S. Cristina di Bolsena costituisce una delle più complesse e affascinanti figure dell'agiografia cristiana antica; per questo si sono interessati di lei i maggiori studiosi del cristianesimo primitivo. Tutti ne hanno parlato con interesse, appassionandosi alle complesse problematiche storico archeologiche connesse alla sua figura.
La Chiesa commemora la nostra santa il 24 luglio e a questa data il nome di Cristina è già iscritto nei più antichi martirologi: il Geronimiano e il Romano. La santa è venerata, sempre al 24 luglio, dalla Chiesa di Roma e dalle Chiese cristiane orientali.
Le singole comunità della Chiesa delle origini redigevano le "Passioni" dei propri testimoni della fede per tramandarne la memoria e diffonderne la devozione. Sono dei racconti devoti e stilizzati con finalità apologetiche ed edificanti a volte, e forse a torto, considerati irrilevanti per il contenuto storico; questi testi rimangono però di estrema importanza per quello che ci dicono sull'atteggiamento della Chiesa nei confronti dei martiri e sul modo in cui la santità veniva percepita, immaginata e tramandata.
La "Passione" di Santa Cristina è giunta a noi in moltissime redazioni di epoche diverse. Il testo più antico a oggi conosciuto, risale alla prima metà' del V secolo ed è contenuto in un papiro proveniente da Oxjrhynchos, in Egitto, pubblicato nel 1911. Purtroppo questo importante testo è giunto a noi mutilo ma il frammento è tradotto perfettamente, quindi totalmente ricostruibile, negli Atti latini della martire, in particolare nel cosiddetto codice Farfense 29, risalente al IX secolo.
Della Santa di Bolsena scrissero i più celebri autori del cristianesimo medioevale: Beda il Venerabile (VII secolo); Aldhelmo di Malmesbury (+709); Adone di Vienne (+875): Rabano Mauro, Giuseppe l'Innografo (IX secolo); Alfano di Salerno...
Il testo della "Passione" di Cristina ebbe una grande fortuna letteraria, sia in lingua greca che latina, tanto da influenzare altre celebri passioni come quelle di Barbara, Palazia, Laurenzia e della “moderna” Filomena.
Il racconto che segue è tratto dalla Legenda Aurea del domenicano Jacopo da Varagine (1228-1298), opera che ebbe un successo eccezionale e che si diffuse velocemente in tutta l'Europa, copiata e tradotta nelle principali lingue. Molte anche le sue edizioni a stampa tra il 1470 e il 1550. Il beato Jacopo narra le vite dei santi così come le ha codificate la tradizione e le inserisce nel quadro dell'anno ecclesiastico, di cui si sofferma a considerare ogni festività cercando di renderne accessibile a tutti il significato.
“Cristina, fanciulla di nobile famiglia, nacque a Tiro in Italia.
Cristina era bellissima e molti la desideravano per moglie, ma i genitori rifiutavano ogni proposta di matrimonio, avendo deciso di consacrare la figlia al culto degli dèi; il padre, infine la chiuse in una torre con dodici ancelle e molte statue di idoli, d’oro e d’argento. Ma Cristina, istruita dallo Spirito Santo, aveva in orrore il culto degli dèi e gettava dalla finestra l’incenso che avrebbe dovuto bruciare in loro onore. Un giorno dissero le ancelle al padre: “La figlia tua, nostra padrona, non vuole sacrificare agli dèi e afferma di essere cristiana”. Il padre, allora, dolcemente cercò di convincerla, ma quella: “Non mi chiamare tua figlia, ma figlia di colui a cui è lecito tributare il sacrificio di lode; poiché io non offro sacrifici agli dèi, ma al Dio che è nel cielo”. E il padre: “Figlia mia, non offrire sacrifici a un sol Dio, che gli altri non abbiano ad adirarsi contro di te!”. E quella: “Hai parlato bene, dal momento che non conosci la verità: io, infatti, offro sacrifici al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo”. E il padre: “Tu adori tre dèi, perché non adori anche gli altri?”. E quella: “Sono tre, ma fanno una sola divinità”.
Dopodiché Cristina spezzò gli idoli del padre e distribuì l’oro e l’argento di cui erano formati fra i poveri. Quando il padre tornò nella torre per vedere se la figlia venerava gli dèi, non li trovò più e seppe dalle ancelle quello che Cristina ne aveva fatto. Comandò allora che fosse spogliata e battuta da dodici servi, i quali eseguirono l’ordine fino a che non gli vennero meno le forze. Cristina disse al padre: “Uomo senza onore né pudore, odiato da Dio, coloro che mi battono sono ormai senza forze e nessuno dei tuoi dèi sarebbe capace di restituirgliele”. Allora il padre ordinò che fosse incatenata e chiusa in prigione.
Quando la madre seppe tale notizia si strappò le vesti, andò nel carcere dove si trovava Cristina e le si prostrò ai piedi dicendo: “Figlia mia Cristina, luce dei miei occhi, abbi pietà di me!”. E quella: “Perché mi chiami figlia tua, dal momento che io porto il nome del mio Dio?”. Infine la madre, non potendo persuaderla, tornò dal marito e gli riferì le risposte della figlia. Allora il padre comandò che Cristina fosse portata dinanzi al tribunale e le disse: “Sacrifica agli dèi se non vuoi essere crudelmente tormentata e cessare di essere mia figlia!”. E quella: “Mi hai accordato un gran favore non chiamandomi figlia del diavolo, perché dal diavolo non può nascere che un demone”. Il padre, infuriato, ordinò di straziarle le carni con unghie di ferro e di farle a pezzi ogni membro; ma Cristina prendeva i pezzi della propria carne e, gettandoli in faccia al padre, diceva: “Prendi, tiranno, e mangia la carne che hai generato!”. Allora il padre la fece porre su una ruota, fece poi attizzare un gran fuoco con l’olio, ma la fiamma divampando uccise millecinquecento pagani.
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Il padre, che attribuiva tutti questi miracoli alle male arti della figlia, di nuovo la fece condurre in carcere e, giunta la notte, comandò i suoi servi che le legassero una pietra al collo e la gettassero in mare. Ma ecco che gli angeli la sollevarono nelle loro braccia e Cristo stesso discese fino a lei battezzandola con queste parole: “Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
Poi l'affidò all’arcangelo Michele, che la riportò a terra. A tale notizia il padre si percosse la fronte e disse: “Di quali male arti ti servi per domare anche i flutti del mare?”. E quella: “Uomo stolto e infelice, è Cristo che mi fa tali grazie!”. Allora il padre ordinò che fosse di nuovo chiusa in un carcere e decapitata il giorno dopo; ma nella stessa notte il crudele padre, che si chiamava Urbano, fu trovato morto.
Ebbe come successore un giudice non meno iniquo di nome Elio, il quale fece immergere Cristina in un caldaione bollente colmo d’olio, resina e pece, e ordinò a quattro uomini di agitarlo. Ma Cristina lodava Iddio nella caldaia e lo ringraziava perché, nata or ora alla fede, le permetteva di essere dolcemente cullata. Allora il giudice, irato, fece radere il capo della santa e ordinò che fosse condotta nuda fino al tempio di Apollo. Non appena vi fu arrivata l’idolo cadde a pezzi in terra. A tale notizia il giudice dallo spavento morì.
Gli successe Giuliano, che fece accendere una fornace per gettarvi Cristina; qui la fanciulla rimase per cinque giorni in compagnia degli angeli, senza soffrire alcun male. Quando Giuliano seppe ciò ascrisse il miracolo alle male arti della fanciulla e comandò che le fossero gettati addosso due aspidi, due vipere e due colubri; ma le vipere le si arrotolarono ai piedi, gli aspidi le circondarono il seno e i colubri le leccarono il sudore intorno al collo. Disse qualcuno a un incantatore: “Serviti delle tue arti per eccitare quelle bestie!”. Ma le bestie si rivoltarono contro l’incantatore e lo uccisero. Allora Cristina comandò ai serpenti di andarsene nel deserto, poi resuscitò il morto. Giuliano, furente, ordinò di strappare le mammelle della fanciulla, da cui sgorgò latte invece di sangue. Infine le fece tagliare la lingua, ma Cristina per questo non perse la parola, e prendendo un pezzo della sua lingua la gettò in faccia a Giuliano, che fu percosso in un occhio e subito ivi perdette la vista.
Infine Giuliano fece trafiggere la fanciulla con due frecce nel cuore e una nel fianco. In tal modo Cristina rese l’anima a Dio all’incirca nell’anno del Signore 297, sotto il regno di Diocleziano. Il corpo di Santa Cristina riposa in una città fortificata, che si chiama Bolsena, fra Civitavecchia e Viterbo. Tiro, che si trovava vicino a Bolsena, è stata distrutta dalle fondamenta.”
Traduzione di Cecilia Lisi
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Un’ annosa questione.
Il martirologio Geronimiano, al 24 luglio riporta la commemorazione di santa Cristina martire di Tyro mentre, alla stessa data ,il martirologio Romano celebra la nascita al cielo di S.Cristina, martire nei pressi del lago di Bolsena. Ora viene da chiedersi:in quel giorno ricordiamo una martire orientale o una santa del lago di Bolsena?
Fin dal IX secolo si ricorse alla supposizione dell'esistenza di una città di nome Tiro sulle rive del lago, poi misteriosamente scomparsa. Si suppose anche l'esistenza di due martiri omonime commemorate nello stesso giorno e perfino la traslazione di reliquie di una martire orientale a Bolsena fin dal IV secolo; questo poiché le testimonianze monumentali e archeologiche testimoniavano l'esistenza di una tomba venerata nella necropoli di Bolsena fin dal IV secolo. Non va tralasciato però che il nome della nostra santa non compare nei calendari orientali anteriormente al IX secolo; e appare strano che Eusebio di Cesarea, parlando dei martiri di Tiro, non accenni ad alcuna Cristina; e ancora che non compaia il suo nome nell'antichissimo menologio, presente in un codice siriaco attribuito al V secolo.
A mio avviso, al di là dell'importanza delle documentazioni archeologiche di Bolsena e alla ininterrotta devozione, degna di particolare considerazione è un'ipotesi già formulata nel XIX secolo: la denominazione di Tirrenide o Tirrenia fu usata da Platone per indicare parte dell'Italia centrale (Toscana, Elba e Lazio). I Greci chiamarono Tyrsanoi, Tyrsenoi o Tyrrenoi, quelle popolazioni che diedero vita sulle coste della Toscana alla civiltà etrusca. Non dovrebbe destare meraviglia che il redattore del latercolo del Geronimiano possa aver interpretato l'indicazione geografica ...in Tyr quale patria della santa come riferentesi ad una precisa città: Tiro di Fenicia. Questo errore, seguendo le medesime modalità interpretative, per secoli, aveva fatto credere nativo di Tiro in Fenicia il filosofo bolsenese Caio Rufo Musonio! Il filologo Kurt von Fritz fu il primo a sostenere l'ipotesi di un'errata trascrizione e che " ...to Tyrio" andava corretto in "...to Tyrreno. Infatti, il poeta e geografo bolsenese Rufo Fiesto Avieno (373-395), in memoria del padre, così scriveva:"...Festo della stirpe di Musonio e figlio di Avieno, generato sotto tetto volsiniese...". E ancora, Beda il Venerabile (VIII secolo), in riferimento ai martiri Anatolia e Audace, nella loro commemorazione, al 9 luglio, ne colloca il martirio "...in civitate Tyrae". Egli non seppe identificare la "civitas Torana" della passione di questi martiri e per pura congettura collocò il martirio di questi santi del centro Italia a Tiro di Fenicia!
A sostegno di Cristina, martire occidentale, non va nemmeno tralasciato il più antico monumento del suo culto e della sua celebrità: il mosaico in Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna, del VI secolo. Santa Cristina viene dopo Anatolia e Vittoria, martiri di Trebula Mutuesca e di Tora, in un territorio non lontano da Bolsena, ed è seguita dall'umbra Sabina e dalla romana Eugenia. Precedono invece Vittoria le martiri romane Paolina, Emerenziana e Daria, l'illirica Anastasia, venerata però a Roma sul Palatino e Giustina di Padova; raffigurare Cristina in un gruppo di martiri dell'Italia centrale non fu certamente casuale ed è veramente arduo il pensare che solo lei fosse un'intrusa della Fenicia.
Questo fluente testo così ben scritto e documentato è tratto da: santacristinadibolsena.it
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