LIBRO QUARTO - PREFAZIONE DI LANSPERGIO
Questo quarto libro contiene parecchie salutari rivelazioni, che possono istruire il lettore e formarlo alla perfezione cristiana. Vi si impara soprattutto, come e con quali esercizi dobbiamo onorare Gesù Cristo e i Santi, specialmente nelle feste che la S. Chiesa ha stabilito in loro onore; vediamo inoltre come sia facile ottenere grazie per noi e per altri, dal dolcissimo Mediatore, Gesù benedetto, il Quale supplisce abbondantemente a quello che ci manca, arricchendo la nostra indigenza con i tesori della sua vita e della sua Passione. L'anima devota potrà poi servirsi di questi esercizi a bene suo ed altrui, non solo nelle feste loro assegnate, ma sempre. In questo libro si vede pure come Dio gradisca l'omaggio del nostro culto e le cerimonie della S. Chiesa.
Nelle pagine seguenti abbondano paragoni ed immagini, perché Geltrude, nonostante la pienezza di luce che le colmava l'anima, non ha saputo tradurre in altro modo e facilitare la comprensione alla nostra intelligenza delle utilissime nozioni spirituali che ella medesima aveva colto attraverso tali simboli; (gli stessi autori ispirati dalla S. Scrittura non hanno agito diversamente). Ciò che Geltrude ha. compreso nelle sue estasi, senza forma e senza immagini, l'ha tradotto a stento, nel povero alfabeto umano.
Infine da questo libro, come dai precedenti, esala il profumo di quella divina dolcezza con cui il Salvatore ama teneramente i suoi eletti, li guida con sapienza, li richiama se si allontanano, li stringe al Cuore quando ritornano, mostrando che i tesori della divina Provvidenza sono sempre aperti e che il Cuore del migliore degli Amici supplisce con i suoi meriti all'umana indigenza.
PROLOGO: Siccome nei giorni delle più grandi solennità bisogna applicarsi maggiormente alla divozione, se i lettori in tali circostanze, desidereranno rianimare il fervore, troveranno in questo libro, in ordine cronologico, quanto potrà loro essere utile, sempre guidati da Geltrude, la quale era favorita dal Signore, in tali occasioni, da consolazioni spirituali altissime, quasi per supplire alla debolezza della sua salute che le impediva di seguire le austere costumanze del suo Ordine.
CAPITOLO I
PREPARAZIONE ALLA FESTA DEL SANTO NATALE
Geltrude la notte antecedente la vigilia della santissima Nascita di Gesù, passò un'ora meditando silenziosamente le parole del Responsorio: De ille occulta habitatione sua egressus est Filius Dei. Descendet visitare et consolari omnes, qui cum de toto corde desiderabant. Ex Sion species decoris ejus. Deus noster manifeste veniet. Descendet. Il Figlio di Dio è uscito dalla sua dimora nascosta. Egli discende a visitare e a consolare tutti coloro che lo desideravano di cuore. Da Sion appare il suo splendore. Il nostro Dio verrà visibilmente. (Responsorio dell'antico Ufficio della Natività).
Ella vide che il Signore Gesù gustava tranquillamente un dolcissimo riposo nel seno del Padre, mentre gli ardenti desideri delle persone che si preparavano a celebrare la prossima festa, ascendevano verso di Lui come leggere nuvolette. Gesù negl'incanti della giovinezza irradiava dal suo divin Cuore fasci di luce che investivano quelle piccole nuvole, come per tracciare la via affine di giungere direttamente a Lui; mentre esse ascendevano verso Dio, Geltrude s'accorse, che le anime che si erano umilmente raccomandate alle preghiere altrui, procedevano rapidamente in alto, senza deviazioni, illuminate dalla chiarezza del divin Cuore, quasi condotte per mano su di una via diretta, senza ostacoli, nè a destra, nè a sinistra. Quelle invece che, presumendo di sè, contavano solo sui loro sforzi personali per disporsi alla festa imminente, abbandonavano momentaneamente la retta via, ma poi, attratte dalla divina luce, s'avvicinavano al Signore.
Geltrude, desiderosa di sapere in qual modo la divina Bontà accoglieva ciascuna di quelle anime, le vide ad un tratto trasportate nel seno del Padre, vicino al Figlio di Dio, dove s'inebriavano di delizie proporzionate ai loro desideri ed alla loro capacità. L'una non era disturbata dalla presenza dell'altra, ma ciascun'anima godeva pienamente di Dio, secondo le sue brame, come se il Signore si fosse accordato solo a lei. Alcune l'abbracciavano quale amabile Bambinello incarnatosi per noi; altre si rivolgevano a Gesù come ad un fedelissimo Amico, depositario di tutti i loro segreti; altre infine colmavano di carezze quello Sposo pieno di grazia, scelto fra mille. Ciascuna godeva di Lui secondo l'attrattiva del suo amore.
Geltrude si avanzò, prostrandosi come soleva fare, ai piedi del Salvatore; indi disse: « O mio amatissimo Gesù, quale sarà mai la preparazione mia e quali personali omaggi potrò offrire alla Tua beatissima Madre in questa solennità della tua Nascita? Purtroppo ho omesso e non solo per debolezza di forze, ma anche per negligenza, di recitare l'Ufficio in suo onore, quantunque obbligata dalla mia Regola ».
Il misericordiosissimo Salvatore ebbe pietà di tanto affanno e raccolse in un fascio tutte le parole che Geltrude aveva pronunciato durante l'Avvento, per lodare Dio e guadagnare le anime, sia istruendole, sia illuminandole nei loro dubbi. Indi le offerse con tenerezza alla sua dolcissima Madre, assisa onorevolmente al suo fianco in luce splendida di gloria, per riparare le negligenze di Geltrude verso la Regina del cielo. Vi aggiunse altresì il frutto che quelle parole avrebbero prodotto sino alla fine dei secoli, trasmettendosi dì persona in persona.
La Madre di Dio accettò amabilmente quell'offerta che l'adornava quasi magnifico gioiello. Geltrude le si avvicinò, pregandola d'intercedere per lei presso l'unico suo Figlio, e la Vergine s'inchinò verso la santa con volto sereno, raggiante di bontà. Indi, abbracciando il diletto Figlio e coprendolo di baci, Lo pregò in questi termini: « Il tuo amore unito all'amor mio, ti disponga, o Gesù, ad esaudire le preghiere di questa tua diletta sposa ». Geltrude esclamò: « Oh dolcezza dell'anima mia, Gesù amatissimo e desideratissimo, Tu che amo sopra tutte le cose! ».
Dopo di avere ripetuto parecchie volte tali aspirazioni d'amore ed altre consimili, interrogò lo Sposo divino: « Quale può essere il frutto di queste parole, che la mia indegnità certo rende insipide? ». Rispose Gesù: « Poco importa che il profumo venga estratto da questa o da quell'essenza d'albero, perchè diffonda fragranza gradevole. Così se qualcuno mi dice: « Dolcissimo, amatissimo Gesù... » quantunque si stimi creatura indegna, commuove la mia Divinità nell'intimo, facendo esalare olezzo di meravigliosa dolcezza che imbalsama, con profumi di salute eterna, l'anima che l'ha provocato con le sue parole di tenerezza ».
CAPITOLO II
DELLA DOLCE VIGILIA DEL S. NATALE
Il giorno dopo, essendo Geltrude ancora sveglia per un certo tempo prima di Mattutino, si ricordò davanti a Dio, nell'amarezza del cuore, di una colpa d'impazienza che le era sfuggita per trascuratezza di chi la serviva. Sentendo però ben tosto il primo tocco di Mattutino, si levò con anima gioiosa, lodando Dio, perchè quella campana annunciava la prossima festa della soave Natività di Gesù.
Il Padre celeste allora le rivolse dolcemente la parola « Io mando all'anima tua quello stesso amore che ho inviato davanti al Volto dell'unico mio Figlio, per purificare il mondo dal peccato; Io te lo mando perchè, purificata da ogni colpa, liberata da qualsiasi traccia di negligenza, tu giunga alla festa della Natività degnamente adorna di virtù ».
Anche dopo aver ricevuto un dono così splendido, Geltrude meditava in cuore il triste ricordo della colpa commessa, dichiarandosi indegna delle grazie divine, per aver reagito con impazienza di fronte ad una leggera dimenticanza.
Allora la divina misericordia la illuminò con questo insegnamento: « Tutti i pensieri che l'uomo coltiva riguardo alle sue colpe, dopo la penitenza fatta, di cui la Scrittura ha detto: « In quacumque hora conversus fuerit peccator et ingemuerit, omnium peccatorum suorum non recordabor amplius - In qualsiasi ora il peccatore si convertirà e si pentirà, non mi ricorderò più dei suoi peccati », tutti quei pensieri, dico, non hanno altro fine che di renderlo più adatto a ricevere la divina grazia ».
Al secondo tocca della campana, mentre Geltrude si disponeva a lodare il Signore, Dio Padre le disse: « Io mando nuovamente all'anima tua quell'amore che ho inviato davanti al Volto del Figlio mio, per riscattare tutti i difetti della fragile natura umana; tale amore correggerà, in pari tempo, in te le imperfezioni che non possono recarti vantaggio alcuno. Infatti certi difetti possono essere utili perchè coltivano l'umiltà e la compunzione, facendo progredire l'anima nella via della salvezza. Queste imperfezioni le lascio sussistere perfino nelle anime più care, per esercitarle nella virtù. Vi sono però altri difetti che si biasimano quando si scorgono in sè, ma che talvolta si difendono come si difenderebbe la giustizia, e dei quali non si vuole correggersi; essi mettono talora l'uomo in pericolo di dannazione; di tali colpe tu sei ora assolutamente purificata ».
Al terzo suono della campana la Santa si sforzava di lodare fervorosamente il Signore. Allora il Padre Celeste le diede tutte le virtù che aveva deposto, prima della nascita di Gesù, nel cuore degli antichi patriarchi, dei profeti e di tutti i servi fedeli che avevano tanto desiderato il Messia. Tali virtù erano: l'umiltà, il desiderio, la conoscenza, l'amore, la speranza ed altre ancora: era appunto in forza di tali virtù che Geltrude poteva prepararsi degnamente al S. Natale. Il Signore ne compose una specie di tunica, con ornamenti simili a fulgide stelle, poi, mostrandogliela, le chiese: « Che scegli, figlia mia? Vuoi tu essere servita da me, o servirmi? ». Infatti la Santa godeva del suo Dio in due differenti modi. Col primo era così completamente trasportata in Dio con l'estasi, da non poter occuparsi a far del bene al prossimo, col secondo, penetrava il senso profondo delle S. Scritture: l'intelligenza, da Dio illuminata, trovava gusti sorprendenti e deliziosi; pareva quasi che, faccia a faccia con Dio, si divertisse come un amico che si siede con l'amico per giocare, nell'intimità più serena, una partita a scacchi. Allora le era dato partecipare alle anime i tesori ricevuti. Appunto perciò il Signore le aveva chiesto se volesse essere servita, oppure servire. Ma Geltrude, disprezzando il suo vantaggio per cercare quello di Gesù, scelse di servirlo laboriosamente per la sua gloria, invece di gustare passivamente quanto Egli sia dolce nella più eletta soddisfazione dello spirito. La sua scelta piacque singolarmente al Salvatore.
All'inizio del Mattutino ella col « Deus in adjutorium » implorò il divino aiuto. Al Domine labia mea aperies tre volte ripetuto, salutò l'incommensurabile potenza del Padre, l'inesauribile sapienza del Figlio, la bontà infinitamente dolce dello Spirito Santo e adorò con tutto il cuore, con tutta l'anima e tutte le forze, Dio, uno nella Trinità e Trino nell'Unità.
Ai cinque primi versetti del salmo « Domine, quid multiplicati sunt » (Sal III) s'avvicinò alle Piaghe vermiglie di Gesù e le baciò amorosamente.
Al sesto versetto del medesimo salmo, prostrata ai piedi del Signore, l'adorò e Gli offerse fervidi ringraziamenti per la piena remissione de' suoi peccati.
Durante il settimo versetto, rivolgendosi alle Mani del Signore, lo ringraziò per tutti i benefici ricevuti dalla sua gratuita bontà; all'ottavo versetto salutò la Piaga d'amore del Suo Costato; durante il Gloria s'inchinò profondamente per lodare, in unione con tutte le creature, la radiosa sempre tranquilla Trinità; infine al Sicut erat, avvicinandosi al Cuore di Gesù lo salutò con profonda tenerezza e lo glorificò perchè conteneva in se stesso tutti i misteri incomprensibili della Divinità.
Continuando in questo senso, Geltrude si prostrò al primo versetto del Salmo Venite exultemus, davanti alla Piaga del piede sinistro e implorò completa remissione di tutti i suoi peccati di pensieri e di parole. Alla piaga del piede destro ottenne, col secondo versetto, il supplemento di tutte le sue imperfezioni di pensieri e di parole. Alla Piaga della mano destra, col terzo versetto, ebbe la remissione di tutte le sue opere colpevoli; a quella della mano sinistra, col quarto versetto, ebbe il supplemento a tutte le omissioni di buone opere.
Infine durante il quinto versetto, s'avvicinò alla sacratissima Piaga del Cuore del suo dolcissimo Amante, (che abbonda e sovrabbonda d'ogni bene), la baciò con divozione, purificandosi di ogni macchia nell'acqua e nel Sangue, che il fiero Longino fece scaturire col colpo di lancia. Divenuta candida quale neve, fu adornata di ogni virtù per mezzo di quel prezioso lavacro, e infine, trasportata dai profumati vapori che sfuggono da quella Piaga, fino alla sorgente di ogni bene. Perciò cantò il Gloria Patri in onore e gloria della SS. Trinità e concluse col Sicut erat, dicendolo col Cuore di Gesù, ricettacolo delle divine influenze.
Con l'invitatorio Hodie scietis, che si canta cinque volte durante il Venite, e si ripete due volte dopo il salmo, ricevette da Dio Padre la purificazione delle sette potenze affettive, le quali, mediante l'unione alle santissime affezioni di Gesù Cristo, furono meravigliosamente nobilitate. Durante i salmi che seguirono, Geltrude si tenne davanti a Dio nel suo vestimento adorno di splendide stelle, poi innalzò ferventi brame per ottenere che a gloria della dolce Natività di Gesù, tutti i suoi esercizi spirituali e corporali fossero una lode degna per l'adorabile Trinità.
Durante il suono delle campane che annunciavano le Laudi, il Signore le disse: « Come il suono delle campane annuncia la festa della mia nascita, così io ti accordo che tutte le tue opere, in questa solennità, canti, letture, preghiere, meditazioni, e persino gli atti corporali, come il lavoro, i pasti, il sonno, tutto infine risuoni a gloria della SS. Trinità, in unione ai miei desideri e all'amore mio che mai dissonarono dalla Volontà di Dio Padre». Quando si accesero i sette ceri, il Signore ornò l'anima sua dei sette doni dello Spirito Santo.
Geltrude chiese poi al Signore, in nome dell'accondiscendenza che lo fece nascere in una stalla, la grazia di essere preparata secondo i suoi desideri alla prossima festa. Il clementissimo Signore gradì assai quella divota brama e mise nel suo cuore, a guisa di muri e di tetto, la sua Onnipotenza, Sapienza e Bontà. La Santa si rallegrava nell'intimo dell'anima, come se fosse stata nella stalla benedetta, perchè sorgeva, sotto forma di leggiadri campanelli sospesi sul tetto e sui muri, le opere compiute da tutte le creature umane con l'aiuto della Potenza, della Sapienza, della Bontà divina e tali opere le erano concesse per aiutarla a celebrare la imminente solennità nel modo a Dio più gradito.
Fra queste dolci gioie che le davano un pregusto di Paradiso, Gesù le apparve per aggiungere doni novelli, poi pose il colmo alla sua amabile accondiscendenza, stabilendosi Lui stesso in quel luogo, con i suoi servi, i principi celesti.
Geltrude recitò allora, in onore di tutte le membra del Sacro Corpo di Gesù, duecento venticinque volte la preghiera: « Laudo, adoro etc. » e le parve che ciascuna di quelle preghierine fosse presentata a Dio, come omaggio di eletta fragranza. Dopo di che il Signore, con un divino abbraccio, purificò tutti i suoi sensi interni ed esterni, rinnovandoli e fortificandoli efficacemente con l'unione a tutte le sue sacratissime membra.
Al suono della campana per il Capitolo, Geltrude rinnovò ferventi lodi a Dio, ringraziandolo perchè volesse degnarsi di presiedere Lui stesso quella riunione, come aveva rivelato a S. Matilde, di felice memoria. (Libro della Grazia speciale L. I. cap. VII).
Ella comprese inoltre che la grande divozione con cui la maggior parte della Comunità si recava ai capitolo, conoscendo la rivelazione fatta a S. Matilde, era per Gesù una specie di soave provocazione, tanto ch'egli aspettava le Religiose con gioia immensa.
Il Salvatore stava già seduto al posto della Madre Abbadessa e pareva regnare al di sopra della medesima, nella gloria della sua divina Maestà, circondato da una moltitudine di spiriti celesti, appartenenti a diversi ordini, e sorretto su di un seggio reale per mezzo dei troni.
Quando la comunità ebbe preso posto in Capitolo, il Signore incapace per così. dire, di trattenere più a lungo la sua gioia, esclamò: « Eccovi infine, o mie carissime anime ». Indi la più giovane cantrice intonò: « Jube Domne benedicere » e l'Abbadessa rispose: « In via mandatorum tuorum etc. ». Allora il Salvatore, stendendo la sua venerabile Mano benedisse il convento con queste parole: « Con l'Onnipotenza di Dio Padre, dò il mio assenso a quanto diceste ». La stessa cantrice continuò: « Jesus Christus, Filius Dei vivi in Bethleem Judae nascitur: Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, nacque in Betlem di Giuda». Tosto i cori angelici, sentendo proclamare la dolce nascita del loro Re, furono riempiti d'ineffabile gaudio e con somma riverenza, si prostrarono a terra per adorarlo.
La Comunità secondo il costume, s'inchinò per recitare il salmo Miserere met Deus; allora gli angeli custodi delle Suore presentarono a Dio il cuore della persona affidata alla loro cura. Da ciascuna di quelle anime che dicevano divotamente il Miserere, il Salvatore sembrava ricevere un nodo avvolto Nexum quemdam eonvolutum, ch'Egli posava sul suo Cuore. Le anime delle Religiose più ardenti nell'amore erano presentate dal Serafini, che sollevando le braccia del Signore offrivano quelle ferventi Spose; le anime più illuminate nella divina scienza, erano offerte dai Cherubini; le Virtù offrivano le anime più virtuose, e così i cori angelici prestavano il loro ministero per offrire le anime che avevano con essi qualche lineamento di somiglianza. Le Suore che, pur conoscendo la sopra citata rivelazione, si mostravano poco ferventi, non erano presentate al Signore per mezzo degli Angeli, ma restavano semplicemente prostrate a terra.
Geltrude s'avvicinò poi a Gesù in ispirito d'umiltà e Gli offerse il primo Miserere che, di solito, si recitava per sé, dicendogli: « Ah mio dolcissimo Sposo, io ben volentieri rinuncio alla mia parte e ti offro questo salmo solo per l'eterna tua lode e gloria! Degnati di usarne anche per il bene de' miei amici, secondo il beneplacito della tua misericordia ». Gradì assai il Signore tale offerta, che prese la forma d'una perla preziosa di splendido bagliore. Egli la incastonò in una magnifica collana sospesa ai collo, già adorna di gemme scintillanti e di fiori d'oro, artisticamente lavorati. Poi disse: « Questa perla d'amore che tu mi hai data, l'hò messa al posto d'onore nella mia collana; tutti coloro che si raccomandano alle tue orazioni, o anche pensano solo di rivolgersi a te, riceveranno la salvezza, così come gli Ebrei morsicati da serpenti velenosi, guarivano guardando il serpente di bronzo che avevo ordinato a Mosè d'innalzare nel deserto ».
Terminati i salmi le Religiose si levarono dalla prostrazione e due principi della Croce celeste apparvero, recando una tavola d'oro che deposero davanti al Signore, il Quale staccò i nodi allacciati riuniti nel suo Cuore. Tosto si scorsero sulla tavola d'oro tutte le parole dei salmi e delle preghiere recitate dal Convento, sotto forma di gemme preziose dai colori vivi e variati; esse irradiavano fulgori meravigliosi, producendo anche una soave armonia; tutti quei raggi si riflettevano sul Volto del Salvatore, mentre la melodia l'invitava ad offrire a ciascuna di quelle anime, una doppia ricompensa per il frutto che ridondava a tutta la Chiesa dalle sacre parole pronunciate.
Geltrude comprese che il Signore le favoriva per avere tenuto in quel giorno con tanta divozione il Capitolo, presieduto da Gesù medesimo. In seguito vennero letti i nomi delle Suore che dovevano leggere, o cantare Mattutino. Il Signore si compiaceva di guardare con amabilità e di salutare con un cenno del capo le persone che ascoltavano attentamente tali prescrizioni. Umana lingua non può esprimere queste cose. Il benignissimo Gesù si degnava perfino di consolare con accenti ineffabili le Monache che si lamentavano sotto voce, perché questo, o quel Responsorio non fosse a loro toccato.
Geltrude, che in spirito vedeva queste cose, disse: « Oh dolcissimo Signore, se la Comunità potesse scorgere lo guardo benevolo di cui onori le Suore nominate, quelle che non si sentono chiamate a nessun ufficio, sarebbero ben tristi ». Rispose Gesù: « Ma se alcuna desidera leggere o cantare, affliggendosi perchè tale compito è al di sopra delle sue forze, io la consolerò con le medesime carezze e ricompenserò il suo buon desiderio come l'opera stessa », Ed aggiunse: « Se la sorella che si sente nominata inchina non solo il capo, ma la volontà con l'intenzione di compiere il suo ufficio a mia lode e di rimettersi a me perchè l'aiuti a farlo degnamente, può star sicura che ogni volta attrarrà la mia tenerezza in modo così efficace d'accordarle il mio bacio divino ».
Infine le Monache, seguendo la prescrizione della Regola, dissero le loro colpe, la Vicaria prima di tutte davanti alla Madre Abbadessa, poi le altre, secondo l'ordine di decananza. Quando s'inchinarono per ricevere l'assoluzione, il Signore affermò con dolce serenità: « E Io vi assolvo con la mia divina autorità di tutte le negligenze che avete accusate alla mia presenza e vi prometto che, se la fragilità umana vi farà cadere nelle stesse colpe, mi troverete sempre pronto alla misericordia ed ai perdono». Durante la recita dei sette salmi penitenziali, in riparazione delle colpe accusate, apparvero tutte le parole dei medesimi sotto forma di perle fini, ma senza splendore; esse furono deposte sulla tavola d'oro, di cui già abbiamo parlato, vicino a gemme fulgide e scintillanti. Geltrude capì che le parole dei sette salmi erano perle opache ed oscure, perchè recitate per abitudine, senza speciale divozione.
Questo fatto c'insegna che le suppliche offerte per abitudine sono bensì presentate al Signore per accrescimento dei nostri meriti, ma che le preghiere fatte con attenzione attuale, sono infinitamente più nobili e più gradite a Dio. Durante l'inno del Vespro al Gloria tibi Domine, Geltrude vide una moltitudine di angeli che aleggiavano intorno alle Religiose, facendo gioiosamente risuonare lo stesso versetto. Ella desiderava sapere dal Signore quale profitto possono ritrarre le anime, dal fatto che gli Angeli ad esse si uniscono nella divina salmodia. Gesù però non rispose, ed ella continuò in tale ricerca finché, per ispirazione di Dio, comprese che gli Angeli, presenti alle nostre terrene solennità, chiedono al Signore, per le anime che li imitano nella divozione, una specie di eguaglianza con essi, per mezzo di una vera purezza di corpo e di anima.
In seguito però le venne il timore, (assai giustificato del resto), che quella luce procedesse, non dal divino Spirito, ma dal senso umano. A quel dubbio rispose Gesù: «Non temere, figlia mia, perchè la tua volontà ed la mia sono così unite da non formare che una cosa sola. Per questo, in ogni vicenda, tu brami prima di tutto e sopra tutto la mia gloria, così gli spiriti angelici sono sottomessi alla tua volontà in tal modo che, se non avessero pregato per voi come tu l'hai compreso, lo farebbero ora unicamente perchè tu l'hai desiderato. Dal momento che Io, supremo Imperatore, ti ho eletta imperatrice, i miei celesti principi si piegano ai tuoi voleri al punto che se tu loro comandarsi ciò che mai fecero, lo compirebbero subito secondo i tuoi ordini, e volerebbero immediatamente ad accontentarti».
Dopo Vespro, mentre si portava processionalmente, secondo l'uso, l'immagine della Madonna, Geltrude si rammaricò di non aver potuto, per il suo stato di malattia, moltiplicare, durante l'Avvento, omaggi e preghiere, per fargliene dono in una festa a lei sì cara. Istruita però dall'unzione dello Spirito Santo, ella seppe quello che doveva fare, e offerse alla purissima Vergine il nobilissimo e dolcissimo Cuore di Gesù, per supplire a tutte le sue negligenze.
La Madonna accettò con giubilo e riconoscenza, gustandovi ineffabili delizie, superiori a qualsiasi altro tributo d'onore, perchè quel Cuore nobilissimo, che in sé contiene tutti i beni, le offriva il complesso delle preghiere e dei sacrifici fatti dai fedeli in ogni tempo, per onorare la sua divina Maternità.
CAPITOLO III
NASCITA DOLCISSIMA DI NOSTRO SIGNORE
A Mattutino, mentre Geltrude si sforzava di praticare gli insegnamenti della notte precedente, il Signore Gesù volle ricompensare la sua fedeltà e l'attrasse nel suo Cuore con tale potenza che lo scorrere dolcissimo di Dio nell'anima, ed il riflusso di gratitudine dell'anima in Dio, le fece godere, durante la Salmodia, ineffabile soavità. Mentre gustava tali delizie, vide il Re dei re assiso sul trono della sua Maestà e le Religiose disposte rispettosamente intorno a Lui, celebrare divotamente le divine lodi con la recita del Mattutino.
Ella si ricordò allora di parecchie persone che si erano raccomandate alle sue preghiere e, con umile cuore, disse a Gesù: « Ti pare conveniente, dolcissimo Maestro, che io, così indegna, preghi per queste Religiose che celebrano le tue lodi con tanto zelo e divozione, mentre, per le mie infermità sono impotente ad imitarle?». Rispose il Signore: « Tu puoi bene pregare per loro, perchè ti ho eletta fra tutte e ti ho posta nel seno della mia bontà paterna, affinché mi domandi ed ottenga tutto ciò che vuoi». E Geltrude: « Signore, se brami che preghi per esse, degnati di fissarmi un momento ove possa farlo fedelmente, procurando la tua gloria e il loro vantaggio, senza che io stessa mi privi del celeste banchetto di cui in questo momento, mi fai partecipe ».
Rispose Gesù: « Raccomanda ciascuna di queste anime a quella scienza divina ed a quell'amore che mi hanno fatto uscire dal seno del Padre e discendere sulla terra per salvare gli uomini». Ella obbedì, e pregò per esse, pronunciando semplicemente il loro nome. Il Signore, cedendo al dolce moto della sua tenerezza, soccorse quelle anime a una ad una, secondo i loro bisogni particolari.
La Vergine apparve anch'Essa nella gloria dei cieli, assisa onorevolmente a fianco del Figlio. Durante il Responsorio Descendit de coelis « Discese dal cielo », il Signore parve ricordarsi di quell'ineffabile accondiscendenza che l'aveva tolto dal seno del Padre e fatto discendere in quello della Vergine purissima, per abitare questa misera terra d'esilio. Sentendosi come struggere d'amore, rivolse alla Madre sua uno sguardo sorridente, pieno di tale tenerezza ch'Ella ne fu commossa fino nell'intimo del cuore. Egli depose sulle caste sue labbra un bacio divino, per rinnovare con doppio rinforzo, le gioie che la Vergine incomparabile aveva attinte sulla terra, nella sua Santissima Umanità.
Geltrude scorse poi la Persona immacolata della gloriosa Madre di Dio trasparente come puro cristallo, attraverso il quale il casto suo seno, penetrato e riempito della Divinità, brillava come oro, rivestito da un fine tessuto di tela di vari colori. Le parve che il Bambinello, Figlio unico del Padre, trovasse le sue delizie, attingendo avidamente la vita dal seno verginale di Maria; tale vista le fece capire che, se l'Umanità di Cristo fu nutrita dal latte verginale, la sua Divinità fu rallegrata dallo squisito banchetto che Gli offerse il Cuore più innocente e tenero che giammai sia esistito.
Al Responsorio XII, Verbum caro jactum est, le Religiose s'inchinarono profondamente e Geltrude sentì dalle labbra di Nostro Signore queste parole: « Ogni volta che, pronunciando questo versetto, una persona s'inchina con riconoscenza, ringraziandomi d'essermi degnato d'incarnarmi per amor suo, io, invitato dalla mia bontà, m'inchinerò a mia volta verso di lei e con tutto l'amore del Cuore offrirò a Dio Padre il frutto raddoppiato, per così dire, della mia beata Umanità, per aumentare la gioia eterna di quell'anima ».
Alle parole: et veritatis, che concludono quel Responsorio, la Vergine Maria si avanzò, mirabilmente adorna della duplice gloria della Verginità e della Maternità. Ella s'appressò alla Suora del coro di destra, la circondò col braccio, e, serrandola amorosamente a sé, le depose nell'anima il suo nobile Bambinello, grazioso sopra tutti i figli degli uomini. Poi fece il giro di tutto il coro e con un soavissimo abbraccio, depose nell'anima di ciascuna l'amabile e tenero Pargoletto. Tutte lo tenevano spiritualmente con le braccia dell'anima, ma alcune gli sostenevano la testina con grande precauzione, come se fosse adagiato su morbido cuscino. Altre, meno sollecite a sostenere il capo del Bambinello, lo lasciavano cadere in modo assai incomodo. Geltrude comprese che le Religiose perfettamente abbandonate alla Volontà di Dio, posavano la testina del loro amatissimo Gesù su di un soffice cuscino; quelle invece la cui volontà conservava rigide riserve e compromessi imperfetti, lo lasciavano cadere in maniera assai dolorosa.
O tu che leggi, togli dall'anima e dalla coscienza ogni ostacolo, contraddizione, puntiglio; con piena, intera volontà offriti a Dio per accontentarlo in tutto, giacché Egli desidera solo la tua perfezione. Possa tu non mai turbare, neppure per un solo istante, il riposo di quel dolce Bambinello che si è degnato d'inchinarsi verso di te e trovare le sue delizie nell'anima tua.
Alla S. Messa Dominus dixit, il Signore colmò l'anima di Geltrude di incomparabile dolcezza, a proposito delle parole liturgiche, da essa meditate. Al Gloria in excelsis, quando si giunse a quella frase « primogenitus Mariae Filius » (queste parole facevano parte di quei versetti che s'intercalavano ai canti liturgici), ella riflettè che il Salvatore sarebbe stato chiamato più propriamente « unigenitus - figlio unico », che « primogenitus - primo nato » perchè la Vergine Immacolata non ebbe che quel Figlio unico, concepito per opera dello Spirito Santo.
L'amabile Vergine, guardandola con infinita tenerezza, le disse: « Il mio dolcissimo Gesù non è « unigenitus - Figlio unico » ma « primogenitus », perché l'ho concepito per primo nel mio seno; dopo di Lui, o meglio, per suo mezzo, io vi ho tutti concepiti, raccogliendovi nelle viscere del mio materno amore, affinché foste fratelli di Gesù e fîgli miei».
All'Offertorio Geltrude comprese che le Monache offrivano al Signore le preghiere recitate durante l'Avvento; qualcuna deponeva la sua offerta nel Cuore stesso del Bambino Gesù, che si era stabilito nell'anima sua. La Beata Vergine. mentre passava a visitarle a una ad una, si occupava dei loro bisogni particolari e preparava il seno e le mani del suo amatissimo Figlio, perchè ricevesse più comodamente i loro doni.
Altre Religiose s'avanzavano verso l'altare, in mezzo al coro, e là offrivano le loro preghiere alla Vergine, che teneva fra le braccia il Bambinello. Ma siccome Egli non era posto dalla parte più comoda per riceverle, pareva che non potesse sostenersi a causa della sua debolezza infantile. Geltrude comprese che le Religiose che deponevano la loro offerta nel Cuore di Gesù erano quelle che amorosamente lo contemplavano nato spiritualmente nel loro cuore, e la Vergine le aiutava a presentarGli i loro omaggi, godendo del loro amore e dei loro progressi. Le Religiose invece che si limitavano ad adorare Nostro Signore a Betlemme, ove la S. Chiesa ce lo mostra, erano quelle che, procedendo in mezzo al coro, rimettevano i loro doni alla Madonna.
Geltrude s'avvicinò al Re di gloria e Gli offerse le preghiere recitate da parecchie persone, prima della solennità natalizia, con la buona volontà di altre che avrebbero pure desiderato presentare tale tributo d'amore, se lavori urgenti non avessero occupato il loro tempo. La santa vide che le preghiere recitate divotamente erano disposte come perle preziose sul tavolo, del quale più sopra abbiamo parlato. La buona volontà di coloro che, non avendo potuto offrire le loro preghiere, ne provavano un senso di rammarico e di umiliazione, tale buona volontà, dico, trovava posto nella magnifica collana che il Signore portava al collo; quelle anime fortunate ottenevano così facile accesso al divin Cuore, come chi tiene le chiavi d'un forziere può aprirlo e togliervi quanto gli aggrada.
CAPITOLO IV.
LA FESTA DI S. GIOVANNI EVANGELISTA
Un giorno, durante l'Avvento, mentre Geltrude pregava l'Apostolo ed evangelista S. Giovanni, lo vide avvolto in un paludamento giallo, cosparso di aquile d'oro. Quegli abiti volevano significare che S. Giovanni, durante la sua vita mortale, benché elevato in altissime sfere per l'estasi della contemplazione, pure aveva saputo abbassarsi nella valle profonda di una convinta umiltà. Osservando più attentamente quegli abiti, Geltrude si accorse che le aquile d'oro erano adorne di un bordo rosso. Quel colore significava che S. Giovanni, per elevarsi nella contemplazione, prendeva sempre, come punto di partenza, il ricordo della Passione di Gesù di cui era stato testimonio oculare, soffrendo nell'intimo del cuore, compassione fervidissima. Così, salendo di grado in grado, trasvolava fino alle più sublimi altezze della mistica e là fissava, col suo sguardo d'aquila, il centro del vero Sole, cioè la Maestà divina. Egli portava anche due gigli d'oro: uno sulla spalla destra, l'altro sulla sinistra; su quello di destra erano mirabilmente incise queste parole: « Discipulus quem diligebat Jesus - Il discepolo che Gesù amava»; su quello di sinistra queste altre: « Iste custos Virginis - « Costui è il custode della Vergine ». Prove evidenti che Giovanni fu prediletto da Gesù e custode del giglio purissimo del cielo, cioè della Vergine Madre.
Giovanni portava anche un magnifico ornamento sul petto, per ricordare il privilegio avuto di riposare alla Cena sul dolcissimo petto di Gesù; su di esso erano incise, a caratteri d'oro brillante, queste lettere: « In principio erat Verbum » per indicare la forza vigorosa con cui inizia il suo Vangelo. Geltrude chiese al Signore: « Perché mai, amorosissimo Gesù, presenti a me indegna il tuo prediletto discepolo? ». Rispose l'amabile Maestro: « Voglio stabilire fra te e Lui una amicizia tutta speciale; poiché non hai nessun Apostolo che ti sia protettore, ti accordo S. Giovanni come tuo fedele Patrono presso di me in cielo ». Riprese ella: « Insegnami, dolcissimo Salvatore, quale omaggio potrò renderGli, per essere a Lui gradita ». « Chiunque vorrà rendersi propizio questo apostolo - riprese Gesù - potrà dire ogni giorno un Pater Noster in onor suo per ricordargli i sentimenti di dolce fedeltà che irradiarono dal suo cuore quando insegnai quella preghiera, onde ottenere la grazia di perseverare nel mio amore fino alla morte ».
Nella solennità delle stesso Apostolo, mentre Geltrude assisteva con maggior divozione a Mattutino, il discepolo che Gesù tanto teneramente amava, (e che perciò deve essere da tutti particolarmente amato), le apparve colmandola di tenerezza. Ella gli raccomandò parecchie Consorelle che si erano affidate alle sue preghiere: il Santo ricevette benevolmente i voti di tutti, dicendo: « Io assomiglio al mio Signore, amo quelli che mi amano ». Geltrude insistette: « Quale grazia potrò io ottenere in questa dolce solennità? ». Rispose il Santo: « Vieni meco, tu che sei l'eletta del mio Dio. Riposiamo insieme sul seno di Gesù, dove sono racchiusi i tesori tutti del cielo ». Così dicendo la condusse davanti al Redentore e la dispose in modo che il capo di Geltrude riposasse alla destra, ed il suo alla sinistra del petto di Gesù.
Mentre entrambi riposavano soavemente sul Cuore divino, Giovanni, segnando con rispettosa tenerezza il petto di Gesù Cristo, disse: « Ecco il Santo dei Santi che a se attrae tutto il bene del cielo e della terra ». Allora Geltrude chiese a Giovanni perchè mai avesse scelto il lato sinistro, lasciando a lei il destro. Gli rispose: « Ho scelto la parte sinistra, perchè, avendo vinto le battaglie della vita, sono diventato un unico spirito con Dio, e posso penetrare là, dove non può giungere la carne. Ti ho posta all'apertura del divin Cuore, perchè, vivendo tu ancora in terra, non avresti potuto penetrare i segreti nascosti ai aviatori mentre là, ti sarà facile attingere la dolcezza e le consolazioni che la forza del divino amore diffonde continuamente su coloro che ne mostrano il desiderio ».
Intanto i battiti del Cuore di Gesù rapivano l'anima di Geltrude. « O prediletto del Signore », chiese ella a S. Giovanni, « questi palpiti armoniosi che allietano tanto l'anima mia, letiziarono anche la tua quando riposasti, durante la Cena, sul petto del Salvatore? ». « Sì, li sentii e la soavità loro passò l'anima mia fino alla midolla, come il profumato idromele impregna della sua dolcezza un morsello di pane fresco; di più l'anima mia divenne ardente, come vaso posto su di un fuoco violento ». Riprese Geltrude: « Come mai dunque, nel Vangelo, hai lasciato solo intravedere i segreti amorosi del Cuore di Cristo, celando sotto silenzio quello che pure avrebbe servito per il profitto delle anime? ». Rispose egli: « Il mio ministero, in quei primi tempi della Chiesa, doveva limitarsi a dire sul Verbo divino, Figlio eterno del Padre, poche altissime parole che l'intelligenza umana potesse sempre meditare, senza mai esaurirne la ricchezza; agli ultimi tempi era riservata la grazia di sentire la dolce eloquenza dei battiti del Cuore di Gesù. A questa intuizione suprema il mondo invecchiato ringiovanirà, si scuoterà dal torpore e verrà infiammato dal fuoco del divino amore ».
Mentre Geltrude ammirava la bellezza di S. Giovanni, il quale le era apparso riposando sul petto del Signore, sentì queste parole a lei dirette dall'Apostolo prediletto: « Io mi sono sempre mostrato a te, sotto la forma che avevo in vita, quando riposavo sul seno del Salvatore, mio unico Amico e sommo bene. Se tu vuoi, otterrò che tu mi veda tale e quale sono adesso in cielo, ove gusto le delizie della Divinità ».
Geltrude accettò il desiderato favore. Ben presto ella vide l'oceano immenso della Divinità, chiuso nel seno di Gesù; e in tale oceano scorse S. Giovanni, sotto forma di un'ape navigante, quasi piccolo pesce, con libero movimento e gioie ineffabili. Ella comprese pure che S. Giovanni si portava, di preferenza, ove la corrente della Divinità sfocia verso gli uomini.
L'Apostolo prediletto, inebriato da quel torrente di gaudio, pareva far uscire dal suo cuore una specie. di cannula, dalle quali scorrevano abbondantemente su tutta la terra gocce di soavità divina. Erano l'emblema degli insegnamenti della sua dottrina salutare, e particolarmente del Vangelo: In principio erat Verbum.
Un'altra volta, ancora nella stessa festa, ella gustava delizie ineffabili, sentendo celebrare, con parole soavissime, l'integrità della verginità di S. Giovanni. Volgendosi all'insigne amico di Gesù, lo supplicò di ottenerle con le preghiere una custodia così delicata della castità, da poter associarsi nell'eterna vita, alle sue stesse lodi per la gloria di Dio. Geltrude ebbe da S. Giovanni questa risposta: « Per poter condividere il premio della vittoria, nell'eterna beatitudine, bisogna correre la mia stessa carriera durante la terrena vita ». Ed aggiunse: « Nel mio pellegrinaggio sulla terra, mi sono ricordato assai spesso della tenera familiarità con la quale l'amabilissimo Gesù mi ha guardato, ricompensando quel senso di candore che mi ha fatto abbandonare la sposa e rinunciare alle nozze per seguirlo. Fui poi sempre vigilante per non offendere nè con parole, nè con opere questa squisita virtù, così cara al mio adorato Maestro. Gli altri Apostoli si contentavano di evitare ciò che poteva essere sospetto, ma nel resto, agivano con una certa libertà. "Erant cum mulieribus et Maria, Matre Jesu" dicono gli atti degli Apostoli (Atti 1, 14). In quanto a me agivo con tale precauzione che, senza esimermi di sovvenire alle necessità corporali o spirituali delle donne, pure non ho mai cessato di circondarmi di riguardi; avevo l'abitudine, in questi casi, d'invocare la divina Bontà ed è appunto per questo che si canta di me: "In tribulatione invocasti me et exaudivi te" (Sal. LXXX, 8), perchè Il Signore non permise mai che il mio affetto ferisse la purezza di nessuno. Per ricompensarmi, l'amatissimo mio Maestro, volle che la virtù della castità fosse lodata più in me che in altri, e m'ha dato in cielo un posto di speciale dignità. Negli splendori fulgidissimi d'una gloria meravigliosa, ricevo direttamente con delizia inebriante, l'irradiazione di quell'amore che è lo specchio senza macchia e lo splendore della luce eterna (Sap. XII, 26). Ogni volta che nella Chiesa si fa memoria della mia castità, Gesù mi saluta con un gesto pieno di tenerezza e colma il mio cuore di gioie ineffabili. Tale gaudio, come dolce liquore, penetra la parte più intima dell'anima mia; perciò si canta a mia lode: "Ti porrò come un sigillo alla mia presenza" (Agg. 11, 24), cioè come il ricettacolo che deve ricevere l'impronta del mio amore più ardente e più soave».
Geltrude, innalzata a conoscenze di ordine più elevato, comprese che, secondo le parole del Signore: In domo Patris mei mansiones multae sunt - Vi sono molte mansioni nella casa del Padre mio (Giov. XIV, 2), vi erano specialmente tre dimore, nelle quali coloro che avevano custodito l'integrità della verginale purezza, godono la beatitudine eterna. La prima è per coloro che, come fu detto degli Apostoli, fuggirono ciò ch'era sospetto, ma accolsero ragionevolmente ciò che non lo era. Se qualche tentazione assalì la loro anima, seppero vincerla generosamente; se talora soccombettero, si rialzarono però subito, mediante la penitenza.
La seconda dimora è per coloro che, in ogni occasione sospetta, o meno, fuggirono assolutamente ogni causa di tentazione. Essi castigarono la loro carne e la ridussero in servitù, al punto che non avrebbe potuto ricalcitrare allo spirito. In questa seconda dimora vennero collocati S. Giovanni Battista e molti altri santi personaggi; da una parte, la bontà di Dio li ha gratuitamente santificati, dall'altra essi cooperarono alla grazia, fuggendo il male e praticando il bene.
La terza dimora è per coloro che, prevenuti dalla dolcezza delle divine benedizioni, sembrano avere orrore naturale al male; così, quando le circostanze li mettono in comunicazione coi buoni, o coi cattivi, serbano saldamente la stessa ripugnanza per il male e lo stesso fervore per il bene, decisi di serbare l'anima loro senza macchia alcuna. Queste persone, conoscono bensì le debolezze della natura, ma ne ritraggono profitto, quando nell'esercizio dei doveri di carità, sentono che devono diffidare del loro cuore; trovano occasione di umiliarsi e di vigilare maggiormente su loro stessi, secondo queste parole di S. Gregorio: « E' la caratteristica delle anime virtuose di temere il peccato, anche là dove esso non esiste ». Fra questi S. Giovanni Evangelista ha il primo posto. Perciò nella sua festa si canta « Colui che sarà vincitore », cioè dell'affezione umana, « sarà una colonna del mio tempio », cioè la salda base che sopporterà l'abbondanza delle delizie divine. « E scriverò su di lui il mio nome », manifestando che l'ho segnato con la dolcezza della divina familiarità. « E il nome della città, la nuova Gerusalemme », cioè riceverà interiormente ed esteriormente una ricompensa speciale per ciascuna persona di cui avrà promosso la salvezza eterna.
A ciò si riallaccia un'altra visione che ebbe più tardi. Ella si domandava perchè mai si esaltasse tanto la verginità di S. Giovanni Evangelista, essendo egli stato sul punto di contrarre nozze terrene, mentre S. Giovanni Battista che non aveva conosciuto desideri terrestri, era meno lodato per questa virtù.
Il Signore, che scruta i pensieri e distribuisce i doni, le mostrò questi due Santi in una visione significativa. S. Giovanni Battista era seduto su di un elevatissimo trono, posto su di un mare deserto; S. Giovanni Evangelista si trovava in piedi, in mezzo ad una fornace così ardente, che le fiamme lo circondavano da tutte le parti. Geltrude guardava sorpresa questo spettacolo; il Signore si degnò di dargliene spiegazione: « Ti pare più ammirabile, o che Giovanni Evangelista non bruci, o che Giovanni Battista non sia sommerso? ». Ella capì allora che la ricompensa è assai differente secondo che la virtù è stata fortemente combattuta, oppure tranquillamente conservata nella pace.
Una notte, mentre Geltrude pregava sforzandosi di unirsi a Dio, vide S. Giovanni Evangelista fra le braccia del divino Maestro, prodigargli segni d'immensa tenerezza. Si prostrò allora umilmente la Santa ai piedi del Signore, per ottenere il perdono delle sue colpe. S. Giovanni le disse con bontà: « Non allontanarti per la mia presenza; ecco il tesoro che si presta agli abbracci di mille amanti, ecco le labbra che si offrono ai loro casti baci, ecco le fide orecchie pronte a raccogliere i più intimi segreti».
Durante Mattutino, mentre si cantava: « Mulier, ecce filius tuus - Donna, ecco il tuo Figlio» (Giov. XIX, 26), Geltrude vide scaturire dal Cuore di Gesù uno splendore meraviglioso che investì S. Giovanni, facendo convergere verso di Lui gli sguardi e l'ammirazione di tutti i Santi. La Vergine, che si vedeva proclamata Madre dell'Apostolo prediletto, gli mostrò gioia e tenerezza; Giovanni, a sua volta, la salutò in atto di filiale amore. Quando, durante l'Ufficio, si faceva qualche cenno a S. Giovanni, dicendo per esempio: « Questi è Giovanni che riposò sul petto di Gesù, durante la Cena. E' il discepolo che fu degno di conoscere i celesti, segreti. E' il discepolo che Gesù amava», il Santo Apostolo pareva accendersi in nuovi bagliori di gloria davanti a tutti i Santi, che lodavano Dio con maggior ardore, per glorificare il discepolo prediletto, il quale ne gustava gioie ineffabili.
A quella parola: « Apparuit charo suo Joanni ecc. - Apparve il Signore a Giovanni che amava ». Geltrude comprese che, in quella visita che Gesù fece al suo prediletto, il Signore gli rinnovò le soavi e familiari tenerezze di cui l'Apostolo aveva fatto esperienza durante la vita. Giovanni fu come mutato in un altro uomo e parve gustare già le delizie del banchetto eterno, soprattutto per tre favori, dei quali ringraziò Dio, in punto di morte.
Egli espresse il primo con queste parole: « Ho visto il tuo Volto e mi parve uscire dal sepolcro ». Rivelò il secondo con l'espressione: « I tuoi profumi, o Signore Gesù, hanno eccitato in me brame dei beni eterni ». Infine disse del terzo: « La tua voce è piena di dolcezza paragonabile al miele ». La soave presenza di Gesù gli aveva, conferito, per così dire, la gioia dell'immortalità; in virtù della scelta divina aveva ricevuto la speranza delle più dolci consolazioni; infine la tenerezza delle parole di Cristo, gli aveva fatto gustare il gaudio delle supreme delizie.
A quelle parole: « Giovanni si alzò all'invito del Signore e si mise a camminare, come se volesse seguire il suo Maestro fino ai cielo ». Ella capì che Giovanni aveva una confidenza assoluta nella bontà del suo Signore e confidava che l'Amico suo divino l'avrebbe tolto dal mondo, senza fargli sentire i dolori della morte; giacché l'amore gli ispirò quella santa audacia, meritò di essere esaudito.
Geltrude si era meravigliata nel leggere che Giovanni non era passato fra gli orrori della morte, ma poi pensò che tale favore gli fosse accordato, perché, ai piedi della Croce aveva sofferto nell'anima la Passione del Maestro, e anche per aver conservata intatta la verginità. Ella non poteva sapere che quella grazia era il premio della sua confidenza. Ma Gesù le disse: « Ho ricompensato la compassione di Giovanni ai piedi della Croce, e la sua integrità verginale con una gloria particolare; ma mi sono compiaciuto di raccogliere la confidenza incondizionata con cui volle onorarmi, ponendo le sue speranze nell'infinita mia bontà; così l'ho tolto dalla prigione del corpo senza che subisse i terrori della morte, e ho glorificato anche il suo corpo verginale, dandogli incorruttibilità ed una specie di glorificazione ».
CAPITOLO V
SALUTO AL NOME DI GESU' NELLA CIRCONCISIONE
Nel Santo giorno della Circoncisione, Geltrude offerse al Signore alcune preghierine intese a salutare il dolcissimo Nome di Gesù, invitando a farlo anche altre persone. Quelle giaculatorie apparvero sotto forma di bianche rose sospese davanti a Gesù, sulla volta del cielo. Da ciascuna rosa pendeva un campanello d'oro che, col suono armonioso, eccitava sentimenti ineffabili nel Cuore divino, ricordandoGli la sua bontà, dolcezza e le sue altre perfezioni già espresse nelle giaculatorie rivolte al suo Santo Nome. Per esempio: « Ti saluto, Gesù amatissimo, desiderabilissimo, clementissimo! » ed altre ancora. Volle poi cercare per il Santo Nome di Gesù, qualificazioni ancora più eccellenti il Cuore divino ne fu penetrato da immensa dolcezza.
Nel compiere tale esercizio si sentì come venir meno, e il Signore, vinto dalla sua tenerezza, si chinò con bontà verso di Lei; in uno slancio ineffabile d'amore depose sulle labbra della Sua Sposa un bacio più dolce della coppa d'idromele e le disse: « Ho impresso sulla tua bocca il mio Santissimo nome. Voglio che tu lo porti davanti a tutti; ogni volta che muoverai le labbra per pronunciarlo, farai risuonare al mio orecchio un'amabile armonia ». A tali parole ella comprese che il Nome di Gesù era impresso in modo ineffabile sul labbro superiore della sua anima, a caratteri d'oro, splendenti come stelle. Sul labbro inferiore era scritto, in lettere ugualmente brillanti, la parola Justus. Con l'iscrizione del Nome di Gesù, che significa Salvatore, doveva annunciare misericordia e salvezza a tutti coloro che ne avrebbero il desiderio. Con la parola Justus doveva rappresentare le divine vendette e spaventare con severe minacce le anime ostinate, che non volevano essere ricondotte a Dio con persuasivi consigli.
Geltrude disse poi a Gesù: « O mio dolcissimo Amico, degnati quale Sposo amoroso, di fare gli auguri di buon anno a questa Comunità che ti è cosi cara! ». Rispose il Signore: « Renovamini spiritu mentis vestrae - Rinnovatevi nello spirito della vostra anima» (Ef. IV, 23). Geltrude aggiunse: « La tua tenerezza, in questo caro giorno della Circoncisione sradichi ogni nostro difetto ». E Gesù: « L'osservanza della vostra Santa Regola deve servirvi di spirituale circoncisione » Geltrude riprese: « O amatissimo Gesù, perchè rispondi con una nota di severità, come se tu volessi negarci il soccorso della tua grazia, riducendoci alle nostre meschine risorse, quantunque tu sappia che da sole non possiamo far nulla? ».
Il Signore profondamente commosso dalla dolcezza di quelle confidenti parole, fece riposare l'anima sul suo seno, ed, accarezzandola teneramente disse: « Voglio così bene accordarvi il mio aiuto che se alcuna, per mia gloria e per amor mio, si applicherà, in questo primo giorno dell'anno, a esaminare con compunzione le solite mancanze alla Regola, proponendo di correggersi, sarò per quest'anima, come un amorevole Maestro che istruisce uno scolaretto, teneramente amato; la farò riposare sul mio Cuore, mostrandole dolcemente gli sbagli incorsi, correggendola con bontà e supplendo alle sue negligenze. E se come un allievo distratto sorvolerà su parecchi punti senza porvi la necessaria attenzione, veglierò io per lei e supplirò alle sue omissioni ». Il Signore aggiunse: « Questo è il mio dono di Capodanno. Darò alle tue Consorelle il desiderio di fuggire il male, di piacermi in tutto e l'abbandono filiale alla mia Volontà. Riparando io stesso le loro colpe, esse troveranno la luce della conoscenza, sì che potranno prepararmi le strenne più conformi alla mia gloria e più utili alla loro salvezza. Ogni anno, da vere fedelissime Spose, loro sarà dato d'offrirmi questo dono, pegno della unione con Me, loro Sposo rifulgente di bellezza».
In seguito Geltrude pregò per una persona che desiderava ardentemente ottenere da Dio, per sua mediazione, come strenna, una perfetta fedeltà, nelle cose prospere, come nelle avverse. Il Signore rispose con bontà: « La domanda ch'ella mi rivolge è per me una strenna assai preziosa! Siccome però è conveniente che, per esaudire la sua preghiera, le faccia un dono, così ho pensato di offrirle delle strenne che saranno utili per essa, e a me gradite. Vi troverò una nuova gloria, mentre ella col soccorso della grazia, potrà abbellire, di ora in ora, la sua eterna corona. Quando una madre sta insegnando qualche cosa alla figlia, le lascia eseguire ìl lavoro da sola, ma la va dirigendo con la sua esperienza; così la mia eterna Sapienza, preparerà strenne con l'aiuto di quella persona».
Geltrude comprese che le perle e le gemme che dovevano ornare quelle strenne erano l'amore, i santi desideri, i pensieri che avevano Dio per oggetto, derivanti dalla carità, o dai timore, dalla speranza, dalla gioia, perché il Signore, lungi dal trascurare un solo pensiero, li fa tutti servire alla salvezza eterna. Allora Geltrude pregò per parecchie persone e specialmente per una alla quale involontariamente, aveva dato motivo di turbamento. Il Signore affermò: « A causa di quell'inquietudine ho dilatato l'anima sua e preparato la sua mano, perchè possa ricevere più abbondantemente e degnamente i miei doni». Ella rispose: « Ahimè, Signore, per purificare quella persona che tu ami, io miserabile, fui un flagello nelle tue mani. « Perché ti rammarichi - obbiettò Gesù, - giacché chi purifica i miei eletti senza avere intenzione di nuocere, ma compatendo anzi alle loro sofferenze, è fra le mie mani un leggero flagello, il cui merito si accresce, mentre purifica gli altri? ».
CAPITOLO VI
TRIPLICE OFFERTA NEL GIORNO DELL'EPIFANIA
Nel giorno dell'Epifania, Geltrude avrebbe voluto offrire a Gesù dei regali di lusso, come quelli dei Magi, per soddisfare a tutti i peccati del mondo, da Adamo fino all'ultimo de' suoi figli. Ella offrì, come mirra il Corpo di Cristo, con tutte le sofferenze, che lo dilaniarono, specialmente durante la Passione. Presentò quale incenso l'Anima santissima del Cristo, perchè le ardenti suppliche che si elevarono da quel divino incensiere, supplissero alle negligenze di tutte le creature. Infine offerse come oro, per riparare le imperfezioni di tutti gli esseri creati, la perfettissima Divinità e le delizie di cui è la sorgente. Le apparve allora il Signore Gesù portando quella stessa offerta, come un tesoro infinitamente prezioso, in atto di presentarla alla SS. Trinità. Mentre si avanzava in mezzo al cielo, tutta la Corte celeste, penetrata di rispetto, piegava il ginocchio e si chinava profondamente, come fanno le persone devote quando il Corpo di Cristo passa davanti a loro.
Geltrude si ricordò allora di parecchie persone le quali, con profondo senso d'umiltà, l'avevano supplicata di offrire a Dio per loro, in memoria dei doni dei Magi, alcune preghiere che aveva recitate in preparazione alla festa. Mentre faceva tale offerta con tutto il cuore, il Signore Gesù le apparve, attraversando il cielo con quel secondo dono della sua Sposa, per presentarlo a Dio Padre. Tutta la Corte celeste accorreva a Lui d'intorno, magnificando quello splendido regalo. Ella ben comprese allora che, se un'anima offre a Dio le sue preghiere ed azioni, tutta la Corte celeste esalta quel dono, come offerta preziosa all'occhio del Signore. Quando poi l'anima, non contenta di offrire i suoi beni, vi aggiunge le opere perfettissime dei Figlio di Dio, i Santi, come già dicemmo, mostrano tanta riverenza a quel dono come la cosa più preziosa, al di sopra della quale non sta che l'Unica e adorabile Trinità.
Un'altra volta, mentre al S. Vangelo si leggevano, nella stessa solennità quelle parole « Et procidentes adoraverunt eum - prostrati lo adorarono » ella, con sentimento di grande fervore, si prostrò ai piedi di Gesù divotamente, per adorarlo in nome di tutto ciò che esiste, in cielo, in terra e nei luoghi inferiori.
Non trovando Geltrude però alcuna offerta degna di Dio, si mise a percorrere tutto il mondo, con la brama ansiosa di cercare qualche cosa che potesse essere presentata al suo Diletto. Mentre, ardente del più puro amore, correva con l'immaginazione tutta la terra, trovò in grande quantità cose disprezzabili che chiunque avrebbe rifiutato, perchè scorie che non potevano contribuire alla gloria ed alla lode di Dio. Invece con geniale pensiero le fece sue avidamente, per trasformarle in cose degne di Colui che tutte le creature devono servire.
Raccolse dunque in cuore tutti i dolori, le pene, le ansietà, i timori sofferti senza rassegnazione, con senso di umana fragilità; s'impossessò di tutta la falsa santità, delle preghiere recitate senza divozione dagli ipocriti, dai farisei, dagli eretici e gente consimile; infine raccolse l'affezione naturale, l'amore morboso, falso ed impuro dispensato da tante creature; trasformando quel cumulo di miserie con l'ardore di desideri infuocati, quasi in mistico crogiolo, le presentò al Salvatore, ridotte a mirra squisita, a fragrantissimo incenso, all'oro più puro.
Gesù, seguendo con immensa gioia questo lavoro, tanto ingegnoso della sua Sposa, s'affrettò a gradirlo. Pose quelle offerte come fulgide gemme, nel suo stesso diadema reale, dicendo con ineffabile sorriso: « Sono le perle del tuo amore! Le porterò sempre come ricordo della tua straordinaria tenerezza verso di me, le porterò sulla corona che cinge la mia fronte, dinanzi a tutta la Corte celeste, glorificandomi di averle ricevute da te, o mia diletta Sposa; così appunto fanno gli imperatori della terra, fissando sulla loro corona quella gemma, chiamata volgarmente ein Besant, unica in tutto l'universo ».
In quel punto Geltrude si ricordò di una persona che parecchie volte, l'aveva supplicata d'offrire al Signore, in quel solenne giorno, qualche cosa a nome suo. Ella chiese a Gesù cosa gli sarebbe gradito ed Egli rispose: « Offrimi i suoi piedi, le sue mani, il suo cuore. I piedi rappresentano i desideri - poiché quella persona vorrebbe riparare i dolori della mia morte, è bene che si applichi a sopportare pazientemente le sue sofferenze fisiche e morali - essa deve unirle alla mia Passione, e offrirle per la lode e gloria del mio nome, e per l'utilità della Chiesa, mia Sposa. Accetterò tale dono come sceltissima mirra. Le mani simboleggiano l'azione: essa s'impegnerà di unire le sue opere corporali e spirituali a quelle che io ho compiute nella mia santa Umanità; tale intenzione nobiliterà e santificherà tutti i suoi atti, che mi saranno graditi come profumatissimo incenso. Infine il cuore è simbolo della volontà: essa, per conoscere i miei voleri, deve interrogare umilmente un direttore esperto e star sicura che la sua parola è l'eco fedele della mia. Se seguirà tali consigli accetterò tutti i suoi atti come perfetta oblazione di oro purissimo. Per premiare poi l'umile confidenza che l'ha indotta a cercare la tua mediazione, farò sì che la sua volontà sia unita alla mia così strettamente, come l'oro e l'argento che, posti al fuoco, si fondono in un solo metallo ».
Geltrude offerse poi al Signore le preghiere che alcune persone le avevano confidate divotamente. Vide allora Gesù porre in una borsa, che aveva al lato sinistro, quegli spirituali tesori che distribuiva indi a' suoi particolari amici. Quando poi ella stessa offerse le sue stesse preghiere, esse presero forma di gioielli che il Salvatore dava alle anime meno adorne e preparate: comprese che il Signore accettava le preghiere delle persone che le si erano raccomandate sotto un duplice aspetto, cioè per ricompensare la confidenza che avevano posto nella sua mediazione, e il disinteresse col quale avevano lasciato libertà di offrire tali suppliche, o come sue, o da parte loro, essendo paghe che Gesù fosse onorato e contento.
CAPITOLO VII
VENERAZIONE AL S. VOLTO NELLA II DOMENICA DOPO L'EPIFANIA (OMNIS TERRA)
Geltrude, nella domenica Omnis terra, seconda dopo l’Epifania, nel quale i fedeli di Roma usano venerare il S. Volto, si preparo a quell'atto pio e solenne, con una confessione generale. I suoi falli le apparivano così ributtanti che, confusa della propria deformità corse a prostrarsi ai piedi di Gesù, implorando misericordia e perdono. Il benignissimo Salvatore, alzando la Mano, la benedisse con queste parole: « Per le viscere della mia bontà affatto gratuita, ti accordo il perdono e la remissione di tutti i tuoi peccati. Ora accetta la penitenza che t'impongo. Ogni giorno, per un anno intero, farai un'opera di carità come se la facessi a me stesso, in unione dell'amore con cui mi sono fatto uomo per salvarti e dell'infinita tenerezza con cui ti ho perdonato le tue colpe ».
Geltrude accettò di gran cuore e con riconoscenza; poi tutto a un tratto, ricordandosi della propria fragilità, disse: « Ahimè Signore! Non mi avverrà talora di omettere questa buona opera quotidiana? E allora che dovrò fare?». « Come potrai tu ometterla - rispose Gesù - se è cosa così facile? Io non ti chiedo che un solo passo offerto a tale intenzione, una paglia sollevata da terra, un gesto di bontà, una parola affettuosa al prossimo, un Requiem per i defunti, un accento caritatevole a favore di un peccatore, o di un giusto. Ora di un solo di questi atti sarà pago il mio divin Cuore». Consolata da queste dolci parole, domandò la Santa a Gesù se altri ancora potesse avere parte a tale privilegio, compiendo la medesima pratica ». « Sì - rispose il Salvatore - accordo l'intera remissione di ogni peccato a chiunque vorrà adempiere la penitenza che ho imposta ». E soggiunse: « Ah, quale dolce accoglienza farò al termine dell'anno, a quanti avranno coperto, con atti di carità, la moltitudine dei loro falli! ». Geltrude obbiettò « Come sarà possibile una tale purificazione, se l'uomo è tanto inclinato al male da peccare parecchie volto in un'ora? ». E il Signore: « Perché vuoi sottilizzare e mostrarti così difficile, mentre io, che sono Dio, prevedo tanta gioia in questa cosa e mi dispongo ad aiutare la buona volontà di chi vorrà darmi tale consolazione? La mia divina sapienza vincerà ».
Geltrude chiese: « Che darai Tu, mio Dio, a coloro che, col soccorso della tua grazia, compiranno questo atto di carità quotidiana? ». Il Maestro concluse con dolcezza: « Io darò loro ciò che l'occhio d'uomo non vide, ciò che il suo orecchio giammai udì, ciò che nemmeno il suo cuore potrebbe aspettarsi da' suoi desideri. (I. Cor. II, 9). Oh, quale felicità gusteranno coloro che avranno praticato quest'esercizio per un anno, o anche solo per un mese! Per loro è preparata in cielo ricompensa grande! ».
Il giorno dopo, mentre la Santa pregava per coloro che, seguendo i suoi consigli, si accosterebbero alla SS. Comunione, nonostante l'assenza del Confessore, ella vide il Signore rivestire quelle anime con una tunica splendente di candore, simboleggiante la divina purezza. Quella tunica era adorna di perle preziose, aventi la forma e il profumo delle violette, per indicare l'umiltà di quelle anime che avevano seguito il consiglio di Geltrude. Esse ricevettero, in seguito, un abito rosa cosparso di fiori dorati, per simboleggiare la Passione sofferta da N. Signore che permette a ogni anima di prepararsi degnamente alla S. Comunione.
Il Signore disse: « Preparate dei seggi vicino a me, cosìi tutte le creature sapranno che queste anime occupano i primi posti, non per caso, ma per mia espressa Volontà. Ti dico che, da tutta l'eternità, è stato previsto ch'esse ricaverebbero oggi, in virtù della loro umiltà e per la tua mediazione, i doni più preziosi ».
Le Religiose che, non avendo potuto confessarsi, s'accostavano alla S. Comunione, non per consiglio di Geltrude, ma perchè ispirate dalla grazia di Dio e dalla fiducia nella sua infinita bontà, ricevevano soltanto un abito rosa cosparso di fiori d'oro; pure si assidevano con letizia a quel felice banchetto. Quelle che si erano astenute dalla S. Comunione con umiltà e rincrescimento, stavano ritte davanti alla balaustra, godendo però anche esse grandi delizie.
In seguito il dolcissimo Signore, trasportato dalla sua naturale bontà, alzò la sua sacratissima Mano, dicendo « Tutti coloro che attratti dal mio amore, onoreranno il mio Volto riceveranno, in virtù della mia Umanità, l'impressione viva e luminosa della mia Divinità. Questa luce rischiarerà le profondità della loro anima e, nell'eterna gloria, la Corte celeste ammirerà nei loro lineamenti, una speciale somiglianza col mio stesso Volto ».
CAPITOLO VIII
NELLA FESTA DI S. AGNESE VERGINE E MARTIRE
Nell'Ufficio della notte, quando la Chiesa festeggia S. Agnese, la vergine diletta da Gesù, Geltrude, provava speciali delizie, vedendo come il Signore era glorificato da tutta la Corte celeste per le parole della Santa romana, ripetute allora dalla Chiesa. Ma poi la sua infermità che la rendeva impotente a ogni sforzo, la contristò assai, ed ella disse al suo divino Amico: « Ahimè ! mio diletto, con quale entusiasmo mi unirei alla salmodia, se non ne fossi impedita dai miei malanni! ». Rispose il Signore: « Non turbarti, figlia mia; ho raccolto per Te queste grazie nel mio Cuore: tu potrai attingervi e gustarle con maggiore soavità, essendo esse prive della scipitezza della tua propria volontà». Comprese allora Geltrude che l'impotenza non può menomare il premio, non essendo essa volontaria.
Mentre si leggeva nella VI lezione questo passo: Un accusatore depose che Agnese, fln dall'infanzia, era cristiana ed era così imbevuta dalle arti magiche, da chiamare Gesù Cristo il suo fidanzato, Geltrude esclamò, gemendo «Ahimè, Signore quale ingiuria sopporti Tu dagli uomini ciechi ed ingrati! ». Rispose il Salvatore: « Le delizie sovrabbondanti della mia unione con Agnese mi compensano di quell'ingiuria ». « Ah, Dio di bontà - riprese vivamente la Santa - fa che i tuoi eletti ti amino con tale fedeltà, tanto che tu non abbia più a sentire le ingiurie dei tuoi nemici! ».
Nella festa di S. Agostino, Geltrude ebbe rivelazione dei meriti di parecchi Santi. Allora le venne desiderio di sapere qualche cosa delle virtù di quella piccola Vergine romana, da essa amata fin dall'infanzia. Il Signore l'esaudì: le mostrò Agnese in aspetto dolce ed amabile: Egli la teneva stretta sul suo Cuore per manifestarne l'incomparabile purezza, giacché i sacri libri affermano: « Incorruptto proximum facit esse Deo - La perfetta purezza avvicina (uomo a Dio » (Sap. VI, 20).
Quella bimba illustre le parve così vicina a Dio, da poter appena trovare in cielo un'altra Santa paragonabile alla dolcissima Agnese, per l'innocenza e la tenerezza dell'amore. Geltrude comprese che il Signore, ad ogni istante, attirava a sé tutte le delizie che hanno riempito e tuttora riempiono i cuori, eccitandoli all'amore e alla divozione, mentre si ridicono le parole, più dolci del miele, pronunciate dalla soave verginella, di cui la Chiesa fa abbondante uso nell'Ufficio della sua festa; orbene tutte quelle consolazioni, passando dal Cuore di Gesù, ne erano nobilitate e distillavano poi gocce di squisito nettare nell'anima di Agnese, strettamente unita al Cuore del suo Dio. La Santa appariva allora adorna di nuovi, magnifici gioielli, ed irradiava uno splendore ineffabile sulle anime che le procuravano tanta gioia.
CAPITOLO IX
PURIFICAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA
Nella dolce festa della purificazione della Beata Vergine Maria, Geltrude, al primo tocco della campana del mattino, sentendo l'anima inondata di gioia, disse al Signore: «Ecco, amatissimo Gesù, che il mio cuore e l'anima mia ti salutano al primo suono di campana che annuncia la festa della Purificazione della tua castissima Madre». Il Signore si degnò di rispondere: « E a mia, volta tutto quanto vi è di tenerezza in me, batte in tuo nome, alla porta della mia divina misericordia, per ottenerti la piena remissione di ogni tua colpa ». All'ultimo segno di Mattutino, il Signore volle restituirle al centuplo il saluto, fattogli al primo suono del mattino e le disse: « La mia Divinità infinita ti saluta, o gioia dell'anima mia! Essa ti dona tutti i meriti della mia Santissima Umanità, per prepararti a questa festa, nel modo che mi è più gradito ».
Più tardi Geltrude desiderava sapere quale salmodia in quel momento cantava in coro, ma, essendo coricata, non riusciva ad afferrare il senso delle parole; disse allora tristemente al Signore: « O mio Gesù, se non fossi così lontana dalla Chiesa, avrei potuto seguire qualche versetto del canto sacro e mi sarei dilettata In Te! ». Rispose Egli: « Se tu, diletta figlia, ignori quello che ora si va salmodiando in coro, volgiti verso di me e considera con attenzione quello che passa nel mio Cuore, giacché Esso contiene tutto ciò che potrà farti gustare vera gioia ».
Geltrude allora comprese che come una persona respira frequentemente l'aria, così ciascun membro del Signore, aspira tutte le opere che si compiono nella Chiesa, le purifica, le nobilita e le offre in lode eterna alla SS. Trinità. Le azioni che l'uomo compie con l'intenzione attuale di procurare la divina gloria, sono aspirate dallo stesso suo Cuore, in modo ineffabile e meraviglioso, riuscendo esse come trasfigurate in bellezza e perfezione. Senza dubbio le buone opere, attratte dalle santissime membra del Salvatore, servono alla salvezza delle anime in modo ammirabile, che sorpassa ogni creata intelligenza, ma quelle che il divin Cuore assorbe sono molto più nobili e quindi più salutari. L'uomo, o l'animale vivente, non sono forse più pregevoli di un cadavere?
In seguito Geltrude sentì cantare il secondo Responsorio: spiacente di non aver inteso il primo « Adorna » disse al Signore: « Insegnami, o mio dilettissimo Gesù, come devo ornare il letto del mio cuore, perchè formi le tue delizie ». Egli rispose: « Aprimi il cuore come un tempo si aprivano le tavole d'oro nel tempio degl'idoli, per invitare il popolo a fare i sacrifici nelle feste pagane; poi mostrami dipinte sullo stesso cuore delle immagini ove io possa trovare ineffabili piaceri ». Queste parole lei fecero capire che il Signore trova le sue delizie nel cuore che si apre e si svolge nel ricordo perenne delle sue miserie e dei benefici gratuiti di Dio.
Al secondo Notturno si cantava l'antifona « Post partum Virgo - Vergine dopo il parto ». Alle parole: « Intercede pro nobis » Geltrude vide la beatissima Vergine spazzare col suo manto tutto quanto vi era di macchiato nelle anime dell'intera Comunità, poi spingere quelle immondizie in un angolo e porsi davanti quasi per nasconderle allo sguardo della divina giustizia. Quando poi venne intonata l'antifona Beata Mater, alle parole Intercede la Vergine, accostandosi al Figliuol suo, Re dei re, parve dargli un soavissimo bacio che esprimeva la divozione di tutto il Convento. Tale atto, impreziosito dal puro amore della Madre di Dio, acquistava un pregio incomparabile.
Geltrude si lamentò ancora degli ostacoli suscitati dalla malattia ed il Signore le disse: « Simeone e Anna, (cioè l'infermità), t'impediscono di entrare in Chiesa per partecipare al divino Ufficio; vieni dunque al monte Calvario colà troverai giacente il tuo Diletto ». Ella vi si recò in ispirito e, dopo d'aver gustato delizie ineffabili nel dolcissimo ricordo della Passione di Gesù, le parve di dirigersi verso Nord, dove vi era una porta che si apriva su di un magnifico tempio.
Colà vide il venerando Simeone in piedi davanti all'altare, che ripeteva questa invocazione: « Quando lo vedrò? Potrò vivere fino a quel fortunato momento? Vedrò il giorno beato della sua nascita?».
Mentre ripeteva queste parole, ed altre consimili, la sua mente fu attraversata da un raggio di luce; si rivolse di scatto e vide la Vergine Maria in piedi, davanti all'altare. Ella stringeva fra le braccia il Bambino Gesù, il più bello fra i figliuoli degli uomini. Appena Simeone l'ebbe scorto, fu illuminato dallo Spirito Santo e lo riconobbe per il Redentore del mondo. PrendendoLe quindi, con giubilo immenso, fra le braccia esclamo: « Nunc dimittis - Ora, Signore, lascia andare in pace il tuo servo» (Luc. II, 22). Alle parole: « Quia viderunt - Perché i miei occhi hanno visto il Signore», lo baciò teneramente. E all'espressione «Quod parasti - Che tu hai preparato» lo innalzò davanti all'arca dell'Altare, offrendoLe a Dio Padre, per la salvezza misericordiosa del mondo. In quel mentre l'arca dell'altare risplendette come uno specchio trasparente, e si vide riflessa l'immagine del tenero, amabilissimo Pargoletto tutto rifulgente di luce. Con quel segno il Bambino Gesù affermava e dichiarava apertamente cha tutte le offerte dell'antico e del nuovo Testamento, da Lui ricevevano perfezione e compimento.
A quel fulgore Simeone esclamò teneramente: « Lumen ad revelationem gentium - E' la luce che rischiarerà le nazioni » (Luc. II, 32). Poi rese il Bimbo alla Madre, dicendo: « Et tuam animam pertransibit gladius - E una spada trapasserà l'anima tua » (Ibid. 35). La Vergine depose il Bambinello sull'altare ed offerse per riscattarlo due colombine di un candore meraviglioso. Parve anzi che il divino Infante le presentasse lui stesso, con la sua Manina. Tali colombe rappresentavano la vita semplice e innocente dei fedeli che operano con discrezione, allontanando tutto ciò che è cattivo e scegliendo il buon grano, cioè imitando gli esempi sublimi dei Santi. Se posso cosa esprimermi, vorrei dire che in tal modo, i fedeli riscattano il Signore, cioè realizzano alcune cose comprese nella sua dottrina e ch'Egli, proprio per questo, non ha compiuto Lui stesso. Durante il canto del versetto dell'ottavo Responsorio « Ora pro populo etc. - Prega per il popolo ecc.» la Regina delle vergini si avanzò, piegò rispettosamente le ginocchia, quale Mediatrice fra Dio e la Comunità, pregando devotamente per ciascun membro della medesima. Ma il Re suo Figlio la rialzò con gesto di grande deferenza e ponendola a' suoi fianchi sul trono di gloria, le accordò potenza illimitata di comando. Subito la dolce Madre ordinò alle schiere angeliche di circondare il Monastero e di difenderlo con mano salda, contro gli attentati dell'antico nemico. Gli Angeli obbedirono immediatamente alla Regina del cielo, e avvicinando i loro scudi, circondarono il Monastero come di forte baluardo.
Geltrude chiese alla Vergine: « O Madre di misericordia, questa grazia di protezione, viene accordata anche a quelle che ora non si trovano in coro?». La dolce Madre rispose: « Tale protezione non si estende solo alle Religiose riunite in coro, ma a tutti i membri della Comunità, che bramano la conservazione e l'aumento dell'osservanza regolare. Quelle invece che, punto preoccupandosi di tale tesoro, trascurano di custodirlo e di promuoverlo in altri, non hanno parte alcuna all'amorosa tutela degli Angeli». Aggiunse poi Gesù « Chi desidera tale protezione deve osservare che questi scudi sono piccoli e stretti in basso, mentre si allargano nella parte superiore: così l'anima deve umiliarsi e disprezzarsi, ma poi elevarsi verso di me con una dolce, assoluta confidenza, che le faccia tutto attendere dalla mia bontà infinita ».
Durante la processione in cappella, quando si cantava il versetto: « Ora pro nobis, Sancta Dei Genitrix » la gloriosa Madre depose il divin Figlio sull'altare, si prostrò riverentemente a' suoi piedi e lo pregò per la Comunità. Il Bambinello a sua volta si chinò amabilmente verso la Madre sua in segno d'assenso, per dimostrarle ch'era felice di compiere la sua volontà.
CAPITOLO X
S. GREGORIO PAPA
Nella solenne festività di S. Gregorio Papa, Geltrude si applicò, durante la S. Messa, a rendergli gli omaggi della sua venerazione. Il degno Pontefice le apparve raggiante di gloria incomparabile: pareva riunire in sé tutti i meriti degli altri Santi e sorpassarli vittoriosamente. Era simile ai Patriarchi per le cure diligenti e per la paterna previdenza di cui circondava la Chiesa. Era paragonabile ai profeti, perchè, con scritti salutari, aveva insegnato alle anime il modo di resistere alle seduzioni del demonio. Uguagliava gli apostoli per la fedeltà generosa al Signore, sia nella prova dolorosa, come nella gioia, e aveva una gloria speciale per il seme della divina parola gettata a larga mano nei cuori. Assomigliava ai martiri e ai confessori per lo spirito di penitenza, di pietà e per la perfezione delle sue virtù. La sua illibata castità lo rendeva simile ai vergini, avendo sempre nei pensieri, parole ed opere custodito l'integrità del corpo e dell'anima, ed insegnato a molti questa preziosa disciplina interiore.
Gesù disse poi alla sua Sposa: « Considera, figlia mia, come questo passaggio dei salmi, convenga al mio eletto: «Quod secundum multitudinem dolorum in corde hominis, eonsolationes divincae laetifieent animam fidelem - Le divine consolazioni rallegrano l'anima fedele, in proporzione della moltitudine dei dolori sofferti dall'uomo» (Sal. XCIII, 19), perchè per ogni atto, per ogni pensiero penoso, gode ora ineffabili delizie. Nel giorno della sua morte tutto era spasimo e dolore, perchè il suo corpo attraversava le angosce supreme; la Chiesa stessa era inconsolabile, pensando di perder un tale padre; ora però tutto è cambiato, ed ogni volta che il ciclo liturgico riconduce questo anniversario, viene celebrato da tutti con gaudio immenso, come un giorno di letizia e di solennità ».
Geltrude chiese: « Quale ricompensa ha ricevuto per aver arricchito ed illuminato la Chiesa con tanti scritti salutari? ». Rispose il Signore: « La mia Divinità si compiace singolarmente in ciascuno di questi scritti, e tutti i sensi della mia Umanità vi gustano soavi delizie. Egli stesso partecipa a tali gioie ineffabili. Ogni volta che nella Chiesa si legge un passaggio dei suoi scritti, oppure un'anima è commossa dalle sue esortazioni, ed eccitata a un più fervido amore, Egli riceve, davanti a tutta la Corte celeste, la stessa gloria di un soldato che venisse decorato dal Re, o che si sedesse alla sua mensa per gustare il medesimo banchetto ». Aggiunse poi l'amabile Salvatore: « I due Santi Agostino e Bernardo, che tu prediligi, godono la stessa prerogativa, e anche gli altri dottori vi partecipano secondo l'importanza, l'utilità, il pregio della loro dottrina ».
Quando si cantò il Responsorio XII: « O Pastor Apostolice, Gregori Sanctissime, tuo poste precamine incrementum Ecclestae. Tuo rigatae dogmate ac defensatae opere. Memor esto Congregationis Catholicae et destra Dei plantatae vigne. O Pastor. - O Pastore Apostolico, Gregorio Santissimo, domanda per la tua preghiera l'accrescimento della Chiesa irrorata dalla tua dottrina e difesa dalle tue fatiche. Ricordati della Chiesa cattolica, della vigna piantata dalla destra di Dio », S. Gregorio parve levarsi, piegare le ginocchia, innalzare le mani e pregare devotamente per la Chiesa. Il Signore, con dolce accondiscendenza, gli aperse il suo divin Cuore, perchè vi attingesse a piene mani quanto era necessario per la Chiesa e potesse poi distribuire con larghezza tali tesori. Mentre il Santo toglieva da quella celeste sorgente grazie elettissime, il Signore parve cingerlo di una fascia di splendido oro. Tale gesto voleva significare che la divina giustizia tratteneva, per così dire, le consolazioni sospese a mezz'aria, perchè non scendessero sui cuori indegni ed ingrati. Colui che voleva riceverle doveva meritarle, inalzandosi con stinto ardore di desiderio.
CAPITOLO XI
SAN BENEDETTO, PADRE DELLA COMUNITA', LETIZIA DI COLORO CHE OSSERVANO LA VITA REGOLARE
Nella gloriosa festa di S. Benedetto, mentre Geltrude si applicava alla recita di Mattutino per onorare il grande Santo, vide in ispirito il Beato Fondatore in attitudine piena di maestà, in piedi, davanti alla raggiante, sempre tranquilla Triade sacrosanta. Ad ogni movimento delle sue membra si vedeva fiorire, come per incanto, vaghissime rose di deliziosa fragranza; si può dire cha ciascun membro produceva un magnifico rosaio, perchè dal centro di ogni rosa, fioriva un'altra rosa e da questa un'altra ancora; così da una sola rosa ne fiorivano parecchie, e l'ultima era sempre più bella delle precedenti, sia per leggiadria, freschezza vigore, sia per la soavità del profumo. Così fiorito e pieno di grazia, il beatissimo Padre, veramente Benedetto per la virtù del suo nome, era soggetto di delizie incomparabili alla SS. Trinità ed a tutta la Corte celeste, che lo felicitava per la gloria immensa di cui godeva.
Le rose che sbocciavano sulle sue membra indicavano le penitenze con le quali aveva domato la carne per sottometterla allo spirito, e tutti gli atti virtuosi della santa sua vita. Esse simboleggiavano ancora le opere dei suoi discepoli che, stimolati dal suo esempio e dalla sua dottrina, rinunciarono al secolo per seguirlo nella via regale dell'osservanza.
CAPITOLO XII
L'ANNUNCIAZIONE
Nella vigilia dell'Annunciazione, mentre si sonava la campana del Capitolo, Geltrude, innalzando l'anima a Dio, vide in spirito Gesù e Maria nella sala capitolare. Il Salvatore occupava il seggio abbaziale, aspettando tranquillamente l'arrivo delle Monache che accoglieva con un sorriso d'ineffabile bontà.
Quando, secondo la prescrizione del calendario, venne proclamata la festa dell'Annunciazione, il Signore Gesù si volse verso la Madre sua e la salutò con un affettuoso cenno del capo, che rinnovò nella Vergine le ineffabili gioie provate quando l'incomprensibile Divinità, incarnandosi nel suo seno, si degnò di unirsi all'umana natura.
La Comunità si mise in preghiera e recitò il salmo: « Miserere mei, Deus etc. ». Il Signore raccolse a una a una quelle parole, deponendole poi, quasi perle smaglianti, nelle mani della Vergine Maria: Ella pareva stringere al cuore flaconcini esalanti profumo soavissimo, che adornava con quelle perle, cioè con le preghiere recitate dalla Comunità, e offerte a Lei dal suo divin Figlio. Geltrude comprese poi che quei flaconi di profumo, simboleggiavano una prova che aveva colpito il giorno prima il Monastero, in modo inaspettato, senza che nessuno vi desse causa; Quella pena era stata confidata alla Madre di misericordia. Siccome Geltrude si stupiva di quel simbolo, Gesù la illuminò dicendole: « Le signore eleganti portano flaconi profumati più volentieri di altri ornamenti, perché quelle fragranze sono assai gradevoli. Così io trovo le mie delizie nei cuori di coloro che confidano con umiltà, pazienza e gratitudine le miserie della loro vita alla mia bontà paterna, la quale trasforma in bene, per coloro che mi amano, tanto le prosperità come le avversità del mondo ».
Geltrude domandò a Nostro Signore perchè mai andava istruendola con immagini così materiali. Egli le fece capire che, appunto nell'inno di quella festa, si alludeva alla porta chiusa che Ezechiele aveva visto in spirito e concluse: « Come i profeti hanno previsto l'ordino e il modo dell'Incarnazione, della Passione e della Risurrezione sotto simboli mistici, così le cose invisibili e spirituali non possono essere comprese dall'umano intelletto, se non sotto forma d'immagini: perciò nonché trascurare questi simboli materiali, devi gustarne le ascose delizie ».
A Mattutino durante il canto dell'Invitatorio: « Ave Maria », Geltrude vide tre ruscelli. meravigliosi zampillare, come da divina sorgente, dal Padre; dal Figlio, dallo Spirito Santo, poi scorrere nel Cuore della Vergine Madre, e indi risalire rapidi fino alla sorgente donde erano partiti. La Regina del cielo, ricca di sapienza e di bontà, riceveva dalla SS. Trinità un luminoso riverbero che la rendeva onnipotente pressa il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. La Santa comprese ancora che quando si recita divotamente l'Ave Maria, tre ruscelli circondano la Vergine, attraversano il suo Cuore immacolato, producendovi mirabili effetti e ritornano là donde sono partiti. Questo flusso e riflusso si trasforma in getto di letizia che investe gli Angeli, i Santi e reca si fedeli militanti, che ripetono la salutazione angelica, il bene loro derivato dal mistero dell'Incarnazione.
Quando nella liturgia si ripeteva un testo concernente la purezza della Vergine Santa come a esempio: « Haec est quae nescivit thorum etc. Domus pudici etc. Clausa parentis viscera etc. », i Santi si alzavano ad offrire i loro omaggi alla Vergine sovrana, ringraziando il Signore per i doni a Lei concessi per la salvezza del mondo. S. Gabriele arcangelo era investito da un raggio di divina luce, tutte le volte che si recitavano le parole ch'Egli aveva pronunciato il giorno dell'Annunciazione. Quando parimenti si nominano San Giuseppe, Sposo dì Maria SS., tutti i Santi s'inchinavano con rispetto verso di Lui e gli dimostravano l'immensa letizia che provavano per la sua dignità.
Durante la S. Messa nella quale doveva comunicarsi, Geltrude vide la Madre celeste adorna dello splendore di tutte le virtù; prostrandosi umilmente ai suoi piedi, la supplicò di aiutarla a ricevere degnamente il Corpo ed il Sangue del Figlio suo. La Vergine pose sul cuore della Santa uno splendido gioiello, ornato di sette perle preziose, le quali simboleggiavano le virtù per cui Maria SS. piacque al Signore: l'immacolata purezza, l'umiltà feconda, gli ardenti desideri, 1a scienza luminosa, la fiamma inestinguibile dell'amore, il gaudio del riposo in Dio, la confidente tranquillità. L'anima adorna di quel magnifico gioiello, piacque tanto al Signore, ch'Egli a sè l'attrasse, ricolmandola di dolci carezze.
Mentre si cantava all'ora di Terza; l'antifona Arte mira - Con arte meravigliosa, lo Spirito Santo parve uscire dal Cuore di Dio, quasi leggera auretta che sfiorava e, per così dire, accarezzava le sette perle preziose, incastonate nel gioiello della Santa; quel soffio divino, toccheggiando le sette gemme traeva, per la divina gloria, un'armonia ineffabile, come da uno strumento musicale.
Mentre al Vangelo si leggevano le parole: Ecce Ancilla Domini, Geltrude salutò divotamente la gran Madre di Dio, le ricordò la gioia ineffabile provata, quando pronunciò quelle parole abbandonando con piena confidenza alla divina Volontà la sua persona, e tutto quanto in essa doveva operarsi. La Vergine le rispose con dolce bontà: « A colui che m'invocherà in nome di questa ineffabile gioia, mi mostrerò quale si domanda nell'inno di questo giorno: "Monstra Te esse Matrem", cioè sarò per lui vera Madre del Re e del supremo Pontefice; del Re per potenza; del Pontefice per l'eccesso della tenerezza e della misericordia di cui lo circonderò ».
Durante i vespri all'antifona: « Haec est dies quam fecit Dominus. Hodie Dominus afflictionem populi sui respexit et redemptionem misit. Hodie, mortem quam femina intulit, femina fugavit (geneflectio). Hodte, Deus homo factus id quod fuit permansit, et quod non erat assumpsit. Ergo esordium redemptionis devote recolamus, et exultemus dicentes: Gloria tibi, Domine - Oggi è il giorno che il Signore ha fatto. Oggi il Signore ha guardato l'afflizione del suo popolo e gli ha mandato la sua redenzione. Oggi una donna ha messo in fuga la morte che un'altra donna aveva procurato. (In ginocchio). Oggi Dio fatto uomo, restando quello che sempre fu, si rivestì di quello che non fu giammai. Ricordiamoci, con amore dell'inizio di nostra Redenzione e diciamo, tra-salendo di gioia: Gloria a Te, o Signore. La Comunità si prostrò per venerare il grande mistero dell'Incarnazione del Signore. Il figlio di Dio, Re supremo, commosso da quelle parole che gli ricordavano l'amore che lo portò a farsi per noi uomo, si levò dal suo regale seggio e disse al Padre suo « Fratres met venerunt ad me - I miei fratelli vennero a me » (Gen.XLVI, 30). Oh, quale dolcezza dovette provare il Padre, sentendo quelle parole dal diletto Figlio, nel quale aveva posto tutte le sue compiacenze! Con quale trasporto dovette partecipare i suoi tesori ai fratelli del suo unico Figlio, mostrandosi infinitamente più generoso del Faraone d'Egitto che, secondo la Genesi, felicitò Giuseppe, e colmò di benefici tutti i suoi fratelli!
Geltrude conobbe in seguito quale preghiera tornerebbe più gradita, in quella festa, alla gran Madre di Dio. La Vergine stessa le confidò che se ciascun giorno dell'ottava si recitassero devotamente quarantacinque Ave Maria, in memoria dei giorni che Gesù trascorse nel suo seno verginale, ella accetterebbe tale omaggio come se l'avessero amorosamente servita e assistita, dal momento della concezione di Gesù, fino all'ora beata della sua nascita. E come non avrebbe potuto nulla negare a chi l'avesse circondata di simili premure, così le sarebbe impossibile non esaudire chi le avesse reso tale omaggio.
Geltrude capì meglio poi, mediante una divina ispirazione, come bisognava recitare l'Ave Maria. Alla parola Ave doveva chiedere conforto per le persone afflitte; alla seguente Maria, che vuol dire mare di amarezza, pregare per la perseveranza dei penitenti; alle altre: gratia plena, chiedere il sapore della grazia per quelli che più non la gustano; al Dominus tecum, implorare il perdono per i peccatori; al benedicta tu in mulieribus, il perfezionamento dei giusti; alla parola Jesus, che è splendor paternae claritatis, chiedere la vera scienza; alle parole Christus et figura substantiae ejus, l'amore divino per coloro che non amano. A ogni Ave Maria bisogna aggiungere queste parole: Jesu, splendor paternae charitatis et figura substantiae ejus - Gesù, splendore della gloria del Padre e figura della sua sostanza.
CAPITOLO XIII
INTENZIONI CHE BISOGNA AVERE PER LA CHIESA
DOMENICA DI SETTUAGESIMA
Geltrude, la domenica di Settuagesima, quantunque si sentisse estremamente debole, desiderava di ricevere la Santa Comunione e andava preparandosi il meglio possibile. La Superiora però le fece amorosamente notare, che non poteva comunicarsi senza mancare di discrezione; docilissima al parere altrui ella si astenne dalla Sacra mensa, e offrì al Signore quella privazione per sua eterna lode.
Allora Gesù si chinò con bontà verso di Lei e la ricevette nel seno della sua paterna tenerezza. Dopo d'averla accarezzata come una mamma accarezza il suo bambino, le disse: « Siccome ti sei astenuta dalla SS. Comunione unitamente per piacermi, voglio riscaldarti sul mio Cuore, affinché tu non ti affatichi a ricercarmi con un lavoro esterno».
Geltrude, gustando ineffabili delizie in quel domicilio d'amore, disse a Gesù, « O dolcissimo Amico, in questo tempo durante il quale il mondo è sotto l'impero di satana, totus in maligno positus est (I Giov. V, 19) e molti ti oltraggiano con l'ubriachezza e la crapula, desidero con tutto il cuore espiare questi delitti e promuovere la tua gloria nella nostra Comunità; perciò se voi quantunque io ne sia indegna ricevermi ai tuoi ordini e fare di me il tuo araldo, parteciperò ad altre anime quanto mi avrai comunicato e tutte insieme potremo placare la tua collera ». Rispose Gesù: « A colui che sarà il mio araldo, cederò in ricompensa, tutti i beni che avrà acquistati per me». Ella comprese allora che se una persona scrive o insegna con l'intenzione di procurare la gloria di Dio e la salvezza del prossimo, avrà, per la retta intenzione posta all'inizio, un aumento di gloria e di merito attraverso i secoli, cioè ogni volta che i suoi lavori faranno del bene alle anime nel corso del tempo.
Nostro Signore si compiacque poi di dirle: « Chi per soddisfare alle esigenze della natura, mangia, beve, dorme, abbia cura di santificare tali azioni materiali, dicendomi o con le labbra o col cuore: "Signore, prendo questo cibo, o questo ristoro, in unione dell'amore col quale da tutta l'eternità l'hai preparato per mio bene e con quello stesso amore con cui l'hai santificato quando la tua santa Umanità si degnò di sottomettersi e di sentire questa stessa necessità per la gloria di Dio e la salvezza del genere umano. Possa questo mio atto unito al tuo divino amore servire ad accrescere la gloria degli eletti ed a procurare il bene dei membri della Chiesa militante e purgante". Ogni volta che una persona gusterà qualsiasi ristoro con questa retta intenzione, ne avrò piacere come se stendesse davanti a me un forte scudo per proteggermi contro gli attentati dei mondani ».
Durante la S. Messa, mentre le monache si comunicavano, il Signore fece riposare Geltrude, con incredibile tenerezza, nella Piaga amorosissima del suo Costato, dicendo: « Giacché oggi ti privi, per motivo di discrezione, della S. Comunione sacramentale, vieni ad abbeverarti nella mistica sorgente del mio sacratissimo Cuore, che diffonde l'abbondanza efficace della soavità divina ». Saziata a quel torrente di voluttà ineffabile, la Santa ringraziò Dio, poi vide davanti al suo trono tutti coloro che, in quel giorno, dovevano comunicarsi. Il Signore consegnava a ciascuno una splendida veste che era adorna col preparamento alla Santa Comunione fatto da Geltrude; la divina bontà con quell'abito meraviglioso voleva aiutare quelle care anime a ricevere degnamente il Corpo del Signore. Adorne coi meriti stessi di Geltrude, esse si accostarono alla Sacra Mensa, e offrirono, a loro volta, quanto avevano ricevuto per la gloria di Dio, e aumento di grazia all'anima di Geltrude. La Santa comprese che quando, dopo di essersi preparata alla S. Comunione con preghiere e divozioni speciali, non ci si accosta al divino Sacramento per un motivo di discrezione, d'umiltà, o d'ubbidienza, pure l'anima si disseta al torrente della divina grazia; le persone poi che ricevono il Corpo di Gesù fruiscono della preparazione fatta da chi non si comunica, e sono rese meno indegne di sì grande mistero. Quindi il bene che ne ritraggono deve attribuirsi all'anima, che non avendo potuto accogliere Gesù, si era però disposta a riceverlo con fervore e buona volontà.
Geltrude obbiettò: « O dolcissimo Signore, se colui che si astiene dalla S. Comunione riceve tanti tesori, non varrebbe meglio astenersene sempre?». E Gesù di rimando: « Niente affatto, figlia mia! Sappi che chi per amor della mia gloria, mi riceve nutrendosi del divino Sacramento, si rinvigorisce spiritualmente col mio sacro Corpo e col nettare olezzante della Divinità, si che resta come investito e trasfigurato dall'incomparabile splendore delle mie divine virtù ». Geltrude aggiunse: « Quale sorte toccherà a quelle anime che si astengono dalla S. Comunione per essere più libere di seguire le loro leggerezze, non volendo lasciare, neppure per un giorno, le loro abituali infedeltà?». Gesù rispose con accento severo: « Chi trascura e omette la Santa Comunione per seguire più liberamente la sua volontà, diventa sempre più indegno di ricevermi e si priva perfino dei frutti che il Sacramento comunica ogni giorno a tutta la Chiesa ».
La Santa replicò: « Come mai, dolcissimo Gesù, certe anime che, quantunque si stimino indegne, si preparano ben poco a riceverti, provano per altro un'attrattiva potente per la SS. Comunione, tanto che giammai se ne astengono e provano vero tormento nei giorni in cui non possono riceverti? ». Nostro Signore rispose: « Ciò avviene perchè esse, arricchite da una grazia speciale, sono guidate dalla dolcezza del mio Spirito, come un re, abituato agli onori di corte, preferisce lo sfarzo dela reggia e non si sente di vagare per le strade come un umile figlio del popolo».
CAPITOLO XIV
COSTRUZIONE DELL'ARCA
DOMENICA DI SESSAGESIMA
Geltrude si trovava a letto sofferente, quando la domenica Exurge, sentì cantare a Mattutino il responsorio « Benedicens ergo»: memore delle delizie gustate tante volte al suddetto canto, disse al Signore: «Si, mio adorabile Maestro, ho cantato questo e altri simili responsori con tale fervore da sentirmi sollevare fino al trono della tua gloria là, servendomi del tuo sacratissimo Cuore come di uno strumento armonioso, arpeggiavo ciascuna parola e ciascuna nota. Ora, ahimè! spossata dalla malattia, trascuro queste meravigliose industrie d'amore ». Il Signore rispose: « Sì, mia diletta, tu hai cantato spesso, servendoti del mio Cuore: ora voglio ricompensarti modulando Io stesso una dolce melodia ». E aggiunse: « Come ho giurato al mio servo Noè di non mandare più il diluvio sulla terra, così giuro, sulla mia Divinità, che neppure uno di coloro che avranno ascoltato e praticato le tue parole con umiltà, potrà errare, ma avanzandosi in linea dritta e sicura, giungerà fino a Me, che sono via, verità e vita! Ego sum via, veritas et vita (Giov. XIV, 6). Confermo questo giuramento col sigillo della mia santissima Umanità che, a quel tempo, non possedevo, non essendomi ancora fatto uomo ». La Santa riprese: « O Sapienza eterna, che prevedevi tutte le cose future come se fossero passate, o presenti e che conoscevi le colpe che il mondo avrebbe commesse, perchè hai aggiunto il giuramento alle promesse di non più seppellire il mondo nelle acque del diluvio? » Rispose il Maestro: « Volli dare agli uomini un esempio nobilissimo, che loro insegnasse ad approfittare del tempo di pace per regolare saggiamente la loro condotta e compire il bene: così nell'ora dell'avversità saranno obbligati, almeno per questione d'onore, a mantenere la volontà sulla retta via ». Geltrude continuò: « Mio diletto Gesù, ho un grande desiderio d'imparare da Te, durante questa settimana, a servire degnamente la tua Maestà, costruendo un'arca ». Il Signore rispose: « Godrò assai l'arca che vorrei edificare nello stesso tuo cuore. Ricorda che l'arca di Noè aveva tre piani: gli uccelli occupavano quello superiore, gli uomini il mediano, gli animali l'inferiore. Dividi così le tue giornate: dai mattino fino a Nona, mi offrirai, dall'intimo del cuore, lodi e ringraziamenti; in nome di tutta la Chiesa, per i benefici di cui ho colmato gli uomini dal principio del mondo fino al presente e specialmente per l'immensa misericordia con cui, dal mattino a Nona, m'immolo sull'altare per la salute del mondo. Eppure gli uomini ingrati, noncuranti di tanti tesori, s'abbandonano alle prave soddisfazioni dei sensi. Riunirai gli uccelli nella parte superiore dell'arca, supplendo alla ingratitudine degli uomini coi sentimenti di devota riconoscenza, offerti in loro nome.
« Da Nona a sera esercitati in ogni sorta di opere buone, in unione con gli atti santissimi della mia Umanità; agisci con l'intenzione di supplire alla negligenza del mondo intero, dimentico de' miei benefici. In questo modo, riunirai per me tutti gli uomini nella parte mediana dell'arca.
« Alla sera pai ricorda, nell'amarezza del cuore, l'empietà del genere umano il quale, non soltanto mi rifiuta l'omaggio della riconoscenza, ma provoca la mia collera con ogni sorta di peccati. In espiazione di questi delitti offrimi le tue pene con le amarezze della mia Passione e morte; così chiuderai gli animali nella parte inferiore dell'arca».
Ella disse al Signore: « O mio Gesù, essendo quest'istruzione frutto del mio impulso personale, non oserei affermare con sicurezza che l'ho ricevuta da Te, o mio sapientissimo Maestro ». « E perché mai - rispose il Salvatore - i miei favori dovrebbero stimarsi meno quando faccio cooperare per ottenerli, ciò che Io stesso ho creato in te per il mio servizio, avendo Io pur detto: "Facciamo l'uomo a nostra immagine ecc.?" (Gen. I, 26). Per le altre creature sai bene che mi sono accontentato di dire: "Sia fatta la luce. Sia fatto il firmamento" (Ibid. I, 36) ».
Geltrude obbiettò: « Se io palesassi questa cosa, alcuni potrebbero seguire il loro senso personale, senza l'intervento della grazia, ed introdurre così nella Chiesa novità pericolose ». Gesù rispose: « Voglio darti una regola per giudicare rettamente in proposito: un'anima che è unita alla mia Volontà, e giammai si distoglie dalla medesima né per buona, o per cattiva sorte, un'anima, dico, che di più, in ogni azione cerca la mia gloria al punto di non più pensare ai suoi interessi, essa può affermare e rivelare senza timore quanto le sue facoltà le faranno conoscere e gustare nel segreto del cuore, purché siano cose conformi alla verità della Sacra Scrittura ed utili al prossimo».
Il Signore si presentò di nuovo alla Santa con grandi dimostrazioni di tenerezza e le disse: « Mia signora e mia regina, prodigami le tue carezze come io ti ho prodigato le mie». E dicendo queste parole il Dio onnipotente, amante appassionato dell'anima fedele, s'inchinava su di lei, come per riceverne il celeste amplesso. Ma l'anima, sorpresa di così inaudito favore, ed annientata nella più profonda umiltà rispose queste parole che scaturivano dal più intimo del suo essere: « Ma, non sei Tu il mio Dio, il mio Creatore? E non sono io la tua piccola creatura? ». A tali accenti la divina virtù attrasse la sua anima per farla godere in Dio. Ella allora gli disse: « O misericordiosissimo Padre, permetti alla tua serva di dormire qualche momento, dopo d'aver preso qualche aroma che mi darà vigore per poter ricevere il S. Sacramento ». Il Signore le rispose: « L'unione dell'anima tua con la mia, rinvigorirà le tue forze, molto più del sonno corporale ».
Durante la S. Messa, nella quale doveva comunicarsi, le sembrò di essere davanti al Signore e gli espresse i suoi lamenti per non poter assistere degnamente al S. Sacrificio a causa dei suoi malanni. Gesù le disse: « Recita il Confiteor ». Terminato che l'ebbe, il Signore aggiunse: « La mia Divinità abbia compassione di te e ti condoni ogni colpa ». Indi la benedisse, stendendo la mano destra. Geltrude, essendosi inchinata per ricevere la benedizione, fu raccolta da Gesù che, stringendola al suo Cuore cantò: « Ad imaginem quippe Dei factus est homo - L'uomo è stato fatto a immagine di Dio » (Gen. I, 27). Poi, per rinnovare in essa la dignità dell'immagine e somiglianza divina, la segnò sugli occhi, sulla bocca, sul cuore, sui piedi, sulle mani, cantando con dolcezza la stessa espressione.
Nel giovedì di carnevale, giorno in cui i mondani si abbandonano ai volgari piaceri della mensa, Geltrude sentì suonare il campanello, dopo le Laudi, per avvisare i servitori di casa che la colazione era pronta. Ella disse, gemendo al Signore: « Ahimè, mio Gesù amorosissimo, come gli uomini cominciano di buon'ora ad offenderti coi loro banchetti! ». Sorrise il Salvatore a quelle parole e disse: « Non affliggerti, mia diletta! I vostri uomini di casa non sono nel numero di coloro che mi offendono con eccessi di gola: questa colazione rinnoverà in loro energie per il lavoro, così mi fa piacere vederli rifocillarsi, proprio come un uomo che desse fresca avena al cavallo che deve portarlo per un lungo viaggio ».
CAPITOLO XV
CONFORTO DELLE PENE
DOMENICA DI QUINQUAGESIMA
Alla vigilia della domenica Esto mihi, Geltrude, essendosi allontanata dalle cose esteriori per raccogliersi profondamente nell'intimo dell'anima sua, venne trasportata nel seno della divina bontà, dove gustò tali delizie da sembrarle di governare, con il suo Dio, tutti i regni del cielo e della terra.
Ma dopo d'aver passata tutta la giornata nel gaudio spirituale, venne assalita verso sera, da un turbamento che la gettò in grande angoscia. Ella si sforzò di superarsi, riflettendo che quella pena era una minuzia trascurabile, ma non poté vincersi e dovette rassegnarsi a restare priva della calma serena che le era abituale.
Dopo d'aver passato l'intera notte insonne, supplicò il Signore di sciogliere quell'ostacolo e di accordarle, per la sua gloria, la gioia delle passate delizie. Il Signore le rispose: « Se tu vuoi alleggerire il mio fardello devi portare il tuo e metterti alla mia sinistra, affinché io possa riposare sui tuo seno. Infatti quando mi adagio sul lato sinistro, riposo sul cuore, ciò che mi è di grande ristoro nella fatica. Di più in tale positura, posso guardare direttamente nel cuor tuo, e raccogliere le vibrazioni melodiose dei tuoi desideri che mi rapiscono. L'amabile varietà dei suoi sentimenti mi affascina, vi respiro, assoluta confidenza che ti fa tendere verso di me con tanto slancio, e sono dolcemente commosso dall'ardente carità che ti fa bramare la salvezza eterna di tutti gli uomini. Il ricco tesoro dei tuo cuore rimane aperto davanti a me, così che posso distribuirne le ricchezze al mondo intero, in modo che tutti i bisognosi abbiano da risentirne beneficio. Se tu invece ti ponessi alla mia destra, cioè se l'anima tua non conoscesse che la consolazione, rimarrei privo di tutte queste dolcezze, perchè la mia testa riposerebbe sul tua cuore e tu ben sai che gli oggetti che stanno sotto il capo non possono essere nè visti dagli occhi, nè percepiti con l'odorato, nè toccati con le mani senza difficoltà ».
Geltrude, nei tre ultimi giorni di carnevale durante i quali i mondani commettono tante colpe con crescente insolenza, bramava offrire al Signore un omaggio gradito. Gesù le disse: « La cosa che maggiormente bramo è che tu soffra con pazienza, in unione alla mia Passione, le pene interne ed esterne che potranno capitarti e faccia quello che maggiormente ripugna alla natura, mediante la vigilanza ed il dominio dei sensi; tutto si può sperare dalla mia divina bontà, se si compiono questi sacrifici in memoria della mia Passione ». Ella disse ancora: « Vorrei, o amatissimo Gesù, che m'insegnassi le preghiere più efficaci per placare la tua collera in questi giorni, nei quali il mondo ti offende con maggiore insolenza ». Rispose il Signore: « Mi sarebbe gradito che si dicesse tre volte il Pater noster, oppure il Laudate Dominum omnes gentes, offrendo al Padre tutte le affezioni del mio santissimo Cuore nelle quali mi esercitai, con tanta fatica, stilla terra per la salute del genere umano, le miei lodi, i miei ringraziamenti, i miei gemiti, le mie opere; i miei desideri ed il mio amore, per espiare tutti i delitti terrestri e carnali, tutte le perverse volontà con le quali il cuore umano si è lasciato sedurre.
« Col secondo Laudate bramo che si offrano al Padre tutti i movimenti della mia santissima bocca, la mia astinenza e temperanza, sia nel vitto, sia nelle conversazioni, sia nelle predicazioni, le mie continue preghiere e tutti gli esercizi nei quali mi consumai per la salvezza dei mondo. Tutto va offerto in espiazione dei peccati commessi nella Chiesa universale con l'intemperanza nel mangiare, nel bere, nelle conversazioni inutili.
« In terzo luogo desidero che si offrano a Dio Padre tutti i movimenti del mio santissimo Corpo e di ciascuno dei miei membri, la serie delle mie opere perfette, tutta l'amarezza della mia Passione atroce e della morte che tollerai per la salvezza delle anime: tale immenso tesoro sia offerto in espiazione di tutti i peccati commessi in questo tempo, con atti e procedimenti contrari alla salute ed alla virtù ».
Verso l'ora di Terza, Gesù apparve a Geltrude, com'era quando venne legato alla colonna per la flagellazione: due carnefici erano al suoi fianchi, uno lo colpiva con acute spine, l'altro con un flagello nodoso. Entrambi flagellavano il Volto di Gesù, riducendo quel santo Viso in uno stato compassionevole, tanto che Geltrude ne fu straziata nell'intimo del cuore. Commossa e piangente andava riandando, durante il giorno, quello spettacolo angoscioso; ella era persuasa che nessuna persona al mondo ebbe mai a subire uno scempio così atroce. Infatti la parte del viso colpita, dalle spine, le parve talmente contusa che perfino la pupilla degli occhi non venne risparmiata; l'altra parte, colpita dal flagello nodoso, era orribilmente gonfia e livida. Nell'eccesso dello spasimo il Signore cercava di parare i colpi, ma se si piegava da una parte, il carnefice lo colpiva crudelmente dall'altra. Volgendosi allora come ombra sanguinante a Geltrude, le disse: « Ricordi le parole che di me furono scritte! Vidimus eum tamquam leprosum - Noi l'abbiamo visto come un lebbroso? » (Isaia LIII, 2, 4). « Ah, mio Gesù - rispose la Santa - come potremo calmare gli orrendi strazi del tuo dolcissimo Volto? ». Rispose il Signore: « Se qualche anima, commossa e amante, mediterà la mia Passione, pregando per i peccatori, mi offrirà un farmaco prodigioso che placherà ogni mia sofferenza ».
Nei due carnefici Geltrude vide rappresentati i laici che peccano pubblicamente, colpendo così il Signore con fasci di spine, ed i Religiosi che lo flagellano, mancando alla Regola; gli uni e gli altri martoriano il santo Volto, perchè non arrossiscono di disonorare lo sguardo di Dio, che regna nei cieli. Ella inoltre comprese che la Passione del Signore è descritta nel Vangelo, perché gli eletti la meditino con amore, per la gloria di Dio e per il vantaggio della Chiesa. La penosissima flagellazione del Signore, come la vide in quel giorno, è descritta due volte nei sacro testo.
Nell'epistola di quella domenica la carità è particolarmente raccomandata, affinché c'impegniamo ad amare Dio ed il prossimo. Dio, deplorando gli oltraggi che a Lui si recano, il prossimo pensando con compassione al tremendo giudizio che si prepara coi suoi disordini. Il miglior mezzo per riparare l'onore di Dio e per soccorrere i fratelli, è il ricordo della Passione del Signore; lo ringrazieremo di quanto per noi ha sofferto, supplicandolo di risparmiare coloro per i quali si è sacrificato.
Alla S. Messa, mentre Geltrude rivolgeva a Dio le parole dell'Introito, attribuendole a se stessa in quel tempo di carnevale, sentì la divina voce dirle: « Sii la mia protettrice, o Sposa diletta, difendimi, per quanto puoi, dagli insulti dei quali sono vittima, specialmente in questo periodo. Respinto da tutti e bisognoso di riposo, vengo a rifugiarmi nel tuo cuore ». Geltrude lo accolse teneramente, cercando d'introdurlo nel più intimo del suo essere.
Ma, rapita fuori dei sensi e immersa in Dio, non poté uniformarsi alle cerimonie del coro, nel levarsi e nel sedersi. Avvertita benevolmente da una Consorella e accortasi dello sbaglio, supplicò il Signore di aiutarla nella direzione dei movimenti, per evitare incresciose singolarità. Gesù buono le rispose: « Confidami, o figlia, quella qualità affettiva che si chiama amore, perchè tenga il tuo posto presso di me, mentre tu sorveglierai i movimenti del tuo corpo ». « O amabilissimo Signore - replicò la Santa - se uno dei miei affetti può supplirmi, preferisco abbandonare il corpo alla guida della ragione, per essere poi tutta a tua disposizione». Da quel punto ella ottenne da Dio la grazia di non essere mai attratta interiormente, in modo di mancare ai suoi obblighi esteriori.
CAPITOLO XVI
TUTTE LE NOSTRE BUONE OPERE SONO CONTATE E NOI POSSIAMO NOBILITARLE CON L'UNIONE ALLA PASSIONE DEL SALVATORE
La notte seguente, il Signore Gesù apparve a Geltrude assiso sul trono della sua gloria. S. Giovanni, seduto ai suoi piedi, scriveva. La Santa chiese all'apostolo cosa mai annotasse, ma Gesù, prendendo la parola, rispose: «Egli segna accuratamente gli omaggi che ieri la comunità mi ha offerto e quelli che riceverò nei giorni seguenti. Il Padre mi ha rimesso il giudizio; così voglio ricompensare, dopo la morte, tutto quanto un'anima avrà fatto per me, esercitandosi nelle buone opere. In virtù dei meriti della mia Passione aggiungerò alle azioni di queste anime una misura colma e pigiata, che le impreziosirà meravigliosamente. Le condurrò poi davanti al Padre mio con il patrimonio completo dei loro atti buoni, affinché nella sua potenza e paterna bontà, vi aggiunga ancora una misura trabocchevole, per gli omaggi di riparazione che mi hanno prodigato in questi giorni nei quali sono tanto offeso dai mondani. Io sono l'Amico più fedele e non posso lasciare senza ricompensa coloro che mi fanno dei bene. Potrei forse essere da meno del Re Davide? Egli aveva sempre premiato i servizi a lui resi, tuttavia, all'avvicinarsi della morte, fece venire il figlio Salomone, nelle mani del quale aveva già deposto il regno e gli disse: « Tu sarai riconoscente verso i figli di Berzellai di Gallad e li terrai alla stessa tua mensa, perchè mi hanno consolato e accolto quando fuggivo davanti al tuo fratello - Assalonne Filits Berzellai Galaaditis reddes gratiam, eruntque comedentes in mensa tua: occurrerunt enim mihi cum fugerem a facie fratrts tuii Absulon » (III, RE. 11, 7).
Un servigio offerto nel tempo dell'avversità è più gradito e ha maggior merito, di quella reso nel tempo prospero; così io sono più commosso dalle prove di fedeltà che mi sono date in questo tempo nel quale il mondo mi perseguita ».
Intanto S. Giovanni continuava a scrivere, intingendo la penna in un corno e vergando lettere di colore nero. Altra volta la intingeva nella Piaga amorosa del Costato di Gesù e tracciava lettere di colore rosso, che poi adornava di nero e di purissimo oro.
Geltrude vide le opere dei Religiosi che osservano la Regola scritte a caratteri neri, come ad esempio i digiuni che tutti compiono a partire da quella seconda ferie. Le lettere rosse indicavano le opere fatte in memoria della Passione di Cristo, col desiderio di aiutare la S. Chiesa. Queste ultime lettere ornate di nero indicavano gli atti compiuti in memoria della Passione di Cristo per ottenere grazie da Dio, o qualche bene di questo genere, perchè il nero rappresenta ciò che riguarda la salute personale. Gli ornamenti di oro significavano le azioni compiute unicamente per la gloria di Dio e la salvezza del genere umano, con la completa rinuncia ad ogni merito e ricompensa, per offrire a Dio un omaggio di puro amore. Se le prime ricevono ricompensa grande, queste ultime hanno merito assai maggiore, e schiudono all'uomo tesori più abbondanti di salvezza.
La Santa si accorse poi che, fra i diversi colori, vi era uno spazio vuoto. Domandato a Gesù il motivo, si ebbe questa risposta: « In questo tempo voi avete l'abitudine di oflrirmi desideri e preghiere in memoria della mia Passione; perciò ho fatto notare accuratamente i pensieri e le parole a me consacrate; gli spazi vuoti indicano però che non sempre compite le vostre azioni con questa intenzione che mi è così cara ». Geltrude insistette: « Come, amorosissimo Gesù, dobbiamo agire per farti piacere? ». Egli spiegò: « Dovete unirvi alla Passione per praticare i digiuni, le veglie e tutte le osservanze regolari. Di più, quando mortificate i sensi, dovete pensare all'amore con cui ho regolato i miei sensi nelle ore atroci della Passione. Con un solo sguardo avrei potuto abbattere i miei nemici, con una sola parola i miei accusatori: ma come l'Agnello che si conduce al macello (Isaia LIII, 7) ho chinato la testa ed abbassato gli occhi. Davanti al giudice non ho aperto la bocca (Ibid) per opporre una parola di difesa, alle false accuse che si lanciavano contro di me ». Geltrude riprese: « Insegnami, o incomparabile mio Maestro, una pratica in onore della tua Passione ». Le rispose Gesù: « Prega con le braccia aperte in forma di croce, per presentare a Dio Padre l'immagine della Passione: offri tale preghiera per la Chiesa universale, in unione all'amore che mi animava, quando stesi le braccia per lasciarmi crocifiggere ». Geltrude rispose: « Quando si pregherà in tale atteggiamento sarà bene celarsi in luogo appartato, perchè noi non usiamo pregare così ». E Gesù: « Il celarsi per pregare in luogo ritirato mi sarà gradito e ciò impreziosirà tale preghiera, come una gemma abbellisce una collana; però, se alcuno pregherà in pubblico con le mani tese in forma di croce, disprezzando qualsiasi contrasto, mi onorerà come il suddito che rende omaggio al re, nel giorno della sua salita al trono ».
Alle intenzioni e preghiere notate da S. Giovanni sul libro che teneva fra mano, era aggiunto anche il nome della persona che, con consigli ed esempi aveva animato gli altri a recitare quelle preghiere. Era questa un'evidente prova della bontà infinita di Dio, che si compiace di ricompensare doppiamente il poco che la debolezza umana si sforza di offrirgli con semplicità.
Geltrude chiese in seguito: « Perché mai, o dolce Gesù, hai scelto S. Giovanni per scrivere queste note e non S. Benedetto, che è il nostro fondatore, oppure qualche altro santo? ». Rispose il Signore: « Ho affidato tale compito al mio Apostolo prediletto, perchè è proprio lui che ha scritto di più sull'amore di Dio e del prossimo. Dovete avere grande fiducia in lui per assecondare i disegni della divina liberalità e procurare i vostri spirituali vantaggi ».
Il mercoledì seguente, essendosi Geltrude presentata al Signore in nome della Chiesa, (cioè con essa e per essa), per offrire l'espiazione quaresimale, Gesù, pieno di bontà, la ricevette nelle sue braccia con tanta affabilità da farle capire per esperienza quale amore Egli, Cristo sposo, prodighi alla sua Sposa, la Santa Chiesa.
CAPITOLO XVII
OFFERTA DEL SIGNORE PER L'ANIMA DI GELTRUDE
LE TRE VITTORIE DI DIO
I. Domenica di Quaresima.
Nella domenica Invocavit, trovandosi Geltrude insufficientemente preparata per ricevere la S. Comunione, pregò divotamente il Signore perchè si degnasse di attribuirle il santissimo suo digiuno ch'Egli aveva sopportato per la nostra salvezza, per supplire al digiuno quaresimale ch'ella non poteva praticare, per le sue infermità. A tale domanda il Figlio di Dio si levò premuroso e raggiante, poi genuflesso riverentemente davanti al Padre, disse: «O Padre, giacché sono il tuo Figlio unico, coeterno e consustanziale, conosco nella mia inesauribile Sapienza, tutta l'estensione dell'umana debolezza; la conosco meglio ancora di questa stessa anima e di ogni altra, così so compatire in mille modi a tale fragilità. Nel vivissimo desiderio di supplire alla medesima ti offro, o Padre santissimo, l'astinenza della mia sacra bocca per riparare le parole inutili che la mia diletta Sposa ha pronunciato: ti offro, o Padre giustissimo, la mortificazione imposta alle mie sacratissime orecchie, per riparare le colpe nelle quali il senso dell'udito l'ha fatta cadere. Ti offro ancora la modestia dei miei occhi per cancellare le colpe ch'élla può avere contratto con gli sguardi illeciti; ti offro la mortificazione delle mie mani e dei miei piedi per tutte le imperfezioni delle sue opere e de' suoi passi; infine, o Padre amatissimo, offro alla tua Maestà il mio Cuore deificato per tutte le colpe che ha commesse con pensieri, desideri e volontà ».
Geltrude apparve allora davanti al Padre con abiti bianchi e rossi, adorna di ricchissimi ornamenti come persona appartenente alla più alta nobiltà. La veste bianca indicava l’innocenza di cui la sua anima si era arricchita per le privazioni del Cristo; quella rossa era il simbolo delle fatiche della sua astinenza; i vari armamenti rappresentavano il lavoro immenso che costò alle membra del Salvatore la nostra salvezza; Dio Padre pose Geltrude, così nobilmente adorna della stessa bellezza di Cristo, fra Lui e il suo Figlio unico come assisa ad un banchetto delizioso. Da una parte ella era illuminata dallo splendore dell'Onnipotenza divina del Padre che la innalzava in dignità; dall'altra riceveva il riverbero dell'impenetrabile Sapienza del Figlio di Dio, che aveva saputo rivestirla con tanta perfezione, mediante le sue virtù e le sue opere: fra questi due meravigliosi splendori che rischiaravano l'anima a destra e a sinistra, v'era una piccola zona di ombra, che raffigurava l'indegnità di Geltrude. Ella approfondì la realtà della sua miseria; tale sentimento la rese più gradita a Dio ed infiammò d'amore il Cuore del Re.
Il Figlio di Dio le pose davanti, a guisa di triplice vivanda, le tre vittorie di cui, parla il Vangelo di questo giorno, affinché ella ricevesse un antidoto salutare per combattere le tre tendenze viziose che trascinano l'uomo al peccato: la concupiscenza della carne, cioè la ricerca dei piaceri del senso; la concupiscenza degli occhi, cioè il desiderio delle ricchezze e degli onori; l'orgoglio della vita, cioè l'amore della propria eccellenza.
E primieramente quando il diavolo, per ridestare nel Signore il diletto della gola gli disse: « Comanda che queste pietre diventino pane», Egli lo respinse sapientemente con quelle parole: « Non di solo, pane vive l'uomo »; così Geltrude trovò in quelle, gloriosa vittoria l'espiazione di ogni diletto naturale, e la forza di resistere alle seduzioni della carne. Infatti più si segue la tendenza al male e meno si ha la forza di resistere; perciò ognuno può offrire a Dio Padre questa vittoria di Gesù, per espiare i peccati commessi nel cattivo uso delle creature, e per domandare la forza di resistere in futuro. La seconda vittoria di Nostro Signore diede all'anima il perdono di tutte le colpe commesse per libero consenso e le accordò pure la forza di resistere in avvenire. Tutti possono offrire tale vittoria ai Padre celeste per espiare i peccati di pensiero, di parola, di opera che hanno ferito la coscienza, e anche per accrescere energie di resistenza per non cadere in futuro. La terza vittoria del Salvatore diede all'anima il perdono delle colpe commesse per concupiscenza, lo smodato desiderio di avere ciò che non possedeva, dandole vigore per non cadere mai in tali colpe. Chiunque può applicarsi ad ottenere queste grazie.
Durante la S. Messa ella ascoltò attentamente la lettura dell'epistola per scegliere, fra le varie virtù che si enumerano, quella che potrebbe imitare, o consigliare ad altri con maggiore utilità.
Non ricevendo nessuna luce in proposito, disse al Signore: « Insegnami, o dolcissimo Amico delle anime, con quale virtù potrò piacerti maggiormente, giacché non mi è dato praticarle tutte ogni giorno ».
Il Salvatore rispose: « Considera che nell'enumerazione delle virtù, ci sono quelle parole: - In Spiritu Sancto - e siccome lo Spirito Santo è la buona volontà, applicati soprattutto a possedere questa buona volontà, così avrai la bellezza e la perfezione di ogni virtù, perchè la buona volontà è più feconda di tutte. Chi ha la buona volontà di lodarmi, di amarmi sopra tutte le creature, di ringraziarmi, di compatire i miei dolori, di praticare le virtù nel modo più perfetto, sarà infallibilmente ricompensato dalla mia divina liberalità e con maggiore larghezza di un altro, che abbia realmente compiuto un'opera buona ».
In seguito lo Spirito Consolatore, avanzandosi fra il Padre e il Verbo, si pose davanti all'anima, irradiò i suoi splendori sulla zona di ombra della quale abbiamo più sopra parlato, che rappresentava la profonda indegnità dell'anima. In virtù di quella divina chiarezza, Geltrude, spoglia da ogni miseria, fu felicemente immersa nell'oceano vivente di luce eterna!
CAPITOLO XVIII
OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE
II. Feria - (Lunedì della 1a settimana di Quaresima).
Il giorno seguente, mentre si leggeva il Vangelo: « Venite benedirti Patris mei, esurivt enim etc. - Venite, benedetti dal mio Padre; avevo fame ecc. », Geltrude disse al Signore: O mio dolce Gesù, non è possibile a noi, che viviamo sotto una Regola monastica e che nulla possediamo, di dare effettivamente da mangiare agli affamati, da bere agli assetati e di compiere opere di misericordia consimili. Insegnami dunque il modo di ottenere noi pure la dolce benedizione promessa nel Vangelo a coloro che compiono tali opere ». Rispose il Salvatore: « Essendo Io realmente la salvezza e la vita delle anime, ho sempre fame e sete del loro bene; così colui che si applicherà ogni giorno a leggere qualche passo edificante della Sacra Scrittura, calmerà la mia fame, con quella soave refezione. Se poi aggiungerà a tale lettura il desiderio di ottenere la grazia della divozione e della compunzione, soddisferà alla mia sete. Colui poi che, ogni giorno, almeno per un'ora si sforzerà di pensare a me con tutta l'attenzione dell'anima, mi offrirà gradita dimora. Sarò convenientemente vestito dall'anima che si eserciterà nelle virtù con perseveranza, e visitato nelle mie infermità da chi respingerà con forza le tentazioni. Infine accoglierò le preghiere che mi saranno offerte per i peccatori e per le anime purganti, come se, relegato Io stesso in oscura prigione, fossi ristorato da caritatevole visita. Colui che per amor mio praticherà ogni giorno tali opere di misericordia, soprattutto durante la Quaresima, sarà ricompensato dalla mia regale liberalità e dalla mia fedele amicizia. La mia Incomprensibile Potenza, la mia inesauribile Sapienza, la mia infinita Bontà gli accorderanno abbondanti, magnifiche ricompense ».
CAPITOLO XIX
OFFERTA FATTA PER LA CHIESA
II. Domenica di Quaresima.
Nella domenica chiamata Reminiscere, Geltrude fu introdotta nella camera nuziale dello Sposo, per godere nel modo più sublime doni elevatissimi. Ella assaporava le delizie della divina tenerezza, senza tuttavia poterle esprimere in linguaggio umano; perciò chiese al Signore d'insegnarle un esercizio utile da praticare nel corso di quella settimana. Il divino Maestro rispose: « Portami due eccellenti capretti, cioè il corpo e l'anima di tutto il genere umano ». Ella allora comprese che Dio, con quelle parole, esigeva da lei una soddisfazione tale, da estendersi a tutta la Chiesa. Sotto l'ispirazione dei divin Paracleto recitò 5 Pater in onore delle cinque Piaghe di Gesù, per espiare tutti i peccati che gli uomini hanno commessi coi sensi; poi tre Pater in riparazione dei peccati commessi con le tre potenze dell'anima, cioè la ragione, l'appetito irascibile e concupiscibile. Offrì tale preghiera in unione alla santissima intenzione con cui Gesù la santificò nel suo dolcissimo Cuore, facendola scaturire dal medesimo per la salvezza degli uomini. Geltrude l'offerse a Dio in riparazione delle colpe e delle negligenze che l'ignoranza, la malizia, o la fragilità umana le avevano fatto commettere verso la Onnipotenza invincibile, l'inscrutabile Sapienza e la Bontà infinita di Dio.
Mentre gli presentava tali offerte, il Signore si mostrava completamente placato e la benedisse con tenerezza, tracciando su di lei un segno di croce che si estendeva dalla testa ai piedi. In seguito, tenendola amorosamente abbracciata, la condusse davanti a Dio Padre che si degnò di guardarla con bontà: Egli la benedisse in modo ineffabile.
Le diede altresì la benedizione del genere umano, cioè così vasta che sarebbe stata sufficiente per tutti gli uomini, se ciascuno di essi fosse disposto a riceverla.
Cerchiamo noi pure in questa seconda settimana di Quaresima di recitare cinque Pater per cancellare le colpe commesse con atti corporali, e tre altri Pater per riparare, quelle commesse con atti spirituali, in tutta la Chiesa. Potessimo noi pure ricevere l'effetto di questa salutare benedizione, per Gesù Cristo, Figlio di Dio, che si degna essere e mostrarsi il Capo e lo Sposo della Chiesa!
CAPITOLO XX
COME SI PUO' COMPERARE I MERITI DAL CRISTO
III. Domenica di Quaresima (Oculi ).
Geltrude, nella domenica Oculi, per porre armonia fra la sua divozione e la liturgia, ricorse al Signore, secondo il solito, e lo pregò d'insegnarle quale esercizio avrebbe potuto praticare specialmente in quella settimana. Rispose il Maestro: « Voi ora leggete, nell'Ufficio della Chiesa, che Giuseppe venne venduto per trenta danari. Questo esempio t'impegni a comperare con trentatré Pater la santissima vita che ho condotto in terra, per la salvezza degli uomini. Partecipa a tutta la Chiesa questo tesoro per la mia gloria e la salute universale ». Dopo aver messo in pratica questo consiglio, Geltrude vide la Santa Chiesa simile a Sposa meravigliosamente adorna, col frutto della perfettissima vita del suo Sposo divino.
CAPITOLO XXI
IL BANCHETTO DEL SIGNORE
III. Domenica di Quaresima (Laetare ).
Geltrude nella domenica Laetare, chiese al Signore ciò che avrebbe potuto offrirgli durante quella settimana. Egli rispose: « Conducimi tutti quelli che, nella precedente settimana, hai rivestito de' miei meriti, perchè voglio invitarli a mensa ». Chiese la Santa: « Come potrò io a Te condurli?
Oh, se potessi presentarti tutte quelle anime nelle quali prendi le tue delizie, percorrerei volentieri, da questo momento fino al giorno del giudizio, a piedi nudi, il mondo intero e prendendo nelle braccia tutti coloro che non ti conoscono, te li porterei, o dolcezza dell'anima mia, perchè ti rallegrino; obbligati, per così dire, ad amarti essi soddisferebbero in parte si desideri della tua tenerezza infinita. Vorrei ancora, se fosse possibile, suddividere il mio cuore in tante parti quanti uomini esistono, per dare a ciascuno di essi la buona volontà di servirti, secondo il supremo desiderio del tuo divin Cuore ». Rispose Gesù: « La buona volontà che manifesti mi è gradita e supplisce a tutto ». Ella comprese che l'intera Chiesa era condotta verso Dio, nello splendore dei più ricchi ornamenti. Le disse il Signore: « Tu stessa oggi servirai questa moltitudine ».
Ispirata dal divin Paracleto, ella si prostrò davanti a Gesù e baciò la Piaga del suo piede sinistro, per espiare i peccati commessi in tutta la Chiesa con pensieri, desideri e volontà perverse; supplicò poi il Signore di rendere efficace tale soddisfazione, unendola alla preziosa offerta dei suoi meriti, coi quali cancellò tutti i peccati del mondo. Geltrude ricevette l'effetto di tale preghiera, sotto la forma di un pane che presentò immediatamente al Signore, in segno di riconoscenza. Gesù lo ricevette con bontà e, levando gli occhi, ringraziò Dio Padre, lo benedisse, poi lo restituì alla Santa, perché lo distribuisse a tutta la Chiesa. In seguito Geltrude baciò la Piaga del piede destro per supplire a quanto nella Chiesa si era omesso in fatto di santi pensieri di ardenti desideri, di buona volontà, e pregò il Salvatore di offrire Lui stesso quel degno compenso, che aveva saldato il debito del genere umano. Indi Geltrude baciò la Piaga della mano sinistra, per riparare i peccati commessi nel mondo, in parole ed opere, supplicando ancora il Redentore di offrire le sante espiazioni con le quali aveva cancellato ogni nostra colpa. Baciò poi la Piaga della mano destra per supplire alle negligenze che i figli della Chiesa avevano contratto con l'omissione di parole e di opere buone, pregando Gesù di controbilanciare tali imperfezioni coi dono della sua perfezione infinita. Per tale omaggio reso a ciascuna delle SS. Piaghe, ella riceveva un pane che poi, come sopra dicemmo, offriva al Signore, il Quale benedettolo, glielo restituiva perchè lo distribuisse alla S. Chiesa.
Da ultimo ella si avvicinò all'amorosa Piaga del Costato di Cristo e, baciandola con tutta la tenerezza dei cuore, chiese al Signore di dare alla Chiesa, oltre la degna riparazione dei peccati e la completa riparazione delle negligenze, i meriti della sua santa vita, meriti che lo fanno risplendere di una meravigliosa gloria a destra del Padre, e che devono assicurare a questa Sposa carissima, il colmo dell'eterno gaudio.
La divina bontà si degnò di esaudirla ancora, ed ella poté distribuire tale beneficio sotto la forma di un quinto pane: pareva imitare i grandi dei mondo, i quali, dopo di aver saziato i loro ospiti in un grande banchetto, loro servivano dolci, frutta ed altre leccornie per ricreare il gusto e stuzzicare l'appetito.
Geltrude disse poi a Nostro Signore: « Cosa mi darai oggi da distribuire alla Chiesa, per i pesci di cui si parla nel S. Vangelo? », Rispose Gesù: « Ti dono il santissimo esercizio delle mie membra immacolate, per comunicarlo a coloro che hanno trascurato di servirmi con tutte le loro forze ed i loro sensi. Ti dono anche l'esercizio della mia nobilissima anima per tutti coloro che non mi hanno lodato, amato, ringraziato con tutto il vigore e l'energia dell'anima ».
Abbiamo notato più sopra che il Signore, accettando il pane, ringraziava il Padre. Geltrude ricevette la spiegazione di quest'atto, e seppe che, se alcuno compie, per la gloria del Padre, un'opera buona, fosse pure anche solo un Pater, un'Ave, o un salmo recitati per sè o per altri, il Figlio di Dio accetta quell'offerta come un frutto della sua perfetta Umanità, ringrazia Dio Padre, benedice tale frutto, lo moltiplica e lo distribuisce a tutta la Chiesa, per l'eterna salute degli uomini.
Si può dunque, durante questa settimana, recitare cinque Pater, In onore delle dolci Piaghe del Salvatore e, dopo di averle devotamente baciate, pregare, come più sopra si disse, per espiare le colpe dei membri della S. Chiesa e supplire alle negligenze universali. Dopo d'avere compiuto un tale atto, si potrà sperare di ottenere una grazia analoga dalla misericordia di Dio.
CAPITOLO XXII
UTILITA' DEL RICORDO DELLA PASSIONE DI GESU'
Domenica di Passione (Judica ).
Nella domenica Judica, quando si comincia a onorare più particolarmente la Passione di Gesù, mentre Geltrude si offriva a Dio per soffrire nell'anima e nel corpo tutto quanto piacesse alla divina volontà, vide il Signore accettare la sua offerta con ineffabile riconoscenza. Bentosto, dietro l'influsso divino, salutò dal più intimo del cuore, ciascuna di quelle santissime membra che tanto avevano sofferto per la nostra salvezza, durante la Passione.
Quando salutava un membro di Gesù, sfuggiva dal medesimo un divino splendore che illuminava la sua anima; e in tale luce ella riceveva la comunicazione dell'innocenza che il Cristo aveva acquistato alla Chiesa con le sofferenze di quel membro. Quando tutte quelle membra l'ebbero penetrata della loro luce, e adornata con la loro innocenza, ella disse: « O mio Signore, insegnami ora a glorificarti, celebrando la tua santa Passione, con l'innocenza di cui la tua gratuita bontà mi ha arricchita ». Gesù le rispose: « Considera spesso in te stessa, con riconoscenza e compassione, l'angoscia che mi gettò in una suprema agonia, quando io, tuo creatore e tuo Maestro prolungai la mia preghiera (Luc. XXII, 43). Ricordati di quel sudore di sangue di cui inzuppai la terra, per, la veemenza dei miei desideri e del mio amore; infine confidami tutte le tue azioni e tutto quanto ti riguarda, in unione con quella sommissione che mi fece dire: « Pater, non mea, sed tua voluntas fiat - Padre, non la mia, ma la tua volontà si faccia » (Luc. XXII, 42). Accetta, o Sposa mia, la prosperità e l'avversità, perchè è il mio divino amore che dispone l'una e l'altra per la tua salvezza eterna. Ricevi con riconoscenza la prosperità, che l'amore mio accondiscendente offre alla tua debolezza, perchè ti ricordi dell'eterna felicità e affinché tu sia animata alla speranza. Ricevi anche la prova, unendoti a quell'amore paterno che mi consiglia d'inviartela, affinché tu possa acquistare meriti per l'eternità ».
Geltrude propose di salutare le membra del Cristo, durante quella settimana, con l'orazione: « Salvete, delicata membra etc. » e intuì che quel suo proposito era piaciuto assai al Signore. Non esitiamo perciò a imitarla se vogliamo gustarne lo stesso gaudio.
Durante la S. Messa, mentre si leggeva quel passo del S. Vangelo: « Doemonium habes - Tu sei posseduto dal demonio », ella fu profondamente commossa per l'ingiuria fatta al suo Sposo, e non potendo sopportare che il Diletto dell'anima sua fosse così oltraggiato, si sforzò di contrapporre all'ingiuria espressioni di squisita tenerezza: « Salve, perla vivificante della nobiltà divina, - disse ella - salve fiore immortale della dignità umana, amabilissimo Gesù, mia suprema ed unica salvezza! ». Il Signore, pieno di bontà, volle secondo il suo solito, ricompensarla e, chinandosi verso di lei, l'accarezzò, mormorando all'orecchio della sua anima queste parole: « Io sono il tuo Creatore, il tuo Redentore, Colui che ti ama: ti ho acquistata nelle angosce della morte, a prezzo di tutta la mia beatitudine ».
In quel momento tutti i Santi manifestarono grande ammirazione per l'ineffabile accondiscendenza del Signore verso quell'anima e ne benedissero Dio con gaudio immenso.
Il Signore disse poi: « All'ora della morte e del giudizio rigoroso, quando l'anima si troverà di fronte alle accuse dei demoni, io le mostrerò una tenerezza pari a quella che a te ho dimostrato, se avrà contrapposto agli oltraggi di cui sono colmato dai cattivi, il dolce saluto che il tuo amore ti ha ispirato. Io la consolerò con le stesse parole che ho rivolto a te, Io tuo Creatore, tuo Redentore, ecc. Se tale espressione ispira tanto giubilo ai Santi del cielo, come saranno terrorizzati e messi in fuga i nemici dell'anima che avrà meritato dalla mia divina bontà tale consolazione nel giorno estremo! ».
Sforziamoci noi pure dunque, con tutto l'affetto del cuore, d'offrire al Signore questo omaggio, quando sentiamo che ha ricevuto qualche ingiuria; se non sappiamo farlo con l'ardore di Geltrude, offriamo almeno, la volontà e il desiderio di possedere un amore perfetto, il desiderio e l'amore di tutte le creature. Poi confidiamo, confidiamo incondizionatamente, perchè la generosa bontà di Dio non disprezza gli umili doni dei suoi poverelli, ma li accetta e li centuplica, secondo le ricchezze della sua misericordia, della sua dolcezza, della sua infinita carità.
CAPITOLO XXIII
COME SI PREPARA L'ARRIVO DEL SIGNORE E COME GLI SI DA' OSPITALITA' IN NOI
DOMENICA DELLE PALME
La domenica delle Palme, mentre Geltrude era immersa nella dolcezza dei divino godimento, disse al Signore: « Insegnami, mio Diletto, come potrei glorificarti, venendoti incontro nelle vie di Gerusalemme, oggi in cui Tu vieni per soffrire la Passione a mia eterna salvezza». Gesù le rispose: «Dammi una cavalcatura, una folla che venga gioiosamente davanti a me, una folla che mi segua cantando le mie lodi, una folla che m'accompagni e mi serva. La contrizione del tuo cuore sarà la mia cavalcatura, se tu confesserai che hai sovente trascurato di seguire la mia voce, e che proprio come un animale non hai saputo capire tutto quello che io ho fatto per la tua salvezza. Tale negligenza ha turbato la mia calma e serenità: mentre non avrei dovuto gustare in te che gioie spirituali, mi vedo costretto, per giustizia, a purificarti con pene corporali ed interne; in tal modo soffro, per così dire, in te, perchè l'amore della divina bontà mi obbliga a compatire i tuoi dolori. Quando mi avrai fornito tale cavalcatura, potrò comodamente riposarmi.
« Mi darai poi una folla gioconda che mi preceda quando mi riceverai con l'amore di tutte le creature, in unione alla tenerezza che provai, andando a Gerusalemme, per la salute di tutti; supplirai in tal modo, alle lodi, ai ringraziamenti, all'amore, agli omaggi che il mondo ha omesso di tributarmi per questo grande beneficio.
« Dammi anche una folla che mi segua cantando le mie lodi; per fare ciò devi confessare che non ti sei sforzata di seguire gli esempi della mia santissima vita. Offrimi una volontà così generosa che, se tu potessi impegnare tutti gli uomini a imitare nel modo più perfetto la mia vita e le mie sofferenze, tu c'impiegheresti volentieri, per la mia gloria, tutte le forze. Domanda nello stesso tempo, la grazia che ti sia data, per quanto è possibile ad umana creatura, d'imitare con zelo ardente, specialmente la vera mia umiltà, pazienza e carità, virtù che ho praticato al sommo durante la Passione.
« Dammi infine una folla che m'accompagni e m'assista, confessando che non mi hai servito con la fedeltà dovuta quando si trattava di difendere la verità e la giustizia. Sforzati di far trionfare queste due grandi cause, per quanto ti è possibile con parole ed atti: chiedimi di possedere sempre tale buona volontà per la mia gloria ».
Il Signore aggiunse: « Se alcuno in nome di tutto l'universo, si dà a me nei quattro suddetti modi, verrò a lui con tanta bontà, da raccoglierne il prezioso frutto dell'eterna salvezza ».
Nel tempo della S. Comunione, mentre Geltrude offriva il cuore al Signore, esso parve dilatarsi nella carità, come se Gerusalemme si fosse aperta all'arrivo del suo Dio. Gesù vi entrò, sotto l'aspetto di un uomo nello splendore della giovinezza, ma parve preparare una sferza con tre corde: rappresentava l'opera di Redenzione. La prima corda si componeva delle opere del suo innocentissimo Corpo; la seconda del generoso amore della sua santissima Anima; la terza, della sublime perfezione della sua altissima Divinità. Tre qualità che si riscontrano in ogni opera del Salvatore. Egli toccò leggermente con quello staffile il più intimo dell'anima di Geltrude per scuotere la polvere dell'umana fragilità e negligenza che poteva trovarvisi; poi lo depose in mezzo al suo cuore.
Ed ecco che quelle tre corde si disposero in modo da formare a Gesù un comodissimo trono. Quando Egli vi si assise, da ogni corda sbocciò un flore pieno di vita; il primo era la sublime perfezione della Divinità che, innalzandosi dietro al Signore si curvava bellamente sul suo Capo, quasi per procurargli un'ombra di gradita frescura; due altri fiori s'innalzavano a destra e a sinistra, esalando squisite fragranze.
All'inno di Terza, mentre si cantavano quelle parole « O Crux, ave spes unica » Geltrude offerse al Signore la divozione di tutti coloro che lo saluterebbero con quel versetto, durante le sette ore canoniche. Allora il Signore, prendendo il fiore del fervido amore della sua santissima Anima, lo presentò a tutte le persone di cui Geltrude aveva offerto la devozione; al contatto di quel fiore, ognuno riceveva luce e gioia spirituale. Geltrude chiese: « Mio Signore, se queste persone ritraggono sì grande frutto da questa divozione, cosa darete loro dopo la processione, durante la quale vi serviranno con amore ancora più grande e vi saluteranno con desideri più ferventi? ». Il Signore rispose: « Io darò loro la grazia e il fascino di questi tre fiori, poiché devono presentarmi le loro divozioni in tre modi differenti: coloro che sono prive del dono della divozione e che bramano ottenerlo, mi presenteranno i loro valori, le loro fatiche esteriori e io li solleverò, dando loro il fiore germogliato per il laborioso esercizio del mio santissimo Corpo. Altri, che gustano con abbondanza la dolcezza della divozione, mi presenteranno l'affezione dei loro desideri e io li rallegrerò col flore che spunta, dall'ardente amore dell'anima mia. Altri infine, la cui volontà è unita alla mia e che perciò formano un solo spirito con me nel completo abbandono al mio piacere, saranno imbalsamati nel flore della mia altissima Divinità ».
Dopo la processione, la Comunità s'inchinò al canto del Gloria laus, prostrandosi alle parole Fulgentibus palmis. Il Signore le presentò allora il fiore dei laboriosi esercizi del suo santo Corpo. Il suo scopo era di rallegrare le Monache, di fortificarle e di conservarle al suo servizio; voleva pure far capire che i lavori manuali sono nobilitati dai santi lavori che lui stesso ha compiuto.
Una persona aveva invitato Geltrude a ristorarsi con un po' di cibo, essendo ella afflitta da una debolezza estrema; ma la Santa respinse con energia tale invito, non volendo rompere il digiuno prima di avere ascoltato la recita della Passione. Volle però chiedere consiglio a Nostro Signore, il quale le rispose: « Prendi questa refezione, mia diletta, in unione all'amore col quale io, tuo Amante, sospeso alla Croce, ho rifiutato di bere, dopo d'averlo assaggiato, il vino mescolato con mirra e fiele, che mi presentarono ».
A queste parole Geltrude sottomise docilmente la sua volontà, e ringraziò il Signore che, presentandole il Cuore, le disse: « Ecco la coppa ove si conserva il ricordo di quelle parole « cum gustasset, noluit bibere - poiché l'ebbe gustato, non volle berne (Matt. XXVII, 34). In questa coppa ti presento il desiderio che mi impedì di bere quella pozione per riservarla a te. Tu puoi gustarla con sicurezza, perchè, da medico esperimentato, l'ho assaggiata, trasformandola per te in bevanda salutare. Questa miscela aveva per iscopo da accelerare la mia morte, ma avendo io il desiderio di soffrire a lungo per gli uomini, non volli pigliarla. Tu invece, animata da uno stesso amore, prendi tutto quello che ti è necessario e vantaggioso, per vivere a lungo nel mio servizio: « In questa coppa che mi fu offerta, considera tre cose. Essa conteneva vino: compi tutti i tuoi atti con gioia e per la mia maggior gloria. Vi era pure mescolata della mirra: ricevi ogni ristoro con l'intenzione di poter soffrire più a lungo per mio onore; questo è il simbolo recondito della mirra, che preserva dalla corruzione. Infine il fiele vi era pure aggiunto, per insegnarti a dimorare volentieri sulla terra, senza le gioie della mia presenza, per tutto il tempo che mi piacerà. Quando i ristori sono presi con quest'intenzione mi recano lo stesso omaggio d'un amico il quale, ritenendo per sé il fiele presentato al suo amico, gli dà in cambio nettare squisito ».
Geltrude, ad ogni boccone di cibo, ripeteva in cuore questo versetto: « La virtù del tuo divino amore m'incorpori interamente a Te, o amabilissimo Gesù ». Bevendo diceva: « Diffondi e conserva in me, amabilissimo Gesù, l'effetto di quella carità che dominava in Te così perfettamente da farti rifiutare la bevanda che doveva affrettare la tua morte, per maggiormente soffrire per noi; penetri essa tutta la mia sostanza e s'insinui vigorosamente nelle potenze, nei sentimenti, nei movimenti della mia anima e del mio corpo, per la tua gloria eterna ». Ella chiese al Signore come accetterebbe questa pratica se fosse fatta da altra persona. Il Signore rispose: « A ogni boccone che mangerà, riterrò d'averlo io pure preso con lei, per nutrirmi e saziarmi; quando berrà, berrò con essa una bevanda d'amore, che infiammerà la nostra reciproca tenerezza; quando poi l'ora opportuna sarà giunta, le farò sentire la forza dell'amor mio, secondo la mia onnipotenza ».
In seguito, leggendosi nella Passione: «emisit spiritum - rese lo spirito » (Mat. XXVII, 50) ella, prostrandosi a terra, in atto di grande amore disse: « Eccomi, Signore, prostrata. col corpo; io ti domando per quell'amore che ha condotto alla morte Te, che sei la vita di tutte le creature, di far morire nella mia anima tutto quanto possa dispiacerti». Il Signore rispose: « Esala in questo momento con un soffio, tutti i vizi e le negligenze di cui vuoi essere mondata, e aspira coi mio soffio divino, tutto quanto brami possedere delle mie virtù e perfezioni. Quello che avrai esalato ti sarà rimesso, e inoltre otterrai i benefici effetti dell'aspirazione del mio soffio. Quando ti sforzerai di vincere i difetti che hai allontanato da te, o di ottenere la virtù che ho posto in germe nell'anima tua, raccoglierai il doppio frutto della Passione che Io ho sofferto e della vittoria che tu hai riportato ».
Dopo pranzo ella si era stesa sul letto per riposare le membra affrante, meno però per dormire che per evitare la noia di numerose visite; disse quindi al Signore: « Ecco, o mio Diletto, che in memoria della salutare predicazione che tu hai fatto al tempio in questo giorno, mi allontano da tutte le creature, per essere occupata solo di Te, affinché tu possa liberamente parlare al mio cuore ». E Gesù di rimando: « Come la Divinità si è riposata nella mia Umanità, così essa trova le sue delizie a riposarsi nella tua stanchezza ». Siccome poi Geltrude si accorse che non venivano a disturbarla perchè la credevano addormentata, domandò al Signore se era cosa più perfetta far capire che era sveglia, per dare loro, maggiore libertà. Rispose il Signore: « No, lascia loro questa occasione di meritare per la loro carità, che sarò poi felice di ricompensare », e aggiunse: « Ecco due punti che bramo presentare alla tua meditazione: esercitandoti in essi, sarai eccitata a cercare cose ancora più grandi. Ricorda che utilissimo all'uomo è l'affaticarsi in lavori che possono procurare alla mia Divinità le delizie del riposo; inoltre mi è assai caro vedere le anime prodigarsi per i fratelli in opere di carità ».
Verso sera ella si ricordò dell'accondiscendenza di Gesù che, alla fine di quel giorno, si era recato a Betania, presso Marta e Maria; ella medesima si sentì ardere dal desiderio di dare ospitalità al suo divino Sposo.
Prostrandosi allora amorosamente ai piedi del Crocifisso, baciò con tenerezza la Piaga del Costato, con l'intenzione di attrarre tutti i desideri del Cuore amatissimo del Figlio di Dio; indi lo supplicò, per l'ardore delle preghiere sgorgate dal suo dolcissimo Cuore, di scendere nel misero domicilio del suo cuore. Il Signore, pieno di bontà, sempre pronto ad accogliere le nostre preghiere, la favorì della sua dolce presenza, e le disse teneramente: « Eccomi, sono qua, cosa mi dai? ». E Geltrude: « Oh, sii il benvenuto, Tu che sei l'unica mia salute, il mio tutto, il mio solo vero tesoro! ». E aggiunse: « Ohimè! Indegna come sono, non ho preparato nulla che possa convenire alla tua maestà; ma ti offro tutto ciò che sono, pregandoti e scongiurandoti di volere preparare Tu stesso in me! ciò che può maggiormente piacere alla tua divina bontà ». Gesù le rispose: « Se tu mi accordi tanta libertà, dammi la chiave che mi permetta di prendere e di rimettere tutto quanto converrà al mio benessere ed alla mia refezione. « Signore - chiese Geltrude - cos'è questa chiave? ». « E' la tua propria volontà », concluse il Signore.
Questa parola le fece comprendere che, se un'anima desidera offrire ospitalità a Gesù, deve rimettergli la chiave della propria volontà, abbandonarsi interamente a Lui e credere fermamente che la divina bontà opererà la sua salute, con tutti i mezzi; quando l'anima è così disposta, il Signore entra e vi compie operazioni d'amore. Guidata poi dall'ispirazione divina Geltrude recitò, da parte di ciascuno de' suoi membri, trecento sessantacinque volte, la parola del Vangelo: « Non mea sed tua voluntas fiat - Si faccia la tua, non la mia volontà (Luc. XXII, 42) amabilissimo Gesù! » e comprese che questa preghiera era graditissima al Signore.
Volle poi chiedergli in che modo riceverebbe la divozione di un'anima che celebri la festa di quel giorno, con pratiche identiche alle sue basandosi sul libro di Ester, e su quelle parole della Cantica: « Egredimini, flliae Jerusalem - Uscite, figlie di Gerusalemme » (Cant. III, 11). Il Signore rispose: « Il mio divin Cuore accetta con grande soddisfazione questo modo di celebrare la festa, tanto che, nell'eterna vita, colui che l'avrà praticato riceverà grande ricompensa. Gli preparerò nella mia regale munificenza, un banchetto nuziale dove otterrà maggior onore, gioie, delizie di tutti gli altri invitati, appunto come la sposa, alla mensa nuziale, gode maggiormente di quanto le è offerto, benchè il re, per suo riguardo, prodighi anche agli altri invitati i regali della sua generosità ».
CAPITOLO XXIV
GENUFLESSIONI A DIO GRADITE
FERIA IV DELLA SETTIMANA SANTA
Il mercoledì della Settimana santa, mentre durante la S. Messa s'intonava: In nomine Domini etc., Geltrude, con tutto l'affetto del cuore, piegò le ginocchia in onore di quel sacratissimo Nome, per supplire alla negligenza ch'ella aveva avuto riguardo al servizio di Dio. Comprese che quell'omaggio riusciva graditissimo al Signore e piegò il ginocchio una seconda volta alla parola Celestíum, per riparare le negligenze con le quali i Santi che regnano in cielo, celebrarono quaggiù le divine lodi. Tosto i Santi si levarono con grande riconoscenza, lodando il Signore per la grazia accordata a Geltrude e supplicandolo a favore della Santa. In seguito alla parola terrestrium, piegò le ginocchia per supplire alla imperfezione dell'intera Chiesa nelle divine lodi; il Figlio di Dio, per ricompensarla, le accordò il frutto delle preghiere che Gli offre la Chiesa. Alle parole et infernorum Geltrude piegò di nuovo le ginocchia per supplire a tutte le mancanze delle anime che si trovavano in quel momento sepolte per sempre nell'inferno. Allora Gesù si alzò e ponendosi davanti al Padre, Gli disse: « Quest'offerta mi appartiene personalmente, o Padre, perchè Tu hai affidato a me il giudizio, e io ho condannato queste anime ai tormenti eterni, per giusta sentenza della mia equa verità. Sono perciò assai onorato dall'espiazione che quest'anima mi ha or ora offerto; mente umana non può capire la ricompensa dovuta a questo atto; io lo custodisco per poter accordarla a quest'anima quando sarà in grado di poterla ricevere, nella beatitudine eterna ».
Durante la lettura della Passione, quando si giunse a quelle parole: « Pater, ignosce illis - Padre perdona loro », Geltrude chiese al Signore, dall'intimo del cuore, per quell'amore che l'aveva spinta a pregare per i suoi crocifissori, di perdonare a tutti coloro che l'avevano offeso. I Santi si alzarono con grande ammirazione e pregarono il Signore di rimetterle tutte le negligenze che aveva potuto commettere, celebrando le loro feste e trascurando di rendere loro onore.
A sua volta il Figlio di Dio si prostrò davanti al Padre ed offerse per Geltrude tutti i meriti della sua santissima vita, per cancellare le colpe di pensieri, di parole, di opera, commessi contro la divina Maestà.
A quelle parole: «Oggi sarai meco in Paradiso », ella comprese che un'anima che si converte all'ultimo momento, ha ottenuto tale grazia con qualche atto buono praticato durante la vita, mediante il divino aiuto. Il ladrone che, riabilitato da una salutare penitenza, all'ultimo momento, meritò in quello stesso giorno il Paradiso, aveva ottenuto misericordia perchè, pure essendo ladro e scellerato, si ritraeva davanti a una ingiustizia palese e la biasimava con coraggio. Ed è appunto quello che fece in croce, riprendendo il compagno per gli insulti che rivolgeva alla maestà di Dio, affermandosi colpevole e castigato giustamente; tale umile confessione gli valse la divina misericordia.
CAPITOLO XXV
L'UFFICIO DELLA CENA DEL SIGNORE
Il Giovedì santo festa della Cena del Signore, mentre si cantavano a Mattutino le Lamentazioni, Geltrude, ponendosi davanti al Padre, deplorò nell'amarezza del cuore, tutti i peccati dell'universo commessi per fragilità, contro l'Onnipotenza divina. Alla seconda Lamentazione si presentò davanti al Figlio di Dio, manifestando il suo dolore per tutti i peccati d'ignoranza, che avevano oltraggiato la sua imperscrutabile Sapienza. Alla terza Lamentazione ella, davanti allo Spirito Santo, si afflisse per tutti i peccati commessi dall'umana malizia contro la sua bontà. In seguito, mentre al versetto di a Gesù Cristo ecc. le giovinette cantavano Kyrie eleison, Geltrude si avvicinò al dolcissimo Cuore di Gesù, lo baciò con amore in nome di tutta la Chiesa ed ottenne il perdono di tutti i peccati di pensiero, di desiderio, di affetto e di cattiva volontà. Al Christe eleison ella impresse un bacio sulle labbra benedette del Salvatore e Gli domandò la remissione di tutti i peccati di lingua.
Alla ripetizione del Kyrie eleison, baciò le venerabili Mani del Salvatore, e ottenne la remissione di tutti gli atti colpevoli, commessi in generale dai cristiani. In seguito, mentre il popolo cantava cinque volta Kyrie eleison, all'inno Rex Christe, baciò ad ogni strofa, le cinque Piaghe vermiglie del Signore per ottenere la remissione di tutti i peccati commessi dai cinque sensi.
Mentre praticava questa divozione, cinque ruscelli scaturirono dalle sante Piaghe, diffondendo su tutta la Chiesa una grazia così salutare da purificarla da ogni peccato; era l'esaudimento pieno e intero di quanto aveva chiesto nelle Lamentazioni e durante i Kyrie, eleison. In queste tre notti tutti possono praticare tali esercizi, sperando di ottenere gli stessi benefici, purché lo facciano con vera divozione.
Alle Laudi durante il canto dell'antifona « Oblatus est quia ipse volutt », il Signore le disse: « Se tu credi che mi sono offerto sulla Croce al Padre perchè l'ho voluto, devi pure credere fermamente che desidero offrirmi ogni giorno per i peccatori, con lo stesso amore che ebbi quando m'immolai per il mondo intero. Perciò qualsiasi peccatore, quantunque oppresso dal peso di peccati enormi, deve sperare il perdono dall'offerta della mia Passione e morte. Egli è sicuro di ottenere il perdono, perchè non vi è rimedio più efficace contro il peccato, del ricordo amoroso della mia Passione, accompagnato da penitenza e da sincera fede ».
Durante la lettura del Vangelo, Ante diem Jestum, quando si arrivò a quelle parole: « coepit lavare pedes discipulorurn », Geltrude disse al Signore: « Ohimè, mio Gesù, poichè sono indegna di essere lavata da Te, posso almeno sperare che uno de' tuoi apostoli, a cui hai lavato i piedi, mi mondi da ogni macchia di peccato, perchè mi sia dato degnamente ricevere oggi il mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue? ». Rispose Il Salvatore: « Ho veramente lavato e deterso oggi le tue macchie e quelle delle persone che, per seguire i tuoi consigli, mi hanno pregato di purificarle, ordinando le sette affezioni della loro anima ». Ella riprese: « Ahimè, Gesù, quantunque abbia insegnato questa pratica al prossimo e mi sia proposta di seguirla anch'io, pure l'ho trascurata pensando ad altro ». E il Signore: « Ho accettato, figlia mia, la tua buona volontà, perchè è proprio della mia indulgenza tener conto dei buoni desideri di un'anima e di ricompensarla largamente anche quando, avendo proposto con sincerità di compiere un'opera virtuosa, trascura poi di eseguirla per umana fragilità, o per altro impedimento ».
Mentre stava per comunicarsi, Geltrude disse a Gesù « Ti offro, o mio Dio, i desideri di tutte le persone che si sono raccomandate alle mie indegne preghiere ». Egli rispose: « Tu hai acceso nel mio Cuore tante fiamme d'amore, quante sono le persone che mi hai presentate ». « Insegnami allora, o, mio Gesù - aggiunse la Santa - come potrei degnamente pregare per tutte le anime della Chiesa universale, per infiammare sempre di più il tuo sacratissimo Cuore ». E il Maestro divino: « Puoi compiere questo tuo desiderio in quattro modi
- Lodami di avere creato gli esseri a mia immagine e somiglianza.
- Ringraziami per i benefici che loro ho accordati e per quelli che prodigherò ancora.
- Gemi con dolore per gli ostacoli che hanno opposto alle mie grazie.
- Prega per tutte le anime che, secondo i disegni della mia provvidenza, si perfezionano nel bene per procurare la mia lode e la mia gloria ».
Un'altra volta, nella stessa festa della Cena del Signore, essendosi ella raccolta per pensare solamente a Dio, vide Gesù com'era sulla terra in quel giorno così prossimo al suo estremo sacrificio.
Ella lo mirò tutto quel giorno, in abbattimento ed angoscia di morte, perchè, essendo l'eterna sapienza di Dio Padre, ben conosceva in anticipo, quanto doveva capitargli le angosce future erano presenti. Avendo ricevuto dalla purissima Vergine sua Madre una natura infinitamente delicata venne oppresso da timori e da spaventi inenarrabili in ogni ora di quella lunga, angosciosa giornata; il pallore del viso, il tremito delle membra manifestavano le agonie di morte di cui sentiva l'amarezza. Geltrude raccoglieva nell'anima il contraccolpo di tale dolore e fu presa da una compassione così grande che, se avesse posseduto mille cuori, non sarebbero stati sufficienti per compatire alle pene del suo Diletto. Ella sentiva che i battiti violenti del suo cuore, provocati dal desiderio, dall'amore, dall'angoscia rifluivano nel Cuore di Gesù, dolce e colmo di beatitudine. Era tanto dominata dall'impetuosità di quei palpiti che stava per cadere in deliquio. Il Signore le disse allora: « Ora che non posso più morire, non sono raggiunto dalla sofferenza; ma l'amore che mi animava durante la vita mortale quando sopportavo le angosce, sofferenze, amarezze della Passione e morte, l'ho provato oggi nel tuo cuore, che tante volte è stato penetrato da compassione al ricordo dei dolori da me sofferti per il riscatto degli eletti. Così voglio ricompensare la compassione che mi hai prodigata. In aumento della tua eterna beatitudine ti dò tutto il frutto della Passione e della mia preziosa morte; vi aggiungo un altro dono: in tutti i luoghi dove oggi si adora il legno della S. Croce, strumento del mio supplizio, tu riceverai, in ricompensa della compassione che mi hai così teneramente prodigata, il frutto del tuo amore per me. Voglio di più che tutte le cause che mi raccomanderai abbiano felice successo. Quando vorrai pregarmi per qualche anima, presentami il mio Cuore, che così spesso ti ho dato come pegno della nostra reciproca tenerezza, e offrimelo in unione di quell'amore che mi ha fatto prendere questo Cuore umano per la salvezza del mondo. In tal modo t'accorderò tutto quello che mi domanderai: sarà come la cassaforte di un ricco che gli si porta dinanzi, perchè ne tragga preziosi regali per i suoi amici ».
Ella chiese poi a Gesù: « Con qual nome, o mio dolce Salvatore, chiamavi il Padre tuo quando Lo invocavi nell'agonia? ». Egli rispose: « Lo chiamavo spesso con questo nome: "O integritas substantiae meae! - O integrità della mia sostanza" ».
Durante la S. Messa, prima della Comunione delle Monache, Geltrude vide Gesù giacere a terra in stato di estremo languore, per la brama veemente di unirsi a quelle anime predilette. La Santa ne fu commossa tanto che credette venir meno. In ammirabile visione scorse poi il Sacerdote sollevare il Corpo del Salvatore che pure era di statura superiore alla sua e portare Colui che, non solo lo portava, ma che porta ogni cosa con la sua parola potente (Ebr. I, 3). Comprese allora, con sensi di tenera affezione, che quella estrema debolezza del Piglio di Dio, era l'espressione della forza vittoriosa del suo dolcissimo amore. Infatti il nostro « Beniamino, amabile adolescente si trovava in una specie di estasi » (sal. LXVII) tanto erano grandi le delizie che provava, unendosi nella S. Comunione a quelle anime dilette. L'eccesso del suo amore lo faceva languire; così non potendo usare delle sue forze, si lasciava maneggiare e portare dal Sacerdote.
In altra occasione Geltrude ricevette questa luce: ogni volta che l'uomo guarda con amore e desiderio la santa Ostia che cela Sacramentalmente il Corpo di Cristo, aumenta i suoi meriti per il cielo e nella visione di Dio, gusterà tante delizie speciali quante volte in vita avrà contemplato, o almeno desiderato di vedere il Corpo di Cristo.
Da quanto precede si comprende che, tanto nei giorni di festa come nelle ferie, la Santa si applicava a Dio con ferventissimo amore. Però bisogna convenire che la Passione di Nostro Signore era profondamente impressa nell'anima sua, tanto che la contemplava con fervore specialissimo, quasi con una specie di esagerazione: vedendola sempre immersa in tale meditazione, pareva che quel ricordo fosse miele al suo palato, melodia all'orecchio, delizia al cuore.
La Vigilia del Venerdì Santo dopo Compieta, quando sentiva il suono del crotalo, il suo cuore si commoveva profondamente come se le avessero annunciato l'agonia dell'Amico più fedele, più caro, più intimo, presso al quale volava per assisterlo nel crudele trapasso. Si sforzava di mantenersi poi al tutto raccolta per meditare la Passione del Signore e compatire con tenerezza agli spasimi del Diletto, onde pagare il debito dell'amore a Colui che aveva sofferto per lei. Tutto quel giorno e anche durante la santa giornata del Sabato, l'anima sua aderiva a quella dello Sposo divino, al punto che a stento riusciva ad applicarsi a cose esteriori: però se si trattava di opere di carità, con santa agilità, le compiva a perfezione, prova evidente che l'Ospite, ch'ella teneva abbracciato nel santuario dell'anima sua, era Colui di cui S. Giovanni aveva detto: « Deus charitas est. Si diligimus invicem, Deus in nobis manet, et charitas in nobis perfetta est » - « Dio è carità: se ci amiamo gli uni gli altri, Dio, dimora in noi e la sua carità in noi è perfetta » (1 Giov. IV, 8-12). Cosi Geltrude trascorreva il venerdì e il sabato santo rapita fuori dei sensi, in modo tale che nulla potrebbe far capire all'umano intelletto l'intima e forte unione di questa Sposa col suo diletto Signore. Gli era così dolcemente e inseparabilmente unita da formare di due un solo spirito, per l'amorosa compassione de' suoi atroci spasimi. Il non poter poi tradurre a parole tale altissima contemplazione non è difetto, ma grande perfezione. S. Bernardo dilucida questo punto nel suo commento al Cantico,: quando dice « Murenulas aureas faciemus tibi - Noi ti faremo catene d'oro adorne d'argento » (Cant. 1, 10). Quando si fa nell'anima rapita in estasi una luce subitanea, che brilla divinamente con il bagliore del lampo, allora si presentano, non so da dove, per temperarne lo splendore e per farne risaltare gl'insegnamenti, delle immagini prose da oggetti inferiori e divinamente adatte alla portata dei nostri sensi. Con l'aiuto di tali immagini, quel puro, splendido raggio di verità, si vela in qualche modo, e può essere sopportato dagli occhi dell'anima. Credo che siano i santi Angeli che formano in noi quelle immagini, perchè è missione propria del loro ministero. Attribuiamo dunque a Dio quello che ci giunge assolutamente puro e sciolto da qualsiasi fantasma d'immagini sensibili e attribuiamo al ministero angelico quelle immagini nobili ed eleganti, che ne formano come il rivestimento » (S. Bernardo S. Sermone XLI sul Cantico dei cantici).
Non bisogna stimare poco il favore che Dio degni di trattare direttamente con l'anima, custodendola pura da ogni immagine corporale, tenendo sotto il sigillo di una segreta intimità ciò che passa fra l'anima e Lui solo. Appunto per questa ragione molte cose, capaci di fornire un racconto luminoso, non hanno potuto essere scritte in questo libro.
Ma perchè il lettore in questa festa solenne trovi mezzi adatti per riaccendersi nel fervore, raccoglieremo qualche scintilla sfuggita a questo focolare, che bruciava con tanto ardore al ricordo della Passione di Gesù Cristo.
CAPITOLO XXVI
NEL SANTO GIORNO DI PARASCEVE O VENERDI' SANTO
Un Venerdì santo, all'ora di Prima, mentre Geltrude ringraziava il Signore per essersi abbassato fino a comparire davanti al tribunale di un pagano, vide il Figlio di Dio raggiante di serenità e gioia. Era seduto su di un trono regale, a destra del Padre, che gli dimostrava un'ineffabile tenerezza affine di compensarlo degli oltraggi e delle bestemmie che aveva sopportato per salvarci. Tutti i Santi, inginocchiati rispettosamente davanti a Lui, lo ringraziavano di averli preservati dall'eterna dannazione con la sua morte atroce.
Alle parole della Passione « Sitio - Ho sete » Gesù presentò a Geltrude un calice d'oro destinato a ricevere le sue lagrime d'amore. Ella sentì allora il cuore preso da tale commozione, che pareva liquefarsi e sciogliersi in pianto. Tuttavia frenò le lagrime, per discrezione e per non svelare il segreto della sua tenerezza; chiese poi a Gesù se il suo modo di fare Gli fosse gradito. Allora un getto limpidissimo parve scaturire dal cuore di Geltrude e penetrare nella bocca di Gesù che le disse: « Così, figlia mia, io attiro le lagrime di divozione che si frenano per motivi tanto nobili e puri ».
A Terza ella si sentì infiammata d'amore, ricordandosi che Gesù, in quell'ora, era stato trafitto di spine, crudelmente flagellato e caricato dalla pesante Croce. Ella GIi disse: « O mio Diletto, per corrispondere all'amore che mi hai dimostrato sopportando l'iniqua Passione, ti offro tutto il mio cuore e desidero, da questo momento fino alla morte, di sopportare l'amarezza, il dolore, lo spasimo dello stesso tuo dolcissimo Cuore e del tuo Corpo immacolato; se per umana fragilità, dimenticassi un istante i tuoi dolori, accordami una sofferenza sensibile che corrisponda degnamente all'angoscia della tua Passione ». Rispose Gesù « Il tuo buon volere e la fedeltà dell'amore tuo mi hanno pienamente soddisfatto; ma perchè possa gustare tutte le mie delizie nel tuo cuore, dammi, la libertà di operare e di custodire in esso tutto quello che voglio, senza che ti dica, se vi verserò gioie o amarezze ».
Nella Passione si lesse che Giuseppe raccolse il Corpo del Signore. Geltrude chiese: « Il tuo santissimo Corpo, o Gesù, venne dato al fortunatissimo Giuseppe; a me, quantunque indegna, cosa darai? ». Tosto il Salvatore le porse il suo dolcissimo Cuore, sotto l'aspetto di un incensiere d'argento, da cui salivano verso il Padre, tante onde olezzanti d'incenso quanti furono i popoli riscattati dalla Passione; in seguito secondo il rito liturgico, si lessero le orazioni per tutti gli ordini della Chiesa con le relative genuflessioni. Mentre il sacerdote cantava: « Oremus dilectissimi etc. » ella vedeva quelle preghiere fondersi con l'incenso ch'esalava dal divin Cuore ed elevarsi, con esso, unica oblazione al Padre.
Tale unione con Cristo dava alle preghiere della Chiesa un magnifico splendore ed un profumo delizioso. Cerchiamo quindi. di pregare più divotamente in questo giorno per la S. Chiesa, poiché la Passione di Cristo è quella che dà maggior valore alle nostre suppliche, rendendole gradite al Padre.
In altro Venerdì santo, sentendosi Geltrude dolcemente penetrata dal ricordo della Passione di Gesù, desiderava ardentemente darGli un degno ricambio di amore; perciò Gli disse: « Insegnami o unica speranza e salvezza dell'anima mia, come potrei ringraziarti, almeno un po' di tutte le sofferenze che per te furono così crudeli e per me così salutari! ». Il buon Maestro rispose: « Se alcuno rinuncia al suo giudizio proprio per seguire l'altrui, mi risarcisce della prigionia subita, dei legami e delle ingiurie che ho sopportato il mattino dei giorno mio estremo. Chi confessa umilmente i peccati, mi compensa delle false accuse lanciate contro di me e della sentenza di morte. Chi mortifica i sensi, mi compensa della flagellazione subita a Terza. Chi si sottomette a Superiori indegni ed esigenti, toglie le spine dalla mia corona. Chi, offeso, fa i primi passi per ottenere la pace, alleggerisce il fardello della mia Croce. Chi si dà tutto, generosamente alle opere di carità, ripara lo stiramento spasmodico delle mie membra quando, all'ora di Sesta, venni crocifisso. Chi non teme il disprezzo, nè la sofferenza quando si tratta di ritrarre il prossimo dal peccato, mi ripaga degnamente per la morte da me sofferta, all'ora di nona, nel redimere il genere umano. Chi risponde con umiltà agl'insulti, mi stacca dalla Croce. Infine chi preferisce il prossimo a se stesso e lo ritiene degno di onore e di riguardi, mi ricompensa della mia sepoltura».
In altro Venerdì santo, mentre Geltrude pregava il Signore, prima di comunicarsi, perchè la preparasse a quell'atto solenne, sentì queste parole: « Mi sento talmente attratto verso di Te, che nessuna cosa al mondo potrebbe trattenermi. Sappi che ho raccolto tutto quello che oggi si è compiuto nella Chiesa in memoria della mia Passione, con pensieri, parole, opere, ed ora mi preme deporre questo tesoro nel tuo cuore, col Sacramento dell'altare, a vantaggio della tua salvezza eterna ». « Ti ringrazio immensamente, o mio Gesù, - rispose Geltrude - però vorrei che mi permettessi di far parte di questo dono a coloro che io desidero beneficare ». Il Salvatore rispose sorridendo: « Cosa mi darai tu, mia diletta, perchè Io t'accordi questo grande favore? ». « Ahimè - riprese la Santa - non ho nulla che sia degno di Te: ma se avessi tutto quello che Tu possiedi, sento che ti cederei ogni cosa affìnchè tu potessi, a tua volta, farne dono a chi più t'aggrada». E il Signore con bontà: « Se davvero tu mi ami fino a questo punto; puoi star certa che anch'io agirò nello stesso modo a tuo riguardo, ma in proporzione somma, cioè quanto il mio amore supera il tuo ». Ella aggiunse: « Quali meriti ti offrirò nella tua venuta Eucaristica, mentre Tu a me vieni con tanta generosità? ». Gesù affermò: « Una cosa sola ti domando. Vieni a me completamente vuota e disposta a ricevere, perchè il bene che potrà piacermi in te, sarà dono della mia bontà infinita ». Ella comprese che quel vuoto è l'umiltà, per mezza della quale l'uomo riconosce di non aver nulla da se stesso e di nulla potere senza l'aiuto di Dio, giacché tutto ciò che può fare, va contato per niente.
CAPITOLO XXVII
RISURREZIONE DI GESU' CRISTO
Nella notte sacra alla gloriosissima Risurrezione del Signore, mentre Geltrude, prima di Mattutino, pregava con grande divozione, Gesù le apparve pieno di splendore e di grazia, nella gloria della sua divina, immortale Maestà. Ella si prostrò ai suoi piedi e, adorandolo con amore, Gli disse: «Sposo diletto, onore e gloria degli Angeli, Tu ti sei degnato di prendermi per tua Sposa, quantunque sia la più indegna delle creature; la mia anima e il cuor mio non hanno sete che di Te, del tuo onore, della tua gloria, e considero come parenti i tuoi più cari amici. Ti domando, amatissimo Gesù, in quest'ora gioiosa della tua Risurrezione, che Tu abbia d'assolvere le anime di tutti coloro che ti sono particolarmente cari. Per ottenere questa grazia, ti offro, in unione alla tua innocentissima passione, tutto quello che il mio cuore e il mio corpo hanno sofferto nelle continue mie infermità ».
Allora Gesù, con ineffabile dolcezza, le mostrò una moltitudine di anime sciolte dalle loro pene e le disse: « Le consegno tutte in dote al tuo amore; in cielo si vedrà eternamente che furono liberate dalle tue preghiere e, davanti a tutti i Santi, godrai per sempre di tale onore ». La Santa chiese: « Quante son queste anime? ». Rispose il Signore « Solo la scienza della mia Divinità ne conosce il numero ». Siccome poi Geltrude s'accorse che esse, quantunque liberate dalle pene, non erano però ancora nel pieno possesso delle eterne gioie, s'abbandonò tutta alla divina bontà, per soffrire nel corpo e nell'anima tutto ciò che il Signore vorrebbe per ottenere ad esse il gaudio completo. Tale offerta intenerì il Signore, il Quale in quello stesso istante, ammise quelle anime alla pienezza dell'eterno gaudio. Poco dopo Geltrude, sentendo un dolore acutissimo al fianco, s'inginocchiò davanti al Crocifisso. Gesù trasmise i meriti di quella sofferenza alle anime di cui abbiamo parlato, in accrescimento della loro gioia, dicendo loro: « Vi presento quest'omaggio di devozione che la mia Sposa mi ha offerto, perchè metta il colmo alla vostra beatitudine; a vostra volta sforzatevi di onorarla, accordandole il dono delle vostre preghiere ».
Geltrude, con un nuovo slancio d'amore, si mise tutta a disposizione di Gesù, dicendo: « Ecco che nella mia estrema indegnità, dolcissimo unico Amico, mi presento con amore davanti a Te, Signore e Re dei dominanti. Ti offro interamente il cuore e l'anima mia affinchè ti servano, per tutta la vita, in onore della tua adorabile Risurrezione». Rispose il Signore: « Quest'offerta della tua buona volontà sarà come lo scettro della mia divina magnificenza; me ne glorierò eternamente davanti alla SS. Trinità ed a tutti i Santi, come di dono prezioso ricevuto dalla mia diletta Sposa ». Geltrude riprese: « Ah, mio Dio! quantunque sappia che questo mio atto di completo abbandono è effetto della tua grazia, pure temo, per la mia incostanza, di dimenticare l'offerta che ti ho presentata». Gesù le rispose: « Non turbarti, poichè la mia Mano non lascerà mai cadere lo scettro che mi fu donato; lo conserverò sempre come pegno e ricordo del tuo amore per me. Ogni volta poi che tu rinnovi quest'intenzione, lo scettro si adornerà di fiori stupendi e di gemme preziose».
Mentre Geltrude, in questo mirabile movimento d'amore consumava le forze ed animava i sensi tanto interni che esterni per prepararsi a cantare il Mattutino della Risurrezione, si cominciò ad intonare l'Inviatorio; ella disse al Signore: « Insegnami, o migliore dei Maestri, come posso lodarti mediante l'Alieluja che oggi tante volte si ripete ». Egli rispose: « Potrai degnamente esaltarmi, unendoti alle lodi che la Corte celeste mi prodiga con questa stessa parola. Nota che, nell'Alleluja vi sono tutte le vocali, tranne l'o che è simbolo del dolore; ma, al suo posto, si ripete l'a. Lodami dunque con la vocale « a » unendoti alla lode magnifica con la quale i Santi, trasalendo di gioia, celebrano il soave diletto che l'influsso della Divinità procura alla mia Umanità deificata. Questa mia Umanità è ora elevata alla gloria dell'immortalità, per le amarezze della Passione e della morte che ho subito per salvare l'uomo da orrenda sorte. Con la vocale « e » loda quelle inesprimibili delizie che procura al mio sguardo la vista dei pascoli fioriti della suprema, indivisibile Trinità. Con la vocale « u » loda quell'armonia ineffabile che accarezza l'orecchio della mia Umanità deificata, ascoltando le meravigliose sinfonie dell'adorabile Trinità e le lodi continue che le prodigano gli angeli, i santi, gli eletti. Con la lettera « i » loda quella brezza profumata dei più squisiti olezzi, soffio soavissimo della SS. Trinità, che appaga l'odorata della mia immortale Umanità. In seguito con la lettera « a », sostituita alla vocale «o», loda l'incomprensibile, inestimabile, magnifica effusione di tutta la Divinità nella mia Umanità deificata, perché questa Umanità, divenuta immortale ed Impassibile, raccoglie dalla Mano di Dio, in cambio della sofferenza corporale, che per essa più non esiste, questo doppio, grazioso beneficio: l'immortalità e l'impassibilità ».
Mentre Geltrude continuava a recitare Mattutino riceveva a ciascun Salmo, responsorio e Lezioni lumi abbondanti, accompagnati da ineffabili delizie che convenivano tanto alla Risurrezione del Signore che al reciproco amore, e alla gioia della intima unione con Dio. Il racconto di tali meraviglie sarebbe forse gradito al divoto lettore, ma noi lo custodiremo sotto silenzio, insieme a molte altre cose, per evitare la prolissità che crea la noia; noi lo confideremo alla divina bontà, da cui procedono tutti i beni così generosamente accordati all'eletta del Signore.
CAPITOLO XXVIII
ESAME DELL'OSSERVANZA REGOLARE
SECONDA FERIA (LUNEDI' DI PASQUA)
Nella seconda feria, mentre Geltrude, prima di comunicarsi, pregava il Signore di supplire, per mezzo dell'Eucaristico Sacramento, a tutte le sue negligenze nell'osservanza della Regola, vide il Figlio di Dio accostarsi a lei, prenderla e presentarla a Dio Padre. Ella era rivestita con l'abito della Religione e la tonaca era formata di tante parti, quanti anni aveva passato nella vita religiosa. La parte inferiore rappresentava il primo anno, quella seguente, il secondo, e così di seguito fino all'epoca attuale. Quella tonaca si dispiegava in modo da non fare la minima piega. In essa si distinguevano i giorni, gli anni, le ore. Di più tutti i suoi pensieri, parole e opere, tanto buone che cattive si trovavano scritte in ciascun giorno ed ora: non un pensiero, non una parola, non un atto inosservato. Si vedevano le intenzioni che l'avevano determinata ad agire, o per la gloria di Dio, o per la perfezione dell'anima sua, o per lo sguardo degli uomini. Vi si notava anche s'ella aveva cercato il benessere, o se si era mortificata, se aveva agito per obbedienza o per moto naturale, se si era fatta illusione di obbedire, mentre aveva fatto solo approvare i suoi desideri dai Superiori, se aveva saputo carpire una licenza invece di abbandonarsi alla direttiva soprannaturale, ed i suoi atti d'obbedienza erano applicati alla tunica, come perline incastonate nell'argilla, sembrando sempre sul punto di cadere. Ma quando il Figlio di Dio ebbe pregato per lei, offrendo al Padre la sua santissima e perfettissima vita, quella tonaca apparve splendente, ricoperta di lamine d'oro sanissimo. Attraverso alle medesime, che erano trasparenti come il cristallo, si distinguevano i pensieri, le parole, gli atti, le intenzioni, le volontà, le dissimulazioni che potevano essere imputate a Geltrude.
Si capiva s'ella aveva agito seriamente o con negligenza, di buona voglia o per forza, a tempo e momento giusto. In questa luce dell'ineffabile verità, il minimo granello di polvere, il più piccolo atto non poteva sfuggire nè a Dio, nè agli abitanti del cielo. Tale visione le fece capire che nei secoli eterni, Dio e tutti i Santi vedono in questa guisa l'anima di ciascun eletto.
Riguardo poi a quella parola che Dio disse per bocca del profeta: « In quacumque hora conversus fuerit peccator... (Is. XXX, 15) - In qualunque ora il peccatore si convertirà... » bisogna interpretarla in questo senso. Il Signore non giudicherà più i peccati cancellati con una degna penitenza, ma l'impronta delle nostre colpe apparirà sempre in noi, per la lode e la gloria di quella dolcissima misericordia che perdona con tanta bontà al cuori pentiti, prodigandoci immensi benefici, come se giammai l'avessimo offeso. In pari tempo tutte le opere buone da noi compiute per l'amore e la lode di Dio, si vedranno eternamente a gloria di Colui che ci ha dato la grazia e il soccorso di compierle, affine di accrescere la nostra beatitudine. Così noi loderemo gli uni per gli altri e ameremo quel Dio, che vive e regna nella Trinità perfetta, operando tutto in tutti.
CAPITOLO XXIX
RINNOVAZIONE DEL MATRIMONIO SPIRITUALE
TERZA FERIA (MARTEDI' DI PASQUA)
Nella terza feria Geltrude, prima di comunicarsi, desiderò che col Sacramento di vita, il Signore degnasse rinnovare nella sua anima il matrimonio spirituale che più a Lui l'unisse mediante la fede, la religione e la verginale integrità. Gesù le rispose con grande bontà: «Lo farò certamente». E, chinandosi verso di lei, l'attrasse con un dolce amplesso, dandole un soavissimo bacio. Con quel bacio rinnovò in essa l'operazione interiore dello spirito, mentre con l'amplesso parve imprimerle sul petto un gioiello brillante adorno di perle preziose e di magnifici smalti. In tal modo riparò le sue negligenze negli esercizi spirituali.
CAPITOLO XXX
DELLA FECONDITA' SPIRITUALE
QUARTA FERIA (MERCOLEDI' DI PASQUA)
Nella quarta feria Geltrude domandò a Gesù di renderla feconda in ogni sorta di buone opere, mediante l'Eucaristico dono del suo sacratissimo Corpo. Egli rispose: « Ti farò produrre frutti in Me stesso, e per te attrarrò molti al mio amore ».
Geltrude riprese: «Come potrò io così indegna attrarre altri al tuo amore? Ormai non ho più neppure il dono che prima avevo, di poter parlare o istruire». E Gesù di rimando: « Se tu avessi ancora il dono della parola, forse attribuiresti alla tua eloquenza la facilità con la quale attiri le anime a Me. Io te ne privai in parte, appunto per insegnarti che questo potere non viene da te, ma ti viene accordato con grazia speciale ». Indi Egli aperse la sacratissima bocca ed, attirando un soffio, disse: « Come aspiro questo soffio, così attrarrò a me tutti quelli che, per mio amore, verranno a te e li farò avanzare, di giorno, in giorno, nella perfezione ».
CAPITOLO XXXI
QUANDO TORNA UTILE CONFIDARE LE NOSTRE AZIONI A DIO
Nella quinta feria, giovedì dopo Pasqua, mentre si leggeva che S. Maria Maddalena, guardando nel sepolcro vide due Angeli, Geltrude disse: « Ov'è, o mio Gesù, il monumento nel quale devo guardare per essere consolata?». Allora Egli le mostrò la Piaga del Costato; la Santa si chinò per guardarvi dentro, ma invece di vedere due Angeli, sentì due parole; la prima: « Tu non potrai mai essere da me separata ». La seconda: « Tutte le tue azioni mi sono immensamente gradite ». Geltrude fu assai meravigliata di tale affermazione, perchè credeva i suoi atti biasimevoli, deturpati da segreti difetti che talora vi scopriva, quando attentamente si esaminava. Come mai dunque potevano le sue opere piacere a quella luminosissima divina scienza, che scorge mille ombre anche là, dove l'occhio umano ne scopre appena una sola? L'amabile Maestro aggiunse: « Se tu avessi il potere di migliorare gli oggetti che hai e di renderli più belli agli occhi altrui, lo faresti con premura; orbene io tengo fra mano le azioni che tu hai l'abitudine di affidarmi e siccome, nella. mia potenza ed inesauribile sapienza, posso tutto ciò che voglio, così il mio infinito amore si delizia di perfezionare tutte le tue azioni, perchè tornino gradite al mio sguardo e a quello della Corte celeste.
CAPITOLO XXXII
OTTAVA DELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE
COME GELTRUDE RICEVETTE LO SPIRITO SANTO
Nell'ottava della Risurrezione, mentre si leggeva il punto del Vangelo dove narra che il Signore accordò lo Spirito Santo agli Apostoli soffiando su di essi, Geltrude pregò fervorosamente il Signore di comunicarle tale Spirito pieno di dolcezza. Egli rispose: « Se desideri ricevere lo Spirito Santo, devi come i discepoli, toccarmi il fianco e le mani ». A quelle parole ella comprese che chi brama lo Spirito Santo deve toccare il fianco del Signore, cioè considerare con riconoscenza l'amore del Cuore di Dio, quell'amore per, cui Egli ci ha predestinati da tutta l'eternità a essere suoi figli ed eredi, quell'amore per cui ci colma d'infiniti beni, malgrado la nostra indegnità ed ingratitudine.
Bisogna inoltre toccare le mani del Signore, cioè ricordare con riconoscenza quanto Egli ha compiuto con tanto amore, per la nostra redenzione durante i trentatré anni della sua vita e specialmente con la sua Passione e Morte. Quando l'uomo, a tale ricordo, si sente infiammare d'ardore, offra il suo cuore pronto a compiere la volontà di Dio, in unione all'amore con cui il Signore ha detto: « Come il Padre mi ha mandato. così io mando voi » (Giov. XX, 21). Egli dovrà nulla desiderare, nè volere all'infuori del divino beneplacito, pronto a soffrire tutto quello che Dio ordinerà. Colui che avrà queste sante disposizioni riceverà lo Spirito Santo, con gli stessi sentimenti che provarono i discepoli quando fu loro comunicato il soffio del Figlio di Dio.
« Mio Signore - aggiunse la Santa - Tu mi hai benevolmente accordato questo stesso dono parecchie volte; ora che me lo riconfermi, ottengo qualche cosa di più? ». Egli rispose: « Colui che dopo essere stato assunto quale diacono, è ordinato sacerdote, non perde certo la qualità già ricevuta del diaconato, ma acquista l'onore più grande del Sacerdozio. Così quando un dono è reiterare a un'anima, si approfondisce in essa e serve ad aumentare la sua beatitudine ».
CAPITOLO XXXIII
DELLE LITANIE MAGGIORI NEL GIORNO DI S. MARCO
Nel giorno di S. Marco Evangelista, mentre la Comunità faceva la processione cantando le litanie, Gesù apparve a Geltrude assiso sul trono della sua Maestà. Era ricoperto di tanti gioielli quanti erano i Santi in cielo. Ogni volta che s'invocava il nome di un Santo, Egli si alzava raggiante di gioia e, piegando le ginocchia davanti al Signore, toccava sul suo abito divino il gioiello che lo rappresentava. Subito si vedeva apparire, sotto la mano del Santo, il nome delle persone che avevano implorato il suo soccorso. Coloro che avevano pregato con attenzione divota vedevano il loro nome scritto a caratteri d'oro; chi aveva pregato per abitudine aveva il nome scritto in nero; quanto poi alle persone che avevano cantato le litanie con noia e distrazione avevano, al posto del nome, un indecifrabile sgorbio.
Geltrude, mirando sull'abito del Signore il nome delle persone che avevano invocato i Santi, ricevette questo lume interiore: i Santi che invochiamo pregano per noi; la loro supplica si riflette in Dio come un perpetuo memoriale della sua misericordia a nostro riguardo, ed obbliga, per così dire, Nostro Signore ad avere pietà delle nostre miserie. Così se noi invochiamo un Santo con affetto e divozione, subito quel Santo riceve un raggio di luce che si sprigiona dal gioiello che lo rappresenta sull'abito del Salvatore, con l'impronta del nome della persona che lo ha pregato. Tale vista lo provoca a chiedere continuamente per coloro che la pregano la salvezza e la vita eterna.
CAPITOLO XXXIV
S. GIOVANNI DAVANTI ALLA PORTA LATINA
Nella solennità di S. Giovanni davanti alla Porta latina, lo stesso Santo apparve a Geltrude e la consolò con tenerezza, dicendole: «Non affliggerti, o diletta sposa di Cristo, per l'indebolimento delle tue forze corporali, perchè quello che si soffre in questo mondo è poca cosa e di breve durata se si paragona alle delizie eterne che noi godiamo in cielo, nello stato di beatitudine. Fra poco tu le possederai con noi, tu sarai come noi quando, entrata nella camera nuziale dello Sposo tanto amato, tanto sospirato e chiamato con voti sì ardenti, lo possederai alfine, secondo i tuoi desideri. Ricordati che io, l'apostolo che Gesù amava, avevo perduto molto più di te al termine della vita, il vigore e le forze corporali: pure, quando i fedeli m'invocano, mi pensano pieno di grazia e di giovinezza, tanto che quasi tutti hanno per me una divozione affatto speciale. Così avverrà di te: dopo la tua morte, la tua memoria rifiorirà nel cuore di tutti e tu attrarrai a Dio un numero sterminato di anime che troveranno in Lui le loro delizie ».
Geltrude confidò allora a S. Giovanni una sua pena, cioè il timore di soffrire detrimento spirituale, perchè non aveva, al momento del bisogno, il confessore, ed in seguito, finiva per dimenticare le colpe leggere che avrebbe dovuto accusare. Il Santo la consolò con bontà: « Non temere, figlia mia, poichè tu hai la buona volontà di confessare le tue mancanze, se avessi comodità di avere il Sacerdote. Così le fragilità che dimentichi sono perdonate: esse brilleranno sull'anima tua come perle preziose e tu comparirai adorna di grazia davanti agli abitanti della Corte celeste ».
Durante la S. Messa Geltrude meditava con riconoscenza i doni accordati a S. Giovanni, in considerazione della sua particolare intimità con Gesù. Ma quando si cantò la sequenza: Verbum Dei Deo natum, ella interruppe la meditazione per ascoltare le parole cantate in onore del Santo. Il beato Evangelista le apparve assiso alla sua destra. Egli le proibì di lasciare la meditazione e le ottenne il meraviglioso favore di poter continuarla, pur ricevendo nello stesso tempo lumi speciali a ciascuna parola del canto.
Mentre si cantava « Audiit in gyro sedis - Egli intese intorno al trono » ella disse a S. Giovanni: « Oh, quale gioia hai gustato quando Dio ti ha sollevato a tali altezze! ». Egli rispose: « Dici il vero, ma sappi che gusto una delizia assai più grande, vedendoti meditare queste parole e ringraziare il mio diletto Salvatore per la grande accondiscendenza che ebbe con me ».
Giovanni era seduto familiarmente accanto a Geltrude, sentendo quello ch'ella sentiva. Sinché si cantò questo versetto: « Iste custos Virginis - Questo custode della Vergine ». Allora parve innalzato fino al glorioso trono di Dio, rivestito di splendore mirabile, fatto segno agli omaggi d'affetto di tutti gli abitanti del cielo. Alle parole: « Coeli cui palatium - Il palazzo dei cieli si apre davanti a Lui » egli gustò delizie inesprimibili.
CAPITOLO XXXV
PREPARAZIONE ALLA FESTA DELL'ASCENSIONE
Nella novena della celebre festa dell'Ascensione, Geltrude volle salutare le Piaghe benedette di Gesù, recitando 5466 volte questo versetto: « Gloria ti sia resa, o soavissima, dolcissima, generosissima, o sovrana, eccellente, raggiante e sempre invariabile Trinità, per queste rose del divino amore, per le Piaghe di Gesù, che è l'unico Amico, l'unico eletto del mio cuore». Il Signore Gesù allora apparve raggiante di meravigliosa bellezza, portando su ciascuna Piaga un fiore d'oro. Con volto pieno di bontà volle a sua volta salutare amabilmente Geltrude con questa promessa: « All'ora della tua morte, io mi mostrerò a te pieno di grazia e bellezza, nella stessa gloria e nel medesimo splendore come adesso mi vedi. Io coprirò i tuoi peccati e le tue negligenze con un ornamento simile a quello con cui hai decorato le mie Piaghe, con le tue preghiere. Questo favore sarà pure accordato a tutti coloro che saluteranno ciascuna delle mie Piaghe con la stessa divozione e le medesime preghiere ».
La domenica prima dell'Ascensione, all'ora di Mattutino, Geltrude si levò prontamente per recitare l'Ufficio, per avere poi maggore tempo da consacrare all'orazione; ella desiderava gustare il Signore con maggiore gioia e libertà, offrendogli amorosamente ospitalità nel suo cuore, durante i quattro giorni che precedono l'Ascensione.
Aveva appena terminato la quinta lezione quando vide arrivare un'altra inferma, la quale non aveva nessuno che l'aiutasse a recitare il Mattutino. Il suo caritatevole cuore ne fu commosso: « Tu sai, o mio Gesù, che ho fatto più di quello che potevo, recitando il Mattutino - diss'ella - pure, giacché desidero ospitarti in questi santi giorni, o Dio di carità, ed essendomi ahimè, ben poco preparata con l'esercizio della virtù, voglio con la stessa carità dei tuo Cuore, ricominciare l'Ufficio con questa sorella malata, per la tua gloria e per supplire alla mia miseria ».
Mentre Geltrude recitava l'Ufficio, il Signore realizzava le parole da Lui dette: « Ero ammalato e mi avete visitato » e quest'altra: « Quello che fate al più piccolo dei miei, l'avete fatto a me stesso » (Mt. XXV, 36-40), dandole segni di tenerezza così grande che la parola è impotente a tradurre e l'intelligenza umana non può comprendere. Per tentare tuttavia di darne almeno l'idea, Geltrude affermò di vedere il Signore nella gloria suprema; Egli era assiso ad una mensa deliziosamente imbandita e distribuiva, non solo le parole, ma anche ciascuna lettera salmodiata da Geltrude con la sorella ammalata. Erano doni inestimabili, erano gioie eterne accordate agli abitanti del cielo, conforti ineffabili per le anime purganti, motivi di salvezza e di santificazione alle anime della Chiesa militante. Ogni parola dei salmi, delle lezioni, dei responsori diffondeva nell'anima di Geltrude la dolce, soave luce della scienza divina, riempiendola di spirituali delizie. Tali favori erano numerosissimi, ma ella potè dirne poca cosa, per la stessa loro sovrabbondanza.
Durante il salmo: « Ad Te, Domine, clamabo, al versetto Signore, salvate il vostro popolo e la vostra eredità (sal. XXVII) Geltrude chiese al Signore una grazia di benedizione per tutta la Chiesa. Egli le rispose: « Che vuoi ch'io faccia, o mia diletta? io mi metto con amore a tua disposizione, come sulla Croce mi feci schiavo degli ordini di mio Padre. Non potevo scendere dalla Croce, perchè tale non era la sua Volontà, così ora non posso volere altra cosa di quella che piace al tuo amore. Tu puoi dunque, per la potenza della mia Divinità. distribuire largamente a ciascuno tutto quello che desideri ».
Essendosi poi Geltrude coricata per prendere un po' di ristoro, il Signore le disse con amabile bontà: « Chi si è affaticato, praticando opere di carità, ha ben diritto di riposare sul letto dell'amore ». Dette queste parole l'abbracciò, facendola riposare sul suo Cuore, come delizioso letto nuziale della carità. Geltrude vide allora estollersi dalle ultime profondità del Cuore divino, l'albero della carità: era magnifico, nello sfarzo dei rami e dei frutti, coperto di foglie brillanti come l'oro. Quell'albero, aprendo largamente i rami, coperse ben presto il letto ove la Santa riposava, con l'olezzo dei suoi fiori e col sapore squisito dei deliziosi frutti. Dalla radice scaturiva una sorgente purissima le cui acque zampillavano a grande altezza, per ricadere poi nella stessa sorgente, procurando a Geltrude celeste refrigerio. Geltrude comprese che quel getto d'acqua simboleggiava la dolcezza della Divinità Suprema, la cui pienezza risiede corporalmente nella santa Umanità di Gesù Cristo (Colos. II, 9) e la cui incomprensibile soavità rallegra gli eletti.
Durante la Messa nella quale doveva comunicarsi, Geltrude espose a Gesù la miseria dell'anima sua, come un amico scopre la sua povertà all'amico, che potrà soccorrerlo con grandi beni. Ella Gli chiese, per il giorno della prossima sua Ascensione, il perdono di ogni colpa e negligenza. Gesù le rispose: « Tu sei quell'amabile Ester, la cui bellezza affascina il mio sguardo; domandami quello che vuoi e io ti esaudirò ». Ella pregò allora per le persone che a lei si erano raccomandate e per quelle che le avevano reso qualche servizio. Gesù, inchinandosi verso la Santa con tenerezza, parve ricoprirla tutta col suo mantello, e imprimerle, come di sfuggita, un bacio in fronte. Ma proprio in quel benedetto momento ella si ricordò di una leggera macchia, che aveva contratto il giorno prima, accettando con un sentimento troppo umano, un servigio a lei reso. Compunta disse a Gesù: « Ohimè! perchè mai permetti che si abbiano tanti riguardi per me e che mi si tratti con tanta delicatezza, mentre Tu, che sei il Signore dell'universo, hai voluto vivere fra noi come l'ultimo degli uomini? Non sei forse maggiormente glorificato quando i tuoi eletti sono disprezzati e vilipesi in questo mondo, poiché potranno poi partecipare più largamente al tuo trionfo in cielo? ». Gesù rispose: « Ho detto, per mezzo del Profeta « Jubilate Deo omnis terra: « Date gloriam nomini efus » (Ps. LXV). Alcuni, avendo meglio compreso questa parola, ti mostrano affetto speciale e ti mirano con benevolenza; io, in ricambio, li santifico e li preparo a ricevere la mia grazia, in modo che diventano più graditi ai miei occhi ». Ella rispose: « Signore, che avverrà di me se le macchia che contraggo, sono il mezzo della loro santificazione?». Gesù spiegò amabilmente: « Mi compiaccio a volte di usare colori sbiaditi, oppure brillanti, per porre varietà sui tuoi ornamenti dorati, cioè sulla grazia che ho deposto sull'anima tua». Questo aggettivo sbiadito le fece capire che se l'uomo si ricorda di avere ricevuto i benefici de' suoi simili con sentimenti troppo umani e se ne pente, umiliandosi profondamente, tali sentimenti lo rendono gradito a Dio, tosi come il nero dà felice risalto allo splendore dell'oro. Quando il Signore parlò di colori brillanti, ella capì che, se si prova grande riconoscenza per i benefici ricevuti da Dio e per il bene che gli uomini ci hanno prodigato in nome suo, si Oreciísponde l'anima a ricevere ed a custodire doni sempre maggiori.
Nella seconda feria Geltrude confessò al Signore con somma compunzione, le colpe di tutti i peccatori del mondo. Poi andò a trovare una malata e cercò di servirla fino all'esaurimento delle forze, offrendo questo atto di carità. per la gloria di Dio e la riparazione dei peccati che si commettono nel mondo intero, ribellandosi alla divina Volontà. Le sembrò allora di attrarre, con un aureo legame, simbolo della carità, una moltitudine immensa di uomini e di donne per ricondurle al Signore. Egli, buono e misericordioso, accettava quell'offerta. con gioia indescrivibile, come un re, a cui un suo favorito conducesse i suoi nemici, pronti ad arrendersi ed a meritare la pace con un fedelissimo servizio.
Nella terza feria, durante la S. Messa, Geltrude espose al Signore, nello stesso modo, i difetti e le imperfezioni di tutti i giusti, pregandolo di renderli perfetti in santità, con quei mezzi che credesse più adatti a tale scopo. Il Signore stese la mano e li benedisse tutti insieme, segnandoli col vittorioso sigillo della croce. Sotto l'influenza di tale salutare benedizione, una dolce rugiada parve refrigerare il cuore di tutti i giusti, facendoli rifiorire, come le rose e gli altri fiori, sbocciano al tepido bacio del sole.
Nella quarta feria Geltrude pregò il Signore, durante la Elevazione dell'Ostia, per le anime di tutti i defunti, affinché, nel giorno dell'Ascensione, fossero liberate dalle loro pene. Il Signore parve allora porre, in mezzo al Purgatorio, una verga d'oro, munita di tanti uncini, quante erano le preghiere che riceveva per quelle anime. Ogni uncino ritirava qualche anima da quel luogo di sofferenza, per porle nelle ridenti aiuole dell'eterno riposo. Con quella visione Geltrude comprese che, se parecchie si uniscono per pregare a favore delle anime purganti, ne possono liberare un grande numero di quelle che in vita praticarono maggiormente la carità.
Un'altra volta Geltrude volle teneramente salutare le membra sacratissime di Gesù, ripetendo duecento venticinque volte questo versetto: « Salve, o Gesù, sposo pieno di grazia, ti saluto e ti lodo nella gioia della tua Ascensione! ». Le parve che ogni aspirazione fosse presentata al Signore sotto la forma di un melodioso strumento musicale che lo rallegrava, sonando e cantando, come i menestrelli suonavano e cantavano ai banchetti dei principi. Il Signore accettò tale omaggio con grande bontà. Geltrude conobbe che le aspirazione recitate con fervore producevano un'armonia dolcissima, mentre quelle ripetute a fior di labbra emettevano un suono triste e velato.
CAPITOLO XXXVI
NEL SOLENNE GIORNO DELL'ASCENSIONE DI GESU' AL CIELO
Nel giorno solenne dell'Ascensione, Geltrude, fin dal mattino, cercò quale dolce omaggio di tenerezza avrebbe potuto offrire al Signore nella stessa ora della sua ascesa al cielo, cioè a mezzogiorno. Gesù le disse: «Tu puoi indirizzarmi fin da questo momento le lodi che vorresti presentarmi a mezzogiorno, perchè venendo in te questa mattina, col Sacramento dell'Altare, gusterò di nuovo tutte le gioie della mia Ascensione».
« Insegnami, o dolce Maestro - riprese Geltrude - come potrei organizzare una processione che ti sia gradita, in memoria di quella passeggiata così celebre che hai fatto coi tuoi discepoli da Gerusalemme a Betania, prima di salire al Padre ». Rispose il Signore: « Il nome Betania significa casa d'obbedienza. Chi vuole organizzare una processione degna di me deve, con l'offerta completa della sua volontà, introdurmi nel fondo più segreto dell'anima sua; e poi pentirsi di avere tante volte preferito la sua volontà alla mia, proponendo di cercare, di desiderare e di compiere il mio divino beneplacito».
Mentre stava per ricevere la S. Comunione, Gesù le disse: « Ecco che Io vengo a te, mia Sposa, meno per dirti addio, che per condurti con me a presentarti al Padre». Ella allora comprese che il Signore, dandosi ad un'anima col Sacramento del suo Corpo e dei Suo Sangue, attira e imprime nel suo essere divino il desiderio e la buona volontà di quella creatura. Come la cera offre allo sguardo il sigillo con cui fu marcata, così il Figlio di Dio presenta al Padre quella sua creatura di cui ha impresso l'immagine in se stesso, e ottiene per la medesima grazie grandi.
Geltrude offerse poi al Signore un certo numero di brevi invocazioni ch'ella, in unione con altri, avevano rivolte a Gesù, nel desiderio d'infiorare le sue Piaghe e le sue sacratissime membra nella trionfante Ascensione. Apparve allora subito il Signore Gesù davanti al Padre, risplendente di ricchi gioielli. Il Padre celeste, nella potenza infinita della sua Divinità, pareva attrarre ed assorbire quello splendore di cui le anime fervorose avevano adornato il suo Figlio unico. Egli ne rifletteva la meravigliosa luce sui troni riservati in cielo alle anime che avevano recitate quelle brevi invocazioni, e preparava loro una gloria speciale dopo il terreno esilio.
All'ora di Nona la Santa concentrò tutta l'attenzione nel suo Sposo divino, come se realmente dovesse in quel momento salire al cielo. Egli le apparve più bello di tutti i figlioli degli uomini (Ps. XIAV, 3). Era rivestito di una tunica verde e di un mantello rosa. La, tunica simboleggiava la linfa e la freschezza di tutte le virtù, la cui suprema perfezione era sbocciata nella santissima sua Umanità. Il manto rappresentava l'incomprensibile amore che ha condotto il Salvatore a soffrire per noi trattamenti indegni, come se non avesse potuto acquistare meriti, che a prezzo degli strazi della Passione. Il Re di gloria, in quel magnifico paludamento, accompagnato da una moltitudine di Angeli, s'avanzò in mezzo al coro. Cinse teneramente col braccio destro ciascuna Religiosa che si era comunicata al mattino e depose sulle loro labbra un bacio divino, dicendo: « Ecce ego vobiscum sum, usque ad consummationem saecult - Ecco che sono con voi fino alla consumazione dei secoli» (Mat. XXVIII, 20). A qualcuna offerse anche un anello d'oro, adorno di una gemma stupenda, dicendo: « Non relinquam vos orphanos, veniam ad vos iterum - Non vi lascerà orfani: ritornerò a voi » (Giov, XIV, 18). Geltrude, piena chi ammirazione, disse: « O Gesù, ricco in bontà e misericordia, queste Monache hanno forse meritato qualche cosa più ¢elle altre, giacché tu ti sei degnato mettere loro in dito un anello, come pegno di speciale amore? » Egli rispose: «Durante il pranzo esse hanno pensato con devozione alla accondiscendenza ch'ebbi nel cibarmi coi miei discepoli, prima di salire al cielo: Ad ogni boccone preso, meditando quel versetto: «Virtus tui divina amoris... ecc. - La forza del tuo divino amore m'incorpori a Te tutt'intiera» la gemma del loro anello acquistava una virtù affatto speciale».
Quando il coro cantò l'antifona Elevatis manibus... ella vide Gesù innalzarsi al cielo per propria virtù, circondato da una moltitudine di Angeli, che lo scortavano rispettosamente. Mentre ascendeva benedisse la Comunità riunita, con ampio segno di croce, dicendo: « Pacem meam do vobis: pacein meam relinquo vobis - Vi dò la pace: vi lascio la mia pace » (Giov. XIV, 27). In quell'istante Geltrude comprese che con quella benedizione, il Signore aveva diffuso la sua divina pace nelle anime che si erano preparate divotamente alla solennità dell'Ascensione. Tale pace era così grande, che nessuna vicissitudine avrebbe mai più potuto perturbarla, perchè resterebbe sempre in fondo a quelle anime, come scintilla sotto la cenere.
CAPITOLO XXXVII
PREPARAZIONE ALLA FESTA DI PENTECOSTE
La festa di Pentecoste era imminente; Geltrude ebbe l'idea, nella domenica precedente, prima di comunicarsi, di pregare il Signore, perchè la preparasse convenientemente a ricevere lo Spirito Santo con le virtù della purezza, dell'umiltà, della pace e della concordia. Chiedendo la purezza, s'accorse che il suo cuore era diventato candido come la neve: domandando l'umiltà, vide il Signore scavare nell'anima sua una specie di valle destinata ad accogliere le sue grazie. Quand'ella chiese la pace, il Signore circondò il suo cuore con un anello d'oro, per difenderlo da qualsiasi attacco nemico. Ella disse allora: «Ahimè, mio Gesù! Temo di rovesciare ben presto questo baluardo di pace, perchè non so trattenermi quando vedo l'offesa tua, alla quale mi oppongo con forza ed energia». Rispose il Salvatore: « Non turbarti, figlia mia, tale commozione non rovescia il baluardo che ti protegge, bensì lo fornisce di feritoie da cui l'inestinguibile ardore dello Spirito Santo si apre un passaggio, per portare alla tua anima la sua brezza celestiale».
Mentre Geltrude domandava la concordia della carità, il Signore la fortificò, coprendo l'anima sua con una specie di velo, destinato a custodire i doni del Santo Spirito. Ella temette in seguito, di perdere quella preziosa custodia, reagendo con fierezza contro le opposizioni sollevate da persone che volevano offendere la Religione. Il Signore la istruì affermando: « Non si perde la concordia, opponendosi all'ingiustizia; anzi, mi metto Io stesso sulle fessure che lo zelo apre nel cuore e conservo in esso l'abitazione e le opere del mio divino Spirito».
Geltrude comprese poi che chiunque domanda al Signore di preparare il suo cuore alla venuta del Paracleto con le quattro virtù di cui abbiamo più sopra parlato, sforzandosi di praticarle, ottiene la grazia desiderata.
CAPITOLO XXXVIII
DELLA DOLCE FESTA DI PENTECOSTE
Nella santa vigilia di Pentecoste Geltrude chiese con fervore, durante l'Ufficio, di essere preparata a ricevere degnamente lo Spirito Santo. Sentì il Signore dirle con infinita tenerezza: « Riceverai la virtù dello Spirito Santo che viene su di te » (Att. 1, 8). Quelle parole le fecero provare dolcezze grandi che, colmandola di gaudio, la portarono però a considerare anche la sua profonda miseria. Ella si accorse che questo sentimento di sincera umiltà scavava in lei una specie di abisso, che si faceva tanto più profondo, a misura che si stimava più vile. Dal Cuore dolcissimo di Gesù scorreva un ruscello, dolce come favo di miele che diffondeva le sue acque in quell'abisso per riempirla completamente. Geltrude comprese che quella sorgente simboleggiava la dolcezza dello Spirito Santo che, per mezzo del Cuore di Cristo, si diffonde sull'anima degli eletti. Il Signore poi con la sua Mano divina, benedisse quel cuore così colmo, come si benedice il fonte battesimale, perchè l'anima potesse ivi immergersi spesso ed uscirne sempre più pura, più gradita al divino sguardo.
Felice d'avere ricevuto quella benedizione, ella disse a Gesù: « Oh, mio Dio! Eccomi indegna peccatrice al tuo cospetto; io confesso, con dolore che, per fragilità umana, ho spesso offeso la tua Onnipotenza divina; per ignoranza ho oltraggiato la tua suprema Sapienza, e per malizia ho reso molte volte inutile la tua ineffabile Bontà. O Padre della misericordie, abbi pietà di me! Fa che io trovi nella tua Onnipotenza la forza di resistere a tutto ciò che non risponde al tuoi desideri. La tua impenetrabile Sapienza mi dia la prudenza necessaria per prevedere tutto ciò che potrebbe ferire la purezza del tuo sguardo; mi accordi la tua inesauribile Bontà di restarti così fedelmente unita che nulla giammai mi allontani dalla tua santa Volontà ». Dicendo questa preghiera le sembrava d'immergersi in una fonte purificatrice e di uscirne candida come la neve. I Santi si alzarono giubilanti e, per supplire alle sue miserie, negligenze, imperfezioni offrirono a Dio tutti i loro meriti, di cui ella si trovò magnificamente adorna. Il Signore allora la pose davanti a sè, in modo che il suo divino soffio aleggiava nell'anima di Geltrude e reciprocamente; Gesù le disse: « Sono queste le delizie che mi compiaccio di gustare tra i figlioli degli uomini ». L'alito dell'anima era la buona volontà, l'alito di Dio, la misericordia accondiscendente che accetta tale buon volere. Riposando così negli amplessi del Signore, ella sembrava essere in una dolce attesa, che doveva prepararla degnamente alla discesa dello Spirito Santo.
Mentre si sforzava di ottenere dal Signore, con suppliche speciali, i sette doni del divino Paraclito e prima di tutti il santo timore che allontana dal male, Gesù parve piantare nell'anima sua un grazioso albero, i cui rami stesi coprivano la dimora del suo cuore. Quell'albero portava spine ricurve, da cui uscivano splendidi fiori che si innalzavano verso il cielo. L'albero simboleggiava il santo timore di Dio, che trapassa l'anima con aculei per ritrarla dal male, i fiori invece rappresentavano la buona volontà, che fa desiderare all'anima di resistere a qualsiasi malsano influsso per non incorrere nel peccato. L'albero del timore di Dio cresce appunto mediante la fuga del male e la ricerca del bene. Quando poi Geltrude chiese al Signore gli altri doni dello Spirito Santo, ciascuno di essi le apparve sotto forma di un bell'albero ricoperto di fiori, e dei frutti che gli erano propri.
L'albero della scienza e della pietà pareva stillare dolcissima rugiada, perchè coloro che praticano queste virtù sono immersi in celeste refrigerio che li fa germinare e fiorire. Agli alberi del consiglio e della forza erano sospese piccole corde d'oro, per mostrare che l'anima è attratta alle cose spirituali dal consiglio e dalla forza dello Spirito Santo. Infine dagli alberi della sapienza e dell'intelletto scaturivano piccoli ruscelli di nettare, per indicare che l'anima è penetrata dal sapore delle cose divine, mediante lo spirito di sapienza e d'intelletto.
Durante quella santa notte Geltrude si sentì talmente sfinita, da non poter assistere più a lungo al Mattutino; confusa e mortificata disse a Gesù: « O mio Dio, quale gloria e quale gioia posso io mai procurarti, con una sì breve assistenza alle sante tue vigilie? ». Le rispose il Salvatore: « Voglia farti capire le cose spirituali, con un paragone tolto alle cose esteriori. Rifletti alla felicità di uno Sposo quando la Sposa sua gli prodiga, nella gioia del cuore, le prove della sua tenerezza. Eppure lo Sposo non gusterà mai le delizie che m'inondano quando i miei eletti mi offrono i loro cuori, perchè vi prenda le mie gioie, non fosse che per un solo istante ».
Mentre stava per comunicarsi le parve che dalle membra del Signore esalasse un dolcissimo soffio, il quale, penetrando la sua anima, le faceva provare delizie ineffabili. Comprese che tale favore le era accordato, perchè aveva chiesto con ardore i doni del divino Paracleto. Dopo di essersi comunicata, Geltrude presentò al Padre la santissima vita di Gesù Cristo, per supplire alla negligenza usata, dopo d'avere ricevuto lo Spirito Santo nel Battesimo, offrendo all’Ospite Santo una dimora sconveniente. Tale offerta fu una di provocazione per il dolcissimo Paracleto, il Quale, rapido dell'aquila che si precipita sulla preda, discese ad spiegate, quale mistica colomba, sui Sacramento di vita. Egli vi ricercò il dolcissimo Cuore dì Gesù e, penetrandovi delizia, mostrò quanto Gli era gradita la dimora, in seno a Dio.
A Terza, mentre si cantava l'inno Veni Creator, Gesù apparve e aprì con le sue stesse mani il Cuore suo sacratissimo, colmo di divina dolcezza. Geltrude cadde in ginocchio e chinò il capo posandolo sul cuore del suo Dio, il quale racchiuse la testa della sua Sposa, come per unire a sè la sua volontà, che è la testa dell'anima e per santificarla nella mente.
Alla seconda strofa Qui Paracletus diceris, il Signore l'invitò a mettere le mani sul suo Cuore, per ottenere che le aue azioni fossero perfettamente gradite a Dio.
Al terzo versetto In septiformis gratia, applicò i piedi (che significano i desideri) al Cuore di Gesù, perchè fossero santificati. Alla quarta strofa, Accende lumen sensibus, ella affidò i sensi al Signore e ricevette da Lui la promessa che sarebbero splendenti per illuminare il prossimo nella scienza divina e renderlo fervente nell'amore. Durante il quinto versetto Hostem repeilas tongim, Gesù s'inchinò con tenerezza su di lei e le diede il suo celeste bacio, perchè le servisse come scudo, contro i dardi del nemico. Durante questa comunicazione soprannaturale, l'anima sua provò tale dolcezza, che bene comprese come si erano in lei realizzate le parole udite alla vigilia: « Riceverete la virtù dello Spirito Santo che viene a voi ».
CAPITOLO XXXIX
COME GELTRUDE RAGGIUNSE LA PIENEZZA DELLA VITA SPIRITUALE
Nella seconda feria, (lunedì di Pentecoste), al momento dell’Eevazione, ella offerse la Santa Ostia per supplire alle negligenze commesse nella vita spirituale, quando le era capitato di resistere, o di soffocare le ispirazioni dello Spirito Santo. Ella vide allora l'Ostia salutare produrre rami stupendi. Il divino Spirito li raccoglieva e formava come una siepe intorno al trono dell'adorabile Trinità. Questi rami germogliati dall'Ostia, mostravano a Geltrude che le negligenze della sua vita erano completamente riparate dalla grandezza del Sacramento. Dal trono una voce si fece udire: « Colei che rallegra lo Sposo con l'incanto di questi fiori, s'avvicini con fiducia alla camera nuziale ». Ella comprese che il Signore, a motivo dell'oblazione del Sacramento Eucaristico, si degnava di riceverla come un'anima perfetta nello stato spirituale.
Al primo Agnus Dei pregò per la Chiesa universale, perché fosse paternamente governata da Dio; al secondo chiese il sollievo per le anime del Purgatorio; al terzo pregò il Signore di voler accrescere i meriti dei Santi e degli eletti che regnano con Lui in cielo.
Alle parole dona nobis pacem, Gesù s'inchinò verso di lei con tenerezza e impresse sulle sue labbra un bacio di tale virtù, che tutti i Santi ne provarono l'efficacia, perchè penetrati da grande dolcezza, ebbero un accrescimento di gioia e di merito.
Mentre Geltrude si mosse per andare a comunicarsi, tutti i Santi si alzarono. I loro meriti, brillanti di divine chiarezze, gettavano raggi meravigliosi, come scudi scintillanti al sole; questo splendore investiva l'anima della Santa. Ella stava per ricevere l'Ostia, senza poter godere ancora la pienezza dell'unione divina; ma quando ricevette il Sacramento di vita, l'anima sua si trovò unita al Diletto, con tale gaudio che non sarebbe possibile immaginarne più grande. I ramoscelli di cui lo Spirito Santo aveva circondato il trono della SS. Trinità, incominciarono a verdeggiare ed a fiorire, come l'erba inaridita riprende freschezza sotto l'influenza d'una benefica pioggia. La sempre tranquilla Trinità ne ricevette delizie ineffabili e diffuse su tutti i Santi gioie ed allegrezze indescrivibili.
CAPITOLO XL
LA GRAZIA DELLO SPIRITO SANTO
Nella terza feria (martedì dopo Pentecoste), Geltrude offerse al Signore l'Ostia Santa, per supplire alla mancanza di gratitudine riguardo alla grazia d'unione e d'intimità che aveva ricevuto a preferenza d'altri. Ella si rammaricava di non avere rinunciato alle cose esteriori, per non cercare e pensare che a Dio solo. La Santa compì quell'atto con tale generosità che giunse al punto di chiedere di portare sempre la pena dovuta alle sue negligenze, per fare il Signore e supplire al detrimento cagionato alla sua gloria.
L'amabile Salvatore, che accetta il buon volere come l'opera, gradì l'offerta dell'Ostia Santa, esaudendo completamente la sua domanda. Infatti lo Spirito Santo raccolse in sé la perfezione del Cristo; discese con essa nell'anima e, per mezzo dell'Eucaristia, si unì inseparabilmente a quell'eletta creatura.
CAPITOLO XLI
FESTA DELLA GLORIOSA TRINITA'
Nella solenne festa dell'adorabile, sempre tranquilla Trinità, Geltrude recitò in suo onore questo versetto: « Gloria ti sia resa, o sovrana, eccellentissima, gloriosissima, nobilissima, dolcissima, benignissima, sempre tranquilla e adorabile Trinità; Deità una e uguale, prima di tutti i secoli, ora e sempre ».
Mentre offriva questa preghiera al Signore, il Figlio di Dio le apparve rivestito della sua Umanità, nella quale è detto minore del Padre. Egli stava davanti alla SS. Trinità, con la grazia e la freschezza della sua gioventù, portando su ciascuno dei suoi membri un fiore di tale bellezza che nulla quaggiù potrebbe darne idea. Questa visione significava che la piccolezza dell'uomo, essendo incapace di raggiungere la SS. Trinità, era supplita da Gesù, Verbo incarnato, che si dice minore del Padre; Egli infatti fa suoi i nostri sforzi, li nobilita per offrirli in degno olocausto alla suprema e indivisibile Trinità.
Al momento d'iniziare il Vespro, Gesù presentò alla SS. Trinità il suo sacratissimo Cuore, tenendolo in mano, quasi fosse una lira melodiosa, sulla quale dolcemente risuonavano davanti a Dio il fervore delle anime e tutte le parole dei canti sacri. Coloro che cantavano senza speciale divozione, per abitudine, o cercando una sodisfazione affatto - umana, producevano un sordo mormorio sulle corde basse; ma quelle che si applicavano a cantare devotamente le lodi della SS. Trinità, facevano risuonare, per mezzo del Cuore di Gesù, un canto soave e melodioso sulle corde più sonore.
Quando s'intonò l'antifona - Osculetur me - una voce si fece sentire; usciva dal trono e diceva: « S'avvicini il Figlio mio diletto, nel Quale ho posto le mie compiacenze, e dia un bacio infinitamente dolce, alla mia essenza, colma di delizie ». Allora Gesù si avvicinò e diede il suo dolce bacio all'incomparabile Divinità, a cui solo la sua Santa Umanità ha meritato di vincolarsi, col legame di una inseparabile unione.
In seguito il Figlio di Dio, volgendosi verso la Vergine sua Madre, in onore della Quale si cantava quell'antifona, le disse: « Avvicinati, mia dolcissima Madre, perché voglio darti un tenero bacio ». Appena ricevuto quel divino amplesso, ciascuno dei membri della Vergine appariva adorno degli stessi fiori, di cui Gesù si era mostrato fregiato, in virtù delle preghiere che Gli erano state offerte.
Egli onorava in tal modo la Madre sua, perchè da lei aveva ricevuto l'umana natura, le cui membra erano abbellite dai fiori delle nostre divozioni, e delle nostre povere preghiere.
Ella comprese che tutte le volte che si nominava in questa festa la persona del Figlio, il Padre lo colmava delle sue ineffabili, infinite tenerezze che glorificavano meravigliosamente l'Umanità di Gesù Cristo; gli eletti ricevevano da tale glorificazione nuova conoscenza dell'incomprensibile Trinità.
Durante le Laudi mentre si cantava l'antifona: Te jure laudant Geltrude lodò con slancio l'adorabile Trinità, bramando di poter cantare quest'antifona nell'ora dell'agonia per consumare le sue ultime forze nella lode di Dio. La risplendente, tranquilla Trinità parve inchinarsi con amore verso il sacratissimo Cuore di Gesù che, sotto il simbolo di una lira meravigliosa, arpeggiava suoni dolcissimi. La Santa appese a quella lira tre corde che armonizzarono subito con l'invincibile Potenza del Padre, con la Sapienza del Figlio, con la Bontà dello Spirito Santo, per supplire a tutti i debiti della sua anima, secondo il gusto della SS. Trinità.
Dopo d'aver cantato Mattutino, con attenzione molto intensa, Ella si chiese se mai avesse disgustato con qualche negligenza involontaria il suo Dio, perchè non aveva ricevuto le solite illustrazioni intellettuali, che la deliziavano durante le preghiera. Ben presto venne istruita con queste parole: « Se dovessi esaminare la cosa secondo la bilancia della giustizia, ti direi che hai certamente demeritato le dolcezze e i lumi spirituali, perchè hai gustato un piacere tutto naturale, ascoltando la melodia del canto, e seguendo le tendenze della tua volontà. Riceverai però un premio nella vita futura, perchè hai preferito le fatiche del mio servizio al tuo riposo».
Nessuna parola umana potrebbe tradurre a parole le grazie e le rivelazioni ricevute da Geltrude nella solenne festa della SS. Trinità, festa che le era particolarmente cara. Così ripetiamo, in ringraziamento di tali benefici, conosciuti solo da Dio, le lodi riconoscenti che l'Ufficio della S. Chiesa pone sulle nostre labbra in questo felicissimo giorno.
CAPITOLO XLII
NELLA FESTA DI S. GIOVANNI BATTISTA
Nella festa di S, Giovanni Battista, mentre Geltrude assisteva devotamente al Mattutino, vide S. Giovanni Battista in piedi, davanti al trono glorioso dei Re celeste. Era. nel fiore della giovinezza, adorno di una beltà meravigliosa e rivestito di un'immensa gloria per la sua qualità speciale di battezzatore di Cristo, precursore, araldo degno di mostrarlo al popolo.
Mentre Geltrude andava mirandolo, si persuase che non rassomigliava affatto al dipinti che aveva visto col suo ritratto, nei quali era rappresentato in età avanzata e con un povero aspetto. S. Giovanni rispose al suo intimo pensiero dicendole che anche quel fatto, gli procurava una gloria tutta speciale. Se la pittura lo rappresentava vecchio, era perchè la sua anima forte e decisa, aveva strenuamente combattuto el male, risoluta di continuare nella lotta fino all'estrema decrepitezza, cercando sempre e in ogni cosa la massima perfezione: ed è appunto perchè aveva coronato la sua esistenza proteso verso questo ideale che aveva ricevuto ricompense così grandi. Geltrude gli chiese in seguito se la giustizia e la santità dei suoi genitori avessero accresciuto i suoi meriti. Egli rispose: « L'avere io avuto parenti giusti che mi hanno insegnato la via della santità, accresce certo la mia gloria, così come un trono è tanto più elevato, se è posto su colonne artistiche; però delle loro doti umane di bellezza, di censo, di nobiltà non ritraggo alcun profitto, se non in quanto le ho disprezzate per pensare alle cose celesti; la gloria che ne ricevo è simile a quella del cavaliere vittorioso, che riconosce di essere sfuggito a molti pericoli ».
Alla S. Messa, mentre le Religiose si comunicavano, S. Giovanni Battista le apparve di nuovo rivestito di magnifici abiti color rosa, adorni di tanti agnelli d'oro, quante erano le persone che in quel giorno avevano ricevuto nel Corpo del Signore, per onorare la sua nascita. Geltrude vide altresì che Giovanni pregava per tutti coloro che avevano celebrato la sua festa, ottenendo a essi gli stessi meriti delle fatiche fatte per convertire al Signore i popoli.
CAPITOLO XLIII
NELLA FESTA DEL PAPA S. LEONE
La festa di S. Leone in quell'anno cadeva in domenica e S. Geltrude si applicò all'orazione con ardore più intenso del solito. Ella vide il Papa S. Leone in uno splendore di gloria ammirabile; fra altro la Santa ricordò la circostanza nella quale S. Leone, per vincere una tentazione, si era tagliata una mano, e ringraziò il Signore di quella vittoria così eroica, che aveva procurato al Santo un glorioso posto in cielo. Ella domandò che, per i meriti del grande Papa, una persona che a lei si era raccomandata, trionfasse per la gloria di Dio, di tutte le tentazioni. Geltrude ricevette allora dal Santo questa istruzione. La persona per la quale ella pregava prima di andare in un luogo, a di fare un'opera che avrebbe potuto essere occasione di tentazione, doveva recitare questo versetto: Il mio cuore e il mio corpo siano immacolati (Sal. CXVIII, 80). Terminata poi l'azione doveva ringraziare il Signore di averla preservata da cadute, perchè nessuna creatura pecca così gravemente che non possa farlo di più, se la misericordia del Signore non la preserva. Tuttavia, se commettesse qualche fragilità, ella dovrebbe offrire in riparazione a Dio Padre la innocentissima Passione e morte di Gesù Cristo. Il Santo assicurò che, se quella persona fosse fedele a tale pratica, Dio non permetterebbe giammai che peccasse al punto d'incorrere nella dannazione.
Mentre stava per accostarsi alla S. Comunione, comprese che S. Leone era là, ad intercedere per lei, presso il Signore. Egli chiedeva che Geltrude, ricevendo il Corpo di Gesù, esperimentasse la stessa dolcezza da lui provata, quando celebrò i santi Misteri, dopo d'avere riavuto, per intercessione della Vergine Maria, la mano che si era tagliata. Il Signore, accogliendo tale supplica, comunicò a Geltrude l'abbondanza delle divine tenerezze e le conferì lo stesso merito che S. Leone aveva acquistato in cielo, per la sua splendida vittoria. Il Salvatore, nella sua infinita bontà, volle accordarle questa grazia, perchè Geltrude, ben sapendo che la prova accresce il merito e la gloria in cielo, temeva sempre nella sua umiltà, di non meritare le sublimi ricompense della castità. Infatti Dio non permise mai, per la grande purezza del suo cuore, che sentisse le tentazioni della carne, ma la Santa attribuiva tale grazia solo alla sua fragilità. Pensava che se il Signore la preservava misericordiosamente da tale pericolo, si era perchè, conoscendo la sua debolezza, temeva che soccombesse alla tentazione.
I meriti di S. Leone dovevano appunto supplire all'indigenza di cui soffriva. Il Signore vi aggiunse ancora i meriti che la persona raccomandata alle sue preghiere, avrebbe acquistato, se fedele a' suoi avvisi, avesse superato valorosamente la tentazione.
Geltrude comprese perciò che, se si ringrazia Dio per una vittoria da altri riportata, oppure per un beneficio ricevuto dal prossimo, ed anche se s'istruisce alcuno per renderlo migliore, si acquista in più del merito personale, anche quello degli altri.
CAPITOLO XLIV
FESTA DEI SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO
Nella festa dei principi degli Apostoli Pietro e Paolo, mentre a Mattutino si cantava il Responsorio: Si diligitis me, Geltrude chiese al Signore quali pecorelle avrebbe potuto pascere per provargli con le opere l'amor suo. Rispose Gesù: « Nutri per me cinque agnelli scelti e teneramente amati. Pasci il tuo cuore con meditazioni divine, la tua bocca con parole salutari, i tuoi occhi con sante letture, i tuoi orecchi con l'audizione di buoni consigli, le tue mani con lavoro perseverante. Ogni volta che ti applicherai a uno di questi esercizi mi darai grande prova di amore».
Nelle meditazioni divine, la Santa comprese doversi includere tutti i progetti concepiti per la gloria di Dio ed il profitto personale del prossimo. Le parole salutari e le sante letture comprendevano tutto quanto si accoglie con merito cioè, le sofferenze, i buoni esempi, lo sguardo al Crocifisso. Riguardo ai santi consigli, ella comprese che le orecchie sono nutrite anche quando si riceve con pazienza un rimprovero. Il lavoro costante delle mani, non potendosi praticare simultaneamente con la lettura, va inteso con una certa larghezza, cioè più come intenzione che come azione, giacché l'amabile Salvatore accetta come lavoro anche il semplice desiderio di leggere e persino l'atto di tenere fra mano il libro.
Durante la S. Messa, mentre Geltrude lodava S. Pietro dei privilegi da Dio ricevuti e soprattutto delle taumaturghe parole: Tutto ciò che legherai in terra ecc. (Matt. XVIII, 18) l'Apostolo le apparve adorno di abiti pontificali. Egli stese la mano e la benedisse, per consumare in essa l'opera di salvezza che compie nelle anime in virtù delle suddette parole. Mentre si avvicinava alla balaustra per ricevere il Corpo di Cristo, sentiva la sua profonda indegnità. Allora i due Apostoli si posero uno a destra, l'altro alla sua sinistra per condurla con grande onore alla Mensa divina. Al suo arrivo il Figlio di Dio si alzò e, recingendola affettuosamente, le disse: « Sappi, figlia mia, che queste braccia che ti recingono ti hanno realmente guidata verso di me; volli però servirmi del ministero de' miei Apostoli, per aumentare la tua divozione a loro riguardo ». Geltrude si rimproverò amaramente di avere dimenticato di onorare S. Paolo con qualche pratica particolare e pregò Gesù stesso di supplire alla sua negligenza.
Mentre faceva il ringraziamento dopo la S. Comunione, Geltrude si vide assisa ai fianchi del Signore, quale regina che se ne sta vicina al re. I principi degli Apostoli piegavano il ginocchio davanti al trono, come cavalieri che si presentano per ricevere i premi distribuiti dal sovrano e dalla loro dama. La Santa si chiese con stupore se gli Apostoli non avessero acquistato in terra meriti sufficienti, offrendo così spesso il S. Sacrificio. Gesù la illuminò con questo paragone: « Quantunque sia grande onore per una regina essere Sposa del Re, tuttavia ella gusta una gioia speciale nel giorno delle nozze della sua figlia. Così i Santi, felici nel loro gaudio, si rallegrano però grandemente con l'anima che riceve il S. Sacramento ».
CAPITOLOXLV
NELLA FESTA DI S. MARGHERITA VERGINE
Nella festa dell'illustre Vergine, mentre Geltrude assisteva devotamente ai Vesperi, le apparve la Santa, brillante nello splendore della sua immortale beatitudine. Era adorna di un magnifico rivestimento di gloria, e stava davanti al trono della divina Maestà.
Quando s'intonò il Responsorio «Virgo veneranda in magna stans conàiantia verba contempsit judicis. Nil cogitans de rebus lubricis. Coelestis proemii spe gaudens, in tribulatione erat patiens. Nil cogitans - La Vergine degna di lode ferma e costante, disprezzò le parole del giudice. Il suo pensiero s'allontanava di ciò che è impuro. Gioiosa nella speranza della celeste ricompensa, soffriva la prova con pazienza». Una luce splendidissima irradiò dall'illibata Umanità di Gesù e investì l'anima di S. Margherita, accrescendone la verginale bellezza. Il Signore volle così rinnovare e raddoppiare in essa il merito della casta sua verginità, come fa il pittore che, con adatte vernici, fa brillare di nuove sfumature le tinte di un magnifico quadro.
Alle parole: in magna stans constantia, il Figlio di Dio, per aumentare la gloria della sua Sposa, e perfezionare il merito delle sue sofferenze, diresse nuovamente su lei una meravigliosa luce, che derivava dalla gloria incomparabile della sua amarissima Passione, facendola risplendere d'ineffabile bellezza. In seguito poi, mentre nell'inno si cantavano quelle parole « Sponsisque reddens proemio. - Che ricompensa la sua sposa», il Signore, rivolgendosi con tenerezza a S. Margherita, le disse: « O vergine mia Sposa, non ho forse aumentato a sufficienza la ricompensa dovuta ai tuoi meriti, perché mi si domandi ancora per te nuovi favori? ». E accarezzandola con amore, attirò in sé tutti gli atti di devozione che erano stati compiuti nel mondo intero da coloro che avevano degnamente celebrato la festa della Santa. Per tali atti di pietà, Egli aveva aumentato le inestimabili ricompense della fedele sua Sposa.
S. Margherita si volse poi a Geltrude e le disse: « Godi e vivi allegramente, o tu che fosti eletta dal Signore! Ricordati che per un po' di dolori sofferti in questo mondo, per qualche malattia e avversità, avrai ricompense grandi nella gloria del cielo. Per ciascun momento di patire lo Sposo e l'Amico tuo ti darà mille e mille anni di gaudio ineffabile in cielo. Le pene che talora provi nell'intimo del cuore, le fatiche che incontri nei tuoi lavori, sono una disposizione specialissima del suo amore, che vuol santificarti, minuto per minuto, ora per ora, giorno per giorno, e prepararti così all'eterna beatitudine. Pensa che al momento della mia morte, cioè quando ricevetti questo peso di gloria che mi fa trasalire di giubilo, non ero venerata in tutto il mondo, come lo sono ora; ero anzi disprezzata e ritenuta creatura miserabile. Credi dunque fermamente che, al termine della vita, gusterai, in una gloria senza fine, i dolci amplessi dello Sposo immortale, in seno a quelle delizie che l'occhio non ha veduto, l'orecchio non ha udito, il cuore non ha compreso e che Dio prepara a coloro che l'amano ».
CAPITOLO XLVI
NELLA FESTA DI S. MARIA MADDALENA
Nella festa di S. Maria Maddalena, la grande amante di Cristo apparve a Geltrude durante i primi Vespri adorna di rose d'oro e splendente di tante gemme quanti furono i suoi peccati. Ritta alla destra del Figlio di Dio, diffondeva su tutta la Corte celeste il meraviglioso splendore della sua gloria, e il Salvatore Gesù, prodigandole familiari carezze, le diceva tenerissime parole. Geltrude comprese che i fiori d'oro rappresentavano la divina clemenza che aveva rimessi i peccati di S. Maria Maddalena, le gemme preziose simboleggiavano la penitenza con cui ella, aiutata dalla divina grazia, aveva cancellato tutte le sue colpe.
Durante il Mattutino Geltrude applicò la sua divozione alle parole ed ai neumi che erano cantati in onore di S. Marria Maddalena, e la pregò d'intercedere per lei e per le persone che le erano state raccomandate. La Santa penitente s'avanzò, si prostrò ai piedi del Signore, li baciò con amore e li offerse, in virtù dei suoi meriti, a tutti coloro che desideravano avvicinarsi ad essi con sincera penitenza. Geltrude venne a baciare teneramente quei sacratissimi piedi, dicendo: « Ecco, o amatissimo Gesù, che ti offro le pene di tutte le persone che mi sono affidate e in loro compagnia, lavo i tuoi santissimi piedi ». Rispose il Signore: « Con ragione mi hai lavato i piedi in nome loro, adesso di' a coloro per i quali tu preghi che me li asciughino coi loro capelli, che li bacino e li profumino con preziosi aromi ». Geltrude comprese che quelle persone dovevano fare tre cose: per asciugare i piedi di Gesù era necessario che si esaminassero accuratamente se nei dolori da loro sofferti, nulla vi fosse di opposto a Dio, o che impedisse la loro unione col Signore; in caso affermativo dovevano proporre di vincere ogni ostacolo, a prezzo di qualsiasi sacrificio. Per baciare i piedi di Gesù dovevano confidare ciecamente nella bontà infinita di Dio, sempre pronto a perdonare le colpe dei cuori sinceramente pentiti. Infine per profumare quei santi piedi dovevano proporre di fuggire, per quanto è possibile, la minima offesa di Dio.
Aggiunse il Signore: « Se vuoi offrirmi il profumo che, secondo il Vangelo, quella grande penitente versò sul mio capo, spezzando il vaso che lo conteneva, così che « la casa fu tutta piena di quella fragranza: et domus impleta est ex odore unguenti (Giov. XII, 3), devi amare la verità. Infatti colui che, per amore della verità e per difenderla si espone ad avere sofferenze, a perdere amici, a compiere gravi rinunce, colui, dico, spezza realmente il vaso d'alabastro e profuma il mio capo, sì che tutta la casa è fragrante di quest'olezzo. Egli dà realmente buon esempio e mentre si sforza di correggere gli altri, migliora se stesso, cercando di evitare le colpe che biasima nel prossimo. Così il buon odore si diffonde per l'esempio edificante e le opportune correzioni al prossimo. Se mai poi, nel suo amore alla verità, cadesse in qualche difetto, sia correggendo con asprezza e zelo eccessivo, sia mostrandosi negligente o troppo rigido, io lo scuserò davanti al Padre celeste e a tutti gli eletti, come seppi difendere Maria Maddalena; di più soddisferò a tutte le sue colpe ».
Geltrude chiese: « Amorosissimo Gesù, si dice che Maria abbia comperato quell'unguento odoroso, come potrei anch'io, (sia pure a prezzo grande), renderti un omaggio così gradito? ». Egli rispose: « Colui che in ogni occasione, mi offre la sua buona volontà, che si sforza di agire per amore, e che accetta i più gravi sacrifici per la mia gloria, compera veramente questo balsamo squisito. Lo acquista purché, preferendo il mio onore al suo vantaggio, si assoggetta a qualsiasi rinuncia; lo acquisterebbe anche se per gravi ostacoli, non potesse tradurre in opera il suo progetto ».
CAPITOLO XLVII
FESTA DI S. GIACOMO APOSTOLO
Nella festa di S. Giacomo, il Maggiore, il glorioso Apostolo apparve a Geltrude, adorno di tutti i meriti dei pellegrini ch'erano andati a venerare le sue reliquie. Geltrude, meravigliata di tanto splendore, chiese a Gesù perchè mai S. Giacomo avesse tanti privilegi, giacché molti popoli accorrevano alla sua tomba, invece di andare a quella dei grandi Apostoli Pietro e Paolo, o a quella di altri Santi.
Il Salvatore le rispose: « Volli onorare questo mio diletto Apostolo con un privilegio affatto speciale, in vista dello zelo ardentissimo ch'ebbe per la salvezza delle anime: essendo morto in giovane età non ha potuto convertire alla fede molte anime, come fervidamente desiderava. La sua buona volontà forte, valida, decisa, sempre unita alla mia, gli ha meritato quello che non ha potuto compiere quaggiù per la sua morte precoce; cioè la salvezza di molte anime. Infatti i numerosi pellegrini che affluiscono al suo sepolcro, attratti dai miracoli che ivi si compiono, confessano i loro peccati e si ritemprano nella fede ».
Queste parole le fecero desiderare di ricevere ella pure, per i meriti del grande apostolo, l'assoluzione dei suoi peccati e propose di supplire al pellegrinaggio con la SS. Comunione ricevuta in suo onore. Dopo d'avere compiuto questo atto, le parve di essere seduta col Signore, a una mensa regale, ove erano serviti cibi eccellenti e sontuosi. Quando ebbe offerto, in lode eterna al Padre, il Corpo di Gesù per aumentare la gloria di S. Giacomo, l'Apostolo le apparve come augusto principe, si sedette rispettosamente a tavola di fronte al Signore e ringraziò la Santa per l'offerta magnifica del Sacramento vivificante, ricevuto in suo onore. Egli pregò Gesù di produrre nell'anima di Geltrude, che gli aveva fatto dono così stupendo, frutti di grazia, quei frutti preziosi che la sua infinita bontà poteva ritrarre dai meriti del suo Apostolo.
CAPITOLO XLVIII
FESTA DELL'ASSUNZIONE DI MARIA VERGINE
La festa della solenne Assunzione di Maria si avvicinava e Geltrude, trattenuta a letto da infermità, non poteva, benché assai lo desiderasse, recitare tante «Ave Maria» quanti erano stati gli anni passati dalla Vergine in terra. Tuttavia si sforzò di raggiungere quel numero, dividendo in tre parti la Salutazione angelica: Ave Maria - Gratia piena - Dominus tecum. Mentre stava offrendo queste ed altre preghiere, che alcune persone le avevano detto di presentare alla S. Vergine, la graziosa Regina del cielo le apparve rivestita con un manto verde, su cui brillavano numerosi fiori d'oro, in forma di trifoglio. Essa le disse: « Porto sul mio abito tanti fiori, quante sono le parole delle preghiere che tu mi hai offerto a nome delle persone che ti hanno raccomandato di presentarmele. Questi fiori brillano più o meno a seconda dell'attenzione posta nel recitare dette preghiere. Ora rivolgo questi divini splendori verso ciascuna di quelle anime, per renderle più gradite al Figlio mio ed a tutta la Corte celeste». La Regina del cielo portava, fra quei trifogli, anche alcune rose di meravigliosa bellezza, che avevano sei foglie: tre erano d'oro tempestate di gemme preziose, le altre tre offrivano una mirabile varietà di sfumature. Nelle tre foglie d'oro Geltrude riconobbe le tre parti della Salutazione angelica ch'ella aveva recitato, nonostante la sua debolezza, con un grande sforzo. Il Signore Gesù volle, nella sua immensa bontà, unire a quelle foglie preziose, le altre tre con colori stupendi: la prima per l'amore con cui Geltrude aveva salutato e lodato la sua dolcissima Madre; la seconda per la discrezione mostrata, recitando solo quelle tre parti, giacché era nell'impossibilità di fare di più; la terza per la perfetta confidenza che le faceva sperare di vedere il Signore e la dolce sua Madre accettare i suoi deboli sforzi.
All'ora di Prima, dopo la quale si doveva cantare la Messa della vigilia dell'Assunzione, ella pregò Gesù di ottenerle grazia e perdono presso la diletta sua Madre, perchè sentiva di essere stata spesso negligente nell'onorarla.
Il Salvatore s'inchinò allora verso la Madre sua e con un tenerissimo abbraccio dimostrò la divozione filiale che sempre aveva nutrito per lei. Indi le disse: « Ricordati, o mia Signora, e mia amorosissima Madre, che per te ho perdonato ai peccatori; guarda ora la mia eletta con quell'amore che avresti s'ella ti avesse sempre servita con la più grande divozione ». A quelle parole la Vergine parve sciogliersi in tenerezza e, per amore del Figlio suo, diede a Geltrude tutta la sua beatitudine.
Alla Messa Vultum tuum durante la colletta: Deus qui verginalem aulam, il Signore Gesù mostrò tanta affezione alla Madre sua, da rinnovarle tutte le gioie della sua santa Concezione, della sua nascita, e quelle che le procurò la sua santa Umanità.
Mentre Geltrude rifletteva alle parole: « In sua difensione munttos - munito dal sua soccorso» ella vide la Madre di bontà stendere il manto, per coprire con la sua protezione tutti coloro che si rifugiavano sotto il suo patrocinio; i Santi conducevano alla loro Regina le persone che si erano preparate alla sua festa con esercizi e preghiere speciali. Tali persone assomigliavano a bellissime giovinette e si sedevano rispettosamente davanti alla Madonna, come figlie alla loro madre. Vicino alle medesime volteggiavano schiere di angeli che le difendevano dalle insidie del demonio, eccitandole al bene. Geltrude comprese che quella protezione angelica era accordata alla domanda della colletta: ut sua defensione munttos, - perchè gli spiriti celesti stanno sempre vigilanti agli ordini della gloriosa Vergine, per difendere coloro che l'invocano.
Geltrude vide poi molti animali di diverse specie accorrere verso la Madre di Dio, per rifugiarsi sotto il suo manto. Essi simboleggiavano i peccatori che avevano divozione speciale alla Regina della misericordia. Essa li accoglieva con bontà, li proteggeva sotto il suo manto e li accarezzava con la sua dolce mano, come si usa fare coi cagnolini.
La Vergine rivelava così la sua misericordia verso coloro che a Lei si affidano, dimostrandosi sollecita di ricondurre al Figlio suo tutti quelli che, con un vero pentimento delle loro colpe, hanno sperato malgrado i loro peccati, nella sua misericordiosa mediazione.
All'Elevazione il Signore Gesù sembrò consegnare se stesso, sotto le spoglie sacramentali dell'Ostia, con tutta la beatitudine della sua Divinità ed Umanità, a tutti coloro che assistevano con divozione alla S. Messa in onore della sua dolcissima Madre, bramando di corteggiarla divotamente nella festa dell'Assunzione. Essi, dolcemente attratti e ri. confortati dalla virtù vivificante della Divinità, erano confermati nella buona volontà, proprio come un uomo recupera energie, sostentandosi con cibi nutrienti.
Dopo la S. Messa mentre le Monache, secondo le prescrizioni della Regola, si recavano in capitolo, Geltrude vide il Signore Gesù che le precedeva, circondato da una moltitudine di Angeli, attendendo con gioia l'arrivo delle sue Spose.
La Santa, alquanto stupita, chiese: « Come mai, o amatissimo Gesù, tu vieni a questo nostro Capitolo con si grande moltitudine di angeli? Eppure noi celebriamo questa festa in tono assai meno solenne della tua Nascita ed Incarnazione ». Rispose l'amabile Salvatore: « Sono venuto qui come buon padre di famiglia, che si fa premura di ricevere lui stesso gli invitati al suo banchetto. Oggi, per onorare la mia dolcissima Mamma, quando si annuncerà la solennità della sua gloriosa Assunzione, accoglierò con tenerezza speciale tutte le anime che desiderano celebrare divotamente questa festa. Di più per la mia divina autorità, assolverò tutte coloro che umilmente accuseranno le loro infrazioni alla Regola. Nello stesso modo assisto ai vostro Capitolo in ogni festività ed approvo tutto quello che ivi compite, come già ti mostrai nella vigilia della mia Natività ».
Mentre Geltrude assisteva con divozione speciale all'ora di Nona, quando, secondo le nostre costumazioni, inizia la festa dell'Assunzione, conobbe per divina ispirazione che appunto in quell'ora la Vergine venne talmente assorbita in Dio che, spogliata dalla scoria mortale, preludiava la vita celeste, non vivendo più se non per l'azione dello Spirito Santo. Rimase in quello stato fino alla terza ora di notte; allora si lanciò in Dio, adorna delle perfezioni di tutte le virtù, senza il minimo rimpianto di coscienza. Beatamente nelle braccia del Signore, fatta un solo spirito con Lui, entrò nella potenza della Divinità (Sal. LXX).
Ai Vespri, mentre si cantavano i salmi, la Santa vide il Signore attrarre nel suo divin Cuore tutte le lodi che Gli erano rivolte e dirigerle verso la Vergine come un torrente impetuoso, di cui la celeste Sovrana riceveva le onde, secondo il numero dei meriti di cui era arricchita. All'antifona: Tota pulchra es - ella si abbandonò nelle braccia del Signore, cercando di far risuonare le parole dell'antifona sul liuto del divin Cuore, in memoria delle tenerezze che il Figlio dell'Altissimo prodigò con queste ed altre parole, a Lei, sua beatissima Madre. A questa dimostrazione d'amore, i torrenti del divin Cuore inondarono con maggior impeto l'anima della Celeste Sovrana, sprizzando gocce di acqua brillanti come fulgide stelle. Tali stelle la circondarono per rallegrarla ed adornarla d'incomparabili splendori; ma il loro numero era così grande che molte caddero al suolo. I Santi, rapiti d'ammirazione, s'affrettarono a raccoglierle per offrirle gioiosamente al Signore; con tale atto vollero far comprendere che attingono gioia, gloria, beatitudine nella sovrabbondanza dei meriti della Madre di Dio. Tutti gli angeli si associarono con grande allegrezza al fervore della Comunità e fecero risuonare, con la medesima, il responsorio: Quae est ista?. In seguito il Signore cantò con voce sonora il versetto: Ista est speciosa, e lo Spirito Santo parve far vibrare il liuto del Cuore divino per lodare e glorificare la Vergine Maria, benedetta fra tutte le creature.
All'inno: Quem terra pontus ecc. la celeste Regina parve venir meno sotto il peso dell'immenso gaudio, e s'inchinò sul seno del suo amabilissimo Figlio per riposarsi fino alla strofa: O gloriosa Domina. Si alzò allora, quasi spinta dalla divozione dei fedeli, tendendo a tutti la mano della sua dolce protezione e materna consolazione. Alla dossologia Deo Patri, si levò di nuovo e piegò tre volte le ginocchia con grande riverenza per glorificare la Trinità, sempre adorabile. Rimase così prostrata tutto il tempo del Magnificat, pregando per la Chiesa; durante l'antifona Virgo Prudentissima, fece brillare una luce celeste su tutti coloro che la pregavano con divozione.
Un'altra volta, nella stessa festa dell'Assunzione, Geltrude era così sfinita, che si poté a stento trascinare a Mattutino. Mentre stava seduta, affranta per lo sforzo fatto, il Signore, che si leva in alto, la visitò con le viscere della sua misericordia (Luc. I, 78). Infatti quando si lesse il VI Responsorio, ella fu rapita in spirito e le parve di assistere alla gioconda festa, nella quale la Vergine, dopo d'aver pagato il tributo alla natura, se ne entrò giubilante ne' regni celesti.
Dopo il Responsorio Super Salutem fino al Te Deum, durante il quale ella riprese i sensi, tutti i canti le procurarono speciali illustrazioni e gioie ineffabili. Ne citerò solo alcuna più accessibile alla umana intelligenza. Le parve dunque che il Responsorio Super salutem fosse cantato dai cori riuniti degli angeli e degli apostoli, per rallegrarsi con la Sovrana degli onori ricevuti. Durante quel tempo la gloriosa Vergine, attratta da una forza infinitamente dolce, usciva dalla prigione del corpo per lanciarsi nelle braccia amorose del Figlio. Egli, Padre tenerissimo degli orfani, si sostituiva per così dire alla Chiesa, sua diletta Sposa, e volle raccomandare alla Madre sua le intenzioni che più profondamente interessavano il suo Cuore. Così cantò Lui stesso il VII Responsorio: « Sancta Deo diletta - Santa ama ta da Dio ». In seguito, mentre la Vergine, man mano s'inalzava, il Figlio, acceso da affezione sempre più tenera per la Madre sua, raddoppiò le lodi, salutandola con l’VIII responsorio: Salve Maria; l'assemblea dei Santi, riprendendo i canti, aggiunse: « Salve, pia Mater christianorum - Salve, tenera Madre dei Cristiani ». In seguito Gesù, personificando ancora la Chiesa sua Sposa, cantò con voce chiara: « Virgo solamen desolatorum - Vergine consolatrice degli afflitti ».
Durante il cantico: Audite me, divini fructus, la beatissima Vergine parve entrare in cielo trasalendo di giubilo, ma la visione del trionfo meraviglioso non potrà mai essere espressa da umano linguaggio. La Vergine parve entrare in un magnifico prato, smaltato di fiori. Quando si cantò il versetto: Et frondete in gratiam, tutti i fiori vollero celebrare l'arrivo d'una sì grande Regina: dai loro petali irradiò una luce affascinante accompagnata da squisiti olezzi e da melodie così soavi, come se tutti i suoni della terra si fossero riuniti in un concerto armonioso.
La dolcissima Vergine, gustando la sua incomparabile beatitudine, lodava Dio e salmodiava: Gaudens gaudebo in Domino. Dio Padre, placato alla vista di una Vergine così bella, benedisse la Chiesa militante e le disse nell'abbondanza della sua soavità: Non vocaberis ultra derelieta. In seguito a onore della Vergine Maria, tutto il coro degli angeli cantò con slancio questo inno: Sexaginta sunt reginae, per dimostrare che la Madre di Dio è al di sopra di tutte le gerarchie. Il coro dei Santi incalzò et octogirata concubinae, proclamando che Ella ha ricevuto maggiori privilegi di tutti loro presi insieme. Infine il coro riunito degli Angeli e dei Santi, insistette cantando in nome della Chiesa militante: et adolescentularum non est numerus - per esaltare la Madre di Dio al di sopra di loro tutti. Lo Spirito Santo aggiunse una dolcissima modulazione: Una est columba mea, come se avesse detto: « Ho trovato solo in Essa la mia somiglianza, solo in Essa mi compiaccio di riposare ». Il Figlio di Dio proseguì: perfetta mea: cioè tutto ciò che la mia Divinità e la mia Umanità bramavano trovare nella creatura, l'ho scorto solo in Lei.
Dio Padre aggiunse: una est matris suae, eletta genetricis suae come se, nell'eccesso del suo amore, non potesse trattenere l'espressione della sua tenerezza. Maria venne allora posta con grande riverenza, sul trono di gloria alla destra del Figlio suo, mentre tutta la Corte celeste faceva echeggiare il Responsorio: Salve nobilis. Virga Jesse, Salve flos campi, Maria, Unde ortum est lilium convallium. Odor tuus super euncta preziosa unguenta; favus distillans labia tua, mel et lai sub lingua tua. Unde - Io ti saluto, nobile stelo di Jesse: io ti saluto, fiore dei campi, Maria. Da te è uscito il giglio delle valli. Nessuna preziosa fragranza può esserti paragonata. Le tue labbra distillano miele, la tua voce è dolce come miele e latte. I cittadini del cielo, plaudenti intorno a quel trono regale ed animati da crescente ardore, celebrarono la santissima vita di Maria, cantando con gìoia ineffabile il Responsorio: Beata es Virgo Maria - Fu la Trinità stessa che disse il versetto, per rinnovare in quella Vergine benedetta la dolcezza della Salutazione angelica, che fu l'inizio della sua gloria.
Il coro dei Santi riprese: « Ecce esaltata es - Ecco che sei esaltata » e la pregò d'intercedere per la Chiesa militante. Indi Dio Padre che si compiacque di onorare l'oggetto di tutte le sue tenerezze, iniziò il Responsorio « Ave, Sponsa Sunamitis, secundum Cor Summi Regis: Ave Virgo Mater, Spiritu Sancta teste, Tu olimi Mariam sordibus Aegyptiis millies exosam, Tu Theophtlum desperatum apostatam reconciliasti Filio Tuo. In gratia. O Sancta, o celsa, o be: nedicta, mitiga et nobis tram Filii tui. In gratiam. - Io ti saluto, Sposa Sunamite secondo il Cuore dell'altissimo Re. Io ti saluto Vergine Madre, come l'attesta lo Spirito Santo. Tu hai riconciliato in grazia col tuo Figlio, e Maria che si era coperta in Egitto da mille colpe, e Teofilo, l'apostata disperato. O Santa, o sublime, o benedetta, placa in nostro favore la. collera del Figlio Tuo ». Tale Responsorio incominciato dal Padre con le parole Ave Sponsa, venne continuato dal Figlio: Sunamitis secundum cor Summi Regis e ripreso dallo Spirito Santo: « Ave Mater Maria ». Il Figlio aggiunse: Spiritu Sancto teste. E tutti i Santi proseguirono con giubilo: Tu olim Martam sordibus Aegypti millies exosam; e gli angeli proclamarono Tu Theophilum desperatum apostatam reconciliasti Filio tuo in gratiam. Allora con slancio ineffabile tutti i Santi insieme, in nome della Chiesa militante, piegarono il ginocchio davanti alla Vergine Maria, osannando: O Sancta, o celsa etc. dopo di che la Trinità uscì come fuori dal profondo abisso del suo gaudio, intonando con ammirazione il XII Responsorio: Quae est ista? per proclamare i meriti della gran Madre di Dio.
Geltrude notò poi che la S. Vergine, con la milizia celeste, celebrava la propria beatitudine cantando Te Deum laudamus, a gloria dell'adorabile Trinità. La lode del primo verso si rivolgeva a tutta la Trinità; quella del secondo: Te aeternum Patrem, più specialmente al Padre, quella del terzo Tibi omnes Angeli, al Figlio; quella del quarto: Tibi Cherubin, allo S. Spirito. Così in ogni versetto ciascuna persona della SS. Trinità era lodata; i sette versetti Tu Rex glortae Christe s'indirizzavano più specialmente al Salvatore, felicitandolo perchè, mediante il suo aiuto, la Vergine aveva sempre glorificato il Signore con tutti i suoi affetti, senza mai lasciarsi distogliere d'alcun che di passeggero. Nei versetti seguenti: Aeterna jac, ciascuna delle Tre Persone divine era lodata a sua volta. Geltrude comprendeva sempre meglio come ogni versetto attribuito al Padre rispondeva allo scopo con perfetta convenienza; lo stesso avveniva per le altre due Persone.
Quando, dopo questa gioconda solennità, ella riprese contatto con la vita ordinaria, si accorse che non solo la sua anima che aveva gustato tante delizie, si era rinvigorita, ma persino il suo corpo aveva ripreso forze da poter camminare da sola senza fatica. La straordinaria energia si mantenne fin dopo la Messa solenne, all'ora del pasto.
Tre anni dopo ella era afflitta ancora da malattia. Nella vigilia dell'Assunzione, volle, fin dal mattino, sodisfare alla sua pietà e vide la Vergine Maria in un delizioso giardino fiorito, olezzante di soavi profumi. Nella gioia tranquilla di una celeste contemplazione la Vergine stava per spirare; la dolce serenità del suo volto, il fascino del suo atteggiamento e la Maestà della persona dicevano ch'Ella era veramente: la piena di grazia! In quel giardino si vedevano magnifiche rose senza spine, gigli splendenti di candore, viole fragratissime e moltissimi fiori di ogni qualità. Non v'era però un filo di erba. Cosa strana! Quel fiori, più erano lontani dalla Vergine, maggiormente brillavano per grazia, profumo e vigore. La celeste Regina ne aspirava gli olezzi, per esalarne poi gli effluvi nel divin Cuore, che l'amatissimo suo Figlio sembrava aprire davanti a Lei.
Una moltitudine innumerevole di Angeli parve occupare lo spazio che si trovava fra la Vergine e i fiori, di cui aspirava il profumo. Essi rendevano i loro omaggi all'eccelsa Regina e nel contempo lodavano il Signore. Geltrude vide anche S. Giovanni evangelista pregare con fervore al capezzale di Maria, la quale sembrava estrarre dal Santo una specie di emanazione meravigliosa. Tale visione le procurava grandi delizie ed ella desiderava di conoscerne il profondo significato. L'amabile Gesù le disse che il giardino simboleggiava il Corpo immacolato di Maria, e i fiori le virtù di cui era adorna. Le rose più lontane, le più belle, coltivate dagli spiriti celesti con maggior cura, rappresentavano le opere di carità verso Dio e verso il prossimo; più si esercita la carità e più l'anima diventa bella. I gigli dal profumo squisito e immacolato candore, significavano la santa sua vita che i fedeli cercano d'imitare. Infine quella misteriosa emanazione che la S. Vergine sembrava assorbire dal cuore di S. Giovanni, rappresentava la gloria attribuita a questo Santo apostolo, per il bene che la Madre di Dio aveva compiuto liberamente in terra, perchè egli provvedeva a tutti i suoi bisogni.
Geltrude chiese poi a Gesù quale vantaggio avesse San Giovanni per la filiale sollecitudine verso la Vergine». Egli le rispose: « Il mio Cuore si è dolcemente avvicinato a lui con altrettanti gradi d'amore a misura delle sue sollecitudini per la santa mia Madre ». Geltrude vide infine che la persona della benedetta Vergine, posta in quel giardino, rappresentava la sua anima così preziosa. Essa, saziata di delizie coi frutti delle sue virtù, raccoglieva tali frutti in se stessa, mediante un meraviglioso soffio che percorreva, per così dire, il giardino del suo corpo riportando tutto a Dio con slancio di riconoscenza. La beatissima Vergine parve riposare in questa grande gioia fino all'ora di Mattutino, bella quale Geltrude, rapita in estasi, la contemplò in un tranquillo riposo sul seno del diletto Figlio suo. Gesù gustava delizie ineffabili a deporre nel Cuore di sua Madre, tutti i frutti di virtù ch'Ella gli aveva offerti per riconoscenza. Passando dal suo divin Cuore essi acquistavano valore infinito e, simili alle rose e ai gigli delle valli, rivestivano la loro Regina di beltà, e freschezza incomparabile.
Dio Padre cantò Lui stesso, con dolcezza infinita il primo Responsorio dicendo: « Vidi speciosam - Ho visto la tutta bella » per far conoscere agli abitanti del cielo, che t'aveva trovata sulla terra, colomba senza macchia per la sua innocenza: « ascendentem desuper rivos aquarum »: elevata al di sopra delle correnti delle acque, per i suoi desideri:. « cujus tnaestimabilis odor erat in vestimento »: i cui vestimenti, (cioè la sua santa vita), diffondevano un ineffabile profumo, « et sicut dies verni circundabant eam Mores rosa rum et lilia convallium: e i fiori dei rosai e i gigli delle valli, (cioè le sue virtù), la circondavano come una fragrante primavera. Allora lo Spirito Santo, intonando il secondo Responsorio in nome della Santa Vergine, fece brillare di eccelso splendore la santità della sua vita con questa dolcissima modulazione: Sicut cedrus... Come cedro... In seguito tutti i Santi, estasiati dal concerto, espressero la loro ammirazione col III Responsorio: « Quae est ista? ». A ciascuna parola Geltrude riceveva grandi illustrazioni, ma per l'estremo sfinimento, non potè nulla ricordare.
Tutti i Santi, formando una magnifica processione, si riunirono davanti al trono verginale della gloriosa Madre, cantando in armonioso concerto il IV Responsorio: « Gaude Regina praepotens, aeterna lucis proenitens, gaude coelorum Domina, o Virgo pulcherrima. Gaude misericordissima, gaude. perenni gloria. Fac nos laetari, jaciemque tuam speculari, plena virtutis, dulcedinis et ptetatis. Gaude. - Sii felice, o Regina onnipotente, brillante riflesso dell'eterna luce, sii felice, Regina del cielo, o Vergine tutta bella. Sii felice, o misericordiosa Maria, sii felice per la tua inesauribile gloria. Donaci la gioia, mostraci il tuo volto, o piena dì virtù, di dolcezza, d'amore».
I Santi la lodavano per essere la Sovrana potente, che faceva in loro brillare la chiarezza dell'eterna luce; perchè stava per entrare nel suo regno, quale Regina del cielo e della terra; esultavano inebriati di gioia, perchè più bella di tutte le vergini, splendida in virtù, in grazia, potente in misericordia, e atta a soccorrere tutti gli uomini, di cui sarà la beatitudine poiché, per i suoi meriti, mette il colmo alla gioia di tutti i Santi.
Allora il coro degli angeli, avanzandosi con solennità, cantarono il versetto fac nos laetari quasi per attrarla a quella gloria, che doveva coronare la sua morte di tanti splendori. I Santi aggiunsero il Gloria Patri, per ringraziare la Trinità di tutte le grazie ricevute dalla Vergine nell'anima e nel corpo.
Le antifone ed i salmi che seguirono furono cantati dall'assemblea dei Santi, offrendo uno spettacolo meraviglioso. Al V Responsorio fu la nobile Vergine stessa che ritta cantò, in un trasporto di gioia e di gratitudine: « Beatam me dicent omnes generationes - Tutte le generazioni mi chiameranno beata ».
Infine la Santissima anima, benedetta fra tutte le creature, sciolta dal corpo, appoggiata con tenerezza al braccio del Figlio, e godendo dei baci dello Sposo, s'immerse, con un'incomparabile unione, alla sorgente di quella beatitudine infinita, dalla quale non doveva più uscire.
Tutta la Corte celeste fu illuminata e rallegrata dalla presenza di sì grande Regina. Mirava la Vergine incomparabile nei dolci amplessi che le prodigava l'ineffabile accondiscendenza del Re supremo; la vedeva esaltata al di sopra di tutti gli Angeli e Santi, posta immediatamente dopo la SS. Trinità. Tutti in coro celebrarono le sue lodi, cantando con meraviglioso trasporto di gioia, il VI Responsorio: Super salutem. Così terminò la visione.
Si vede chiaramente dal fin qui detto, con quale bontà Dio vuol provvedere alla salvezza di molti, accordando le sue grazie di privilegio ad una sola anima, poiché volle completare la visione iniziata tre anni prima.
Se la nostra negligenza chiude per noi la corrente spirituale della grazia, cogliamo qualche. fiore di divozione nel meraviglioso giardino che ci viene aperto.
Un'altra volta, nella stessa festa dell'Assunzione, mentre Geltrude assisteva con fervore a Mattutino, volle avere in ciascuno dei tre Notturni, un'intenzione speciale. A ciascuna parola, a ciascuna nota del primo Notturno, ella ricordò alla gloriosa Vergine le ineffabili consolazioni ch'Ella dovette provare, tanto da parte del diletto suo Figlio, quanto da quella di tutti i Santi, mentre aspettava il momento del benedetto suo transito. A ciascuna parola che Geltrude, o altra persona divota pronunciava per richiamarle quelle gioie, la Vergine senza macchia, si vedeva circondata di rose e di gigli.
Al secondo Notturno Geltrude le ricordò le dolci consolazioni provate, passando dalla terra al cielo, appoggiata soavemente al suo Diletto. La divina Madre riceveva tanti gioielli, quante erano le parole che si pronunciavano nell'intero universo per richiamarle quei gaudi immensi.
Al terzo Notturno Geltrude ricordò alla celeste Regina quella gloria che sorpassa ogni intelligenza, di cui venne rivestita alla sua entrata in cielo, quando Dio le assegna il primo posto, al di sopra di tutti. Ogni parola di quel Notturno portò alla beatissima Vergine innumerevoli raggi di luce, e dolcezze più deliziose dei profumi di aromi squisiti.
Alla S. Messa, Geltrude recitò tre volte il Laudate omnes gentes, e domandò a tutti i Santi, com'era solita fare, di offrire col primo, al Signore, per essa, i loro numerosi meriti, onde prepararla a ricevere il divin Sacramento.
Col secondo pregò la SS. Vergine e col terzo Gesù per lo stesso motivo. La Regina celeste a quella preghiera si alzò ed offrì alla risplendente, sempre tranquilla Trinità, i meriti delle ineffabili grandezze che l'avevano, il giorno dell'Assunzione, innalzata al di sopra degli uomini e degli angeli, rendendola gratissima a Dio. Poi, lasciando il trono che occupava fece cenno a Geltrude, dicendo con infinita tenerezza: « Vieni, mia diletta, e mettiti al mio posto, perchè sei rivestita della perfezione e delle virtù che attiravano su me la compiacenza della SS. Trinità, affinché tu riceva, per quanto possibile, lo stesso favore ». Ma Geltrude, profondamente stupita, rispose con disprezzo di sè medesima: « O Regina di gloria, come mai potrei io ottenere i tuoi stessi favori? Quali meriti ho io al cospetto del Padre?». La Vergine rispose: « Se farai tre cose te ne renderai capace. Domanda, per la innocentissima purità con la quale ho preparato al Figlio di Dio dimora gradita nel mio seno verginale, di essere tu pure purificata da ogni macchia. Per la profonda umiltà che mi ha esaltata al di sopra degli Angeli e dei Santi, chiedi che tutte le tue negligenze siano riparate. Da ultimo supplica, per l'incomparabile amore che mi ha unita in eterno a Dio, d'essere arricchita di meriti abbondanti ». Geltrude, fatte le tre richieste, venne elevata in spirito, alla gloria sublime che le era stata accordata, con tanta bontà, per i meriti della Regina del cielo. Quando apparve allo stesso posto della Vergine Maria, arricchita de' suoi meriti, il Dio di maestà pose in essa le sue compiacenze, mentre gli Angeli e i Santi le offrivano a gara i più rispettosi omaggi.
Quando la Comunità si avanzava per ricevere il SS. Sacramento, la Regina di gloria si pose in piedi, alla destra di ciascuna Monaca, la coperse mentre si comunicava, con una parte del suo stesso manto, quella porzione che la Suora aveva infiorato con le sue preghiere. La Vergine diceva a Gesù: « Per onorare la mia memoria, o dolcissimo Figlio, guarda quest'anima ». A tali parole il Signore, con divina compiacenza, dimostrò a ciascuna Monaca tenerezze incomparabili e diede a tutte l'Ostia di salute. Geltrude, dopo di essersi comunicata, offrì al Signore in lode eterna l'adorabile Sacramento, per aumento della gloria di Maria SS. quasi per ricambiarla del dono che la celeste Madre le aveva fatto de' suoi meriti. Gesù parve presentare un regalo alla Madre sua dicendole: « Ecco, o Madre, che ti restituisco il doppio di ciò che è tuo: eppure nulla tolgo a questa anima che tu hai arricchito per mio amore ».
Nel ritorno della processione, mentre la comunità cantava l'antifona « Ave Domina mundi, Maria » parve a Geltrude che le falangi celesti, con l'estrema dolcezza delle loro armonie, facessero trasalire il cielo in un nuovo trasporto dell'allegrezza. Bentosto la Vergine apparve ritta sull'altare, alla destra del suo Figliuolo, rivolto verso il Convento, raggiante di luce meravigliosa. Alle parole: Ave Regina coelorum, tutti i santi, piegando il ginocchio davanti a Lei, la veneravano come Madre del Salvatore. Alle parole: Ave, Virgo Virginum, la Sovrana celeste presentava, con le sue mani, un giglio brillante di candore a tutte le persone presenti, quasi per impegnarle a imitare la sua castità, fortificandosi in questa bella virtù. Mentre si cantava: Per te venit redemptio nostra, le sue viscere materne furono così profondamente commosse, che non potendo sostenere l'eccesso della felicità, s'appoggiò teneramente al Cuore del Figlio suo. Alle parole: « Pro nobis rogamus, rogita - Noi te lo domandiamo, prega per noi! » ella circondò con le caste sue braccia il collo del Figlio e, prodigandogli tenere carezze, gli mostrò le Monache presenti, e i bisogni particolari di ciascuna. Quando s'intonò l'antifona Hodie Beata Virgo, sembrò che la Vergine. s'innalzasse verso le celesti regioni, circondata di gloria, portata dal Figlio suo ed accompagnata dai cori angelici, che applaudivano al suo trionfo. Mentre s'elevava al più alto dei cieli, Ella prese la mano destra del Figlio e benedisse con essa la Comunità.
Dopo quella benedizione, si vide su ciascuna Monaca come una croce d'oro sospesa con nastro verde. Geltrude comprese che tutti potevano aver parte al frutto di quella benedizione, purché avessero fede viva e sincera confidenza nella Madre di misericordia.
CAPITOLO XLIX
NELLA FESTA DI S. BERNARDO ABATE
Nella vigilia della festa di S. Bernardo, durante la S. Messa, mentre Geltrude meditava i meriti di quel santissimo Padre, al quale tributava. tanta divozione, soprattutto per la soavità dei suoi insegnamenti, il divoto Abate le apparve in un'aureola di gloria ineffabile, raggiante di luce celeste. Non si poteva contemplarlo senza ammirare nel contempo, il triplice colore dei suoi abiti: l'integrità della sua innocenza verginale splendeva in lui col candore del giglio; la professione religiosa e la sua perfettissima vita erano rappresentate dal color viola; il suo amore fervente, dal rosso fiammeggiante. del rubino. Tali magnifici colori, adornando l'anima dell'augusto Santo, offrivano alla Corte celeste uno spettacolo ricco d'incanto. Il petto, il collo e le mani del gran Padre erano impreziosite da lamine d'oro, con gemme di color rosa che irradiavano vivo splendore.
Tali lamine simboleggiavano l'eloquenza della sua dottrina che, meditata nel suo cuore ardente d'amore, era salita alle labbra, per essere diffusa dalla voce consacrata; dottrina ch'egli scrisse con le sue mani benedette, per la salvezza di coloro che anelavano al cielo.
Le gemme rappresentavano le sue parole d'amore; esse mandavano raggi luminosi fino al centro del Cuore di Gesù, procurando alla Divinità delizie speciali. Nello stesso tempo il Signore attrasse nel suo Cuore la perfezione e la divozione che gli eletti del cielo e della terra, avevano imparato dagli scritti del Santo, e le fece rifluire nel cuore di Bernardo, coi raggi che le gemme, di cui abbiamo parlato, avevano diretti al suo divin Cuore. Allora sfuggi dal cuore di S. Bernardo, come da liuto meraviglioso una melodia dolcissima che cantava le sue virtù, specialmente l'amore e l'innocenza.
Egli inoltre portava in testa una splendida corona raggiante di svariati colori, nella quale si poteva mirare l'avanzamento spirituale che quell'illustre Padre avrebbe desiderato procurare agli uomini, colle sue parole e coi suoi scritti.
Geltrude recitò allora duecentoventicinque volte il Laudate Dominum omnes gentes, in onore del Santo, per ringraziare Dio dei doni e delle virtù di cui l'aveva adornato. Le parole da lei pronunciate apparvero come tanti blasoni sugli abiti del Santo: ogni scudo rappresentava una delle virtù che aveva praticate in terra; virtù che si rifletteva, sotto la medesima forma, anche nell'anima di colei che ringraziava il Signore per la grandezza di Bernardo. Nella festa di questo grande Santo, mentre assisteva alla S. Messa celebrata in suo onore, pregò particolarmente per le persone che le sì erano raccomandate, e anche per altre che, pur non essendosi affidate alle sue preghiere, avevano però una grande divozione per S. Bernardo. Vide allora il beato Padre nella gloria celeste: una luce meravigliosa sfuggiva dagli ornamenti che portava sul petto, e si rifletteva su coloro che desideravano per i suoi meriti e per la sua intercessione, un fervente amor di Dio. Tale luce formava sul petto di quelle persone una specie di magnifica collana, ove si vedevano rifulgere gli atti d'amore praticati sulla terra da S. Bemardo, come se fossero stati compiuti da quelle stesse persone.
A quello spettacolo stupendo, Geltrude restò ammirata, e chiese al Santo: « O illustre Padre, queste anime che sono rivestite dei vostri meriti, non hanno però in realtà praticato tali opere: quale frutto potranno esse ottenere? ». Rispose Bernardo: a La giovinetta ornata di gioielli avuti in prestito, sarà forse meno aggraziata di colei che è adorna. dei suoi propri, se tali gioielli sono ugualmente preziosi e finemente lavorati? Così le virtù dei Santi, di cui i fedeli bramano essere rivestiti, sono loro comunicati con tale benevolenza, che potranno goderne e rallegrarsene per tutta l'eternità, come se fossero ricchezze loro proprie ».
Tali collane avevano splendore e sfumature varie, a seconda dei desideri della divozione ed anche della scienza con cui ciascuno si sforzava di ottenere l'amore di Dio. Le collane di coloro che avevano umilmente chiesto le preghiere di Geltrude erano, per questa ragione, scintillanti di bellezza particolare; e quantunque in altre avessero un fulgore più vivo, perchè l'amor di Dia le infiammava maggiormente, tuttavia mancavano dell'incanto speciale delle prime. Ciò dimostra che qualsiasi bene, per piccolo che sembri, ottiene una ricompensa speciale, se è compiuto con retta intenzione, mentre la minima negligenza diminuisce il merito.
CAPITOLO L
GRANDEZZA DEI SANTI AGOSTINO, DOMENICO, FRANCESCO
Memore del grande pontefice Agostino, per il quale Geltrude aveva, fin dalla prima infanzia, nutrito grande divozione, ringraziò fervorosamente Dio per tutti i benefici che aveva a lui accordati. Il glorioso Pontefice le apparve a fianco di S. Bernardo, nello splendore di un'identica gloria, giacché non gli è inferiore né per la sublimità della vita, nè per la soavissima abbondanza della dottrina. Agostino stava davanti al trono della divina Maestà, adorno dell'incomparabile bellezza della gloria celeste; e, come S. Bernardo, mandava dal suo cuore fino alla profondità del Cuore divino, dardi infiammati, simbolo dell'ardente eloquenza con la quale aveva eccitati gli uomini al divino amore. Dalla, sua bocca scaturivano raggi brillanti come quelli del sole che si spandevano nella vasta regione del cielo, per simboleggiare l'opulenza della sacra dottrina, che l'eminente Dottore aveva distribuito a tutta la Chiesa. Al di sopra di queî raggi, si curvavano archi di luce meravigliosa, la cui prospettiva avrebbe affascinato qualsiasi sguardo. Mentre Geltrude era in ammirazione davanti a quel luminoso edificio, S. Bernardo le disse che i raggi degli insegnamenti di S. Agostino rifulgevano con speciale incanto, perchè l'incomparabile Dottore aveva sempre cercato, con parole e scritti, di diffondere gli splendori della fede cattolica. Dopo lunghi; traviamenti nelle vie tortuose dell'errore, Dio l'aveva richiamato misericordiosamente dalle tenebre dell'ignoranza alla luce delle supreme verità; desiderava pertanto, procurare la gloria del Signore, chiudendo agli uomini le vie dell'errore e dell'ignoranza, per mostrar loro la stella della fede che guida a salvezza eterna.
Geltrude allora chiese a S. Bernardo: « Nei vostri scritti non avevate forse, Padre Santo, la stessa intenzione? ». Egli rispose: « In tutti i miei atti, parole, scritti non ebbi altro fine che l'amor di Dio. Ma questo grande Dottore era spinto a lavorare per la salvezza delle anime, non solo dall'amore divino, ma anche per le disgrazie. della sua personale esperienza ».
Il Signore attrasse poi nel suo divin Cuore tutti i frutti di fede, di consolazione, di scienza, di luce, d'amore che le parole di Agostino avevano prodotto negli abitanti del cielo e della terra, per rimandarli in seguito nel cuore del Santo, dopo d'aver loro conferito pregio ineffabile nel contatto col suo divin Cuore. Quella dolce effusione, avendo colmata la anima del Santo Dottore e penetratala fin nelle più intime fibre di gioie celesti, inondò anche il suo cuore, e lo fece vibrare quasi lira melodiosa. Come il cuore di S. Bernardo aveva prodotto i suoni dolcissimi dell'innocenza e dell'amore, quello di S. Agostino fece echeggiare le gradite modulazioni di una generosa penitenza e di un'ardente carità. Sarebbe stato difficile dire quale delle due armonie offrisse maggior incanto all'anima degli uditori estasiati! S. Bernardo disse poi a Geltrude: « Queste sono le modulazioni di cui è scritto: - Omnis illa Deo sacrata et diletta civitas plena modulamine in laude (Inno alla festa della Dedicazione: non è però citato parola per parola, ma solo nel significato generico). - Tutta questa sacra città cara a Dio, è piena di modulazione e di lodi ». Infatti i cori dei Santi cantano armoniosamente le lodi di Dio, secondo la varietà delle loro, virtù.
Nella festa del glorioso S. Agostino, mentre al Vespro si recitava il Responsorio « Vulneraverat charttas Christi », l'illustre Pontefice apparve in piedi, raggiante di gloria, tenendo in mano il cuore, quel suo santissimo cuore tante volte ferito col dardo della carità divina.
Egli parve aprirlo ed offrirlo a lode di Dio, come magnifica rosa che doveva rallegrarlo coi suo profumo, allietando in pari tempo tutta la Corte celeste. Geltrude salutò con divozione il venerabile Padre, pregando per tutti quelli che le si erano raccomandati, e anche per le anime che nutrivano particolare affetto verso il grande Pontefice. Agostino, a sua volta, supplicò il Signore, perché i cuori che desideravano, per i suoi meriti, d'infiammarsi d'amore di Dio, potessero dilatarsi e diffondere un delizioso profumo davanti alla divina Maestà a lode e. gloria della risplendentissima, adorabile Trinità. Mentr'ella recitava divotamente il Mattutino, desiderò sapere quale ricompensa riceverebbe S. Agostino per la disposizione che manifesta nelle Confessioni quando dice che, durante la vita mortale, non poteva saziarsi di gustare la dolcezza incomparabile che provava, considerando la magnificenza del piano divino nell'opera della salvezza degli uomini. Il venerabile Padre le apparve bentosto, in una gloria meravigliosa, secondo la parola d'Isaia: « Laetitia sempiterna super capita eorum - Una gioia sempiterna coronerà il suo capo» (Isaia XXXV, 10). Infatti un globo stupenda roteava velocemente sul suo capo, offrendo a ogni istante, un'alternativa di colori che procurava al beato Padre delizie spirituali ineffabili, le quali ne allietavano i sensi corporei. Gli occhi erano affascinati dallo splendore delle stelle che si staccavano da quel globo nelle rapide evoluzioni, e tale vista lo ricompensava delle considerazioni con le quali, in terra, aveva cercato in Dio ogni suo bene; le orecchie erano rallegrate dall'armonia che si sprigionava dai movimenti del globo, e tale godimento era la degna rimunerazione per avere costantemente orientato verso Dio la sua sublime intelligenza. Per avere poi disprezzate le gioie del mondo e cercato Dio solo, egli aspirava un'aria balsamica, ricca di soavi fragranze; la sua bocca gustava squisitissimo miele, per avere offerto al Signore gradito soggiorno nel suo cuore. Sappiamo infatti dalla parola del Saggio, che Dio trova la sua delizia nel cuore dell'uomo.
Il globo, al quale abbiamo accennato, stillava sul santo Pontefice dolce rugiada che lo penetrava di soavità celeste, ricompensandolo delle immani fatiche sopportate per la gloria di Dio e il bene della Chiesa con la santità della parola, degli scritti, degli esempi.
La Corte celeste gioiva per le delizie dell'incomparabile Pontefice, e il gaudio da essa provato era tale, che sarebbe stato sufficiente per rendere felici tutti gli uomini.
Il Signore disse in seguito a Geltrude: « Guarda come il mio diletto splende in un candore più scintillante della neve, per la dolce umiltà ed ardente carità! ». La Santa rispose meravigliata: « O mio Gesù, come puoi affermare che questo Santo abbia una purezza più splendente della neve? Egli è degno di venerazione per la santa sua vita, ma è pur vero che rimase a lungo nell'eresia e contrasse molta macchie di peccato ». Rispose il dolce Maestro: « Ho permesso che rimanesse a lungo nell'errore, appunto per dare risalto alle vie misteriose della Provvidenza, e alla paziente misericordia con cui l'ho atteso a conversione. Volli così manifestare la mia bontà infinita, e la tenerezza gratuita di cui ha sentito il decisivo influsso ».
Dopo queste ineffabili parole, Geltrude considerò più attentamente la bellezza luminosa del grande Dottore. I suoi abiti erano trasparenti come il cristallo, ed attraverso a vari colori, si vedevano rifulgere purezza, umiltà, amore.
Aggiunse allora Geltrude: « Mio Gesù, il dolcissimo San Bernardo che ti ha amato così teneramente, non ha forse anch'egli posto in te ogni sua gioia, come il fervente S. Agostino? Eppure, quando lo contemplai nella sua gloria, non mi parve così completa ». Rispose Gesù: c Ho ricompensato generosamente Bernardo, mio eletto; ma la debolezza della tua mente non può capire, nella sua realtà, la gloria del più piccolo dei miei Santi, a maggior ragione non puoi cogliere l'ineffabile gaudio di Santi così grandi. Pure per soddisfare ai tuoi pii desideri, ti mostrerò i meriti di alcuno de' miei eletti. Questa vista ti farà crescere nell'amore e capirai meglio che: « Vi sono molte mansioni nella casa di mio Padre - In. Domo Patris met mansiones multae sunt » (Giov. XIV, 2). Ti sarà inoltre svelato perchè si dice a lode di ogni Santo « Non est inventus similis illi qui conservaret legem Excelsi - Non si è trovato chi, come lui, osservasse la legge dell'Altissimo » (Eccl. XLIV, 20) perchè non c'è nessun eletto che sia perfettamente simile ad un altro e non abbia qualche sua caratteristica».
« Se è così - riprese Geltrude - o Dio di verità, degnati rivelarmi, malgrado la mia miseria, qualche cosa che riguarda i meriti delle vergini che ho tanto amato, fino dalla prima età: l'amabile Agnese e la gloriosa Caterina ». (Tale favore le fu accordato come già fu detto al capitolo VIII e si dirà al capitolo LVII di. questo stesso libro. La Santa, sempre smaniosa di cognizioni celesti, amò pure conoscere qualche cosa dei meriti di S. Domenico e S. Francesco, Fondatori illustri dei due Ordini religiosi che fecero rifiorire meravigliosamente la Chiesa di Dio. Quei venerabili Padri le apparvero raggianti di gloria stupenda, simile a quella di S. Benedetto, adorni di rose vaghissime, e portando in mano un brillante scettro d'onore. Essi assomigliavano al Santi Agostino e Bernardo, a motivo del loro zelo per la gloria di Dio, la salvezza delle anime e la pratica delle stesse virtù. Avevano tuttavia qualche differenza: S. Francesco brillava per la grande umiltà, S. Domenico. per i suoi ferventissimi desideri. Durante la S. Messa, mentre Geltrude s'inabissava in Dio, pensando a ciò che doveva cantare, fu rapita in spirito all'inizio della sequenza e trasportata davanti al trono della divina Maestà.
Allora tutti i Santi, per ricordare e celebrare le spirituali delizie che aveva gustate nella notte precedente, contemplando la gloria del grande Agostino e degli altri Santi di cui abbiamo parlato, le cantarono i sei primi versi della sequenza: « Interni lesti guadia nostra sonet harmonta - La nostra armonia fa prorompere le gioie della festa interiore ». (Vedi in appendice questa magnifica sequenza). Geltrude ad ogni accento, raccolse in cuore illustrazioni e delizie speciali. Dopo il sesto verso tutti i Santi tacquero e invitarono la Santa a cantare a sua volta i versi seguenti, per restituire loro la gioia ch'essi le avevano procurata. Seguendo la sua abittr dine, ella, sul divino liuto del Cuore di Gesù, cantò a lode dell'intera Corte celeste « Beata illa patria - Quella felice patria» e i cinque versi che seguono. Ascoltandola i beati comprensori vennero colmati di gioie ineffabili.
In seguito Gesù, Sposo tenerissimo, accarezzandola dolcemente, le cantò questi due versi: « In hac valle miseriae - In questa valle di miserie » e c Quo mundi post exilia - U dopo l'esilio del mondo »: Nello stesso tempo, come un eccellente Maestro, o per meglio dire, come amorosissimo Padre, insegnò alla diletta sua figliola in quale modo avrebbe potuto meritare le gioie eterne, applicandosi frequentemente quaggiù alle cose di Dio. I cori angelici vennero a presentare al grande pontefice Agostino i voti della Chiesa cantando « Harum laudum praecontà - Ciò che proclamano queste lodi, ecc. », e tutti i Santi si associarono, cantando.. i versetti che seguono, per glorificare Dio nel suo servo. In quel frattempo il beato Agostino illuminava e rallegrava la Corte celeste coi raggi della sua gloria. Ai due ultimi versi:. « Cujus sequi vestigia - A seguire le sue tracce », il Signore, volendo esaudire la preghiera del santo Pontefice, alzò la mano tracciando un ampio segno di croce su tutti coloro che l'avevano onorato con devote lodi.
CAPITOLO LI
NASCITA DELLA BEATA VERGINE MARIA
Nella Natività della beata Vergine, mentre Geltrude recitava tante Ave Maria quanti giorni quella brillante Stella del mare aveva impiegato a crescere nel seno materno, chiese quali favori otterrebbero le anime che avessero compiuta la stessa divozione, con slancio d'amore.
Rispose la dolcissima Vergine: «Esse divideranno meco ne' cieli, le gioie che ho ricevuto, e che ricevo ancora per le virtù di cui la SS. Trinità volle abbellire ogni giorno l'anima mia».
Durante l'antifona « Ave decus » ella vide aprirsi il cielo. Un magnifico trono, portato dagli angeli, venne deposto in mezzo ai coro. Su di esso la celeste Regina si sedette maestosamente, mostrando col viso dolce e amabile che era pronta a esaudire i desideri della Comunità. I Santi Angeli circondavano il trono e lo sorreggevano con riverenza, prodigando ferventi omaggi alla degnissima Madre del loro Signore. La falange innumerevole degli spiriti celesti si unì ai due cori salmodianti, lodando cogli stessi inni la Sovrana di gloria. Un Angelo stava davanti a ciascuna persona portando un ramo fresco e verdeggiante; questi rami producevano fiori e frutti vari, secondo le disposizioni della persona davanti alla quale era collocata. Quando tutto fu finito, gli Angeli volarono a portare festosamente i rami fioriti alla Vergine Maria, e si disposero con rispetto intorno al trono della grande Regina per aumentarne la gloria e la bellezza. Geltrude chiese allora alla Madre di Dio: « Ahimè, dolcissima Signora, come sono triste di non poter salmodiare le tue lodi con i cori angelici ». L'amabile Vergine rispose: « La tua buona volontà, figlia mia, supplisce a tutto ed il fervore col quale hai assistito al Vespro per onorarmi, usando secondo la tua abitudine, del melodioso istrumento del dolcissimo Cuore di Gesù, sorpassa di molto ogni omaggio esteriore. Per dartene prova evidente voglio io stessa presentare alla SS. Trinità sempre adorabile, come offerta preziosissima, il ramoscello che la tua buona volontà ha adornato dei fiori più belli e dei frutti più squisiti ».
Durante Mattutino ella vide in spirito come i Santi Angeli riunivano fiori e frutti, cioè le diverse intenzioni, preghiere, sacrifici della Comunità, per offrirli devotamente alla Vergine Maria; i fiori erano più belli, vaghi, fragranti a seconda che ciascun'anima aveva maggiormente lottato e sofferto, con intenzione più pura. Al Gloria Patri del IV Responsorio; Geltrude lodò l'Onnipotenza del Padre, la Sapienza ammirabile del Figlio, la sorprendente Bontà dello Spirito Santo, per la quale l'adorabile Trinità ha potuto, saputo. e voluto formarsi una Vergine così colma di grazia, comunicandole, per la salvezza del genere umano, l'abbondanza della sua beatitudine.
Si levò allora la Madre di Dio, e ponendosi davanti alla SS. Trinità, chiese per Geltrude, da parte dell'Onnipotenza, della Sapienza e della Bontà divina, tutte le grazie possibili a riceversi da una creatura in questa vita. L'adorabile Trinità, accogliendo favorevolmente tale supplica, diede alla Santa una celeste benedizione che la irrorò di mistica rugiada. Al canto dell'antifona: « Quam pulchra es! » Geltrude impossessandosi del Cuore di Gesù, l'offrì a gloria della sua dolce Madre. L'amabile Gesù, figlio unico del Padre, nella sua bontà, mostrò alla sua eletta quanto tale azione gli fosse gradita, e le disse salutandola con un cenno del capo: « A suo tempo ti restituirò nella mia regale munificenza, l'onore che mi hai dato, lodando in mio nome, la Regina del cielo ».
Durante l'antifona: « Adest namque Nativitas - Ecco la Natività » alle parole « Ipsa intercedat pro peccatis nostris - Ch'Ella interceda per i nostri peccati » la Madre di Dio parve offrire riverentemente al suo divin Figlio un rotolo che gli Angeli le avevano presentato, e sul quale erano scritte a caratteri d'oro queste parole: « Ipsa intercedat ». Il Figlio di Dio rispose con tenerezza: « In virtù della mia Onnipotenza, o Madre venerata, io ti accordo il potere di ottenere propiziazione, come meglio crederai, per i peccati di coloro che implorano il tuo soccorso ».
Durante la S. Messa, mentre alla sequenza: Ave praeclara, si cantavano le parole: « Ora Virgo nos illo pane coeli dignos effici - Domanda, o Vergine, che siamo resi degni di questo Pane del cielo », la Sovrana celeste si volse verso il Figlio suo, con le mani giunte, lo sguardo pieno di tenerezza, supplicando grazie per coloro che l'invocavano. Il Signore benedisse tutte quelle anime, con un salutare segno di croce per prepararle a ricevere e a conservare il Sacramento vivificante del suo Corpo e del suo Sangue.
Al versetto « Audi nos, nam te Filius nihil negans honorat - Ascoltaci, perchè il tuo Figlio si onora di nulla negarti», la gloriosa Vergine parve assidersi a lato di Gesù, su di un trono elevato. Geltrude le chiese: « Perché mai, o Madre di misericordia, non preghi per noi? ». Ella rispose: «Parlo per voi, cuore a cuore, col mio diletto Figliolo»: In seguito venne ripetuto il medesimo versetto. Allora la celeste Sovrana stese la sua dolce mano sulla Comunità, poi si alzò, come attratta dai desideri di ciascun'anima, che accolse e presentò a Gesù.
Al versetto seguente: « Salva nos, Jesu, pro quibus Virgo Mater te orat - Salvaci, Gesù, perchè la Vergine Maria prega per noi », il Signore si alzò a sua volta, si chinò con bontà sulla Comunità e disse: «Eccomi pronto ad esaudire ogni vostra desiderio ».
Mentre Geltrude, felice per la solennità di quel giorno, meditava diversi pensieri, non sapendo quali scegliere, disse alla Madre di Dio: « I motivi per rallegrarci in questa tua gloriosa Assunzione sono innumerevoli, vorrei però sapere dalla tua bontà come gli Angeli in cielo celebrano la solennità della tua nascita, perchè la nostra divozione in terra ne abbia valido accrescimento».
Rispose Maria: « Gli Angeli nella gloria celeste mi ricordano, con gaudio immenso; le gioie ineffabili che gustarono durante i nove mesi che vissi nel seno di mia Madre, crescendo di giorno in giorno, sotto, la loro vigile custodia. Essi infatti vedevano, nello specchio della SS. Trinità, la dignità incomparabile del corpo che allora si andava formando, qua, le !strumento di cui il Signore si sarebbe servito per la salvezza dei mondo; così si facevano un piacere di contribuire al mio sviluppo, diffondendo influssi divini nell'atmosfera e su tutto quello che poteva. influire al mio nutrimento nel seno materno. Gli Arcangeli contemplando nello specchio della Divinità, la sublimità delle mie cognizioni divine, l'intimità e l'unione eccezionale alla quale la mia anima era preparata con attitudini superiori agli Angeli e agli uomini, mi offrivano festosamente il loro ministero. Anche le altre Gerarchie vedendo la somiglianza che avrei avuto con ciascuna di esse, mi offrivano amorosamente i loro servizi a gloria del Creatore. Ora sono ricompensati in cielo, ove. gustano gioie eterne ».
A Compieta, durante la Salve Regina, Geltrude si pentì della negligenza usata nel culto: alla gran Madre di Dio, e pregò Gesù di supplire per lei. Offerse adunque l'antifona per mezzo dei Cuore di Gesù il quale, dirigendo i suoi affetti verso la dolce sua Madre, le presentò tante cannule d'oro quante erano le brame di Geltrude di onorarla. La tenerezza filiale di Gesù per Maria vibrava deliziosamente in quegli strumenti, supplendo ad ogni negligenza della Santa.
Noi pure possiamo ottenere dal misericordioso Redentore, tale supplemento, recitando la preghiera seguente, o altra consimile.
« O dolce Gesù, in nome di quell’amore che ci hai dimostrato, degnandoti di rivestirti della nostra carne e nascere dalla più pura delle Vergini, per supplire a ciò che manca a noi, povere creature, ti scongiuro di riparare per mezzo del tuo dolcissimo Cuore, le colpe tante volte commesse nel culto e servizio della Madre tua, la quale in tutti i bisogni non ha mai cessato di farmi provare la sua clemenza e bontà. Per mostrarle degna riconoscenza, ti prego, amatissimo Gesù, di offrirle il tuo dolcissimo Cuore colmo di beatitudine; mostrale in esso quel divino amore col quale fin all’eternità l'hai preferita ad ogni creatura, scelta per tua Madre, preservata dalla macchia originale, ornata di tutte le virtù e di tutte le grazie. Rappresentale tutta la tenerezza con la quale l'hai accarezzata nella tua infanzia mentre ti riscaldava nel suo seno materno.
Mostrale ancora quella fedeltà con cui l'hai obbedita in tutto, quale figliolo, Tu che sei il regolatore del cielo e della terra. Tale fedeltà le dimostrasti soprattutto nell'ora di morte, quando dimentico, per così dire, dei tuoi dolori, compatisti con ineffabile tenerezza la sua desolazione, dandole un difensore e figliuolo, S. Giovanni. Finalmente rappresentale quell'inesprimibile amore che le dimostrasti nel conferirle quella sublime dignità che il giorno dell'Assunzione la innalza al di sopra di tutti i cori degli Angeli, costituendola Regina dei cielo e della terra. Fa, o buon Gesù, ch'Ella ci sia Madre propizia, in vita e, nell'ora di morte, protettrice e amabilissima Avvocata ».
Mentre Geltrude invocava il soccorso della celeste Madre con queste parole: « Efa ergo advocata nostra » le sembrò che la Vergine fosse attratta verso di lei da una forza potente, perchè tutte le volte che s'invoca Maria col titolo di Avvocata, la sua tenerezza materna si commuove in modo tale, da non poter nulla rifiutare.
Alle altre parole: « illos tuos misericordes oculos », la Vergine prese la testa del suo Figlio e la inchinò dolcemente, verso la Santa, dicendo: « Eccoti i miei occhi misericordiosi, io li flssai su coloro che m'invocano per ottenere frutti di vita eterna ».
Il Signore si degnò d'insegnare a Geltrude a ripetere, almeno una volta al giorno, l'invocazione: « Efa ergo advocata nostra, illos tuos m.isericordes oculos ad nos converte », assicurandole un potente soccorso per l'ora di morte.
La Santa offrì allora alla beata Vergine centocinquanta Ave Maria, recitate in suo onore, per ottenere la sua assistenza e tenerezza materna nell'ora del trapasso. Vide tosto quelle preghiere sotto forma di monete d'oro, offerte al Giudice supremo il Quale, a sua volta, le presentava alla Madre sua. Essa le riceveva da fedele economa e le metteva in serbo a una a una per profitto e conforto di Geltrude, la quale all'uscire da questo mondo avrebbe ricevuto dal Giudice divino tante consolazioni quante preghiere aveva offerto alla Madonna.
Comprese ancora Geltrude che, se un'anima raccomanda la sua ultima ora ad un Santo qualsiasi con suppliche speciali, quelle preghiere vengono subito portate al tribunale del Sovrano Giudice e il Santo, che le ha ispirate, ne diventa il custode per mutarle in grazie da dare, al momento opportuno, al suo cliente.
CAPITOLO LII
DIGNITA' DELLA SANTA CROCE
Nel giorno dell'Esaltazione della santa Croce; mentre Geltrude s'inchinava per onorare il sacro legno, Gesù le disse: «Vedi come onoro questa Croce, eppure non vi fui sospeso che dall'ora di Sesta a quella del Vespro! Capisci da ciò come ricompenserò i cuori nei quali ho riposato anni interi». Rispose la Santa: «Ahimè, Signore, ben poche delizie ti ho procurato nel mio cuore! ». E Gesù: « Provai forse delizie su questo duro legno? Ma io l'onoro perchè nella mia gratuita bontà, l'ho scelto a preferenza di altro: così coloro che dalla stessa mia bontà furono scelti, saranno da me largamente ricompensati».
Mentre assisteva alla S. Messa, il Signore si degnò di istruirla: « Mira, o figlia, quali esempi propongo ai miei eletti, in questi onori resi alla croce: innalzo la croce, la corona di spine, la lancia che servirono per il mio supplizio, a dignità maggiore degli altri oggetti creati che hanno servito per le necessità della mia vita, per esempio dei recipienti nei quali fui lavato durante l'infanzia ecc. Desidero che coloro che amo imitino tale condotta, cioè che, per la mia gloria e per loro personale vantaggio, mostrino un'affezione più grande ai loro nemici che agli amici; ne ritrarranno profitto incomparabilmente maggiore. Se talora poi, essendo offèsi, dimenticano al momento di rendere bene per male, e soltanto più tardi si sforzano di rispondere alle offese coi benefici, non saranno per questo meno graditi al mio sguardo, perché Io stesso ho lasciato per qualche tempo la croce nascosta sotto terra per esaltarla poi in seguito »; ed aggiunse: « Amo tanto la Croce soprattutto perchè fu lo strumento con il quale raggiunsi l'oggetto dei miei più ardenti desideri: la redenzione del genere umano! Così i miei devoti serbano particolare affezione per i luoghi e per i giorni nei quali hanno meritato di ricevere più abbondantemente la mia grazia ».
Siccome Geltrude cercava con gran desiderio di procurarsi qualche reliquia della Santa Croce sì cara a Gesù, bramando di onorarla per attrarre maggiormente la tenerezza del Salvatore, sentì dirsi dal diletto suo Sposo: « Se vuoi avere delle reliquie che possano rivolgere amorosamente il mio Cuore verso coloro che le posseggono, leggi la mia Passione e considera le parole che ho detto con un più grande amore: scrivile, figlia mia, e custodiscile come preziose reliquie. Meditandole spesso meriterai di ricevere le mie grazie più facilmente che se tu possedessi altre reliquie. Anche se la mia ispirazione non t'illuminasse su questo punto, tu potresti con la sola ragione rendertene persuasa; infatti un amico che volesse ricordare all'amico suo l'antica tenerezza gli direbbe: « Ricordati dell'amore grande che mi dimostrasti, quando mi dicevi quelle tali parole »; e non gli ricorderebbe certo nè l'abito che indossava, né il luogo del suo incontro. Credi dunque che le reliquie più eminenti che di me si possano avere in terra, sono le parole che esprimono la più dolce affezione del mio Cuore».
Geltrude supplicò un giorno il Signore di darle la grazia di compiere il digiuno, che i Religiosi praticano a metà dell'anno. Gesù le rispose con bontà: « Quando un Religioso,. spinto dallo zelo per l'osservanza della Regola, si sottomette volentieri e con amore al digiuno, cercando non la sua, ma la mia gloria, Io, benché non abbia bisogno alcuno dei vostri doni (Sal. XV) accetto quei digiuni come un re che gradisce l'opera di un suo vassallo, che ogni giorno lo serve a mensa. Forse quel Religioso dovrà in seguito interrompere il digiuno; ma, se, rimpiangendo di non poter perseverare, obbedisce al suo Superiore e con umile buona volontà innalza verso di me l'anima sua, affermando che, per amor mio avrebbe voluto osservare la Regola, ma obbedisce volentieri in unione alla docilità che mi ha sottomesso agli uomini per la gloria del Padre, gradirò molto il suo modo di agire; proprio come un amico seduto a tavola di un amico, si commuove per i mille riguardi che gli vengono usati ed è contento se chi l'ospita vuol gustare, prima di tutti, i cibi che vengono serviti.
« Se un Religioso nello slancio del suo fervore, digiuna contro il volere del Superiore, e poi ritorna a me pentito col proposito di correggersi, io l'accolgo con la stessa bontà di un re che perdona a un fedele capitano il quale, nella foga del combattimento l'aveva leggermente ferito ».
In quello stesso giorno dell'esaltazione della Santa Croce, Geltrude all'Elevazione del Calice, offerse al Signore le prove della Comunità e ne ricevette questa risposta: «Sì, io berrò questo calice che il vostro amore ha colmato di dolcezza. Ogni volta che voi me l'offrirete, Io lo berrò, fino a quando mi abbiate così inebriato, da esaudire ogni vostra richiesta ». La Santa chiese: « In che modo possiamo offrirti il Calice? ». Rispose Gesù che ogni anima, confessando la sua miseria, deve presentarlo al Signore in lode eterna; è bene anche che, rimproverandosi di non avere ricevuto Gesù con fervore conveniente, si disponga a sentire volentieri fino alla morte, tutto l'ardore che un cuore umano può provare, bramando il Cibo Eucaristico. In tale modo potrà offrire a Dio un calice, il cui contenuto vincerà in squisitezza il nettare ed il balsamo.
Comprese Geltrude che, quando una persona è impedita di comunicarsi, o di fare altro bene, può supplire, offrendo a Dio questa preghiera: « O torrente che scorri dalla sorgente della vita, pienezza dell'essere! io presento alla tua sete la misera gocciolina della mia indigenza, dolente di dover privarmi del Cibo celeste, interrompendo il fluire della divina grazia! O creatore e Redentore del mio essere, poiché a Te solo è dato, per la tua gloria, compiere le cose impossibili, degnati di mettere in accordo perfetto il mio cuore con le mie parole. Io mi offro volentieri a Te per raccogliere nell'anima mia fino al giorno della morte, i tormentosi desideri che il cuore umano ebbe a sentire per Te dal principio del mondo sino alla fine dei tempi. Te lo domando affinché tu possa trovare gradita dimora in me. Ti ripagherò così delle grazie ineffabili che tante volte hai offerto agl'indegni ed agl'ingrati ».
CAPITOLO LIII
NELLA FESTA DI S MICHELE ARCANGELO E DEL CULTO DEGLI ANGELI
Un giorno, nel quale Geltrude doveva comunicarsi, in vicinanza della festa di S. Michele, mentre meditava sull'aiuto che la generosità divina le prodigava per mezzo del ministero angelica, offerse al Signore il Sacramento vivificante del suo Corpo e del suo Sangue, per ripagarlo di tanto beneficio. «Amatissimo Gesù, disse la Santa, ti offro questo ammirabile Sacramento in onore dei Principi della tua Corte, in accrescimento della loro gioia, gloria, beatitudine». Allora il Signore, attirando in modo meraviglioso e unendo alla sua Divinità il Sacramento che Gli era offerto, diffuse sugli spiriti angelici tali delizie che, se non fossero stati già nella beatitudine, quell'offerta sarebbe bastata a renderli felici.
I diversi cori degli Angeli vennero successivamente a salutarla con rispetto, dicendo: « Hai fatto bene a onorarci con questa offerta, perchè noi vegliamo su di Te con tenerezza affatto speciale ». L'ordine degli Angeli diceva: « Noi vegliamo con gioia giorno e notte alla tua custodia, impedendo che tu perda alcuno di quei favori che possono prepararti convenientemente all'arrivo dello Sposo ». Geltrude ringraziò Dio e quegli Spiriti eletti: però bramava conoscere, fra gli Angeli, quello che era preposto alla sua custodia. Or ecco apparirle un Angelo come, un nobile principe, così sfarzosamente adorno da non poter essere paragonato a nessuna bellezza terrena. Con un braccio circondava il Signore, con l'altro stringeva a sè Geltrude. Egli disse: « Incoraggiato dalla lunga intimità con la quale così sovente ho inclinato lo Sposo divino verso quest'anima, e sollevato Geltrude fino a Lui, in un slancio di spirituale letizia, oso avvicinarmi in questo momento ». La Santa presentò allora all'Angelo le preghierine che aveva recitato in suo onore. Egli le ricevette con gioia, e le offerse come magnifiche rose brillanti di freschezza alla SS. Trinità sempre adorabile.
Vennero poi gli Arcangeli che, salutando l'anima affettuosamente, dissero: « Noi vogliamo, o Sposa privilegiata di Cristo, svelarti intimamente e nella misura delle tue possibilità, i misteriosi segreti di Dio che conosciamo nello specchio della scienza divina, e che sono più utili alla tua anima ». Le Virtù, alla loro volta, dissero: « Noi ti serviremo devotamente in tutto ciò che farai per la gloria e la lode di Colui che è tuo Signore e nostro, con meditazioni, scritti, parole ».
Le Dominazioni aggiunsero: « L'onore del Re ama la giustizia, il cuore trasportato dalla carità non conosce il freno della ragione: così tutte le volte che il Re di gloria gusterà le sue delizie riposando nell'anima tua, e tu ti sentirai portata a Lui dagli slanci dell'amore, noi tributeremo omaggi alla sua Maestà, affinché la sua gloria sovrana non soffra detrimento e non manchi di nessun onore ».
I Potentati affermarono: « Noi ben sappiamo la stretta unione ch'esiste Tra te e il tuo Diletto: così veglieremo continuamente a respingere gli ostacoli interni ed esterni che potessero turbare questi dolci trattenimenti, giacché tale mistico commercio allieta la Corte celeste e tutta la Chiesa. Sappi che un'anima amante può ottenere da Dio maggiori grazie di salvezza per i vivi e per i morti, che migliaia di altre anime poco ferventi».
Geltrude ringraziò con ardore Dio e gli Spiriti celesti per questi favori e per molti altri che la debolezza umana non ci permette di raccontare. Bisogna in tutto abbandonarsi alla divina bontà che sola conosce ogni cosa con chiarezza perfetta.
CAPITOLO LIV
NELLA FESTA DELLE UNDICIMILA VERGINI
Nella notte della festa, delle undicimila vergini, Geltrude, sentendo ripetere tante volte durante l'ufficio quelle parole « Ecce Sponsus venit: Ecco lo Sposo che viene » ne fu infiammata di fervore e disse a Gesù: «O desideratissimo Signore, ho sentito ripetere queste parole « Ecco lo Sposo che Viene. Dimmi te ne prego, come verrai e che cosa mi porterai»? Rispose Gesù: « Opererò con te e in te: ma dov'è la tua lampada »? Ed ella « Ecco il mio cuore che mi servirà di lampada ». Il Salvatore aggiunse: « Io la riempirò con l'olio del mio divin Cuore». Geltrude insistette: « Quale sarà, mio Gesù, il lucignolo di questa lampada?» « Il lucignolo » spiegò l'amabile Maestro « sarà l'intenzione fervorosa che arderà dolcemente, dirigendo verso di me le tue azioni ». Alle parole « Perpes corona virginum dei Responsorio » « Verae pudicitiae auctor ». Geltrude ringraziò il Signore per i meriti di quelle vergini e per i favori da esse ricevuti. Ella le vide in bianca falange intorno al trono del Signore, dirigendo verso di Lui, raggi splendenti, simbolo della loro gratitudine. Gesù assorbiva quei raggi che poi rifletteva su Geltrude, la quale l'aveva ringraziato per quelle vergini. La Santa comprese allora che quando si ringrazia Dio per la gloria di un Santo, il Signore attinge nei meriti di quell'eletto tesori di grazie, per arricchire l'anima che ha saputo rendergli lode.
Mentre si cantava il Responsorio: Regnum mundi, alle parole: « quem vidi, quem amavi: che ho visto, che ho amato » ella si ricordò di una persona che era tormentata dalla brama di vedere Dio. Disse allora a Gesù: « Quando mai, o benignissimo Signore, consolerai quell'anima in modo che possa cantare con gioia questo Responsorio? ». Egli rispose « Vedermi, amarmi, credere in me è un così gran bene; che nessuno può farlo senza profitto. Quantunque, per la debolezza dell'umana natura, l'anima bramosa di vedermi non può ottenerlo quaggiù, Io però la rimunererò generosamente; infatti la mia Umanità viene, in nome di quest'anima che è Sua sorella, a trovare la Divinità ed a ricevere il gaudio di cui ha diritto e che un giorno, quando la creatura sarà liberata dagli impacci della carne, le trasmetterà per farla godere eternamente ».
Un'altra notte mentre si cantava lo stesso Responsorio Regnum mundi, alle parole: « propter amorem Domini mei: per l'amore del mio Dio » ella sentì che il divin Cuore era così dolcemente commosso per la divozione di coloro che cantavano, da farlo prorompere in queste parole: « Sì, riconosco di dover generosamente ricompensarle, perchè mi servono con tutte le forze ».
Alla parola Gesù che vuol dire salvezza, il Signore si riconobbe ancora in debito con quelle anime e s'impegnò di perfezionare l'opera della loro salute, come esse l'avevano bramata fino dalla prima età: dovevano però attendere il momento fissato dalla sua paterna Provvidenza. Alla parola Christi, che significa unzione; il Signore propose di accordare a loro tutta la divozione che avevano desiderato e che non avevano ancora potuto ricevere.
Alle parole, quem vidi, quem amavi, il Signore dichiarò davanti al Padre celeste ed a tutti i Santi, che quelle anime ferventi avevano, per suo amore, confessato la fede cattolica, praticando opere di giustizia. Alle altre parole: « in quem credidi, quem dilext: in cui ho creduto e che ho amato », attestò che veramente le erano unite con forti legami di salda speranza e perfetta carità.
Geltrude chiese allora: « Ahimè, Signore, che darai alle Monache che in questo momento non sono presenti al coro? ». Rispose Gesù: « Ho attirato in me stesso e nell'anima delle Religiose presenti, la divozione di tutti coloro che hanno gustato soavi delizie in questo responsorio; con esse ho benedetto anche le Monache assenti ».
Geltrude insistette: « Poiché si possono acquistare beni sì grandi con tanta facilità, cosa perdono le negligenti, che non usano mezzi così semplici per riparare le loro colpe? ». Gesù amabilmente spiegò: « Quando un sovrano accorda a uno dei suoi baroni, grandi ricchezze, abiti sfarzosi ed altri tesori, si mostra, a detta di tutti, re generoso. Se anche il beneficato trascura l'amministrazione dei beni che ha ricevuto, esponendosi a grandi pericoli e alla rovina, pure il sovrano, nella sua bontà, non gli toglie i regali della sua gratuita munificenza. Così quando io ricompenso un po' di divozione con grandi tesori, bramo che gli uomini li traffichino con zelo; se non lo fanno, perdono il frutto dei miei benefici. Tuttavia lo splendore e la grandezza della bontà con cui li avevo arricchiti, senza. alcun merito da parte loro, brillerà in essi a mio onore e gloria». Aggiunse la Santa: « Signore, coloro ai quali non hai nulla rivelato, né su questo né su altri soggetti, possono guidarsi saggiamente?». Rispose Gesù: « Essi sono obbligati a praticare quello che capiscono, non foss'altro imitando gli altri, perchè dò loro sempre luce sufficiente per dirigersi bene. Colui però che riceve una scienza più elevata, è maggiormente obbligato alla riconoscenza e alla santità. Se per negligenza, e con pieno consenso, trascura di far fruttificare con zelo e riconoscenza le grazie comuni a tutti, oppure i doni particolari, si espone al pericolo di eterna dannazione».
Un'altra volta, durante il responsorio, Regnum mundi, Geltrude vide comparire una turba di demoni che si posero a lato dei due cori, durante la salmodia: ciascuno di essi faceva brillare allo sguardo delle Religiose le seduzioni delle mondane vanità. Quando però la Comunità cantò con slancio d'amore: « Regnum mundi et omnem ornatum saeculi contempsi - Ho disprezzato il regno del mondo e gli ornamenti del secolo» i demoni, confusi e terrorizzati, si precipitarono altrove, come un branco di cani arrabbiati, sui quali si fosse gettato acqua bollente. La Santa comprese che quando un'anima, ricca d'amore, disprezza sinceramente il regno del mondo e tutte le vanità che il nemico del genere umano le presenta, la potenza diabolica s'affievolisce, si annienta; nè osa più tentare l'uomo che, avendo resistito una volta con tanto valore, ha riportato splendida vittoria.
CAPITOLO LV
NELLA FESTA DI TUTTI I SANTI
Nella festa di tutti i Santi, Geltrude ebbe illustrazioni speciali che le svelarono i misteri ineffabili riguardanti la gloria della SS. Trinità, facendole comprendere come Essa che non conosce né principio né fine, sovrabbondi di beatitudine e procuri a tutti i Santi gaudio, letizia, onore eterno. Non le fu possibile però esprimere ciò che aveva visto tanto lucidamente nello specchio della divina chiarezza; quindi, servendosi di una specie di parabola, rivelò solo quanto segue.
Il Signore delle virtù, il Re di gloria le apparve, simile a potentissimo Padre di famiglia che, avendo preparato un sontuoso banchetto per i grandi e i principi della corte, vuole invitare anche amici, conoscenti vicini. Infatti, per premiare l'onore e la divozione con cui la Chiesa festeggia in questo giorno tutti i Santi; Colui che è la sorgente di vita, il principio dell'eterna luce, la sazietà degli angeli, l'autore di tutte le bontà, sembrava introdurre i membri della Chiesa militante fra i cori dei Santi trionfanti nei cieli, dando a ciascuno il posto meritato.
Per esempio, coloro che vivevano perfettamente e col santo timore di Dio nello stato del matrimonio, erano posti fra i Patriarchi; le anime invece che meritarono di conoscere i segreti dei misteri di Dio, erano messe in compagnia dei Profeti; le persone addette alla predicazione e all'insegnamento delle sante dottrine, si trovavano con gli Apostoli, così Ella vide nel coro dei martiri, le Religiose fedeli alla loro Regola. Siccome poi i martiri splendono di una speciale bellezza, e gustano delizie particolari nei membri che hanno maggiormente sofferto per il Signore, così le Religiose sono in cielo a fianco dei martiri e condividono le loro ricompense per le mortificazioni che seppero imporre ai loro sensi. Infatti la mano del carnefice non fece loro versare il sangue, ma nell'olocausto continuo della loro volontà, esse, con la spada di una perseverante mortificazione, seppero fare qualche cosa di più grande, ed offersero ogni giorno a Dio un sacrificio di gradito olezzo.
Prima della S. Comunione, S. Geltrude pregò per la Chiesa; ma non provando alcun sentimento di divozione, domandò al Signore di darle il gusto della preghiera, purché tale fosse la sua Volontà. Bentosto ella vide apparire diversi colori, cioè il candore della verginale purezza, il colore giacinto dei confessori, la porpora dei martiri, ed altri simboleggianti i meriti degli eletti.
Geltrude volle anch'essa avanzarsi verso Gesù, ma nessun colore le prestava i suoi fulgori. Allora, guidata dallo Spirito Santo che insegna all'uomo ogni scienza (Gal. XCIII, 10), ella ringraziò Dio per tutte le persone innalzate all'onore della verginità, domandandogli per quell'amore che lo ha fatto nascere da una Vergine, di volere per la sua gloria, custodire in perfetta purezza di anima e di corpo, tutti coloro che ha chiamati nella Chiesa al decoro della verginità. Ella vide allora l'anima sua adorna del candore verginale.
Ringraziò poi il Signore per la santità di tutti i Confessori e Religiosi, nei quali Egli si è compiaciuto, fin dall'inizio del mondo, pregandolo di sorreggere nel bene, sino alla, morte, tutti coloro che nella S. Chiesa militavano sotto l'abito religioso: in quel mentre l'anima sua fu rivestita dal colore giacinto. Ringraziò in seguito per le diverse gerarchie dei Santi, pregando per la fecondità della Chiesa, e la sua anima fu adorna dei colori propri a ciascuna di esse. Infine ringraziò e pregò con fervore per tutte le anime che amano Dio, e venne rivestita da un manto d'oro. Si presentò allora al Signore splendidamente adorna dei meriti della Chiesa ed il Signore, rapito a tanta bellezza, disse ai Santi: « Guardate. colei che a me si presenta con un paludamento aureo, fulgido dei più ricchi colori».
Poi aperse le braccia e la strinse al Cuore, sostenendola con grazie speciali, perchè potesse gustare quelle delizie che superavano le umane forze.
Il momento della S. Comunione si avvicinava. Geltrude, estremamente debole, disse al Signore: « O mio Diletto, come potrò io avvicinarmi alla Mensa Eucaristica, così priva di forze come sono, tanto più che non pregai nessuno di aiutarmi? ». Rispose Gesù: « Hai forse bisogno dell'aiuto umano mentre sei appoggiata a me, tuo Diletto, che ti porto fra le braccia della mia divina potenza? Io stesso ti darò la forza di camminare e di sostenerti in piedi ». Infatti venne sorretta dalla grazia, ed ella che da gran tempo non poteva stare ritta, nè fare un passo senza aiuto, si alzò e si diresse spedita a ricevere il Corpo del Signore. Saziata dal cibo celeste, divenne un solo spirito con Dio.
CAPITOLO LVI
NELLA FESTA DI S. ELISABETTA
Nella festa di S. Elisabetta, mentre nella Sequenza si cantavano le parole: « Eia mater, nos agnosce: O Madre riconosceteci » Geltrude salutò devotamente la Santa, pregandola di ricordarsi di lei, malgrado la sua miseria. Essa rispose « Ti vedo nello specchio dell'eterna chiarezza, ove brillano magnificamente le intenzioni che dirigono le tue opere ». S. Geltrude aggiunse: « O nobile Signora, dimmi, non diminuisco io forse la tua gloria quando, cantando le tue lodi in questo giorno solenne, non faccio alcuna attenzione a Te, per orientare tutti i miei pensieri verso Colui che ti ha dato tanti privilegi e tanto bene? ». Rispose S. Elisabetta: « Al contrario cotesta tua maniera di fare mi riesce graditissima, perchè l'armonioso suono degli strumenti musicali, ha maggiore pregio del belare delle pecorelle e del muggito dei buoi ».
CAPITOLO LVII
NELLA FESTA DI S. CATERINA, VERGINE E MARTIRE (25 NOVEMBRE)
Nel giorno di S. Agostino il Signore spiegò a Geltrude le parole: « Non est inventus simili illi: Non si trovò nessuno simile a Lui » (Eccl. XLIV, 20), e le mostrò i meriti di parecchi Santi. Allora Geltrude lo supplicò di farle conoscere la gloria e i meriti di S. Caterina, ch'ella prediligeva fino dall'infanzia.
Il Signore esaudì le sue brame, e le mostrò la Santa su di un trono così smagliante che, se in cielo non ci fossero state regine anche più potenti, lo splendore di quella Santa sarebbe bastato per abbellire l'intero paradiso.
Si vedevano vicino a Lei, più in basso, i cinquanta filosofi su cui aveva trionfato con divina sapienza e che aveva guidato al cielo. Tutti tenevano in mano preziosi scettri d'oro e ne appoggiavano l'estremità sugli abiti della Santa, quasi per adornarli con ammirabile guarnizione di aurei fiori. In tali fiori erano rappresentate le fatiche che quei filosofi avevano sopportato, per l'acquisto della vera sapienza. Essi offrivano l'omaggio dei loro lavori all'illustre vergine, perchè li aveva ritirati dalla vana scienza, per condurli alla grazia della fede, con genialità di sforzi e sapienza divina. Il Signore dispensava baci tenerissimi all'illustre vergine e le comunicava, col suo alito, le delizie attinte dalla divinità nei cuori di tutti coloro che avevano celebrato in terra la festa della grande Martire. (La stessa cosa, a suo luogo, abbiamo riferito di S. Agnese). La corona, posta sulla testa di S, Caterina, era adorna di fiori freschissimi, che parevano irradiare il loro profumo sui devoti della Santa.
CAPITOLO LVIII
FESTA DELLA DEDICAZIONE DELLA CHIESA
Nella festa della Dedicazione della Chiesa, mentre si recitavano a Mattutino quelle parole: « Regina Saba venit ad Regem Salomonem - La regina Saba andò a trovare il re Salomone » e « cum gemmis virtutum - con perle di virtù », Geltrude fu tocca di compunzione e disse al Signore: « O Gesù, infinitamente buono, come potrei io, così piccola e senza virtù, giungere fino a Te? ». Le rispose il Salvatore: « Dimmi, non sei stata mai ferita da lingue maldicenti? ». Ed ella: « Eh sì, caro Gesù! Le mie colpe; purtroppo, hanno dato sovente al prossimo motivo di scandalo ». « Ebbene - aggiunge il Salvatore - adornati delle parole dei tuoi detrattori, come di altrettante virtù. Allora verrai a me, e la mia compassionevole tenerezza ti riceverà con bontà. Più si biasimerà senza motivo la tua condotta, più il mio Cuore ti darà prove d'amore, perchè sarai somigliante a me, che fui duramente colpito dai calunniatori ».
Durante il Responsorio Benedic, il Signore la introdusse in un luogo d'incomparabile splendore: era lo stesso suo Cuore, disposto in forma di casa, dove ella doveva celebrare la festa della Dedicazione. Entrata che fu, si sentì venir meno per le delizie che ivi gustava. Disse a Gesù: « Mio dolcissimo Sposo, se tu avessi introdotto l'anima mia in un luogo calpestato dai tuoi piedi sacratissimi, sarebbe stata assai dolce cosa per me. Ma come posso ringraziarti dello stupendo favore che mi accordi in questo momento? ». Rispose il buon Maestro: « Poichè tu cerchi spesso di offrirmi la più nobile parte di te stessa, cioè il cuore, così trova giusto che tu abbia a godere gioie ineffabili nel mio, perchè io sono per te il Dio che si fa tutto a tutti, in ogni cosa. Io sono forza, vita, scienza, nutrimento, vestito e tutto quanto un'anima amante può desiderare ». Ed ella: « O mio Dio, se il mio cuore si è totalmente abbandonato ai desiderii del tuo, è ancora un puro effetto della grazia ». « E' naturale - rispose, Gesù - che colmi delle mie ricompense l'anima che ho prevenuta con le benedizioni della mia dolcezza; se poi l'anima si abbandona a me perchè compia ogni volere del mio Cuore, a mia volta mi conformerò ai desideri del suo ».
Mentre gustava in quella divina casa gaudio celestiale, le parve che fosse costruita con pietre quadrate di vario colore; esse erano congiunte non col cemento, ma con legami d'oro; e luci stupende brillavano in ciascuna. Geltrude allora comprese che le grazie speciali accordate a ciascun eletto, procuravano a tutti i beati dolcezze piene d'incanto. La disposizione delle varie gemme nel divin Cuore, simboleggiava la predestinazione di ciascun eletto, e la necessità che essi hanno di sostenersi a vicenda, come fanno le pietre di un muro maestro. La Santa capì anche che l'oro che teneva unite quelle gemme era la carità, con la quale i fedeli devono sorreggersi gli uni cogli altri, unicamente per amore di Dio.
In altra occasione, nella stessa festa della Dedicazione, Geltrude comparve davanti al Signore, Re dei re, simile alla regina Ester, vestita regalmente da fervorose opere spirituali.
Ella voleva pregarlo per il suo popolo, cioè per la Chiesa; il vero Assuero la ricevette con infinita tenerezza, ammettendola nel santuario del suo Cuore dolcissimo.
Il Signore le disse con bontà: « Io ti dono tutta la dolcezza del mio Cuore divino, perchè tu possa distribuirla ad ognuno con generosa larghezza ». Allora Geltrude attinse con la mano nel divin Cuore tesori immensi, e ne asperse i numerosi nemici del Monastero che, in quei giorni, con le loro minacce turbavano la pace della Comunità. Ella conobbe poi che coloro i quali avevano ricevuto anche una sola goccia attinta a quel sacratissimo Cuore, dovevano ben presto pentirsi e giungere, con sincera penitenza, a salvarsi.
Mentre stava pregando per una certa persona con slancio d'amore ancor più intenso, vide che in quell'anima venivano riversati i tesori del Cuore divino: però, più tardi, essi sembravano mutarsi in acque amare. Sorpresa chiese spiegazione a Gesù che le disse: « Non turbarti, figlia mia. Quando si regala del danaro a un amico, egli può spenderlo come vuole; può comperare mele mature o acerbe, ma alcuni preferiscono queste ultime, perchè si possono conservare più a lungo. Così quando, pregato dai miei eletti, concedo grazie ad un'anima, faccio in modo che esse tornino a suo vantaggio. Se è meglio per certuni la sofferenza invece della gioia, tali grazie si mutano in tribulazioni, e perfezionano di più l'anima, secondo il gusto del mio divin Cuore. L'uomo al presente ignora il segreto della mia condotta, ma un giorno lo conoscerà; allora gli sarà dato gustare tante delizie, quanti furono i dolori sofferti per amor mio ».
A Mattutino, mentre Geltrude volgeva la sua attenzione a Dio ed a se stessa, durante il Responsorio: « Vidi civitatem - Ho visto la città », il Signore le ricordò una parola ch'ella ripeteva sovente per animare il prossimo alla confidenza in Dio; e le disse: « Affinché tu sappia con certezza come io amo la confidenza, voglio mostrarti la bontà con la quale ricevo l'anima che, dopo d'aver errato, ritorna a me, piange le sue colpe, proponendo, con la mia grazia, di mai più ricadere ». Dicendo queste parole il Figlio del Re supremo, rivestito con le insegne della sua dignità regale, si avanzò davanti al trono del Padre, e cantò, con voce dolce e sonora il Responsorio: « Vidi civitatem sanctam Jerusaiem ». A tali melodie ella comprese l'ineffabile consolazione che prova il Cuore di Dio quando un'anima propone di evitare colpe e imperfezioni, memore dei benefici di cui Egli l'ha colmata, confusa di essersi da Lui allontanata per mancanza di vigilanza sugli affetti, sulle parole, come riguardo alla perdita del tempo. Ogni volta che l'anima prova tali rimpianti, Gesù, con nuovo trasporto di felicità. e di gioia, canta a Dio Padre le parole di questo Responsorio, o altre analoghe. Parve ancora a Geltrude che il Figlio di Dio fra le parole: « Et audivi vocem magnam de thronos dicentem - Intesi una voce forte che partiva dal trono e diceva », e quelle che seguono, intercalasse il gemito del peccatore che, nella compunzione del cuore, esclamava: « Ahimè, come sono miserabile! Quanto tempo ho passato senza pensare a Colui che mi ama ! » ecc. Il Figlio di Dio, in qualità d'uomo, cantava tali parole su corde basse, in perfetto accordo con la voce del Padre, che sulle corde elevate, proprie della Divinità diceva: « Ecce tabernaculum Dei cum homínibus - Ecco il tabernacolo di Dio tra gli uomini ». Gli spiriti beati ascoltavano tale melodia con profonda ammirazione. Questa visione rivelava che l'anima pentita, che vuole sinceramente fuggire il male e praticare il bene, diventa realmente il tabernacolo nel quale degna abitare, come in casa propria, il Dio di Maestà, lo Sposo dell'anima amante, sempre benedetto nei secoli dei secoli.
In quel momento Dio Padre, con la sua venerabile Mano, diede la benedizione, dicendo: « Ecce nova facio omnia - Rinnoverò tutte le cose » (Apoc. XXI, 5) per far capire che tutto si trova supplito e rinnovato nell'anima fedele per mezzo della contrizione, della divina benedizione, della vita santissima del Figlio di Dio. Appunto perciò è scritto che « si fa più festa in cielo per un peccatore che fa penitenza, che per novantanove giusti non bisognosi di tale penitenza » (Luc. XV, 10), giacchè l'infinita bontà di Dio si degna di riversare le sue delizie nell'anima contrita.
Continuò Gesù: « Quando faccio passare l'anima fedele dalla vita presente a quella del cielo, la colmo di delizie e le canto con dolcezza: « Ho visto la Città Santa, la nuova Gerusalemme », che s'innalza dalla terra. Alle parole « Rinnoverò tutte le cose » la colmò delle stesse delizie che la Corte celeste gusta con me, tutte le volte che un peccatore fa penitenza ».
CAPITOLO LIX
NELLA DEDICAZIONE DELLA CAPPELLA
La consacrazione della cappella era stata compiuta. Mentre a Mattutino si cantava il Responsorio: Vidi Civitatem, il Signore apparve in abita pontificale, seduto sul trono episcopale, addossato al muro, col viso rivolto verso l'altare. Aveva gli abiti raccolti intorno alla persona, come se avesse scelto quel luogo per stabilirvi la sua dimora.
Geltrude notò che il Signore era assai lontano dal luogo dove ella pregava e con ardenti desideri cercava di attirarlo vicino. Ma Egli le disse: « Io sono Colui che riempie il cielo e la terra; quanto maggiormente riempirò questa piccola casa! Non sai tu che l'arcere fissa più attentamente il punto d'arrivo della freccia, che quello di partenza? Sappi che trovo minor amore là dove sono corporalmente, che là dove l'occhio della mia divinità può riposarsi nel tesoro di un'anima amante ».
Allora, meraviglia!, nonostante la distanza, toccò l'altare come se fosse stato vicino, e disse: « E' qui ed è là! ». « Colui che cerca sinceramente la grazia mi troverà nei miei benefici; colui che cerca fedelmente il mio amore, mi riconoscerà nelle profondità della sua anima! ». Queste parole fecero comprendere a Geltrude che c'è grande differenza fra coloro che cercano il benessere del corpo, e la salvezza dell'anima secondo le brame della loro volontà, e quelli che si abbandonano con fiducia incondizionata alle cure provvidenziali del divino amore.
Durante la S. Messa, mentre si cantava « Domus mea, domus orationis vocabitur - La mia casa sarà chiamata casa di preghiera » il Signore posò la mano sul suo Cuore e disse con tenerezza: « Sì, lo proclamo: 'In mea omnis qui petit, accipit - Tutti coloro che in essa domandano, riceveranno ». Poi levò le braccia, stese la mano in mezzo al tempio e stette in quell'atteggiamento, come per mostrare che continue grazie sarebbero scese da quella Mano benedetta.
Durante la settimana, mentre all'antifona del Benedictus si cantavano le parole: « Fundamenta templi » gli spiriti celesti apparvero sulle cornici della Chiesa. Bellissimi, riccamente vestiti, deputati alla custodia del tempio, per fugarne i nemici. Sfiorandosi a vicenda con le ali d'oro, facevano risuonare una dolce melodia in onore della Divinità. Essi discendevano alternativamente dalla sommità al basso dell'edificio, per mostrare con quale tenerezza occupavano quel luogo, vigilando i loro futuri concittadini, per preservarli dal male.
Nella festa della dedicazione di quella Cappella, Geltrude, quantunque obbligata a letto, si sforzò di recitare il Mattutino come aveva fatto anni addietro, per una speciale grazia del Signore. Bramava che i nove cori angelici venissero a supplire alle sue deficienze, rendendo a Dio degne lodi e fervorosi ringraziamenti.
Sarebbe troppo lungo descrivere le delizie gustate dalla Santa. Ella vide un fiume le cui acque limpide, lievemente increspate, si diffondevano nell'immensità dei cieli. La luce divina, simile a fulgentissimo sole, si rispecchiava in quelle acque, sì che le mille ondulazioni brillavano come astri. Quel fiume simboleggiava la grazia della divozione, che le era stata elargita dal Signore con tanta abbondanza; la ondulazione delle acque voleva significare la varietà dei pensieri ch'ella si sforzava di volgere a Dio.
Il Re della gloria s'inchinò, immerse nel fiume un calice d'oro e lo ritrasse colmo, per darlo da bere a' suoi Santi. Essi, dopo d'avervi attinto un rinnovamento di gioie e di delizie, cantarono lodi e ringraziamenti per i favori accordati a Geltrude dal distributore di ogni bene. Dal fondo, del calice uscivano delle cannule d'oro, che si dirigevano verso quelle anime caritatevoli, le quali, con grande bontà, si erano sacrificate perchè la Santa potesse liberamente servire Dio; altre cannule si dirigevano verso le anime che, con speciale fervore, si erano raccomandate alle sue preghiere.
Geltrude disse a Gesù: « A che serve che io veda e comprenda tutte queste cose, se poi tali care anime non le capiscono affatto? ».
Rispose Gesù: « E' forse inutile che un previdente padre di famiglia raccolga nelle sue cantine del buon vino, sotto pretesto che non può berlo ad ogni istante? Avendolo alla mano quando gli occorre, potrà berne a piacimento. Così quando, pregato dai miei eletti, accordo grazie ad altre anime, esse non sentono subito il gusto della divozione; tuttavia è certo che, a tempo opportuno, esperimenteranno il benefico influsso della mia carità.
Si racconta di una S. Messa che il Signore Gesù celebrò in cielo per una Santa Vergine chiamata Geltrude, mentre ella viveva in terra.
Era la domenica Gaudete in Domino, terza d'Avvento e Geltrude, dovendo comunicarsi, lamentava tristemente di non poter assistere alla S. Messa.. Gesù ebbe compassione della sua Sposa e, consolandola teneramente, le disse: « Vuoi tu, o mia diletta, che io stesso canti per te la S. Messa? ». Rispose Geltrude: « Oh, sì, dolcezza suprema dell'anima mia, te ne supplico, fammi questo immenso favore! ». « E quale Messa desideri ascoltare? » chiese il Signore. « Quella, Gesù, che Tu stesso brami cantare ». « Vuoi forse la Messa in medio Ecclesiae? » (Messa di S. Giovanni evangelista). « No » rispose Geltrude. E siccome Egli le proponeva parecchie altre Messe che Geltrude non accettava, le chiese infine se bramasse ascoltare la Messa Dominus dixit (la Messa di mezzanotte del S. Natale), ma la Santa rifiutò ancora.
Allora Gesù insistette con dolcezza, dicendole: «Potrei a ogni parola dell'Introito darti illustrazioni interiori che ti consolerebbero meravigliosamente ».
Mentre Geltrude chiedeva come mai ciò sarebbe avvenuto, essendo le parole di quell'introito adatte solo al Figlio di Dio, il Signore, con i suoi Santi, intonò ad alta voce l'Introito della domenica corrente, dicendo: « Gaudete in Domino, semper - Rallegratevi sempre nel Signore », eccitandola a rallegrarsi ed a porre in Lui ogni sua gioia. Poi s'assise sul trono della sua maestà regale, e la vergine, prostrandosi, baciò con tenerezza i suoi piedi.
Intonò poi a voce chiara: Kyrie eleison e due principi illustri, dell'ordine dei Troni, vennero a prendere la Vergine per condurla davanti al Padre celeste. Ella si prostrò con la faccia e terra, adorandolo profondamente. Il Padre, al primo kyrie, le rimise misericordiosamente ogni peccato commesso: per fragilità. Dopo di che due Angeli la rialzarono sulle ginocchia, e col secondo kyrie meritò di ricevere il perdono delle colpe d'ignoranza. Gli Angeli la rizzarono quindi completamente in piedi; ma ella si chinò per baciare le orme dei passi di Gesù, e ricevette la remissione di tutti i peccati commessi con malizia. Ed ecco giungerei due dignitari dell'ordine dei Serafini, i quali, ponendosi si fianchi della Vergine, le fecero scorta fino al Salvatore Gesù, che l'accolse con teneri amplessi, serrandola al suo divin Cuore.
Geltrude allora con fervente desiderio, attrasse a sé tutti i diletti prodotti dalle tenerezze degli uomini, e al primo Christe eleison li prese nel suo cuore, per poi deporli nel Cuore divino, come nella vera sorgente da cui procedono tutte le delizie create. Allora avvenne come una mirabile fusione di Dio nell'anima e dell'anima in Dio, in modo che, durante il suono delle note discendenti, il Cuore divino scorrever nell'anima, e durante quello delle note ascendenti, l'anima risaliva deliziosamente verso Dio.
Al secondo Christe eleison la Vergine raccolse in sé tutte le dolcezze gustate negli umani amplessi, e le offrì al suo unico Diletto, con un soave bacio, deposto su quelle sacre labbra che distillano il miele. Al terzo Christe eleison, il Figlio di Dio, estendendo le mani, unì il frutto della sua santissima vita alle opere della sua diletta sposa.
Infine due principi elevatissimi del coro dei Serafini s'avvicinarono per prendere Geltrude e presentarla, con riverenza, allo Spirito Santo che penetrò tosto nelle sue tre potenze.
Col primo Kyrie eleison, diffuse nell'intelligenza lo splendore della Divinità, perché conoscesse in tutte le cose la sua adorabile Volontà.
Al secondo Kyrie eleison, fortificò l'appetito irascibile perchè resistesse agli agguati del nemico, trionfando da ogni male. All'ultimo Kyrie eleison, infiammò l'appetito concupiscibile per farle amare ardentemente Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze.
I Serafini, cioè gli Angeli del primo coro, condussero quell'anima dallo Spirito Santo, i Troni, la guidarono a Dio Padre, i Cherubini al Figlio, per dimostrare che una è la Divinità del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, uguale la loro gloria, coeterna la loro maestà, e che in una Trinità perfetta, Dio vive e regna nei secoli de' secoli.
Il Figlio di Dio, alzandosi allora dal suo trono regale, si volse verso Dio Padre, e intonò con voce soavissima: Gloria in excelsis Deo. Con la parola Gloria esaltava l'immensa e incomprensibile onnipotenza di Dio Padre. Con le parole in excelsis, (che parve assorbire in se stesso), lodava la sua inesauribile e inenarrabile sapienza. Infine, alla parola Deo, rese omaggio all'infinita bontà dello Spirito Santo. Tutta la Corte celeste continuò, con voce melodiosa: et in terra pax hominibus bonae voluntatis.
:Il Figlio di Dio s'assise nuovamente sul trono. L'anima, prostata ai suoi piedi, era tutta immersa nella cognizione del suo nulla e nel disprezzo di se stessa, il Signore s'inchinò verso di lei con bontà e l'attrasse con un gesto delicatissimo della sua venerabile mano. Geltrude allora si levò e, ritta davanti a Gesù, venne illuminata dal riflesso del divino splendore. Due principi dell'ordine dei Troni portarono un seggio squisitamente adorno, lo deposero davanti al Signore e stettero con somma riverenza. Due principi del coro dei Serafini collocarono l'anima su quel trono, e si diressero uno a destra, l'altro a sinistra.
Due gloriosi Cherubini, con fiaccole accese, stettero dar vanti all'anima gloriosamente assisa di fronte al suo Diletto, brillante sotto la porpora regale, del suo stesso splendore.
Quando la Corte celeste, continuando il canto, giunse alle parole che si rivolgono e Dio Padre: Domine Deus, Rex Coelestis, tacque, e il Figlio di Dio cantò solo la lode e la gloria del Padre.
Dopo il Gloria in excelsis Deo, Gesù, Sommo Sacerdote, si alzò e, salutando l'anima le cantò questa dolce melodia: « Dominus vobiscum, diletta ». Ella rispose: « Et spiritus meus tecum, Praedilecte! ».
Il Salvatore fece un inchino di riconoscenza, e felicitò la sua amatissima; Sposa così ben preparata, tanto che il suo spirito aveva acquistato la capacità di unirsi alla Divinità, le cui delizie sono di stare coi figli degli uomini.
In seguito il Signore lesse la Colletta: « Deus qui hanc sacratissimam noctem veri luminis illustrazione fecisti etc. - O Dio che hai illuminato questa sacratissima notte » (Colletta della S. Messa natalizia di mezzanotte), che concluse così: « per Jesum Christum Filium tuum » come per ringraziare Dio Padre della luce che aveva fatto brillare in Geltrude la cui miseria - espressa nella parola noctem - era chiamata tuttavia sacratissima notte, perchè nobilitata e santificata dalla conoscenza della propria infermità.
Allora il discepolo S. Giovanni si levò, raggiante di grazia e di giovinezza, glorificandosi di essersi riposato sul petto di Cristo. I suoi abiti erano gialli, cosparsi di aquile d'oro. Ponendosi fra lo Sposo e la Sposa, cioè fra Dio e l'anima, sì che da una parte aveva Gesù, dall'altra Geltrude, cantò l'Epistola dicendo: « Haec est sponsa ». L'assemblea dei Santi concluse: « ipsi gloria in saecula ».
Cantarono poi tutti insieme il Graduale: Specie tua et pulchritudine tua col versetto Audi, Filia, et vide (Comune delle Vergini). All'intonarsi dell'Alleluia, Paolo, l'illustre dottore, segnò a dito Geltrude esclamando: « Aemulor enim vos », il corteo dei Santi continuò il testo e cantò in seguito la sequenza: Exultent iliae Sion (festa delle Vergini), in onore di Geltrude, che, da quei canti, ritrasse meravigliose e consolanti illustrazioni interiori.
Mentre si cantava nella sequenza: « Dum non consentiret, sed illi resisterei, vincere qui solei tentatos, si non repugnet », Geltrude si ricordò delle sue negligenze nel resistere alle tentazioni, e voleva nascondere il volto, per sentimento di vergogna, ma Gesù, castissimo Amante, non poté sopportare la confusione della sua Sposa, e nascose le sue negligenze sotto un gioiello d'oro, meravigliosamente cesellato, per significare la trionfante vittoria riportata negli attacchi del nemico. In seguito un altro Evangelista si avanzò per cantare il Vangelo: « Exultavit Dominus Jesus in Spiritu Santo - Il Signore Gesù esultò nello Spirito Santo » (Luc. X, 21). A quelle parole Dio che è carità, eccitato dagli slanci di un amore senza misura e venendo meno, per così dire, sotto i torrenti delle sue divine voluttà, si alzò e con le mani tese, cantò melodiosamente le parole seguenti: « Con f teor tibi, Pater coeli et terrae », per ricordare all'Eterno Genitore con qual fervore riconoscente Egli aveva su la terra pronunciato le stesse parole. Ad ogni motto Egli ringraziava per i benefici passati e futuri, accordati a Geltrude, che assisteva alla S. Messa.
Terminato il Vangelo, Gesù fece cenno alla Santa di fare professione pubblica della sua fede cattolica, in nome della Chiesa, cantando: « Credo in unum Deum ». Poi, il coro dei Santi intonò l'Offertorio: « Domine Deus in simplicitate - Signore Dio, nella semplicità, ecc. » (Offertorio della Dedicazione della Chiesa) aggiungendo: « Sanctificavit Moyses » (Offertorio della XVIII Domenica dopo Pentecoste). Durante quel canto, il Cuore di Gesù, parve uscire dal petto, simile ad un altare d'oro, che brillava come fuoco ardente.
Allora gli Angeli, incaricati di custodire gli uomini, in volo vennero ad offrire, con gaudio immenso, sull'altare di quell'adorabile Cuore, degli uccelli vivi che simboleggiavano tutte le buone opere e le preghiero di coloro di cui erano i custodi.
I Santi offrirono i loro meriti al Signore su quell'altare, per la sua eterna gloria e la salvezza di Geltrude. Infine giunse un principe magnifico: era l'angelo custode della Santa. Portava un calice d'oro che offerse sull'altare del divin Cuore: quel calice conteneva le tribolazioni, le avversità, i dolori che Geltrude aveva sopportato fin dall'infanzia, nel corpo e nell'anima. Il Signore benedisse quel calice col segno della croce, come fa il Sacerdote quando consacra l'Ostia. Poi intonò, con voce melodiosa: « Sursum cordai ». Tutti i Santi, animati da quell'invito, s'avvicinarono e innalzarono i cuori sotto forma di tubi dorati fino all'altare del Cuore divino per raccogliere, ad aumento delle loro gioie, dei loro meriti e della loro gloria, qualche goccia del calice traboccante, benedetto dal Signore con tanto amore.
In seguito, il Figlio dell'Altissimo, cantò con intenso fervore, e con tutta la potenza della sua Divinità: Gratias agamus e: Vere dignum - a lode e gloria di Dio Padre, ed in ringraziamento di tutti i benefici passati e futuri accordati alla sua eletta. Dopo le parole del Prefazio: per Jesum Christum, Egli tacque; la Corte celeste proseguì con riverente giubilo: Dominum nostrum, come se avesse voluto giocondamente proclamare che Lui solo era il Signore Dio, Creatore e Redentore, generoso distributore di tutti i beni, a cui solo appartiene onore, gloria, lode, giubilo, potenza, impero e l'obbedienza di tutte le creature.
Quando cantò: per quem majestatem tuam laudant angeli, gli spiriti angelici agitarono le ali in un sussulto di felicità e batterono le mani, quasi per provocare la Corte celeste alla lode divina. Alle parole: adorant Dominationes, il coro cadde in ginocchio, adorò il Signore, confessando che davanti a Lui deve inchinarsi tutto quanto si trova in cielo, in terra e negli inferni.
Alle parole: tremunt Potestates, l'ordine delle potestà si prostrò tosto, col volto ai terra, per attestare che solo Dio deve essere adorato da tutte le creature. Dicendo: a Coeli, coelorumque Virtutes ac beata seraphim », i Serafini si unirono ai cori degli Angeli per celebrare il Signore con canti di dolcezza e melodia incomparabili. La milizia dei Sati aggiunse con soave letizia: Cum quibus et nostras voces ut admitti jubeas deprecamur.
In seguito la fulgida rosa della celeste aiuola, la Vergine Maria, benedetta al di sopra di tutte le creature, s'avanzò intonando con voce dolcissima: Sanctus, Sanctus, Sanctus, per esaltare con riconoscenza, con questa parola ripetuta tre volte, l'Onnipotenza incomprensibile, l'inesauribile Sapienza e la dolcissima Bontà della suprema, indivisibile Trinità. Ella provocava, in un certo senso, la Corte celeste a felicitarla perché, essendo l'immagine perfettissima di Dio, era dopo il Padre, il riflesso della sua Onnipotenza, dopo il Figlio, il riflesso della sua Sapienza, dopo lo Spirito Santo, quello della sua Bontà.
I Santi continuarono ancora: Dominus Deus Sabaoth: allora il Signore Gesù, vero Sacerdote e Pontefice supremo, si alzò dal suo regale trono e presentò con le mani aperte, a Dio Padre, il suo sacratissimo Cuore, sotto la forma di aureo altare, come più sopra abbiamo detto. Egli s'immolò per la sua Chiesa, in un modo così ineffabile e così nobile, da non poter essere compreso e penetrato da nessuna creatura.
Mentre il Figlio di Dia offriva al Padre il suo Cuore, 1a campana della chiesa squillava per annunciare l'Elevazione dell'Ostia; fu quindi nello stesso istante che il Salvatore operò in cielo quello che si verificava in terra, per mezzo del Sacerdote. Geltrude però ignorava quale ora fosse come pure quello che si cantava alla S. Messa in quel momento.
Mentre ella si deliziava nell'ammirazione di quanto avveniva davanti a lei, il Signore le fece segno di recitare il Pater noster, unendosi alla lunga preparazione d'amore che questa preghiera aveva subito nel suo Cuore, prima che fosse palesata al mondo con tanta tenerezza.
Il Salvatore accolse favorevolmente quei Pater, e lo diede agli Angeli e ai Santi per disporlo secondo il loro desiderio e procurare per suo mezzo, alla Chiesa ed ai defunti quanto una preghiera ha possibilità di ottenere.
Il Signore invitò nuovamente Geltrude a pregarlo per la Chiesa, e siccome ella lo supplicava per tutti gli uomini in generale e ciascuno in particolare, Egli unì tale preghiera alle azioni della sua Umanità e la comunicò alla Chiesa universale; dicendo: « Le suppliche che tu mi hai offerte con l'intenzione che portino vantaggio a tutta lai Chiesa, saranno per essa la salvezza delle salvezze, cioè la più abbondante salvezza che si possa immaginare, così come si dice nel Cantico dei cantici.
Geltrude chiese: « O Signore, come sarà ora il banchetto? ». E Gesù con tenerezza: « Non solo le orecchie del cuore te lo faranno comprendere, ma lo gusterai nell'intimo dell'anima tua ». E chiamandola a sé, la serrò al suo Cuore vino, accordandole parecchie volte il suo bacio celestiale, colmandola talmente delle effusioni della sua Divinità da formare come una sola cosa con lei, con tutto il cumulo di felicità che è possibile gustare in questa vita. Fu appunto in tale ineffabile unione, che gli si diede in cibo alla sua diletta Sposa.
Quando l'ebbe comunicata, il Cantore sommo, o meglio l'Amante, geloso di coloro che gli predilige, cantò con voce penetrante: a Ecce quod concupivi, jam video: quod speravi, lam terreo; illi sum junctus in spiritu, quam in terris, positus toto devoti dilexi - Ecco che vedo quanto ho desiderato, tengo quanto ho sperato, sono unito a colui che sulla terra ho amato senza riserva» (Antifona del Pontificale romano, lievemente modificata).
Con quelle parole a in terris positus,» affermò altamente che tutte le fatiche, le tribolazioni, le sofferenze che aveva sopportate in terra le avrebbe sofferte volentieri anche per quella sola anima e sarebbe stato felice che la sua santa Vita, Passione, Morte, non avessero prodotto altro risultato, tanto era deliziosa l'unione che aveva gustato con quell'anima.
O dolcezza incomparabile della divina accondiscendenza che brama così ardentemente di trovare le sue delizie nell'anima, tanto che l'unione con una sola creatura sembra ripagare gli atroci tormenti della Passione e morte di un Dio, quantunque una sola goccia del divin Sangue basterebbe per salvare il mondo intero!
In seguito il Signore intonò: Gaudete justi (Comune dei Martiri), e tutta la corte celeste continue il canto per congratularsi con Geltrude. Dopo l'antifona, Gesù recitò l'ultima orazione in nome della Chiesa militante: « Refecti cibo potuque coelesti, Deus noster, te supplices exoramus, ut in cujus haec commemoratione percepimus, ejus maniamur et precibus. Per Jesum Christum. - Saziati da cibo e bevanda celesti, noi ti supplichiamo, o Dio, di permettere che siamo protetti dalle preghiere di colui, in memoria del quale abbiamo ricevuto questo nutrimento divino ».
Il Signore salutò allora tutti i Santi, cantò Dominus vobiscum e, in vista della perfetta unione contratta con la Santa, mise il colmo ai meriti, alla gioia, alla gloria dei beati del cielo.
Invece dell'Ite Missa est, i cori dei santi Angeli cantarono, con voce sonora, in lode e gloria della SS. Trinità, risplendente e ognora tranquilla, l'inno: Te decet laus ei honor Domine.
Il Figlio di Dio stese la mano regale e benedisse Geltrude, dicendo : « Io ti benedico, figlia dell'eterna luce, in modo che tutti coloro ai quali tu implorerai per speciale affetto, un bene qualunque, saranno più felici degli altri; come Giacobbe ebbe una felicità più grande di quella dei fratelli, per la benedizione del suo padre Isacco ».
Geltrude, ritornata in sé, si senti unita al suo Diletto, nelle profondità dell'essere, in modo indissolubile.
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