XIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno A
"Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro"
In quel tempo Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Parola del Signore.
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Parola del Signore.
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Il brano evangelico di Matteo di questa Domenica è stato definito significativamente: il dato “giovanneo” dei Sinottici, la più felice sintesi messianica, la grande rivelazione del mistero di Dio, l’inno di giubilo del Messia e del cristiano. Tanto basta per sottolinearcene l’importanza e la ricchezza teologica, specialmente se si considera che è la conclusione di un capitolo carico di tensioni e polemiche [crisi di fede, se non del Battista, almeno dei suoi discepoli (11,3); pesante giudizio di Gesù sulla sua generazione (11,16-19); minacce alle città del lago (11,21-24)]. A metà della vita pubblica il bilancio sembra deludente, ma Gesù si rallegra e benedice il Padre. Diversamente da noi, che ci facciamo bloccare dagli insuccessi, accusiamo gli altri e ci lamentiamo di Dio.
Ecco, la prima parte è una benedizione, cioè un ringraziamento, che dalla terra sale verso Dio “come incenso, come le mani alzate nel sacrificio della sera” (salmo 141,2). Una delle poche preghiere riportate dai Vangeli: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra “. Gesù ringrazia, perché nel mistero del regno di Dio, cioè nel progetto di salvezza che Dio sta attuando nella persona del Cristo, è caduto il velo e i piccoli e gli umili possono contemplare il Signore del cielo e della terra.
“Hai rivelato queste cose ai piccoli”: piccoli sono quelli che sono ancora malleabili, disponibili, non ripiegati su se stessi, non chiusi in un sistema ossificato a partire dal quale pretendono di giudicare tutto e tutti, ma pronti alla stupore e capaci di meraviglia.
Tutto invece rimane nascosto ai sapienti e ai dotti, cioè agli intelligenti orgogliosi, che allora vedevano in Gesù solo un modesto predicatore di Galilea, figlio di un artigiano, degno solo di ironia per le sue velleità; intelligenti e orgogliosi, che oggi misurano tutto con la propria intelligenza o addirittura col proprio interesse. Contro di loro il profeta Isaia aveva pronunciato una delle sue maledizioni: “Guai a coloro che si credono sapienti e si reputano intelligenti “ (Is 5, 21). La seconda parte sposta l’attenzione sulla figura del Cristo così come sa vederla il povero e l’umile, perché il povero, l’umile, il piccolo è “colui al quale il Figlio vorrà rivelare il Padre”.
Racconta il libro dell’Esodo che Mosè disse al Signore: “Mostrami la tua gloria!”. Ma il Signore rispose: “Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo” (Es.33,19-20). Queste distanze, assolutamente invalicabili per l’uomo, Gesù è venuto ad abolirle: “Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv.1,18). A Filippo, dopo l’ultima cena, Gesù dirà: “Chi ha visto me ha visto il Padre. Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?” (Gv.14,9-10).
Gesù parla del suo rapporto unico e totale col Padre: “Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio”. E’ facile notare che Gesù adopera un termine, “conoscere”, che è di fondamentale importanza nella Bibbia: un verbo che nel mondo semitico indica pienezza di intimità e di amore: viene adoperato, per esempio, per esprimere il rapporto intimo che intercorre tra marito e moglie (cf Lc 1,34).
“Colui al quale il Figlio vuole rivelare il Padre”, sei proprio tu. Tu ricevi la rivelazione del Figlio, se conosci il Figlio, cioè se il tuo cuore è toccato da Lui. “Cuore indica questo gioco d’insieme delle forze percettive dell’uomo in cui è in gioco anche il giusto intreccio di corpo e di anima, che appartiene alla totalità della creatura chiamata “uomo” (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret).
Nella terza parte la preghiera di Gesù diventa un appello destinato a tutti i deboli, gli oppressi e gli ultimi della terra, perché si mettano sulla strada del Cristo: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò ristoro”.
Affaticati e oppressi, rispondiamo all'invito e andiamo verso il Signore. La promessa è allettante: io vi darò ristoro. Ma la parola che segue non sembra rispettare la promessa, perché invece di alleggerirci il carico, invece di offrirci le sue carezze, il Signore ci regala il suo giogo: “Prendete il mio giogo sopra di voi”.
Non aggiunge peso al peso, ma insegna come portarlo, lui che lo ha già portato per noi.
E’ interessante notare che l’immagine del “giogo” era usata dalla tradizione ebraica per indicare la Legge e le sue esigenze. Gesù ripropone questo simbolo, ma lo spoglia del suo aspetto di imposizione e lo dipinge come “giogo dolce”, come “peso leggero”.
“Ascolta, figlio, e accetta il mio pensiero, / e non rifiutare il mio consiglio.
Introduci i tuoi piedi nei suoi ceppi, / il tuo collo nella sua catena.
Piega la tua spalla e portala, / e non infastidirti dei suoi legami.
Avvicinati ad essa con tutta l’anima / e con tutta la tua forza osserva le sue vie.
Segui le sue orme, ricercala e ti si manifesterà / e quando l’hai raggiunta non lasciarla.
Alla fine in essa troverai riposo / ed essa si cambierà per te in gioia. (Siracide, 6, 23-28)
Realmente il peso è leggero, il giogo è dolce e noi troviamo ristoro per la nostra vita e non siamo più stanchi ed oppressi, se impariamo da Lui, che è mite ed umile di cuore. Nella misura in cui siamo davvero discepoli e prendiamo ogni giorno la nostra croce e mettiamo i nostri passi sulle orme del Cristo, facciamo l’esperienza esaltante che il peso diventa un’ala, la stanchezza si tramuta in energia, l’oppressione si trasforma in canto di libertà.
Nella misura in cui portiamo il suo giogo e ci carichiamo del suo peso, Lui si carica di noi e ci porta in braccio con tenerezza.
Imparate da me: non seguite i maestri che la fanno da padroni sulle vostre coscienze, che predicano un Dio che non sta dalla parte dei poveri, dei peccatori, degli ultimi e insegnano una religione che toglie la gioia con le sue pignolerie e assurdità, continuamente presentandoci Dio non come pastore premuroso, ma come giudice rigoroso e inappellabile.
Card. Piovanelli
Meditazione tratta da: diocesitrivento.it
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