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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

S. Geltrude di Helfta: L'Araldo del Divino Amore - Libro secondo

Le rivelazioni dell'Amore Divino a S. Geltrude di Helfta.

LIBRO SECONDO - PREFAZIONE DI LANSPERGIO
Geltrude, ispirata da Colui che poteva disporre liberamente del suo volere, scrisse questo secondo libro, tutto di sua mano: è un libro pio ed utile a tutti: esso fornisce all'anima devota, luce ed esempio per dirigersi nella vita interiore, per imparare a conoscere imperfezioni e difetti, onde piangerli davanti a Dio; infine per concepire un vero disprezzo di se stessi, e salde risoluzioni per rendere migliore la propria vita.
Insegna ancora a proclamare i divini benefici, a ringraziarne il Signore, ed a ricondurre tali beni alla loro sorgente. Mostra ciò che prova un'anima quando Dio l'attrae a sé, insegna con quale discrezione deve procedere per discernere lo Spirito di Dio dal proprio, e giungere poi all'unione d'amore col suo Signore.
Questo libro presenta tali cose con termini assai semplici, che non corrispondono affatto alla grandezza delle realtà che esprimono, ma non sono certo le forme letterarie, più o meno eleganti, che danno pregio allo stato di un'anima che Dio eleva, per mezzo della grazia: è bene sapersi che la maggior parte delle cose descritte in queste pagine saranno comprese soltanto da chi ha ricevuto simili favori. La parola umana non può tradurne la grandezza e la maestà.
Geltrude stessa, come dicemmo, spinta da un impulso soprannaturale scrisse queste pagine di sua propria mano.

PROLOGO: Nove anni dopo d'avere ricevuti i favori che narreremo in questo libro un giorno di giovedì Santo, mentre Geltrude aspettava, con la Comunità, il sacerdote che doveva portare la S. Comunione a un'inferma, sentì uno straordinario impulso dello Spirito Santo, che l'animava a scrivere.
Prendendo la tavoletta che le pendeva dalla cintura, tracciò le pagine seguenti. Noi raccoglieremo gli slanci del suo cuore verginale verso il suo Diletto, e ci sarà dato comprendere come l'anima sua fosse ricolma di lodi e di ringraziamenti.

CAPITOLO I
COME IL SIGNORE, ORIENS EX ALTO, LA VISITO' LA PRIMA VOLTA
L'abisso della sapienza increata invochi l'abisso dell'ammirabile onnipotenza per esaltare quest'incomprensibile bontà che fece discendere i torrenti della sua misericordia, fino alla valle profonda della mia miseria! Avevo compiuto venticinque anni ed era la seconda feria (giorno benedetto per me), che precedeva la festa della Purificazione della tua castissima Madre. Era la sera, dopo Compieta, nell'ora propizia del crepuscolo, quando Tu risolvesti, o Dio, che sei verità più pura della luce, e più intima di qualsiasi recondito segreto, di dissipare le folte tenebre che mi circondavano. Con un procedimento pieno di soavità e di tenerezza, hai incominciato a placare il turbamento che, già da un mese, Tu avevi suscitato nel mio cuore. Tale inquietudine era destinata, io penso, a rovesciare la fortezza della vana gloria e della curiosità, ch'io avevo innalzata nel mio insensato orgoglio, benché portassi, ma senza frutto, il nome e l'abito di religiosa.
Era questo il cammino che Tu avevi scelto, o mio Dio, per mostrarmi la tua salvezza.
Pertanto, stando io, nell'ora sopraddetta, in mezzo al dormitorio, m'inchinai, secondo la regola dell'Ordine, verso una sorella anziana che mi passava dinanzi. Appena ebbi rialzato il capo, vidi davanti a me un giovane, splendente di grazia e di bellezza: poteva avere circa sedici anni, e il suo aspetto era tale, che i miei occhi non avrebbero potuto ammirare nulla di più attraente. Con accento di grande bontà Egli mi disse queste dolci parole: « Cito veniet salus tua: quare moerore consumeris? Numquid consiliarius non est tibi, quia innovavit te dolor? La tua salvezza non tarderà: perchè ti consumi nel dolore? Non hai un consigliere che possa calmare queste rinascenti angosce? ».
Mentre pronunciava queste parole, quantunque fossi sicura della mia presenza corporale in dormitorio, pure mi vidi in coro nel posto ove ero solita recitare le mie tiepide orazioni: Fu là che sentii queste altre parole: « Salvabo te et liberabo te, noli timere. Io ti salverò e ti libererò: non temere di nulla». Dopo tali accenti lo vidi prendere la mia destra nella sua nobile, delicata mano, come volesse ratificare solennemente le sue promesse.
Indi aggiunse: «Coi miei nemici hai lambito la terra ed hai succhiata il miele aderente alle spine: ritorna finalmente a me, ed io t'inebrierò al torrente della voluttà divina» (Ps. XXXV, 9).
Mentre così parlava io guardai e scorsi fra Lui e me, cioè fra la sua destra e la mia sinistra, una siepe così lunga che, nè davanti né dietro di me, mi fu dato vederne il termine. La superficie appariva coperta di spine così fitte che in niun luogo trovavo un varco che mi permettesse passare, per raggiungere il bell'adolescente.
Me ne stavo titubante, ardendo di desiderio e sul punto di venir meno, quando Egli stesso mi afferrò la mano e, sollevandomi, senza alcuna difficoltà, mi pose al suo fianco; scorsi allora su quella mano che mi era stata tesa come pegno di fedeltà i preziosi gioielli delle sacre piaghe che hanno annullato i diritti di tutti i nostri nemici. Così io adoro, lodo, benedico, ringrazio, come posso, la tua sapiente misericordia e la tua misericordiosa sapienza, che seppe, in modo così carezzevole, piegare la mia testa ribelle sotto il tuo soave giogo, preparandomi un rimedio così adatto alla mia debolezza.
Da quel momento infatti, la mia anima ritrovò la calma e la serenità, incominciai a correre al profumo de' tuoi unguenti e, ben presto, gustai la dolcezza del giogo dell'amor tuo, che prima mi era sembrato duro e quasi intollerabile.

CAPITOLO II
LA LUCE DEL CUORE
Io ti saluto, o mio Salvatore, luce dell'anima mia: tutto ciò che i cieli racchiudono nelle loro sfere, la terra nel suo globo, l'abisso dei mari nelle loro profondità, ti ringrazino dello straordinario favore per cui mi hai fatto conoscere e considerare i segreti del mio cuore. Prima di quel giorno non me n'ero mai preoccupata, e, se posso così esprimermi, mi ero curata del mio interno poco più delle calzature de' miei piedi.
In questa nuova luce potei ricercare con cura e scorgere nella mia anima più d'una macchia e parecchie cose che offendevano la tua somma purezza; vidi di più un tale disordine e una tale confusione, da rendere impossibile la tua dimora in me. Non pertanto nè il disordine, né l'indegnità ti hanno da me allontanato, o Gesù mio amatissimo: ogni volta che mi nutrivo dell'alimento vivificante del tuo Corpo e del tuo Sangue, godevo della tua visibile presenza, benché in una specie di luce fioca, come si scorgono gli oggetti all'incerto chiarore dell'alba.
Con simile dolce accondiscendenza Tu hai voluto impegnare la mia anima a fare nuovi sforzi, per unirmi più familiarmente a Te, per contemplarti con occhio più limpido e per gioire con pienezza del tuo amore.
Lavoravo alacremente per ottenere tali favori nella festa dell'Annunciazione della Santa Vergine Maria, il cui purissimo grembo fu l'asilo benedetto, ove Tu ti sei degnato di sposare in quel giorno l'umana natura.
O Dio, che prima di essere invocato rispondi « Eccomi », Tu hai voluto anticiparmi le gioie di quella giornata, prevenendomi fin dalla vigilia con le benedizioni della tua dolcezza (Ps. XX, 4).
Si teneva il Capitolo dopo Mattutino, perchè era domenica; nessuna parola umana può esprimere in qual modo, o « Luce che scendi dall'alto hai visitato l'anima mia, nelle viscere della tua dolcezza e della tua bontà » (Luc. I, 78). Dammi, o sorgente di ogni bene, dammi d'immolare sull'altare del mio cuore l'ostia di giubilo, perché ottenga d'esperimentare spesso, con tutti i tuoi eletti, quest'unione sì dolce, questa dolcezza sì unitiva che, fino adesso, mi era stata completamente sconosciuta.
Quando considero cos'era la mia, vita in passato, e quale fu in seguito, debbo proclamare, con sincerità, che tale beneficio fu dono gratuito e immeritato. Da quel benedetto istante ebbi una conoscenza così luminosa di Te stesso, da essere più commossa per la dolce tenerezza della tua familiarità che per timore degli stessi tuoi castighi. Ricordo però d'aver provato queste ineffabili delizie soltanto nei giorni della S. Comunione, quando mi chiamavi al tuo regale banchetto. Era disposizione della tua Sapienza? Era risultato dalla mia grande negligenza? Non saprei dirlo con esattezza.

CAPITOLO III
DELIZIE DELLA DIMORA DEL SIGNORE NELL'ANIMA
Tu, mio Dio, agivi nell'anima mia attraendola potentemente tutta a Te. Un giorno fra la Risurrezione e l'Ascensione, al mattino, avanti Prima, entrai nel podere del Monastero e mi sedetti presso il laghetto. La bellezza del luogo mi rapiva, soprattutto per la limpidezza delle acque é la presenza degli alberi verdeggianti: più ancora mi compiacevo del gaio svolazzare degli uccelletti, e particolarmente delle colombe che andavano e venivano liberamente intorno a me. In quella profonda solitudine si gustava una pace deliziosa e riposante. Cominciai a domandarmi cosa mai avrebbe potuto completare l'incanto di quel luogo, e conclusi che mancava solo la presenza di un amico affettuoso, amabile, capace di rallegrare la mia solitudine.
Tu allora, mio Dio, sorgente d'indicibili delizie, Tu, che mi avevi ispirato l'inizio di quella meditazione, per concluderla con profitto del tuo amore, mi facesti capire quanto segue, dicendomi: «Se tu, per riconoscenza, facessi risalire fino a me, come l'acqua di un fiume che precipita verso il mare, le grazie di cui ti ha ricolmata; se ti sforzassi di crescere in virtù come un albero vigoroso si adorna di ricca verzura; se libera da tutti i legami terrestri, spiccassi il volo come la colomba, verso le regioni celesti per dimorarvi con me, lungi dalle passioni e dal tumulto del mondo, tu mi prepareresti nel tuo cuore un incantevole soggiorno».
Il mio spirito restò tutto il giorno occupato da questi pensieri. Giunta la sera, prima di coricarmi, m'inginocchiai per pregare e mi risovvenni a un tratto della sentenza evangelica: « Si quis diliget me, sermonem meum serbavit et Pater meus diliget eum, et ad eum veniemus, et mansionem apud eum jaciemus (Giov. XIV, 23). Se qualcuno mi ama e osserva la mia parola, mio Padre l'amerà e noi verremo a lui e stabiliremo in lui la nostra dimora». In quel medesimo istante sentii che il mio cuore, questo povero cuore di fango, era diventato la tua dimora!
Oh, chi mi darà di far scorrere sull'anima mia un vasto oceano le cui acque, mutate in sangue, purifichino questo domicilio vile e miserabile, che la tua incommensurabile grandezza si degna d'abitare! Chi mi darà di strapparmi il cuore dal petto, e, fattolo a brani, gettarlo su carboni ardenti, affinché purificato col fuoco da, ogni scoria, potesse offrirti un soggiorno, se non degno di Te, almeno un po' meno indegno! Da quell'istante, o mio Dio, Tu ti mostrasti a me, ora con volto benevolo, ora con espressione severa, secondo che ero stata più o meno vigilante nel combattere i miei difetti. Però, fossero pure stati i miei sforzi perfetti e costanti, giammai avrei potuto meritarmi il minimo de' tuoi sguardi, neppure quell'occhiata severa, ch'era dovuta alla moltitudine de' miei peccati. Invece, nella tua infinita accondiscendenza, ti mostravi più afflitto che irritato per le mie colpe, e ti vidi sopportare i miei numerosi difetti con tale divina pazienza, che sorpassava quella già dimostrata quaggiù al traditore Giuda.
Quantunque talvolta mi compiacessi delle cose effimere di questo mondo, pure, dopo ore, ohimè! dopo giorni, e, mi trema il cuore a dirlo, dopo settimane passate nella dissipazione esteriore, se rientravo in me stessa, sempre ti trovavo presente in fondo al cuore. In nove anni non ti sei mai sottratto al mio amore, se non una sola volta, durante undici giorni prima della festa di S. Giovanni Battista, perché volesti farmi capire il dispiacere che ti avevo recato con una conversazione mondana. Tale severo castigo durò fino alla seconda feria, vigilia della festa, durante la S. Messa Ne timeas Zacharia. La tua dolce umiltà e l'ammirabile bontà del tuo amore, vedevano che io ero giunta a tale eccesso di follia, da neppure accorgermi della perdita di tale tesoro, giacchè non ricordo d'averne provato dolore, e neppure brama di ritrovarlo. Mi meraviglio io stessa come abbia potuto giungere a tale punto di demenza. Forse volevi farmi esperimentare le note parole di S. Bernardo: « Quando fuggiamo, Tu c'insegui; se ti voltiamo il dorso, Tu ci presenti il volto; se supplichi, ti disprezziamo, ma nè cattiveria, né disprezzo, possono allontanarti da noi. Instancabile e buono t'industri di guidarci sempre verso quella gioia che l'occhio umano non ha visto, nè l'orecchio intesa, e cuore dell'uomo non conosce ». Siccome poi mi hai accordato la dolce grazia della tua presenza quando ero indegna, e siccome è più grave la recidiva, così posso affermare d'essere affatto immeritevole di gustare la soave gioia della tua salutare vicinanza, che dura a tutt'oggi. Per il che sia reso a Te lode, e quel ringrazia mento che, procedendo dolcemente dall'amore increato, rifluisce in Te, senza che nessuna creatura possa esaurirne i tesori.
Per poter custodire dono sì sublime ti offro l'eccellentissima supplica che l'angoscia estrema della tua agonia, (confermata dal sudore del sangue), ha reso così intensa, che la semplicità e l'innocenza della tua vita hanno fatta così fervente, che l'amore infine della tua divinità ha reso sì efficace. La virtù di quella perfettissima preghiera, rendendo completa la mia unione con Te, mi attragga nell'intimità del tuo divin Cuore. Se per necessità dovrò occuparmi di opere esteriori, possa io soltanto prestarmi per il loro compimento ma rimanere interiormente indivisa da Te, così che, quando le avrò adempite con cura, possa ritornare tosto a godere di Te, nel più intimo dell'essere, come l'acqua precipita impetuosamente verso l'abisso quando si toglie l'ostacolo che le impediva il libero corso.
Possa io d'ora innanzi essere sempre presente a Te, come Tu lo sei a me, affinché mi sia dato raggiungere quel grado di perfezione al quale la tua giustizia può permettere alla tua misericordia d'innalzare un'anima, gravata dal peso della carne e che sempre resistette all'infinito tuo amore. Possa io infine esalare il mio ultimo respiro fra i tuoi intimi amplessi, e nel gaudio del tuo onnipotente bacio! Mi sia dato così volare, senza indugio, là ove Tu dimori fuori dello spazio, in quell'eternità sempre nuova, ove Tu vivi, splendente di gloria, col Padre e con lo Spirito Santo, nei secoli immortali!

CAPITOLO IV
IMPRESSIONE DELLE SACRATISSIME PIAGHE DEL CRISTO
Il primo, o forse il secondo anno, che segui la mia conversione, durante l'inverno trovai in un libro la seguente preghiera: « Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, dammi di aspirare al possesso di Te: accendimine in cuore il desiderio e la sete ardente; dammi di respirare in Te, dolcissimo, soavissimo Gesù e di dirigere verso di Te, felicità suprema, tutti i palpiti e gli aneliti del mio cuore. Scolpisci, misericordioso Signore, scolpisci col tuo Sangue nel mio cuore le tue Piaghe, affinché possa leggervi i tuoi dolori e il tuo amore; fa che la memoria delle tue ferite mi sia del continuo presente nel segreto del cuore per eccitarmi alla compassione de' tuoi dolori e attivare in me il fuoco del tuo amore. Fa altresì che ogni creatura mi torni a vile, e che Tu solo sii dolce al mio cuore».
Questa preghiera mi piacque e la recitai frequentemente. Tu, che non disprezzi i desideri degli umili, mi assistevi disposto ad esaudirla. Poco tempo dopo, nel medesimo inverno, dopo i Vespri, me ne stavo seduta in refettorio, vicino a una consorella alla quale avevo confidato qualche cosa dei segreti dell'anima mia. Dirò, tra parentesi, per l'istruzione di chi leggerà questo scritto, che tali confidenze accrebbero spesso assai il mio fervore, senza però che potessi capire, o mio Dio, se ero spinta a rivelare le mie intimità dal tuo Santo Spirito, ovvero semplicemente dall'affezione che avevo per quella consorella. Ho però sentito dire da persone esperimentate in tale materia, che è sempre utile rivelarle, non però a tutti indistintamente, ma solo a quelle persone di cui conosciamo la fedele affezione e che, per età, siano a noi maggiori.
Giacché ignoro, come dissi, il motivo che mi faceva agire, rimetto tutto a Te che sei il mio fedelissimo Provvedatore, per il cui « Spirito, più dolce del miele, tutta la virtù de' cieli si regge » (allusione al versetto 6 del salmo XXXII). Se mai poi mi fossi lasciata guidare da un'affezione umana, è ben giusto, o mio Dio, che m'immerga in un abisso di gratitudine, poiché ti sei degnato unire la polvere del mio nulla all'oro della tua infinita grandezza, incastonando nel povero cuor mio le perle delle tue grazie.
In quel momento dunque, mentre stavo meditando la preghiera che scrissi più sopra, compresi che, nonostante la mia indegnità, Nostro Signore mi esaudiva, compiendo in me quella divina operazione che rispondeva a' miei ferventi desideri. Sentii cioè in ispirito, o mio Dio, che Tu m'imprimevi in cuore le stigmate adorabili delle tue Ss. Piaghe. Con tali ferite Tu hai guarito l'anima mia e mi hai dato da bere la coppa inebriante del nettare squisito del puro amore.
Ma la mia indegnità non poté esaurire l'abisso della tua tenerezza! Ebbi ancora, dalla sovrabbondante tua generosità altro magnifico dono: che tutti i giorni, anzi ogni volta che avessi recitato cinque versetti del salmo « Benedic anima mea » (Ps. C II), visitando spiritualmente le stigmate impresse nel mio cuore, avrei ricevuto qualche grazia speciale. Conobbi da Te che, al primo versetto, Benedic anima mea, potevo deporre nelle ferite dei tuoi piedi ogni ruggine di peccato, e ogni spregevole compiacenza mondana. Al secondo versetto, Benedic et noli oblivisci, mi fu dato di lavare in quella sorgente amorosa dalla quale provenne Sangue e acqua di redenzione, ogni macchia di carnale ed effimero diletto. Al terzo versetto Qui propitiatur, simile a colomba che nidifica nello scoglio, venni a rifugiarmi nella Piaga della mano sinistra, per gustarvi il riposo dell'anima. Al quarto versetto Qui redimit de interitu, avvicinandomi alla tua mano destra, attinsi con fiducia nei tesori ch'essa racchiude, tutto quanto mancava in me alla perfezione delle virtù.
L'anima mia, purificata così da ogni macchia, arricchita di meriti, possa alfine, ora che tali favori mi hanno resa meno indegna, godere, come indica il quinto versetto Qui replet in bonis, della desideratissima, dolcissima tua presenza e dei tuoi casti amplessi!
Ha poi completato la gioia del mio cuore, dandomi la grazia che chiedevo in quella preghiera, cioè di poter leggere nelle tue Sante Piaghe il dolore e l'amor tuo. Ma questo durò, ahimè breve tempo, non già per avermi Tu tolti tali favori, ma, e lo deploro!, per averli perduti io stessa, a causa della mia ingratitudine e negligenza. Tuttavia la tua immensa misericordia e generosa tenerezza, tollerando le mie distrazioni, mi hanno conservata fino ad oggi il prima. e più grande di questi doni, cioè l'impronta delle ferite delle tue sacratissime Piaghe. Per questo favore, o mio Dio, sia reso a Te onore, imperio, lode e giubilo nei secoli eterni!

CAPITOLO V
LA FERITA D'AMORE
Il settimo anno, dopo la mia conversione, all'avvicinarsi dell'Avvento, una persona, cedendo alle mie importunità, rivolgeva tutti i giorni al Crocifisso questa breve preghiera: « O Signore amatissimo, per il tuo Cuore squarciato, ti prego di trapassare il cuore di Geltrude coi dardi del tuo amore, affinché, non potendo contenere più nulla di terreno, sia tutto compenetrato dalla sola virtù della tua divinità ».
Questa preghiera era una specie di sfida al tuo amore. Poco tempo dopo, e precisamente la terza domenica d'Avvento nella quale si canta l'antifona « Gaudete in Domino », mentre mi accostavo all'altare per ricevere la S. Comunione, sentii l'anima presa da un veemente desiderio che mi fece prorompere in queste parole: « Signore, confesso ché per i miei demeriti non sono degna di ricevere la più piccola particella de' tuoi doni, pure oso domandarli ardentemente alla tua bontà: in virtù dei meriti e dei desideri delle suore qui presenti, ti supplico di trafiggere l'anima mia col dardo del tuo amore ». Compresi tosto per l'infusione di una grazia interiore e per un segno esterno apparso sul Crocifisso, che la mia preghiera era esaudita. Ricevuto il S. Sacramento e ritornata al mio posto, mi accorsi che dall'immagine del Crocifisso, dipinta sul luogo santo, partiva come un raggio di sole che all'estremità, aveva la forma d'una freccia. Quel raggio scaturì dal fianco destro del Salvatore, si contrasse, indi si lanciò a guisa di saetta, sostando un istante, quasi per attrarre dolcemente a sè tutto il mio affetto.
Tuttavia le mie brame non erano ancora soddisfatte. Il mercoledì seguente, giorno in cui si commemorava la tua adorabile Incarnazione ed Annunciazione, mi unii alle preghiere comuni, quantunque le recitassi con poco fervore. Ad un tratto ti vidi apparire davanti a me, infliggendo una ferita al mio cuore con queste parole: « Tutte le affezioni tue si concentrino in me, compiacenza, speranza, gioia, dolore, timore si raccolgano e si stabiliscano qui, nell'amor mio! ». Ricordai allora quanto avevo udito altre volte, cioè che le ferite abbisognano di lavacro, d'unzione, di fasciatura. Come potessi fare ciò non me lo insegnasti allora in moda preciso, ma me lo chiaristi più tardi, per mezzo di un'altra persona, la quale, ne sono certa, era abituata ad ascoltare il tuo dolce colloquio d'amore con maggior delicatezza e perseveranza di me. Essa infatti mi consigliò di onorare con una costante divozione l'amore del tuo Cuore trafitto sulla Croce, attingendo a quella sorgente di carità, l'acqua della vera divozione che lava qualsiasi offesa; mi disse di prendere, nell'effusione della tenerezza che scorre da un tale amore, l'olio della riconoscenza, quasi unzione contro ogni avversità. Infine m'invitò a cercare, in quell'opera di redenzione che Tu hai compiuto con incomprensibile amore, la fasciatura della giustizia, affinché dirigessi a Te, pensieri, parole ed opere, aderendo in modo indissolubile al tuo amore divino.
O Dio, la forza di quell'amore, la cui pienezza risiede in Colui che, sedendo alla tua destra, si fece « osso delle mie ossa e carne della mia carne» supplisca a quanto io ho mancato, per malizia e viltà. Per Lui, in virtù dello Spirito Santo, con sentimenti di compassione, d'umiltà e di riverenza, ti offro il dolore che provo d'aver oltraggiato la tua divina bontà, peccando in pensieri, parole ed opere, e non servendomi con premura dei doni ricevuti. Se a me, così indegna, tu avessi dato, per tuo ricordo, un solo filo di stoppa, avrei dovuto riceverlo con infinito rispetto.
Tu, o mio Dio, che conosci i più riposti segreti del mio cuore, sai quale ripugnanza io provi a scrivere ed a pubblicare queste cose; per farlo ho dovuto lottare contro le mie tendenze personali e riflettere che, avendo così poco approfittato delle tue grazie, esse non potevano essermi state accordate per me sola, poichè la tua eterna Sapienza non può essere da alcuno frustrata. O dispensatore di tesori del cielo, che mi hai colmata gratuitamente di tanti favori, fa che leggendo questo scritto, il cuore di almeno uno fra i tuoi amici, si commuova per la tua accondiscendenza e ti ringrazi d'aver conservato sì a lungo nella sentina fangosa del mio cuore, gemme di tale valore. Egli lodi, esalti, supplichi la tua misericordia, dicendo col cuore, o con la bocca: « Te Deum Patrem ingenitum etc. O Padre, non generato, ecc. Te jure laudant etc. Ti si lodi con giustizia ecc. Tibi decus et imperium etc. A Te l'onore e l'imperio, ecc. Benedictio et claritas etc. Benedizione e gloria, ecc. ». Soltanto così posso offrire un supplemento alla mia insufficienza.
Qui Geltrude sospese di scrivere fino al mese di ottobre.

CAPITOLO VI
VISITA SUBLIME DEL SIGNORE NELLA FESTA DEL S. NATALE
O potenza ammirabile d'una altezza inaccessibile! O profondo abisso di sapienza inscrutabile ! O ampiezza immensa di carità desiderabile ! Con quale abbondanza l'onda della tua Divinità, più dolce del miele, si è innalzata per traboccare poi su di me, miserabile verme strisciante sulla sabbia di tanti difetti e negligenze! Mi sia dunque lecito, durante il terreno pellegrinaggio, compiere i miei desideri, cioè rappresentare, per quanto possibile, le beatificanti delizie e le dolci soavità per cui « chi aderisce a Dio diventa un solo spirito con lui » (I Cor. VI, 17). Voglio qui esprimere, come potrò, qualcosa di quelle gioie divine che io, atomo di polvere, ho potuto gustare.
Era l'anniversario di quella felice e santa notte nella quale il cielo distillò sulla terra la rugiada della divinità. L'anima mia, simile « a un vello esposto sull'aia della carità ed umettato dalla celeste rugiada », volle meditare quel mistero. Con l'esercizio della divozione essa desiderava porgere i suoi servigi a quel divino evento per cui, come raggio dalla stella, così la Vergine ci diede il Figlio Suo, vero Dio e vero uomo. Ad un tratto compresi che un tenero Bambinello appena nato era stato deposto nel mio cuore. Nel medesimo istante vidi l'anima mia interamente trasformata, prendere il colore di quel divino Infante, se pur mi è permesso di definire col nome di colore, ciò che non può essere paragonato a nulla di visibile. Ricevetti, in pari tempo l'intelligenza di quelle ineffabili parole « Erit Deus omnia in omnibus. Dia sarà tutto in tutti» (I Cor. XV, 28) e con insaziabile ardore accolsi il delizioso nettare di quest'espressione dettami da Gesù: Come io sono nella mia divinità « la figura della sostanza di Dio Padre » (Eb. I, 3) così tu sarai l'immagine vivente della mia Umanità e, siccome il sole comunica all'aria la propria chiarezza, così io divinizzerò la tua anima, penetrandola coi raggi della mia Divinità. Investita da questa luce unitiva tu sarai resa atta a una più familiare unione con me ».
O nobilissimo balsamo della Divinità che vigoreggi nell'eternità, ma che, in questi tempi ti diffondi mirabilmente sulle anime! O potenza veramente invincibile dell'Altissimo! Come mai in un vaso d'argilla, destinato all'ignominia, hai potuto racchiudere il preziosissimo liquore della tua grazia? O conferma dell'eccessiva tenerezza di Dio, che non mi ha abbandonato quando mi aggiravo per sentieri del vizio e che mi ha fatto conoscere, per quanto la mia miseria glielo permise, la dolcezza di quella felicissima unione!

CAPITOLO VII
PIU' INTIMA UNIONE DELL'ANIMA DI GELTRUDE COL SUO DIO
Era la festa della Purificazione ed io giacevo a letto per grave malattia. In sul far dell'alba mi sentii piena di tristezza, lamentandomi di dover privarmi, per quell'infermità, della celeste visita Eucaristica che, in tal giorno, mi aveva spesso consolata. Ed ecco che l'augusta Mediatrice, Madre di Colui che è il vero Mediatore fra Dio e gli uomini, venne con dolci parole a mitigare le mie pene: « Tu non ricordi d'aver sofferto nel corpo dolori così atroci; sappi che il mio Figlio ti riserva un regalo più ricco di tutti gli antecedenti: appunto per prepararti a ricevere degnamente tale dono, l'anima tua è stata fortificata da queste sofferenze corporali ». Sollevata a queste espressioni, ricevetti immediatamente, prima della processione, l'alimènto di vita. Mentre attendevo alla presenza di Dio in me, riconobbi che l'anima mia, quasi molle cera, stava davanti al sacratissimo petto del Signore, come davanti ad un sigillo del quale doveva ricevere l'impronta. Ad un tratto quel divino sigillo fu applicato su di essa e l'anima mia venne introdotta in quel misterioso sacrario ove abita, in forma corporale, la pienezza della divinità, per essere insignita col carattere della fulgida e sempre tranquilla Trinità.
O mio Dio, carbone divorante « Carbo desolatorius ». Tu in te contieni, mostri e comunichi i tuoi vivi ardori, così come quando, senza nulla perdere del tuo fuoco, ti sei fermato sul terreno umido e sdrucciolevole dell'anima mia, per disseccare la corrente degli umani diletti, onde rammollire la rigidezza della mia volontà, in cui avevo sì a lungo e' tenacemente perseverato! Oh, fuoco consumatore, che bruci i vizi dell'anima solo per istillarvi la dolce unzione della grazia! In Te solo troviamo la forza per riformarci, secondo l'immagine e la somiglianza divina! O fornace ardente, la cui luce rischiara una dolce visione di pace! La tua potente attività muta le scorie in oro finissimo, quando l'anima, stanca e delusa, cerca infine il Bene Supremo che trova solo in Te, o vera Verità!

CAPITOLO VIII
UNIONE SEMPRE PIU' INTIMA DELL'ANIMA DI GELTRUDE CON DIO
La domenica seguente in cui si dice l'Introito « Esto mihi », durante la S. Messa, Tu, o mio Dio, eccitasti e dilatasti i desideri dell'anima mia, perchè aspirasse ai doni più sublimi di cui volevi ricolmarla. Due parole soprattutto mi colpirono, cioè il verso del Responsorio « Benedicens benedicam » ecc. e il versetto del 1° Responsorio « Tibi enim et semini tuo dabo has regiones. Darò questa terra a te e alla tua discendenza ».
Posando allora la mano sul tuo sacro petto, mi hai mostrato ove si trovano le regioni promesse dalla tua infinita liberalità, O terra felicissima, che colmi di beatitudine coloro che ti abitano! O campo di delizie, di cui il più minuto granello può soddisfare abbondantemente il desiderio di tutti gli eletti, e procurare al cuore umano quanto può allettarlo e giocondarlo!
Ora, mentre consideravo queste cose, se non come dovevo, almeno come potevo, ecco apparirmi « la bontà e l'Umanità di Dio Signor nostro, e questo, non a titolo di giustizia, bensì per l'ineffabile sua misericordia che mi giustificava con una rigenerazione adottiva » (Tit. III, 4) preparandomi ad un'unione più intima col mio Dio, unione meravigliosa e formidabile, degna di celeste ammirazione!
In virtù di quali meriti da parte mia e per qual misterioso tuo giudizio, ottenni dono sì inestimabile? Certo l'amore che dimentica la dignità del Sangue, e che si mostra ricco in accondiscendenza; l'amore, dico che si precipita senza riflettere, né ragionare, ti ha, se oso così parlare, inebriato sino alla follia, o dolcissimo Signore, affinché tu potessi unire termini così dissimili. Oppure, per usare un linguaggio meno indegno della tua Maestà, quella, soave bontà che ti è innata e che fa parte della tua essenza, è stata scossa e tocca nell'intimo dalle dolcezze della tua carità che operò la salvezza dell'umano genere, in virtù della quale, non solo Tu ami, ma sei lo stesso Amore.
E' dunque questa carità che ti persuase di ritrarre dalla sua estrema indigenza una miserabile creatura, spregevole per vita e per costumi, affine di esaltarla, elevandola alla partecipazione della tua regale, divina grandezza? Certo che Tu volevi, con questo atto, aumentare la confidenza di tutti i membri della Chiesa, ed è appunto quello che io sospiro, cioè che nessun cristiano m'imiti nel cattivo uso che ho fatto de' tuoi doni e nel recare scandalo al prossimo.
Siccome poi le cose invisibili ci sono, in qualche modo, rese manifeste dalle visibili, come dissi più sopra, così compresi che quella parte del sacratissimo petto del Signore che, nel giorno della Purificazione, aveva ricevuto l'anima mia sotto forma di cera dolcemente rammollita al fuoco, lasciava sfuggire delle gocce di sudore, come se la sostanza di quella cera si fosse interamente liquefatta, per l'eccessivo calore che ferveva dentro quel divino sacrario. Quel Cuore poi assorbiva tali gocce di sudore, con virtù ineffabile ed incomprensibile, mostrando evidentemente che l'amore, di sua natura diffusivo, aveva racchiuso la sua forza vittoriosa in quelle divine profondità.
O eterno solstizio, dimora sicura, domicilio di delizie, paradiso di eterne gioie, sorgente di voluttà inesprimibili, Tu attiri, coi fiori variopinti di un'amena primavera, Tu diletti con note soavissime, o meglio, col dolce concerto di un'armonia tutta spirituale, Tu ristori col soffio profumato di aromi vitali, Tu inebri con l'estasiante dolcezza di mistici sapori, Tu trasformi con le carezze meravigliose de' tuoi santi amplessi! O, cento volte felice, cento volte beato, anzi, se posso dirlo, mille volte santo, colui che, sotto la guida della grazia, merita d'avvicinarsi a quel luogo benedetto con cuor puro, mani innocenti e labbra immacolate! Come potrò dire quello che colà vede, che ascolta, che respira, che gusta e che sente? Come può la mia lingua impacciata sforzarsi di balbettarne qualche accento? Per bontà di Dio fui ammessa; a godere di questi favori, ma avviluppata dalla scorza de' miei difetti e delle mie negligenze, non potevo percepirli che imperfettamente, perchè la scienza riunite degli Angeli e degli uomini non sarebbe sufficiente a dire neppure una parola atta ad esprimere, anche in minima parte, la sopraeminente grandezza di un'unione così sublime.

CAPITOLO IX
INSEPARABILE UNIONE DELLA SUA ANIMA CON DIO
Poco tempo dopo, cioè verso metà Quaresima, fui ancora obbligata a letto per una grave malattia. Quel mattino ero sola, essendo le mie consorelle impegnate nei loro uffici; ad un tratto il Signore, che non abbandona coloro che sono privi delle umane consolazioni, si degnò d'apparirmi, confermando la parola del Profeta: « Cum ipso sum in tribulatione: Sono con lui nella tribolazione» (PS XC, 15). Egli mi mostrava dal lato sinistro, quasi dall'intimo del suo Cuore benedetto, una sorgente d'acqua pura, solida come il cristallo. Scorrendo al di fuori copriva quel venerabile petto, quasi collana preziosa, offrendo allo sguardo i riflessi brillanti dell'oro e la magnificenza della porpora.
Mi disse Gesù: « La malattia che ti fa soffrire ha santificato l'anima tua in tal modo che, se per amore e carità verso il prossimo, sembrerai allontanarti da me con atti, pensieri, parole, in realtà mi sarai sempre vicino, come questa sorgente è una cosa sola col mio Cuore. E come hai visto l'oro e la porpora brillare attraverso il cristallo, nello stesso modo la cooperazione della mia Divinità, figurata nell'oro e la pazienza perfetta della miei Umanità, rappresentata dalla porpora, renderanno tutte le tue azioni gradite a' miei occhi ».
O dignità di questo minutissimo granello di polvere che, tolto dal fango della via, fu dalla divina Gemma che racchiude i tesori del cielo, innalzato fina a porlo sopra di sé! O bellezza di questo piccolo umile fiore, che il raggio del sole ha fatto sbocciare da una terra paludosa, investendolo del suo aureo splendore! O felicità di quest'anima, colmata di benedizioni, che Dio ha tanto stimata, fina ad abbassarsi a crearla, Lui l'infinito onnipotente! Di quest'anima, dico, che, quantunque adorna della divina somiglianza, pure è distante da Dio, come lo è la creatura dal Creatore!
Sia essa mille volte benedetta se ha saputo rimaner fedele a quell'unione a cui io, misera, temo di non essere giunta neppure per un solo momento! Prego perciò la divina clemenza di concedermi qualche grazia preziosa, per i meriti di coloro che si conservano a lungo in tale beatissimo stato di celeste intimità!
O dono che superi ogni altro dono! Potersi saziare con abbondanza di delizie divine! Inebriarsi col vino della carità nelle celle del puro amore, in modo da non essere più capaci di muovere passo verso le regioni infeconde, ove quel prezioso liquore scemerebbe l'efficacia del suo vigore e del suo profumo ! Portarlo poi con sè, quando la carità obbliga a uscire dalla mistica cella dell'amore, per comunicare al prossimo le stille corroboranti della divina munificenza!
Credo, o mio Dio, che la tua onnipotenza possa accordare questo dono a' tuoi eletti, né dubito che la tua tenerezza voglia concederlo anche a me. Ma all'impenetrabile tua Sapienza, sarà dato dimenticare fino a questo punto la mia indegnità? questo un mistero che non oso penetrare... Glorifico ed esalto la sapienza e la bontà della tua Onnipotenza: Lodo ed adoro la onnipotenza e la bontà della tua sapienza. Ringrazio l'onnipotenza e la sapienza della tua Bontà e ti benedico, o mio Dio, perchè ho sempre ricevuto dalla tua generosità tutte le grazie che potevano essermi accordate, ed in misura che superava infinitamente i miei poveri meriti.

CAPITOLO X
ISPIRAZIONE DIVINA PER REDIGERE QUESTO SCRITTO
Mi pareva così fuori di proposito pubblicare questo scritto, che non sapevo rassegnarmi ad ubbidire alla voce della coscienza. Differii dunque fino all'Esaltazione della S. Croce e, proprio in quel giorno, durante la S. Messa, proposi a me stessa d'applicarmi ad un altro lavoro, quando Nostro Signore trionfò delle mie resistenze: « Sta sicura, mi disse, che non uscirai dalla prigione del corpo, prima d'avermi pagato questo debito fino all'ultima sillaba».
Siccome poi andavo ruminando che già avevo fatto fruttificare i doni di Dio a vantaggio del prossimo, se non con lo scritto, almeno con le parole, il Signore m'oppose quanto avevo sentito leggere in quella stessa notte, dopo Mattutino: « Se il Salvatore avesse voluto rivelare la sua dottrina soltanto a' suoi contemporanei, avrebbe pronunciato discorsi senza ispirare scrittori sacri: ma i suoi insegnamenti furono scritti, affinché possano servire a beneficio di un più grande numero di persone ». Aggiunse Gesù: « Non accetto nessuna obbiezione: voglio che i tuoi scritti siano per gli ultimi tempi, nei quali diffonderò le mie grazie su numerosissime anime, una conferma evidente della mia divina tenerezza ».
Dopo aver ascoltato queste parole, rimasi oppressa, pensando che mi sarebbe difficile, per non dire impossibile, tradurre esattamente in linguaggio umano le cose suesposte, e presentarle al pubblico senza pericolo di scandalo.
Il Signore, per vincere la mia pusillanimità, parve far cadere su di me una pioggia torrenziale, ne fui scossa e, povera creatura qual sono, m'inchinai verso terra, come una pianticella tenera e fragile, incapace di assorbire quell'acqua. Afferrai nel frattempo, il suono di alcune parole importanti, che però il mio intelletto non riusciva a comprendere. Più preoccupata che mai, andavo chiedendo a me stessa quello che ciò volesse dire, quando Tu, o mio Gesù, con l'abituale tenerezza, volesti alleggerire il mio cruccio e riconfortarmi l'animo, dicendomi: « Poiché quest'abbondante pioggia ti riesce inutile, ti applicherò al mio divin Cuore per versare in te, a poco a poco, quello di cui abbisogni. Agirò con dolcezza e soavità, secondo la misura delle tue forze ».
In realtà, o mio Dio, dopo d'aver constatato gli effetti della tua promessa, posso dichiarare che l'hai adempita perfettamente. Infatti ogni mattina all'ora più adatta, Tu m'ispiravi qualcuna di queste pagine. Agivi con tale dolcezza e precisione che, senza nessun sforzo da parte mia, scrivevo cose che fino allora non avevo mai ricordato, e che si presentavano con tale nitidezza al mio pensiero come se da lungo tempo le avessi fisse nella memoria.
Però meco agivi con grande discrezione; infatti, dopo aver scritto un certo numero di pagine, mi era impossibile, anche applicando tutte le forze della mente, tracciare una sola di quelle parole che, al mattino seguente, a me si presentavano con tanta abbondanza e senza la minima difficoltà. Con questo metodo Tu moderavi e dirigevi la mia foga naturale, insegnandomi che « non bisogna abbandonarsi all'azione al punto di trascurare la contemplazione ». In ogni occasione ti mostravi geloso della salvezza della mia anima e, pur permettendomi di gustare talvolta i giocondi amplessi di Rachele, non mi privasti mai della gloriosa fecondità di Lia.
Possa lo giungere, o mio Dio, a piacerti perfettamente, unendo, per farti contento, le due forme di vita attiva e contemplativa.

CAPITOLO XI
AUDACE TENTAZIONE DEL NEMICO
Quante volte, o mio Dio, in quei tempi, hai moltiplicati gli effetti della tua salutare presenza! Con quali dolci benedizioni hai prevenuto la mia miseria, soprattutto nei primi tre anni dopo la mia conversione e specialmente quando ricevevo il tuo Corpo e il Sangue preziosissimo! Non potendo ricambiarti, neppure nella misura dell'uno per mille, m'affido a quell'eterna, immutabile gratitudine per la quale da Te, per Te e in Te, o fulgida e sempre tranquilla Trinità, soddisfi pienamente ogni nostro debito.
Quale minutissimo granello di polvere m'immergo in quella divina gratitudine e ti offro, per mezzo di Colui che siede alla tua destra, rivestito della mia sostanza, i ringraziamenti di cui sono capace; te li offro in virtù dello Spirito Santo, per tutti i benefici di cui mi hai ricolma e soprattutto per quel luminoso insegnamento col quale hai dissipato la mia ignoranza, mostrandomi in qual modo io sciupavo la bellezza de' tuoi doni.
Una mattina dunque, mentre assistevo alla S. Messa, durante la quale dovevo comunicarmi, ti sei degnato farti sentire a me presente e, servendoti di un paragone sensibile, ti mostrasti quale assetato bisognosa di bevanda. E siccome mi lamentavo di non averne, non potendo trarre dal mio cuore neppure una lagrima, ti vidi porgermi, con le tue stesse Mani, un calice d'oro. Avendolo io preso, subito il cuore si stemperò sotto lo sforzo dell'amore ed i miei occhi versarono un torrente di lagrime ardenti.
In quel mentre comparve alla mia sinistra un'orrida figura che tentava di pormi furtivamente in mano, un non so che di velenoso e d'amaro, insistendo segretamente perchè lo ponessi nel calice, per avvelenare quella deliziosa bevanda. In pari tempo provai un tal moto di vanagloria che mi fece capire la frode dell'antico avversario, invidioso de' tuoi doni e sempre pronto ad osteggiarli.
Ringrazio, o mio Dio, la tua fedeltà, ringrazio la tua protezione, o Divinità sussistente nella Verità e nell'Unità, Verità adorabile nell'Unità e nella Trinità, Deità incomprensibile nella Trinità e nell'Unità, perché non permetti che siamo tentati al di sopra delle nostre forze, quantunque, per esercitarci e farci progredire, permetti al nemico di attaccarci con violenza. Se ci vedi appoggiati fiduciosamente al tuo aiuto, Tu prendi su di Te la nostra causa e, con eccesso di generosità, ti riservi il combattimento, concedendo a noi la vittoria, purché aderiamo al tuo beneplacito, col movimento interiore della volontà. Così, come non permetti al nemico di toccare minimamente il nostro libero arbitrio, ce ne lasci tu stesso la pienezza dell'uso, per accrescere i nostri meriti.
In altra occasione e con diverso paragone mi hai fatto capire che, chi cede facilmente alle suggestioni del nemico, gli dàì modo di crescere in audacia. La maestà della tua giustizia esige poi talora che la tua misericordia si celi a noi, durante il pericolo che corriamo per la nostra negligenza; quanto però più tenacemente resistiamo, altrettanto più utile, fruttuosa e vantaggiosa è la nostra vittoria.

CAPITOLO XII
PAZIENZA DI DIO NEL SOPPORTARE I NOSTRI DIFETTI
Ti ringrazio ancora, o mio Dio, di un'altra visione, che mi riuscì gradita ed utile. Tu mi hai fatto conoscere con quale pazienza sopporti i nostri difetti per condurci all'emenda e renderci poi beati con Te in cielo. Una sera avevo provato un vivace senso di malcontento e il giorno dopo, all'alba, sospiravo il momento di mettermi in preghiera, quando, mio Gesù, Ti vidi sotto le sembianze d'un pellegrino sfinito ed abbandonato da tutti. La coscienza. mi rimproverò il fallo commesso ed io mi rammaricai d'aver turbato, con l'impetuosità del carattere, l'Autore della pace e della mondezza interiore. Mi sembrava perfino di preferire che Tu fossi stato assente dall'anima mia in quel momento, (ma solo allora), nel quale avevo osato trascurare la lotta contro il nemico, che mi trascinava a sentimenti così opposti alla tua santità. Ecco l'adorabile risposta di Gesù: « Se un povero malato, che si è con fatica trascinato al dolce raggio del sole, fosse, ad un tratto, sorpreso dal temporale, non proverebbe forse conforto, sperando che presto il tempo ritornerà sereno? Ebbene, anch'io, vinto dall'amore, ho stabilito in te la mia dimora e, nell'imperversare della bufera sollevata dalle tue passioni, mi consolo, aspettando l'attimo benedetto di quel pentimento che ricondurrà la calma nel tuo cuore, e che ti guiderà verso le regioni feconda dell'umiltà ». Non sapendo, per l'impotenza dell'umano linguaggio, ripetere le grazie segnalatissime che mi hai accordate col dono eminente della tua continua presenza, gradisci, te ne supplico, o mio Dio, i sentimenti del mio cuore riconoscente e fa che, dal profondo abisso dell'umiltà, canti le meraviglie della tua bontà tenera e stupenda.

CAPITOLO XIII
VIGILANZA SUI PROPRI SENTIMENTI
Per l'onore della tua gloria confesso, o Dio di bontà, che hai usato un altro mezzo per scuotermi dalla mia inerzia. Benché tu ti sia servito all'inizio dell'intermediario di una persona, in seguito hai completato da solo la tua opera d'amore, con grande misericordia e delicata accondiscendenza. La suddetta persona dunque mi fece notare che, come narra il Vangelo, fosti dopo la tua nascita dapprima corteggiato dai pastori, e mi aggiunse, da parte tua, che, se volevo davvero trovarti, dovevo vegliare sui miei sensi, come i pastori sui loro greggi. Tale consiglio mi spiacque assai, conscia com'ero che, avendomi inebriata del tuo amore, non era opportuno, nè conveniente che ti servissi come un pastore mercenario che serve il suo padrone. Ruminando a lungo questo pensiero che mi era penosissimo, mi raccolsi, dopo Compieta, nei luogo della preghiera, e là ti sei degnato dissipare il mio turbamento e la mia tristezza. Con paragone geniale tu mi facesti capire che, se la sposa può talora gettare grano ai falconi dello sposo, senza però essere privata dei suoi amplessi, così neppure io, vigilando sui miei sensi e sugli affetti del cuore, sarei defraudata delle tue divine dolcezze. Sotto la forma poi di una verga verdeggiante, mi hai dato lo spirito di santo timore, affinché, rimanendo sempre con Te nella gioia de' tuoi casti amplessi, non dessi mai passo nelle deserte contrade ove le affezioni umane sogliono errare.
Ed aggiungesti che, qualora s'insinuasse nel mio spirito qualche influenza meno retta per forzare i miei affetti a piegare verso destra con sentimenti di gioia, o di speranza, oppure verso sinistra con timore, dolore, o collera, tosto con la verga del timore, facessi rientrare nell'ordine tale affezione, mediante la custodia dei sensi e l'immolassi generosamente, offrendola in cibo a Te, quale tenero agnello appena nato.
Ohimè! Quante volte, trascinata dalla malizia, dalla leggerezza, dalla fierezza, dalla vivacità: del mio carattere, ho ripreso quanto ti avevo offerto, anzi mi pareva quasi di strappartelo di bocca, per darlo al tuo nemico! Tuttavia, dopo, Tu mi guardavi ancora con tanta dolcezza e bontà come se Tu non avessi neppur notato la mia colpa, prendendola quasi come una prova di tenerezza. La mia anima è stata spesso e dolcemente commossa alla vista di sì delicato, misericordioso amore, cosicché né le minacce, né i castighi mi avrebbero condotta per una via tanto sicura al timore del peccato e all'emenda de' miei difetti.

CAPITOLO XIV
UTILITA' DELLA COMPASSIONE
La domenica prima di Quaresima, cantandosi alla Messa queste parole « Esto mihi in Deum protectorem» « Siatemi un Dio protettore » mi facesti capire come Tu, ingiuriato e perseguitato dai cattivi, ti servivi dell'espressione di quell'introito per domandare asilo al mio cuore. E nei tre giorni seguenti, ogni volta che discendevo nell'intimo dell'anima, ti miravo come un povero malato riposare dolcemente sul mio petto. Per somministrarti più ampio ristoro, mi parve opportuno dedicarmi, per tuo amore, in quei tre giorni, alla preghiera, al silenzio e alla mortificazione, per ottenere la conversione delle anime, trascinate nel vortice dei mondani piaceri.

CAPITOLO XV
RICONOSCENZA PER LA DIVINA GRAZIA
La tua grazia si degnò illuminare il mio intelletto e rivelarmi più volte che l'anima prigioniera nell'involucro del corpo, si trova come immersa in una nube, a guisa di una persona che, chiusa in una camera satura di vapore, ne resta interamente avvolta. All'opposto, quando il corpo è afflitto da qualche patimento, l'anima riceve dal membro sofferente, come un'atmosfera compenetrata di luce solare, che le comunica ammirabile splendore. Più il dolore è intenso, più l'anima è investita di fulgori purificanti.
Ma fra tutte le sofferenze principalmente i dolori e le prove intime dello spirito, sopportate con umile pazienza, aumentano tanto maggiormente il candore dell'anima, in quanto la toccano più da vicino e più sul vivo. Soprattutto poi l'anima sfavilla quando si praticano le opere di carità. Grazie a Te, o amante degli uomini, d'avermi guidata a praticare la pazienza per mezzo di queste divine lezioni! Ma ohimè! Quanto poco e di rado ho corrisposto alle tue amorose richieste e come fui spesso inferiore alla tua attesa! Tu conosci, o mio Dio, il dolore, la confusione, l'abbattimento del mio spirito e con quale ardere io desideri che altre anime ti compensino della mia cattiva corrispondenza.
Un'altra volta, mentre assistevo alla S. Messa per comunicarmi, avendomi Tu, più del solito, concessa la magnificenza delle tue delizie, cercavo il modo di ricambiare tanta degnazione. Allora Tu, Maestro sapientissimo, mi ricordasti le parole dell'Apostolo « Optabam ego ipse anathema esse pro fratribus meis » (Rom, IX, 3) « Desidererei essere anatema per i miei fratelli ». E mentre avevo fino allora saputo, dietro tuo insegnamento, che sede dell'anima è il cuore, Tu mi mostrasti allora che è anche il cervello, nozione che conobbi per testimonio della S. Scrittura.
La tua bontà mi ha poi svelato essere un gran merito sacrificare la dolce fruizione del cuore, per applicarsi al retto governo dei sensi, o per attendere alla pratica della carità, in vantaggio del prossimo.

CAPITOLO XVI
ALTRE MANIFESTAZIONI NELLA FESTA DELLA NATIVITA' E DELLA PURIFICAZIONE
Nel giorno della Tua sacratissima Natività ti ricevetti come un tenero Bambinello avvolto in poveri panni, e ti strinsi amorosamente al cuore. Indi formai, con le amarezze e le privazioni della tua infanzia, un mazzolino di mirra che tenni sul mio petto per infondere nel più intimo dei cuore, il dolce liquore spremuto da quel soavissimo grappolo divino. E mentre mi pareva di non poter più ricevere dono superiore a questo, Tu, mio Dio, che aggiungi beneficio a beneficio, ti degnasti di variarmi la qualità dei tuoi stupendi regali.
L'anno seguente, nello stesso giorno di Natale, durante la Messa « Dominus dixit », ti ricevetti sotto le sembianze di un tenero delicato Bambinello dal grembo della tua virginea Genitrice, e ti serrai per qualche istante sul cuore. Credo d'aver ricevuto un tale immenso favore per un atto di carità ad una persona afflitta. Confesso però che non seppi custodire tale tesoro con la dovuta divozione. Fu effetto della tua giustizia, o della mia negligenza? Non saprei rispondere con precisione.
Spero nondimeno che misericordia e giustizia abbiano così disposto, sia per farmi capire più chiaramente la mia indegnità, sia per mettermi in guardia di fronte all'abituale negligenza nell'allontanare i pensieri vani ed inutili. Quale di questi due motivi abbia prevalso, rispondi Tu per me. Sebbene poi raccogliessi tutte le forze per prodigarti carezze d'amore, non riuscii nell'intento se non quando proposi di pregare per i peccatori, per le anime purganti, e per le persone che in quell'ora erano in afflizione. Constatai allora, al raggio della carità, l'effetto della mia supplica e potei rilevarne l'evidenza, soprattutto una sera quando, invece di suffragare, prima di tutti, i miei genitori, come facevo di solito, con la preghiera « Deus qui nos patrem etc. » proposi di offrire il mio suffragio alle anime a Te più care, con la colletta: « Omnipotens sempiterne Deus qui numquam etc. ». M'accorsi che ciò ti era sommamente gradito.
Compresi in seguito che Tu provavi un dolce gaudio quando, mentre mi sforzavo di cantare le tue lodi con grande impegno, fissavo ad ogni nota la mia attenzione in Te, come fa una persona, che, cantando quello che non sa bene, riguarda, diligentemente il libro. Ma ti confesso, o Padre ricco di bontà, le negligenze commesse in queste ed altre simili circostanze, in cui si trattava della tua gloria, Te lo confesso nell'amarezza della Passione del tuo innocentissimo Figlio, Gesù Cristo, in cui hai posto tutte le tue compiacenze. « Hic est Filius meus dtlectus » (Matt. XVII, 5). Per Lui ti offro il mio desiderio d'emenda, affinché ogni mia negligenza sia pienamente supplita.
Nel giorno sacro della Purificazione, mentre si celebrava la rituale processione in memoria di quella nella quale Tu, nostra salute e redenzione, degnasti di farti portare nel tempio con le solite oblazioni, all'antifona « Cum inducerent », la tua virginea Madre chiese a me che le rendessi il Figlio suo diletto. Ella lo fece con volto severo, quasi che io non ti avessi custodito con cura, Tu che sei la gioia e il decoro della sua immacolata verginità!
Mi ricordai allora che Maria, avendo trovato grazia presso di Te, ci venne data come riconciliatrice dei peccatori, speranza dei disperati ed esclamai: « O Madre di bontà, non ricevesti Tu forse la sorgente delle misericordie nel tuo divin Figlio, affinché Tu ottenessi grazia a quanti ne hanno bisogno, e coprissi con là tua abbondante carità la moltitudine dei nostri peccati? ». A tali parole Maria mi mostrò un volto sereno e placato per farmi capire che, se le mie colpe l'avevano obbligata ad essere severa, tuttavia Ella aveva per gli uomini viscere di misericordia, ed un tale amore che la penetrava tutta di materna soavità. Ne avevo una prova evidente, perchè erano bastate quelle povere mie espressioni, perché, scomparsa ogni severità, risplendesse in Lei quella incomparabile dolcezza che le è innata, La Madre tua, con la sua immensa tenerezza, mi sia dunque, presso di Te, Mediatrice accreditata, per ottenermi il perdono di ogni colpa.
Compresi poi in un modo chiarissimo, che Tu non potevi ritenere il torrente delle tue grazie, perchè l'anno seguente, nella medesima festa del Natale, mi arricchisti di un dono analogo a quello testé narrato, mai ancora più prezioso. Tu mi, trattavi come se il grande fervore della mia divozione. l'anno precedente mi avesse meritato questo nuovo favore, mentre, al contrario. avrei dovuto subire un giusto castigo per aver dimenticato la grazia antecedente. Al Vangelo infatti, leggendosi « Peperit Filium suum primogenitura etc. » l'illibatissima tua Madre mi porse, con le sue Mani immacolate, Te, virgineo Pargoletto che facevi ogni sforzo per abbracciarmi. Ohimè! Quanto me ne sentivo indegna! Eppure osai accoglierti, tenero Bambinello, e Tu mi cingesti il collo con le piccole braccia.
Le tue sante labbra esalavano l'alito fragrantissimo del tuo spirito ch'era per me nutrimento di vita. L'anima mia ti benedica, Gesù diletto, e tutto, in me esalti il tuo santo Nome!
Mentre la tua beatissima Madre s'affrettava a involgerti nelle fasce, io mi struggevo dal desiderio di essere avvolta insieme a Te, per non venire separata neppure da tenue tela da Colui, i cui baci ed amplessi sono più deliziosi, del miele. Ti vidi allora ricoperto con la candida veste dell'innocenza, e cinto dall'aurea fascia della carità; compresi che, per essere teco fasciata, bisognava che mi esercitassi maggiormente, onde raggiungere la purezza del cuore e la carità perfetta.
Io ti ringrazio, o Creatore degli astri, che fai rifulgere i cieli, e che graziosamente dipingi i fiori primaverili: « Tu non hai bisogno dei nostri beni » (Sal. XV, 2) eppure per mia istruzione mi chiedesti che, nel giorno della Purificazione, ti vestissi prima che, Bambinello, venissi portato al tempio. Mediante il segreto tesoro delle tue divine ispirazioni, mi hai insegnato il modo di farlo: dovevo fervorosamente esaltare l'innocenza immacolata della tua purissima Umanità con una divozione così accesa e fedele, che se avessi potuto avere io stessa la gloria a Te dovuta, l'avrei volentieri rinunciata, affìnché la tua dolcissima innocenza fosse maggiormente lodata.
Mi parve infatti che, per tale intenzione, Tu la cui potenza « chiama quello che non è, come quello che è » (Rom. IV, 17) venissi rivestito di una candidissima veste infantile. Considerai, in seguito, con lo stesso slancio di divozione, l'abisso della tua umiltà e ti vidi ricoperto di una verde tunica, per significare che, nella fertile valle dell'umiltà, la grazia fiorisce e vigoreggia senza mai inaridirsi. Venerai poi l'ardente tua carità che ti ha spinto a creare tutte le cose, e ti vidi adorno di un manto di porpora per insegnarmi che la carità è veramente quel paludamento regale senza di cui nessuno può entrare nel regno dei cieli. In seguito venerai le stesse virtù nella Madre tua gloriosa, ed Ella mi apparve regalmente adorna di vestimenti simili a' tuoi. Siccome Ella, rosa fiorita senza spina e giglio candido senza macchia, abbonda a dovizia dei fiori di ogni virtù, così ci apre il cuore a grande confidenza, nella speranza che per noi interceda e ci soccorra nella nostra grande miseria.

CAPITOLO XVII
DELLA DIVINA ACCONDISCENDENZA
Un giorno, dopo d'essermi lavata le mani per andare in refettorio, stavo nel porticato del convento e consideravo lo splendore del sole che rifulgeva in tutta la sua magnificenza. Pensai fra me: « Se il Creatore di questo fulgidissimo astro, di cui è scritto: « il sole e la luna ammirano la bellezza - Cujus pulchritudinem sol et luna mirantur » (Pont. Romano), se il Signore, dico, che è un fuoco divoratore, fosse veramente in me, come spesso mi pare che sia, potrebbe il mio cuore rimanere così freddo e farmi agire con tanta asprezza ne' miei rapporti col prossimo? ».
Ma ecco che Tu, la cui parola sempre soave, si fa ancora più dolce quando si tratta di calmare le agitazioni del mio povero cuore, mi rispondesti tosto: « In che cosa rifulgerebbe la mia onnipotenza se non avessi la facoltà di contenermi in modo, dovunque io sia, da non essere sentito, o di non apparire più di quello che conviene al luogo, al tempo, alla persona? Sappi che, fin da principio della creazione del cielo e della terra e in tutta l'opera della redenzione, ho manifestato più la sapienza del mio amore che la maestà della mia potenza: la bontà di tale sapienza brilla di una luce tutta speciale, quando tollera gli imperfetti per attrarli amorosamente nelle vie della perfezione, senza mai violare il loro libero arbitrio ».

CAPITOLO XVIII
LEZIONE PATERNA
Un certo giorno di festa vedevo recarsi alla S. Comunione parecchie consorelle che si erano raccomandate alle mie preghiere. Quanto a me, impedita da malattia, o piuttosto, come ho ragione di temere, respinta dalla divina giustizia per la mia indegnità, ripensavo ai tanti benefici di cui, mio Dio, ti sei degnato colmarmi. Ben presto però incominciai a temere che il gelido soffio della vana compiacenza potesse inaridire le correnti della grazia, e ti supplicai d'illuminarmi con un raggio divino per evitare tale pericolo. Allora la tua paterna bontà si degnò d'istruirmi con questo paragone: «In una famiglia dove si trovano numerosi figliuoli di una vigoria e d'una bellezza perfetta, vi ha talvolta il figlio più giovane deboluccio di membra. Non è egli vero che il padre avrà compassione di costui, e che gli mostrerà più teneramente il suo affetto con carezze e doni, ai quali non hanno parte gli altri fanciulli? ».
E Tu, o mio Gesù, concludesti affermando: « Ricorda che fin quando persevererai a considerarti, con piena convinzione, la più imperfetta di tutte, io non cesserò di riversare sull'anima tua l'onda benefica delle divine tenerezze, il torrente di celesti consolazioni ».
Io ti ringrazio, o amatissimo Dio, vero Amico degli uomini, io ti ringrazio con la reciproca gratitudine che si scambiano le persone della SS. Trinità, per questo salutare insegnamento, ed anche per tutti gli altri che mi hai così spesso prodigato, dissipando la mia ignoranza. Mi unisco all'amarezza della Passione di Gesù e ti offro, o Padre celeste, le sofferenze e le lagrime del Figlio tuo diletto per espiare le negligenze, con le quali estinsi in me il tuo soave spirito. Mi unisco all'efficacissima tua preghiera e ti domando, in virtù dello Spirito Santo, perdono e riparazione per i miei peccati. Degnati accordarmi queste grazie, in nome di quell'immenso amore che ha trattenuto il tuo braccio, quando mirasti il tuo Figlio unico, da Te così deliziosamente amato, messo nel numero degli scellerati.

CAPITOLO XIX
LODE ALLA DIVINA ACCONDISCENDENZA CHE SOPPORTA LE INDEGNITA' DEGLI UOMINI
Io ringrazio, o amatissimo Signore, la tua bontà misericordiosa, e la tua misericordia ricca di bontà, perchè ti sei degnato, con un segno del tuo amore, ritemprare l'anima mia vacillante quando, come di solito, insistevo per essere liberata dalla prigione del corpo, onde volare al tuo amplesso. La mia brama non era quella di fuggire dalle miserie del mondo, ma di liberare la tua bontà dal debito di conferirmi la grazia, debito al quale ti obbligasti in virtù dell'immenso amore della tua Divinità per la povera anima mia. La tua infinita potenza e la tua eterna sapienza non erano certo obbligati a farlo, tanto più che tali favori erano accordati ad una creatura indegna e sconoscente. Desiderando io dunque di morire, mi sembrava che Tu, onore d decoro della gloria celeste, discendessi dal soglio della tua regale Maestà, pieno di dolcezza e di bontà, mentre si diffondevano, per tutta l'ampiezza de' cieli, fiumi di nettare squisito. I Santi, prostrandosi in atto di riconoscenza, si dissetavano con gioia a quei torrenti di liquore celeste e prorompevano in cantici di lode. In quel mentre, raccolsi un detto a me rivolto: « Rifletti quanto soavemente questa lode giunge alle orecchie della mia Maestà e come penetri fino nelle più intime fibre del mio Cuore Sacratissimo, ardente d'amore per gli uomini: d'ora in avanti non desiderare dunque più d'essere liberata. dai legami di quel corpo al quale io prodigo i doni della mia gratuita bontà; ricorda che quanto più è indegno colui verso cui m'inchino, tanto più grande è l'onore che ricevo da ogni creatura ».
Questa consolazione mi fu accordata proprio quando stavo per ricevere la S. Comunione e rivolgevo tutta la mia attenzione al grande mistero. In quel momento Tu ti sei degnato di svelarmi che ogni anima dovrebbe accostarsi alla S. Comunione con un desiderio così puro del tuo amore e della tua gloria, tanto da essere pronta a disprezzare qualsiasi danno nel riceverti, (cosa impossibile), purché rifulgesse di più la tua divina tenerezza che si è degnata di unirsi ad una creatura così miserabile.
E poiché io obbiettavo che colui che si astiene dalla S. Comunione perchè ha coscienza della sua indegnità fa bene, per non mancare di rispetto a sì augusto Sacramento con irriverenza presuntuosa, Tu aggiungesti: «Colui che si comunica con l'intenzione che ti ho detto, cioè per il puro desiderio della mia gloria, non può mai ricevermi indegnamente ». Per queste parole benedette, cadute dalle tuoe labbra, siano rese lode e gloria a Dio, nei secoli dei secoli!

CAPITOLO XX
PRIVILEGI SPECIALI ACCORDATI DA DIO A GELTRUDE
Il mio cuore, l'anima mia, con tutta la sostanza della mia carne, con tutti i sensi e le forze del corpo e dello spirito, insieme alle creature del mondo intero, offrano lodi e ringraziamenti a Te, dolcissimo Dio, fedele amante degli uomini, per la misericordia infinita che mi hai usato. La tua bontà non solo ha chiuso gli occhi, per così dire, sulla insufficiente preparazione da me portata all'eccellentissimo convito del tuo Corpo e Sangue, ma nella tua generosa liberalità. verso la più vile e inutile delle creature, hai voluto aggiungere altra grazia di grande pregio.
Ebbi dunque l'assoluta certezza che se qualsiasi anima, desiderosa di riceverti nella S: Comunione, ma trattenuta da esitazioni di coscienza, a me, ultima fra le tue serve, si rivolgesse, per avere luce e consiglio, quest'anima, dico, sarebbe giudicata degna, in ricompensa della sua umiltà, di ricevere tanto Sacramento e di gustarne il frutto per la sua eterna salvezza; che se poi non fosse degna di accogliere nel suo cuore, non avresti neppure permesso che a me si rivolgesse per consiglio. O eccelso Dominatore che « abiti in alto, ma riguardi le cose basse » (Salmo II) quali erano i disegni della tua misericordia, quando vedevi me, così indegna, nutrirsi frequentemente del tuo Sacratissimo Corpo e meritarmi dalla divina giustizia, un severo giudizio?
Certo Tu volevi che gli altri fossero adorni della virtù dell'umiltà per accostarsi alla mensa angelica, e quantunque Tu non avessi certo bisogno del mio ausilio per questo, tuttavia piacque alla tua infinita bontà di servirsi della mia indigenza, perchè potessi partecipare ai meriti di coloro che, seguendo i miei consigli, verrebbero a gustare il frutto di vita eterna.
Ma siccome purtroppo la mia miseria profondissima aveva bisogno di un rimedio anche più efficace, Tu non ti sei accontentato, o Dio di bontà, d'accordarmi il privilegio suesposto. Mi hai anche assicurato che, se un'anima contrita e umiliata venisse gemendo ad espormi una colpa, sarebbe da Te tale colpa giudicata grave, o leggera, a seconda del mio giudizio. Di più l'abbondanza de' tuoi soccorsi rinforzerebbe quell'anima in modo tale che, da quel punto, più non cadrebbe nel medesimo difetto. Mi hai così offerto un aiuto efficace, facendo ricco delle vittorie altrui il mio povero cuore, sempre così negligente, che non seppe mai vincere un difetto, come avrei dovuto farlo; ti sei perciò servito, o Dio di bontà, del più vile strumento in modo che con le mie parole, i tuoi diletti amici ricevessero grazie di vittorie decisive.
La tua magnifica generosità si degnò arricchire la mia miseria in un terzo modo: Tu decretasti che se io, appoggiandomi alla tua misericordia, promettessi a qualche anima una grazia, od il perdono d'una colpa, Tu confermeresti in cielo la mia parola con pieno esaudimento, proprio come se Tu stesso l'avessi giurato con la tua bocca divina. Tu aggiungesti, che se la grazia tardasse ad avverarsi, dovrei rammentarti tale promessa. Anche questo beneficio collaborava alla salvezza dell'anima mia, secondo il detto evangelico: « Eadem mensura qua mensi fueritis remetietur vobis. Vi si misurerà con la misura da voi usata nel misurare » (Luc. VI, 38), perchè, se purtroppo mi accade di mancare spesso, anche gravemente, Tu troverai in questo privilegio che mi venne accordato, un motivo di giudicarmi con maggiore indulgenza.
Per beneficarmi mi hai concesso un quarto dono, e cioè che chiunque si raccomandasse, con umiltà e divozione alle mie preghiere, sarebbe senz'altro esaudito. Hai voluto così supplire alla trascuratezza con cui adempio a' miei doveri di pietà, sia nelle preghiere prescritte dalla Chiesa, sia In quelle di libera scelta, e hai trovato modo d'applicarmene il frutto, secondo la parola di Davide: « Oratio tua in sinum tuum convertetur - La tua preghiera ritornerà nel tuo seno » (Salmo XXXIV, 13): mi hai così permesso di partecipare ai meriti di coloro che si saranno serviti di me, indegnissima, per chiederti benefici.
Ed ecco un quinto favore affatto speciale; e cioè che tutti coloro che mi confidassero lo stato della loro anirna, non partirebbero da me senza ricevere particolari consolazioni, purchè abbiano buona volontà, intenzione retta ed umile confidenza. Con ciò Tu provvedesti al mio bisogno, perchè spesso, ohimè 1 invece di servirmi per la tua gloria della grazia di un facile eloquio, mi diffondo in parole inutili; in avvenire trarrò almeno qualche profitto dai consigli dati al prossimo.
La tua instancabile liberalità, o Dio infinitamente buono, mi accordò ancora un sesto beneficio, che io reputo maggiore e più necessario degli antecedenti: Tu mi hai dato l'assoluta certezza che l'anima caritatevole che pregherà con fede e divozione per me, che sono la più vile delle creature, ovvero che supplicherà Dio con preci, o con opere buone per Yemen da de' miei difetti, per il perdono delle ignoranze della mia gioventù e la correzione della mia malizia, quest'anima, dico; sarà ricompensata in modo che non uscirà da questo secolo senza aver prima gustato le dolcezze della tua familiarità. Con questa elargizione la tua paterna tenerezza volle soccorrere la mia estrema indigenza, perchè Tu ben sai quanto io abbia bisogno di espiare le mie colpe ed infedeltà. Il tuo amore misericordioso non poteva lasciarmi perire, e d'altronde la perfezione della tua giustizia non poteva salvarmi con tante mancanze; così hai provveduto che, per la partecipazione di molti, crescesse il guadagno dei singoli.
Infine, per un vero eccesso di generosità, Tu, o mio Dio, mi hai dato ancora. questa certezza: che cioè chi, dopo la mia morte, si raccomanderà alle mie indegne preghiere, ricordandomi la divina familiarità di cui mi hai onorata, sarà da Te esaudito purché, in riparazione delle sue negligenze quest'anima ti ringrazi dei cinque benefici particolari di cui mi hai arricchita.
Il primo è quell'amore con cui la tua gratuita bontà mi prescelse ab eterno: il che, a dire il vero, è il più gratuito fra tutti i tuoi doni, poiché Tu avevi previsto la mia condotta perversa, la mia malizia nefanda, e l'eccesso della mia ingratitudine nell'usare de' tuoi favori, tanto che avresti potuto trattarmi come i pagani e privarmi, a buon diritto, dell'onere di essere, se così posso esprimermi, una creatura ragionevole. Ma la tua infinita tenerezza, che supera. di gran lunga la mia miseria, mi ha scelto, fra mille, per insignirmi, del carattere di Religiosa.
Il secondo beneficio è quello di avermi attirata tutta a Te; riconosco che la dolcezza e la bontà del tuo amore hanno saputo con tenere carezze, vincere questo mio cuore ribelle a cui si addicevano catene di ferro. Pareva quasi che Tu, o Gesù, avessi trovato in me una Sposa degna di Te, come se l'unirti a me fosse il tuo più grande diletto.
Il terzo beneficio consiste in quest'unione familiare che Tu hai meco contratta, e che giustamente devo attribuire alla sovrabbondanza della tua liberalità. Come se il numero dei giusti non fosse sufficiente a ricevere le tue divine tenerezze, ti degnasti di chiamare me, ultima nei meriti, perchè la tua meravigliosa accondiscendenza risplendesse maggiormente, investendo l'anima meno preparata.
Il quarto beneficio è che ti sei degnato abitare con gioia, e fare tua delizia nell'anima mia. Non devo forse attribuire tale degnazione alla follia del tuo amore, se così posso esprimermi? Ed in seguito hai confermato di trovare la felicità,
unendo la tua onnipotente Sapienza a un essere così meschino, dissimile e affatto indegno di tale unione.
Il quinto beneficio consiste nel volermi consumare tutta in Te; quantunque ne sia indegnissima, spero, con umiltà e confidenza, che il tuo fedelissimo amore mi accorderà questa grazia. Ne godo fin da questo momento, con tenerezza e gratitudine, protestando che non la devo ai miei meriti, ma solo alla tua gratuita clemenza, o mio Bene Supremo, o mio unico, eterno Amore!
Questi singoli benefici sono frutti di stupenda degnazione, così sproporzionati alla mia bassezza, che in nessun modo posso ringraziartene come meriteresti. Perciò soccorresti anche in questo la mia indigenza, allettando altre anime, con dolci promesse, a ringraziartene per me, affinché i loro meriti suppliscano a quello che mi manca.
Ne siano rese lodi e ringraziamenti a Te, o mio Dio, in cielo, sulla terra e nei luoghi inferiori!
Il tuo onnipotente amore si degnò infine di confermare tutte le suddette promesse, nel modo che ora esporrò. Un giorno, ripensando a' tuoi benefici, paragonavo la mia empietà alla divina tenerezza con cui la tua infinita sovrabbondanza mi colma di gioia; giunsi a tal eccesso di presunzione di lagnarmi che Tu non avessi ratificato quei privilegi col darmi la mano, come fanno gli stipulatori. La tua bontà, sempre accondiscedente, volle esaudirmi. « Per tagliar corto a' tuoi lamenti, avvicinati » mi dicesti « e ricevi la conferma del nostro patto ». E tosto, dal fondo della mia bassezza vidi che Tu mi aprivi, per così dire, con ambo le mani il tuo sacratissimo Cuore, arca di divina fedeltà e d'infallibile verità, ordinandomi di porvi la mano, io, perversa creatura, che, come i Giudei, chiedevo segni e miracoli. Chiudendo allora la mia mano nel tuo Cuore, aggiungesti « Io ti prometto di serbarti sempre intatti i doni che ti ho conferito. Se la sapienza disposizione della mia Provvidenza ti privasse, per qualche tempo, dei loro effetti, mi obbligo in seguito, a renderti il triplo in nome della Onnipotenza, della Sapienza, della Bontà della SS. Trinità, nel seno della quale vivo e regno; vero Dio, nei secoli dei secoli ».
Dopo queste tenere parole, ritraendo io la mano, apparvero in essa sette anelli d'oro, uno per dito e nell'anulare tre, per fedele testimonianza, che i predetti privilegi mi sarebbero confermati secondo le mie brame.
La tua inesauribile tenerezza aggiunse queste parole « Tutte le volte che ripensando alla tua indegnità, ti riconoscerai immeritevole de' miei favori, eppure confiderai nella mia misericordia, mi offrirai un adeguato tributo per i miei doni ».
Oh, quanto la tua paterna tenerezza è industriosa nel provvedere alle tue creature vili e degeneri! Non sono nata nell'innocenza, quindi non potevo offrirti divozione a Te gradita, pure ti sei degnato accettare, come omaggio a Te caro, la conoscenza convinta della mia bassezza, immeritevole de' tuoi doni, Ti prego di concedermi o generoso Dispensatore di ricchezze, Tu da cui ogni bene procede e senza cui nulla può essere reputato buono, la grazia di capire la mia miseria di fronte alle tue grazie, e di confidare incondizionatamente nella tua divina bontà.

CAPITOLO XXI
EFFETTI DELLA VISIONE DIVINA
Mi parrebbe ingiusto e sconveniente passare sotto silenzio, una grazia che, per tua meravigliosa degnazione e amorosa accondiscendenza, ricevetti durante una Quaresima. Nella seconda domenica di tale tempo, mentre alla processione; che precede la S. Messa, si cantava il responsorio « Vidi Dominum fatte ad faciem » l'anima. mia si trovò investita da uno stupendo lampo di luce divina; vidi il tuo stesso sacro Volto vicino al mio, conforme a quanto scrive S. Bernardo « Esso non riceve la luce, ma la dà, non colpisce gli occhi del corpo, ma rallegra il cuore; è amabile, non tanto per lo splendore della tinta, quanto per i doni dell'amore ». In questa visione i tuoi occhi, lucenti come il sole sembravano fissarsi direttamente nei miei. Sentii compenetrata l'anima, il cuore, e tutte le potenze di tale soavità che può essere nota a Te solo. Possa io mostrarmene grata con l'ardente fedeltà di tutta, la vita!
Come la rosa è più apprezzata in primavera per la vaghezza de' suoi colori e la fragranza de' suoi profumi, ma anche d'inverno, benché essiccata, non manca di diffondere soavi olezzi della sua grazia primaverile; così l'anima mia prova gioia ineffabile al ricordo dei benefici ricevuti.
Pertanto. desidero esprimere con un paragone, quello che la mia piccolezza ha gustato in quella deliziosa visione; perchè, se alcuno dei lettori ricevesse grazie consimili, ed anche maggiori, sia eccitato a sentimenti di gratitudine, e io stessa, rievocando ore di paradiso, dissipi la nebbia delle mie negligenze, ed attesti la mia frequente gratitudine a quel divino Sole, specchio di giustizia, che su me dardeggia i suoi fulgidissimi raggi.
Avendo Tu dunque accostato a me il tuo sacratissimo Volto, che diffonde l'abbondanza della beatitudine, sentii che da' tuoi divini occhi irradiava un'incomparabile soave luce. Essa, passando da' miei occhi e penetrando l'intimo del mio essere, sembrava produrre in tutte le membra un effetto oltremodo ammirabile; dapprima, quasi vuotando tutte le midolla delle ossa, poi annientando le ossa stesse con la carne, tanto che sentivo tutta la mia sostanza trasformata in un divino splendore che, cangiandomi in se stesso in modo delizioso, porgeva all'anima mia soavità incomparabile e serena letizia. Che dirò ancora riguardo a questa giocondissima visione? E posso davvero chiamarla visione, perchè mi pare che tutta, l'eloquenza del mondo non sarebbe sufficiente per esprimere questo modo sublime di contemplarti che non avrei mai creduto potesse esistere, neppure nella gloria celeste, se la tua degnazione, o mio Dio, unica salvezza dell'anima mia, non m'avesse indotto ad ammetterlo per mia dolcissima esperienza.
Aggiungo volentieri che, se nelle cose divine capita come nelle cose umane, e che se la dolcezza del tuo celeste bacio supera, come credo, il gaudio di tale visione, è necessario un aiuto speciale per sostenere la creatura terrena, giacché sarebbe impossibile ad un'anima godere tale favore, anche per un solo istante, e rimanere prigioniera del corpo. Non ignoro però che la tua onnipotenza si unisce alla tua sapienza infinita per regolare gradatamente le visioni, i baci, gli amplessi e le altre dimostrazioni d'amore; secondo le circostanze, i luoghi, i tempi e le persone.
O Signore, io ti ringrazio, unendomi a quel reciproco amore che regna nell'adorabile Trinità, per la dolce esperienza che mi hai dato del tuo bacio divino. Talvolta quando ero seduta in coro, pensando a Te nell'intimo dell'anima mia, o quando salmodiavo le ore canoniche, o l'ufficio per i defunti, sentivo sulle labbra l'impressione del tuo bacio d'amore, perfino dieci volte e più, durante un solo salmo, bacio sacratissimo la cui soavità supera i profumi più squisiti ed il miele più dolce. Spesso ho pure notato l'amore dello sguardo che Tu posavi su di me, e l'anima mia ha sentito l'amplesso del tuo divino abbraccio.
Sebbene tutte queste cose siano state colme d'ineffabili delizie, nessuna produsse in me così profonda impressione come la luce di quel tuo sublime sguardo, al quale più sopra ho accennato.
Con riconoscenza per questo e per tutti gli altri tuoi favori che solo Tu conosci, ti offro, o mio Dio, quell'eterno godimento che le Persone divine si comunicano nell'ineffabile soavità, che supera ogni sentimento.

CAPITOLO XXII
RINGRAZIAMENTI PER UN GRANDE FAVORE RIMASTO SEGRETO
Simile ringraziamento e, se è possibile, uno più grande ancora, sia reso a Te, mio Dio, per un certo dono, noto a Te solo, la cui grandezza non so esprimere a parole, ma che neppure oso passare sotto silenzio, affinché, se l'umana fragilità me lo facesse dimenticare, (Dio non lo permetta), possa almeno, leggendo questo scritto, richiamarlo alla memoria, ed eccitarmi a doverosa riconoscenza.
Non permettere, o mio Dio, che la più indegna delle tue creature abbia da giungere a tale segno di follia da dimenticare un solo istante, il prezioso dono di questa visita, che nella tua infinita liberalità mi hai gratuitamente accordata, e della quale fui privilegiata per tanti anni, senza averla giammai meritata.
Benché sia l'ultima delle creature, devo convenire che tale dono supera tutto ciò che anima umana può ottenere quaggiù: prego perciò la tua divina Bontà che, con la stessa degnazione con cui me lo conferisti, me lo conservi a tua lode, e per esso Tu operi in me, feccia dell'umanità, tale meraviglioso effetto, da esserne lodato all'infinito da ogni creatura, perché, quanto più si manifesta la mia miseria, tanto più brilla l'accondiscendenza della tua carità.

CAPITOLO XXIII
RICAPITOLAZIONE DELLE GRAZIE RICEVUTE
Ti benedica l'anima mia, o mio Signore e Creatore! Ti benedica l'anima mia e tutto il mio essere, nelle più intime profondità, esalti le misericordie infinite, con cui mi hai prevenuta, o mio dolcissimo Amante! Ringrazio quanto posso la tua immensa misericordia, lodo e glorifico quella longanime pazienza che sembra averti fatto dimenticare gli anni della mia infanzia e giovinezza. In quel tempo, fino all'età di venticinque anni, sono vissuta in tale accecamento, che se Tu non m'avessi dato orrore istintivo al male, ed attrazione per il bene e non fossi stata coltivata dai saggi consigli di chi mi circondava, mi pare che sarei caduta in ogni sorta di colpa, senza alcun rimorso, proprio come se, essendo una pagana vissuta tra gli infedeli, non avessi mai saputo che Tu, mio Dio, riservi la ricompensa ai buoni ed il castigo ai cattivi: eppure mi avevi prescelta, fin dalla tenera età di cinque anni, per essere a Te consacrata, fra lo stuolo delle tue vergini Spose, nel santuario della Religione.
Sebbene la tua beatitudine non possa nè crescere, nè scemare, non avendo alcun bisogno dei nostri beni (Sal. XV, 2) pure la mia vita, così colpevole e negligente sembra aver cagionato un detrimento alla tua gloria, poiché in ogni istante, o mio Dio, tutto il mio essere e tutte le creature dovrebbero lodarti, tendendo incessantemente a Te!
Tu solo sai il dolore che il mio cuore prova al pensiero d'averti offeso, tanto più dopo che ti sei degnato discendere verso di me per commuovermi fino nell'intimo del mio essere.
Penetrata da questo ricordo ti offro, o Padre amatissimo, in ammenda delle mie colpe, i patimenti del tuo Figlio unico a cominciare da quell'ora in cui, adagiato sul fieno nella mangiatoia, diede il primo vagito, e poi sopportò le privazioni dell'infanzia, i lavori della giovinezza fino a quando, reclinata la testa sulla Croce, esalò con forte grido lo spirito.
Per riparare le mie negligenze ti offro, o Padre amatissimo, la vita tutta intera del tuo divin Figlio, quella vita di cui ogni pensiero, parola ed opera furono d'una perfezione assoluta. Te l'offro dal primo istante in cui, discendendo dal suo trono, il tuo Figlio entrò nel seno della Vergine per abitare nel luogo del nostro esilio, fino a quell'ora nella quale si presentò ai tuoi occhi, nella gloria della sua carne vittoriosa.
Siccome poi è giusto, o Padre amatissimo, che il cuore de' tuoi amici ripari le ingiurie fatte alla tua gloria, ti prego, per mezzo del tua Figlio unico, in virtù dello Spirito Santo, d'applicare i meriti della vita e della Passione del tuo diletto Gesù per il perdono e la soddisfazione delle colpe di quell'anima che si sforzerà, durante la mia vita, o dopo la mia morte, di supplire ai miei mancamenti; ed affinché questo mio desiderio sia esaudito ti prego di custodirlo sempre nel tuo Cuore, anche quando, per tua misericordia, regnerò con Te in cielo.
Per degnamente ringraziarti mi sprofondo nell'abisso dell'umiltà, lodo ed adoro, insieme alla tua sublime misericordia, quella dolcissima benignità per cui, mentre conducevo una vita insensata, Tu, Padre delle misericordie, dirigesti verso di me pensieri di pace e non d'afflizione (Ger. XXIX, 11), e mi colmasti di benefici insigni, come se, più santa di tutti i mortali, avessi condotto in terra la vita degli angeli.
Tu hai cominciato quest'opera d'amore in Avvento; qualche giorno prima dell'Epifania, mentre stavo per compire il XXV anno di età, hai allora commosso il mio cuore in un modo così misterioso e decisivo che, disgustato dalle follie della gioventù, si andò man mano preparando a ricevere la tua visita. Appena entrata nel XXVI anno, e precisamente il lunedì innanzi alla festa della Purificazione, dopo Compieta, verso l'ora del crepuscolo, Tu, luce vera che splendi nelle tenebre, hai voluto porre termine alla notte angosciosa nella quale mi sentivo immersa e dissipare le vanità della mia ignorante giovinezza. In quell'istante infatti l'anima mia sentì la tua presenza in modo così evidente ed ammirabile da farmi gustare ineffabili, delizie, per la soave riconciliazione, con cui hai voluto rivelarti a me e darmi il tuo amore.
Illuminata da chiarezza soprannaturale scorsi le ricchezze celesti che Tu avevi deposte nell'anima mia, compresi i modi delicati ed occulti con cui tu preparavi il mio cuore perché ti servisse di delizioso rifugio, apprezzai le tenerezze con cui mi andavi iniziando ad aver teco quei rapporti familiari che l'amico ha con l'amico, meglio ancora, che lo sposo ha con la sposa.
Per continuare questo commercio d'amore assai spesso, hai visitato l'anima mia in diverse maniere, soprattutto, la vigilia dell'Annunciazione e prima dell'Ascensione allorchè, incominciando fin dal mattino a farmi sentire la dolcezza della tua pace, hai poi verso sera, completato l'opera tua. Fu allora che mi conferisti quel meraviglioso dono, degno d'essere ammirato da tutte le creature; voglio dire la tua continua presenza nel mio cuore! Ogni volta che rientravo nel mio interno io ti trovavo, eccetto una sola volta, per lo spazio di undici giorni.
Siccome le parole mi mancano per esprimere il numero ed il valore dei doni che accompagnarono quello della tua continua presenza, dammi, o generoso Dispensatore di grazia, d'offrirti in ispirito d'umiltà, un sacrificio di giubilo, e specialmente per esserti preparato nel mio cuor un'abitazione così amena che supera in bellezza il tempio di Salomone e in delizie il banchetto d'Assuero, delizie che mi concedesti di godere con Te, alla pari, come regina col suo regale Consorte.
Fra tutte le grazie ne apprezzo! specialmente due: quella d'avermi impresso in cuore i gioielli delle tue Piaghe e d'avermi trapassato con quella ferita d'amore, così profonda ed efficace, che quand'anche dovessi vivere mille anni nel più completo abbandono, sempre a tale ricordo, gusterei gioie inenarrabili.
Aggiungendo grazie a grazie, mi hai pure ammesso ad una tenera familiarità, offrendomi in diversi modi, quel tesoro della Divinità, che è il tuo stesso Cuore deificato, perché ivi gustassi delizie celestiali. Tu me lo desti gratuitamente, anzi lo scambiasti col mio, in segno di affettuosa amicizia.
In quel divin Cuore conobbi i tuoi segreti giudizi: per suo mezzo mi hai accordate prove così numerose e dolci del tuo amore che se non conoscessi la tua ineffabile accondiscendenza, mi meraviglierei che Tu avessi dimostrato un affetto così dolce perfino alla tua degnissima Madre, teco regnante nello splendore dei cieli.
Spesso mi conducesti con finissima delicatezza, alla conoscenza salutare de' miei difetti; mi risparmiasti in ciò ogni confusione, come se Tu preferissi perdere metà del tuo regno, piuttosto di turbare la mia giovanile timidezza; usando un'industria ricca di finezza, mi rivelasti la tua avversione per i difetti delle persone che mi circondavano, affinché, scrutando la mia coscienza, m'accorgessi di essere pur io colpevole delle stesse mancanze. Così la dolce tua luce mi conduceva all'emenda, senza farmi neppur supporre che Tu avevi notati in me difetti capaci di contristarti. Inoltre mi hai fatto intravvedere le grazie innumerevoli preparate per confortare i miei ultimi giorni, e le ineffabili dolcezze che mi aspettavano in Paradiso. Questa vista ha talmente deliziato l'anima mia che, per questo solo beneficio, dovrei stringermi eternamente a Te, con invincibile speranza. Ma il pelago della tua tenerezza infinita non doveva esaurirsi! Quando ti pregavo per i peccatori, o per le mie consorelle, Tu mi esaudivi con tanta larghezza che io, conoscendo l'incredulità del cuore umano, esitavo a raccontare i tuoi benefici perfino alle anime a me più care.
Infine mi hai dato per avvocata la tua dolcissima Madre, raccomandandomi più volte a Lei, con quell'amore con cui uno sposo fedele affida la diletta sposa alla propria Marre. Spesso mi assegnasti, in speciale servizio, i più nobili principi della tua reggia, non solamente Angeli e Arcangeli, ma anche i ministri delle più alte gerarchie. La tua benignità armonizzava le loro particolari attitudini con i miei spirituali bisogni.
Eppure se Tu, per il mio maggior bene, mi sottraevi in parte le tue delizie, io indegnissima ed ingrata, scordavo i tuoi doni come se fossero stati di nessun valore, fino al momento in cui tocca dal pentimento, tornavo a Te, per richiederti il dono perduto, o altro favore consimile. Subito Tu me lo riconsegnavi intatto, come se io stessa l'avessi accuratamente deposto nel tuo Cuore, con l'intenzione di riprenderlo al momento opportuno.
Le più meravigliose delle tue grazie furono quelle che ricevetti il giorno di Natale, la domenica Esto mihi, ed un'altra domenica, dopo Pentecoste. In quei giorni mi hai rapita con tale unione, che considero vero miracolo l'aver potuto io reggere ancora a vivere. Aggiungerò per mia vergogna e confusione, che, dopo benefici così eletti, non mi sforzai di emendarmi delle mie manchevolezze come avrei dovuto.
Ma con tutto ciò non si è inaridito il fonte della tua misericordia, o Gesù amatissimo fra tutti gli amanti, il solo che ami veramente e gratuitamente anche gl'indegni! Infatti quando poco dopo incominciavo a dimenticare questi insigni favori, degni del tripudio del cielo e della terra, per essersi l'infinito Iddio abbassato verso l'ultima delle creature, Tu, Datore, Rinnovatore, Conservatore d'ogni bene, rieccitasti la mia riconoscenza, rivelando le grazie di cui mi avevi colmata a pie persone a Te familiari. Così seppi dalle loro labbra i segreti del mio cuore, quantunque non potessero affatto conoscerli, poiché non ne avevo parlato con nessuno.
Con queste parole, o mio Dio, io ti restituisco quello che è. tuo e, ripetendole per mezzo di quell'argano melodioso che è il tuo divin Cuore in virtù dello Spirito Santo, canto a Te, o Signore, Padre adorabile, lodi e ringraziamenti da parte di tutti gli esseri celesti, terrestri, inferiori e di tutte le cose che furono, sono e saranno.
Siccome poi l'oro brilla meglio e si distingue fra gli altri metalli, e il nero, a suo confronto, appare più oscuro, così svelerò ciò che è mio, cioè opporrò la perfidia della mia vita colpevole, allo splendore dei tuoi benefici. Tu diffondevi doni stupendi sull'anima mia, secondo la tua regale munificenza, e io li ricevevo con la rozzezza del mio naturale, come vile schiava che guasta tutto quanto tocca. Ma la tua amabile mansuetudine non sembrava neppure accorgersene e continuava a colmarmi di benefici. Mentre Tu, che godi in cielo una sì dolce coabitazione col Padre, ti degnavi scendere nella mia povera dimora, io, ospite negligente e volgare, mi davo così poca premura di farti festa, mentre per semplice senso d'umanità naturale avrei dovuto trattare meglio, anche un povero lebbroso che, dopo d'avermi colmata d'ingiurie e d'oltraggi, mi avesse chiesto asilo.
0 Creatore delle stelle, lo ripeto, io ricevetti da Te immensi doni, cioè le gioie dell'anima, l'impronta delle tue Piaghe sacratissime, la rivelazione dei tuoi segreti, le familiari carezze del tuo amore i In ciò provai più godimenti che se avessi percorso la terra da oriente a occidente. Eppure ti ho oltraggiato con nera ingratitudine, disprezzando tali gaudi spirituali, per cercare divertimenti esterni, preferendo le cipolle d'Egitto alla dolcezza della tua manna celestiale. Ho anche soffocato in me lo slancio della speranza, diffidando delle tue promesse, come se Tu fossi uomo mendace e infedele alla sua parola.
Quando t'inchinavi con bontà per esaudire le mie indegne preghiere, io indurivo il cuore a tal puntò, (e lo dico con lagrime), che fingevo di non capire la tua volontà, per non essere costretta dalla voce della coscienza ad eseguirla. Mentre Tu mi avevi assicurato il potente ausilio della tua gloriosa Madre e degli spiriti celesti, io, miserabile! ho cercato appoggio negli amici terreni, invece di contare su Te solo. Era anche giusto che, poiché la tua bontà mi conservava intatti i tuoi doni in mezzo alle mie negligenze, concepissi maggior gratitudine e usassi ogni cautela per correggermi, invece usavo una malizia quasi diabolica a renderti male per bene, e ne prendevo motivo di maggior ardimento per vivere a modo mio.
Dopo un'unione così incredibile con Te, unione che Tu solo conosci, non ho temuto di macchiarmi ancora con i soliti difetti, che pure Tu mi avevi lasciato soltanto perché, lottando generosamente, col tuo aiuto,. vincessi e mi acquistassi maggior gloria in cielo. E neppure sono scevra di, rimorso per avere, a titolo di maggior riconoscenza, svelato i segreti del mio cuore ai tuoi intimi amici perchè, trascurando la retta intenzione, cercai talora una compiacenza affatto umana, invece di tributarti la dovuta gratitudine. E ora, benignissimo Creatore del mio cuore, salga a Te il gemito del più sincero dolore per queste e per altre mancanze che ora non ricordo; accogli il pentimento che ti offro per le troppo numerose infedeltà con le quali ho offeso la tua divina clemenza. Ricevilo con quel compatimento e con quell'infinito amore che ci concedesti d'offrirti per: mezzo del tuo amatissimo Figlio, nello Spirito Santo, da parte di tutte le creature celesti, terrestri e inferiori.
Essendo incapace di fare frutti di penitenza, supplico la tua bontà, o mio dolce amante, d'ispirare alcune anime ferventi affinchè plachino la tua giustizia e ti offrano l'olocausto di propiziazione. Possano i loro sospiri, le loro preghiere, le loro buone opere riparare la mia trascuratezza nel renderti la gloria che ti è dovuta, in riconoscenza di tanti benefici. Tu, che scruti il fondo del mio cuore, non ignori che soltanto il puro amore della tua lode mi ha indotto a scrivere queste pagine. Possano coloro che le leggeranno dopo la mia morte, sentirsi commossi per l'infinita bontà che ti ha abbassato verso la mia estrema miseria per deporre i tuoi doni in un'anima che doveva stimarli così poco.
Ringrazio poi, non quanto devo,. ma quanto posso, la tua divina misericordia, o Creatore e Riparatore, per altro favore della tua inesauribile tenerezza. Non mi hai tu forse assicurato, che qualsiasi persona, anche in peccato, riceverebbe una speciale ricompensa qualora volesse; in memoria di me, per la tua gloria e secondo l'intenzione più sopra indicata, pregare per i peccatori, ringraziare per gli eletti, o compiere qualche altra opera buona con divozione7 Tale ricompensa consiste soprattutto nel non lasciare questo mondo senza prima avere acquistato un grado eminente di unione con Te. Per questo beneficio, sia a Te resa quella lode eterna che, procedendo dall'Amore increato, rifluisce perpetuamente in te stesso!

CAPITOLO XXIV
OFFERTA DI QUESTO SCRITTO
Tu avevi affidato alla mia indegnità, o amatissimo Gesù, il prezioso talento della tua divina intimità ed ecco che, per amor tuo, per lo zelo della tua gloria, te lo restituisco a mezzo di questo scritto e di quelli che lo seguiranno.
Spero, e oso persino affermarlo appoggiandomi alla tua grazia; che nessun altro motivo mi abbia spinto a scrivere ed a svelare questi segreti, se non l'obbedienza alla tua volontà, il desiderio della tua gloria e lo zelo delle anime; Tu sai con quale ardore io ti lodi e ti ringrazi per quell'incommensurabile bontà che non ha respinto la mia miseria.
Possa Tu essere glorificato se altre anime, leggendo queste pagine, si sentiranno attratte dalla dolcezza dell'amor tuo; e condotte ad intimità più grande ancora. Coloro che studiano incominciano con l'alfabeto per giungere poi alle altezze della filosofia; così queste descrizioni e queste immagini condurranno le anime a gustare quella manna nascosta che non può essere rappresentata se non per mezzo di figure, ma che rende avidi chi, una sola volta, ha potuto gustarla.
Signore onnipotente, dispensatore di tutti i beni, degnati saziarci abbondantemente, mentre percorriamo le vie dell'esilio, fino a quel beato giorno nel quale, contemplando senza velo la gloria del Signore, noi saremo trasformati nella stessa sua immagine, di luce in luce, guidati dal Tuo soavissimo Spirito (II Cor. III, 18).
Intanto, secondo la tua fedele promessa e l'umile desiderio del mio cuore, ti prego d'accordare a tutti coloro che leggeranno umilmente questo scritto, di glorificare la tua accondiscendenza, d'aver compassione della mia indegnità, e di desiderare il loro progresso nella perfezione. Dai loro cuori infiammati d'amore e simili a turiboli d'oro, salga verso di Te o mio Dio, gradevolissimo profumo, che ripari sovrabbondantemente la mia negligenza e la mia ingratitudine.

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