Domenica 4 marzo 2012.
II Domenica di Quaresima - Anno (B).
Dal Vangelo secondo Marco.
Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.
E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù.
Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!».
Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.
Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!».
E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti.
Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.
Già domenica passata avevamo accennato alla necessità di una nostra trasfigurazione, di cui la Quaresima è segno e anticipazione. Nel vangelo di oggi Gesù mostra a questi tre discepoli il cammino da seguire perché questa trasfigurazione sia possibile: è un’ascesa verso Dio, o meglio, con Dio.
Gesù prende con sé: Pietro, Giacomo, e Giovanni. Il verbo al corsivo non è un dettaglio trascurabile. Non è come dire: andò insieme a loro; oppure: salì con loro.
Gesù che prende con sé i discepoli è un preludio della futura ascesa verso la glorificazione della croce, se non addirittura verso il cielo stesso.
Il Signore dunque si trasfigura, ma solo dopo aver portato in alto il peso della nostra umanità, rappresentato nel vangelo dai suoi discepoli; i quali dovranno ripercorrere lo stesso itinerario spirituale per entrare nella sua stessa gloria (la nube che li avvolge).
Non pensiamo a questa salita come a una divertente gita in montagna: Pietro, Giacomo e Giovanni hanno fatto un’esperienza di pre-morte, e ne sono usciti vivi solo per volontà di Dio. La trasfigurazione di Gesù ha aperto una finestra sull’eternità. Non si trasfigura solo Lui, bensì tutto quello che sta intorno a Lui; non sono Mosè ed Elia ad apparire sul monte, ma sono Gesù e questi tre discepoli a trovarsi all’improvviso in un’altra dimensione. Su quel monte, la realtà come noi la conosciamo si è squarciata per manifestarne un’altra, invisibile e invivibile, se non da trasfigurati.
Questo brano dovrebbe allora insegnarci che esiste una finestra aperta sul paradiso in ogni luogo dove c’è un cristo trasfigurato, dove ogni uomo porta con sé il peso della propria umanità fino a farsi trasformare dal dolore per amore, e così costringere il paradiso a svelarsi.
Tutti dobbiamo raggiungere la vetta di questa montagna, e sappiamo bene che più si sale, più l’aria è rarefatta (si fa rara) fino a scomparire… Anche questa è una trasfigurazione: arrivare a non ossigenare più il nostro organismo con l’aria, ma solo con Dio. L’ascesa è un’immagine della vita terrena, dove ci si allena per imparare a respirare Dio, fino a vivere di Lui, al punto che, si passa da una vita possibile grazie all’aria, a un’altra vita, eterna, grazie a Dio.
Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo. Ci conviene prestare molta attenzione a quest’invito premuroso. Il sentiero che dobbiamo intraprendere è ripido e difficile, senza l’aiuto di Gesù non potremmo mai farcela. Non si sale quindi da soli, è Lui che ci prende con sé, proprio come farebbe una vera guida di montagna. Cristo ci guida e ci conduce, ci sprona e ci frena. Persino l’entusiasmo dei tre discepoli è prontamente ridimensionato: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne…». No, caro Pietro – sembra dirgli Gesù –, non è questo il momento e il luogo per fermarsi e costruire dimore; c’è ancora molta strada da fare, c’è un’evangelizzazione che ci attende giù dal monte, e tantissime persone che devono essere guidate dalle mie parole e dal vostro esempio.
Il desiderio di Pietro è quello che ognuno di noi ha quando vorrebbe “congelare” il tempo nei momenti felici della vita, quasi a fotografarlo, per poi riprodurlo all’infinito. Non è un desiderio meschino, perché oltre a mostrare un segno chiaro di eternità presente nel cuore umano, fa da contraltare alle parole del libro dell’Apocalisse: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio» (Ap 21,3).
Dio è la vetta che ci accoglie, è l’unica dimora possibile del paradiso. Gesù ci guida fino al Padre, palesandoci la sua presenza fin da questa vita: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 10,15).
Se crediamo in questa verità, dovrebbe allora esserci chiaro anche il concetto di sofferenza cristiana: imparare a dimorare con fede nella nube del dubbio e del dolore ci prepara a vivere per sempre nella nube della gloria di Dio. Quindi se portiamo fino in fondo il peso della nostra umanità con fiducia e amore, ci trasfigureremo come il Cristo risorto.
C’è un passaggio nella seconda lettera ai corinzi attinente alla pagina del vangelo di oggi: «In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita». Queste parole di san Paolo, sebbene non facciano parte della liturgia di questa domenica, esprimono in modo esemplare il desiderio che albergava nel cuore di Pietro sul monte della trasfigurazione: non voleva essere spogliato della sua umanità (morire) bensì essere rivestito della gloria di Dio; abitante di una nuova tenda, sollevato da ogni fatica, in una nube di luce…
Questo è anche il nostro desiderio, e il cammino quaresimale ci aiuta a risvegliarlo, qualora si fosse ingozzato di effimero e ubriacato di transitorio.
Sia lodato Gesù Cristo.
Don Maurizio Roma.
Parroco della pievedilubaco »»»
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