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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Vangelo di domenica 9 agosto 2015 (Giovanni 6,41-51) con meditazione del Card. Piovanelli

XIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno B
"Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno"
Dal Vangelo secondo Giovanni (6,41-51)
In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù, perché aveva detto: “Io sono il pane disceso dal cielo”. E dicevano: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?.
Gesù rispose loro: “Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.
Parola del Signore.
Se, poco o molto, ci riconosciamo nel profeta  Elia, il quale, nel deserto, è stanco  nel corpo e nello spirito, ecco per ciascuno di noi la parola del Signore Gesù: “Io sono il pane disceso dal cielo”.
Siamo come Elia che si alza, mangia e cammina? Oppure come i Giudei che mormoravano contro di lui perché aveva detto quelle parole?
La crisi nella pagina del Vangelo di Giovanni  è espressa attraverso l’espressione del verbo “mormorare”, che è il verbo tipico dell’incredulità d’Israele nel deserto. La mormorazione è rifiuto di credere, è dichiarazione di ostilità, è chiusura dinanzi alla proposta di Dio.
Ora l’incredulità nasce dallo scandalo derivante dall’umanità di Gesù: come può dire di essere “disceso dal cielo”, se è il figlio di Giuseppe  e di lui conosciamo il padre e la madre?
L’incarnazione, espressione stupenda e trasparente dell’amore di Dio per l’uomo, si trasforma in un schermo opaco che offusca gli occhi, rende dubbiosa la mente e fa “mormorare” le labbra. Occorre la fede.
È dunque la fede il dono per cui il  credente cammina, comprende, ama, vive.
Per superare questo scandalo non devi contare sulle tue forze, ma aprire il cuore all’attrazione del Padre. Dice Gesù: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato … chiunque  ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me”. La fede che Gesù domanda non è frutto delle nostre forze, ma dono di Dio (il Padre attira, il Padre parla e insegna). Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a Gesù ed accetta le sue parole: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.
Il biblista Gianfranco Ravasi osserva: “è curioso notare che, forse, l’espressione finale del v.51 (“il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”) è la formula più semitica e più “originale” della consacrazione, mentre quella sinottica-paolina con “corpo” (”questo è il mio corpo”) risulterebbe più difficile per un semita (“corpo” = cadavere, mentre “carne” = persona vivente). Questa era quindi la formula eucaristica delle chiese giovannee dell’Asia Minore, testimoniata anche da Ignazio di Antiochia ed era la traccia di un ricordo dell’ultima cena omessa da Giovanni”.
Certamente questo discorso è inseparabile, per essere illuminato nella sua profondità, da quello che il Signore farà e dirà nella sua ultima cena pasquale. In questi due testi fondamentali tre realtà si alternano continuamente, come gli elementi del medesimo mistero: il pane, la fede, la vita. Mangiare, credere e vincere la morte.
Dopo la sua Pasqua, il Cristo opera la vera moltiplicazione non dei pani, ma del Pane. Ormai, attraverso tutte le Eucaristie, questo segno della Risurrezione trova una efficacia ed una dimensione universali. Non è più limitato dal tempo o dallo spazio.
A partire dai nostri corpi destinati alla morte, tormentati dalla sete dell’immortalità, nel mezzo della notte che ci disperde, attraverso  la nube della fede, noi, partecipando di questo Pane, proclamiamo che le forze della morte non avranno l’ultima parola: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.
Il primo motivo che attraversa il lezionario odierno è quello della crisi della fede: crisi drammatica di Elia, crisi dei Giudei che “mormoravano” come i loro padri nel deserto, crisi di chi “rattrista lo Spirito Santo”.
Per superare la crisi bisogna aprirsi alla lezione interiore del Padre. La fede resta prima di tutto un dono, un’ “attrazione interiore”, un ascolto della voce intima del Padre, è e resta  “opera di Dio” (Gv 6,28).
Signore, anch’io, ad alta voce proclamo: “Credo; aiuta la mia incredulità!” (Mc 9,24).

Dio onnipotente ed eterno, che ci dai il privilegio di chiamarti Padre, fa’ crescere in noi lo spirito di fili adottivi,  perché possiamo entrare nell’eredità che ci hai promesso.
Guida, o Padre, la tua Chiesa pellegrina nel mondo, sostienila con la forza del cibo che non perisce, perché perseverando nella fede di Cristo giunga a contemplare la luce del tuo volto.

“Ti rendiamo grazie, o Padre santo, per il tuo santo nome, che hai posto nei nostri cuori, e per la conoscenza, la fede e l’immortalità che ci hai rivelato attraverso il tuo servo Gesù. Gloria a te nei secoli! Signore onnipotente, tu hai creato l’universo a causa del tuo nome e hai donato ad ogni uomo cibo e bevanda perché ti rendano grazie. Ma a noi, per mezzo del tuo servo Gesù, tu hai fatto dono di un cibo e di una bevanda spirituale per la vita eterna. Per tutto ti rendiamo grazie, perché sei onnipotente. Gloria a te nei secoli!”  (dalla  Didachè  o Dottrina dei Dodici Apostoli)
Come il profeta Elia, possiamo anche noi vivere momenti di sconforto, segnati dalla stanchezza, dalle incomprensioni, dalle invidie e dalle meschinità. Segnati anche, magari, dalla apparente lontananza di Dio.
Il Signore non ti dimentica e non ti fa mancare il pane che ridona vigore. Una focaccia e un po’ di acqua: la Parola, l’Eucaristia, il sacramento della Riconciliazione, la preghiera, una buona amicizia … Ma ti dice: “Mangia! Accogli e valorizza i doni che ti sono offerti, perché “perché è troppo lungo per te il cammino”.
Ripeti a te stesso, piano piano, le parole: Cristo mi ha amato e ha dato se stesso per me.
E poi chiediti: ma io rispondo come figlio all’amore di Dio?
Non ti capita mai di fare come i Giudei, i quali mormoravano contro Gesù per le parole che aveva detto?
Tu mormori per quello che il Signore dice?  per i misteri che superano la nostra intelligenza e chiedono l’adesione della fede?  Per le scelte che Dio domanda alla tua vita?  Per le croci che incontri sul tuo cammino di tutti i giorni?
Se è vero, come è vero, che la fede è un dono e che l’ascolto della voce del Padre è “opera di Dio” (Gv 6,28),
prega anche tu, come il padre del giovane epilettico indemoniato: “Credo; aiuta la mia incredulità!” (Mc 9,24).

Card. Piovanelli
Meditazione tratta da: diocesitrivento.it

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