Domenica 26 febbraio 2012.
I Domenica di Quaresima - Anno (B).
Dal Vangelo secondo Marco.
Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto
e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo».
La nuova traduzione che la CEI ha valuto per la Bibbia, in alcuni passi ha migliorato notevolmente il significato dei vocaboli, in altri un po’ meno; in questa pagina di Vangelo la resa in italiano è oltremodo accomodante: In quel tempo – leggiamo – lo spirito sospinse Gesù nel deserto. Più che “sospingere”, lo gettò con forza, lo scaraventò nel deserto; questa infatti è la prima accezione del verbo greco ἐκβάλλω (ekballo).
Pensare allo Spirito come un propulsore d'allontanamento, ad una forza che spinge Gesù in un luogo così ostile e vuoto di grazia, ci fa sicuramente arricciare il naso; ci scandalizza l’idea che Dio possa indurci (portaci dentro) alla battaglia con la tentazione.
Spero di non turbare i lettori coi toni forti che userò nella seguente riflessione, ma credo che a volte siano utili per capire il significato e il valore delle realtà spirituali. Dobbiamo quindi pensare alla Quaresima come a un'occasione da non perdere per fare chiarezza in noi stessi, e scoprire che l'adesione tra la nostra fragile umanità e quella del Cristo è davvero profonda, anzi è la stessa umanità: che lotta, soffre, e spera…
Egli doveva necessariamente esser cacciato nel deserto. È un'esigenza della natura divina portare la natura umana al proprio limite; fino a farglielo “toccare”. Il deserto è il luogo adatto per quest’esperienza. Ovviamente, non dobbiamo pensare solo a uno spazio di silenzio, ma a una condizione interiore, nella quale tutte le nostre difese sono annientate: cadono tutte le maschere, i titoli onorifici non hanno più importanza, come le possibilità economiche…. Rimane solo la struttura portante della nostra umanità: il bisogno.
Siamo creature bisognose di tutto: consumatori insaziabili di affetto e di grazie divine, ingordi poppanti di stima e approvazioni, di sostanze materiali e spirituali... Pozzi senza fondo.
Per rendercene conto, è necessario che lo Spirito ci sradichi dalle nostre tranquille abitudini e ci getti nella più completa indigenza, nel vuoto di un deserto; là a morire…
Morire. Sì, i quaranta giorni nel deserto sono stati per Gesù una vera morte, che ha voluto sperimentare non solo come anticipazione della propria, ma anche della nostra morte, di ogni morte…
Morte benedetta la Quaresima! Se vogliamo, infatti, è possibile uccidere quello che abitualmente crediamo sia una parte viva di noi, ma in realtà è solo materia morta e mortificante; non ci appartiene, e non ci aiuta a valutare l’entità delle nostre vere risorse; le uniche che abbiamo per far fronte ad una lista infinita di miserie.
Nelle prossime settimane dovremo quindi attraversare nudi un sentiero pieno di pruni, lottare disarmati con quelle bestie di tentazioni che vorrebbero farci credere che i nostri bisogni vengono prima di Dio, che i nostri appetiti non obbediscono a religioni o padroni di sorta. Quanto dunque possa essere faticosa e insidiosa una Quaresima ben vissuta lo vediamo dal Vangelo di oggi: Gesù stava con le bestie… e gli angeli lo servivano. Possiamo sconfiggere le bestie del demonio anche a mani basse, però solo se riconosciamo la nostra inadeguatezza e ci facciamo forti di Dio.
Sono molti i pensieri randagi che abitano il nostro animo. Ignoriamo la loro pericolosità solo perché li assecondiamo e li nutriamo; rimangono quindi sonnacchiosi e inoffensivi. Ma quando togliamo loro il cibo o proviamo addirittura a cacciarli via, ci accorgiamo del loro numero e della loro forza. Ci arrendiamo alla loro malvagità, senza riuscire a comprendere come abbiano potuto convivere con quel po’ di bene che sappiamo sicuramente di avere dentro di noi.
Gesù dimostra che possiamo lasciarci strisciare addosso le tentazioni più velenose, senza per questo permettergli di morderci. Vale a dire che possiamo vincerle in molti modi, soprattutto se ci affidiamo alla protezione degli angeli… Ma la battaglia – anche se passiva – è comunque inevitabile, anzi direi, obbligatoria.
Non ci può essere infatti una vera testimonianza evangelica se non di coloro che hanno fatto con Cristo i quaranta giorni nel deserto, imparando da Lui a dire di no al male, incarnando fino in fondo la propria umanità, e rifiutando di percorrere strade alternative a quella indicata dal Padre.
Quei giorni nel deserto quindi, nonostante il sostegno degli angeli, sono stati comunque i più lunghi e faticosi che Gesù abbia trascorso nella sua vita terrena. Pur essendo senza peccato ha lasciato che la sua umanità fosse tentata, come mai prima alcun uomo era stato tentato, e mai più lo sarebbe stato in seguito. Ed è proprio da questa lotta col demonio se poi nel Cristo è maturata la coscienza di dover portare la sua condizione vincente fin sopra la croce, perché là fosse trafitta, sputacchiata, offesa, sconfitta…
Quel che non ha permesso al Maligno di fargli nel deserto gliel’ha concesso poi sulla croce; per la nostra salvezza. Su quel Santo Legno, Dio ha attaccato il corpo di suo Figlio come uno straccio immacolato su cui l'umanità s'è pulita le mani, e a strusciato i piedi. È bene quindi ricordarsi che, se entreremo nel Regno dei Cieli senza lasciar fango secco in giro, è perché Cristo l’ha già preso tutto su di sé.
Dunque, quell’arco di cui parla la Genesi nella prima lettura, non sia solo un ragguaglio per Dio, ma anche per noi. L’arco è Cristo, è lui la nostra alleanza: segno di un amore immenso, al punto che, dal grigio delle nostre nubi, Dio ha fatto nascere una scala di colori, una gradinata che ci permette si salire lassù, dove Lui è.
Sia lodato Gesù Cristo.
Don Maurizio Roma.
Parroco della pievedilubaco »»»
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