratias Domino bonorum omnium largitori. Ubi autem sibi quicumque vestrum videt aliquid deesse, doleat de praeterito, caveat de futuro, orans ut ei debitum dimittatur et in temptationem non inducatur.
Tratto da: ora-et-labora.net
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