Il glorioso Policarpo (dal greco: che dà molti frutti), nacque a Efeso durante il regno dell'imperatore Vespasiano e fu, secondo il suo discepolo sant'Ireneo di Lione, discepolo degli Apostoli e amico di coloro che avevano visto il Signore. Prima di affrontare il martirio, i santi genitori affidarono il bambino ad una pia e nobile donna: Callista, che lo crebbe nel timore di Dio e nell'amore delle sante virtù.
Mosso da compassione, il bambino eseguiva così fedelmente i precetti sull'elemosina ai poveri, al punto di prosciugare il patrimonio della madre adottiva. Tuttavia, dal momento che le riserve di denaro tornavano, miracolosamente, a riempirsi, Callista mutò il nome del bambino Pancrazio in Policarpo.
Divenuto adulto, divenne discepolo di san Giovanni Teologo che annunciava il Vangelo in Asia insieme ai compagni san Bucolo e sant'Ignazio Teoforo. Facendo proprio ogni suo insegnamento e ponendo attenzione a tutto ciò che evocava la vita del Signore, san Policarpo condivise tutte le tribolazioni del discepolo Prediletto, sino all'esilio a Patmos. San Giovanni ordinò san Bucolo vescovo di Smirne, affiancandogli Policarpo come collaboratore e sostegno. Giunto a Smirne, Policarpo fu ordinato prete ed ebbe l'incarico della cura degli orfani; ma san Bucolo, vedendo prossima la morte, designò l'umile Policarpo suo successore.
Divenuto, per volontà divina e del suo Padre spirituale, pastore della Chiesa di Smirne, Policarpo ebbe la condotta dei suoi Padri predecessori, ripetendo fedelmente i loro insegnamenti e quelli che avevano sentito pronunciare direttamente dalla bocca del Signore. Dal suo esilio di Patmos, san Giovanni fece sentire i suoi elogi per l'angelo della Chiesa di Smirne, incoraggiandolo a restare fedele sino alla morte, affinché potesse ricevere la corona della vita eterna. Ricolmo della Grazia divina, compì molti miracoli: spense con la sola preghiera un incendio che minacciava una città da sette giorni, fece cadere una pioggia benefica per mettere termine ad un periodo di siccità, liberò dei posseduti e guarì alcuni malati, permettendo così la conversione di molti pagani.
Quando, all'inizio dell'episcopato di Policarpo, nel 101, sant'Ignazio fu condannato a morte e trasferito in catene a Roma per essere dato in pasto alle belve, nel viaggio che lo doveva portare alla capitale dell'impero, si fermò a Smirne per abbracciare, per l'ultima volta, il santo vescovo. Dopodiché, giunto a Troade, gli inviò una lettera per ringraziarlo dell'ospitalità ricevuta e per affidargli la cura della Chiesa antiochena. Nella lettera, sant'Ignazio trasmette a Policarpo alcuni divinamente ispirati insegnamenti sui doveri del Pastore: "Glorifica il Signore di avermi fatto degno di contemplare il tuo volto irreprensibile. Dimostra la tua dignità episcopale con una profonda sollecitudine nella carne e nello spirito. Preoccupati dell'unità, al di sopra della quale non esiste cosa più importante. Sopporta pazientemente tutti i fratelli, come il Signore sopporta te. Porta sulle tue spalle le infermità di tutti, come fa l'atleta esperto (…) Il tempo presente ti esige per tendere verso Dio, come il nocchiero attende il vento e l'uomo sbattuto dalla tempesta attende il porto."
In seguito, san Policarpo scrisse ai cristiani di Filippi per felicitarsi con loro di aver accolto Ignazio e gli altri martiri: "…le immagini della vera carità che avete meritevolmente scortato, essi che erano in quei ceppi degni dei santi che sono come dei diademi per coloro che sono stati prescelti da Dio". Li esorta a perseverare nella pazienza che avevano impressa in volto i martiri ed espone loro i principi della vita di una comunità cristiana animata dall'amore: "La fede è la madre di tutti; essa è la fonte della speranza e nasce dall'amore per Dio, per Cristo e per il prossimo. Colui che adempie a tali virtù, compie i comandamenti della Giustizia, poiché chi possiede la carità è lontano da ogni peccato."
Diresse, come un Apostolo, la Chiesa per oltre cinquanta anni. Nel 154, già carico di anni, fece un viaggio a Roma per incontrarsi con il Papa Aniceto circa la questione della diversità della celebrazione della Pasqua in Asia e per difendere la vera fede contro gli attacchi delle eresie. Il risplendere della sua santità e dei suoi insegnamenti produssero la conversione di molte anime che si erano lasciate sedurre dagli eretici Valentino e Marcione. Al momento di lasciare Roma, il Papa gli cedette la presidenza della Sinassi eucaristica e, dopo essersi scambiati un santo bacio, si lasciarono in pace, nel mutuo rispetto delle differenze tra le chiese locali.
Poco dopo il suo ritorno a Smirne, una violenta persecuzione, scatenata da Marco Aurelio, sconvolse tutte le chiese d'Asia. Fu in tale frangente che, al seguito di un gruppo di dodici martiri originari di Filadelfia, san Policarpo, all'età di ottantasei anni, trovò una gloriosa morte, nel giorno del Grande Sabato, similmente alla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Mentre i valorosi martiri di Cristo subivano ogni sorta di tormento, in vista di essere dati in pasto alle belve, il venerabile Policarpo conservava la naturale serenità, volendo restare in città per non abbondare il gregge spirituale. Ma, per le insistenze dei suoi compagni, che lo supplicavano di non esporsi prematuramente alla morte, si ritirò in una piccola proprietà non lontano dalla città, dove, notte e giorno, pregava per tutti gli uomini e per le Chiese del mondo intero. Tre giorni prima del suo arresto, essendo in preghiera, ebbe una visione, durante la quale il suo orecchio prese fuoco e fu consumato. Voltandosi verso i suoi compagni, annunciò tranquillamente che avrebbe dovuto dare la vita per Cristo tra le fiamme.
Aveva appena trovato un nuovo rifugio, quando dei soldati, che avevano saputo del rifugio torturando uno schiavo, fecero irruzione nella dimora. Rifiutandosi di fuggire, il vescovo li accolse con un volto radioso e dolcissimo, li invitò a pranzare con lui, chiedendo loro soltanto un momento per pregare. Acconsentirono; per oltre due ore, l'anziano vescovo restò in piedi, ricolmo della Grazia divina, facendo memoria di tutti gli uomini, piccoli e grandi, che aveva conosciuto e ricordando la Chiesa sparsa sulla terra. Giunta l'ora di partire, i soldati, colti da profondo timore, e pentendosi di aver portato a termine questo incarico, lo fecero salire su di un asino per condurlo a Smirne. L'intendente della polizia, chiamato non a caso Erode, gli venne incontrò, facendolo salire sul suo carro per tentare di persuaderlo a sacrificare a Cesare. Avendo perso il suo tempo, lo gettò dalla vettura sulla strada. Ferito ad una gamba, l'anziano vescovo continuò il cammino a piedi. Quando entrò nello stadio pieno di una folla urlante e avida di sangue, una voce divina si fece udire dai soli cristiani. Diceva: "Coraggio Policarpo!" Il proconsole lo esortò a rinnegare Cristo, dicendo: "Abbi pietà della tua età" -e disse anche tutte le altre cose che sono soliti dire i persecutori in tali circostanze- "Giura sulla fortuna di Cesare e pronuncia queste parole: Abbasso gli atei!". Facendo scorrere lo sguardo sulla folla dei pagani che riempivano l'anfiteatro, Policarpo rispose, sospirando: "Certamente, abbasso gli atei!". Poiché gli si ingiungeva di maledire Cristo, rispose. "Sono ottantasei anni che Lo servo e non mi ha fatto alcun male. Come potrei bestemmiare il Re che mi ha salvato?"
Il proconsole disse: "Se non muti opinione, ti lascerò alle belve". Policarpo rispose: "Chiamale, poiché è impossibile cambiare opinione per passare da una condizione migliore ad una peggiore; al contrario, è bene cambiare per passare dal male alla giustizia". - " Ti farò bruciare, se disprezzi il pericolo rappresentato dalle belve", disse il giudice. Policarpo, pieno di vigore e di gioia, rispose: "Mi minacci con un fuoco che brucia per un attimo e dopo si spenge; certamente, ignori il fuoco del giudizio e del supplizio eterno, riservato agli empi. Perché attendere ancora? Fai ciò che vuoi."
Poiché l'araldo aveva annunciato, per tre volte, che Policarpo si era dichiarato cristiano, la folla insistette perché gli fosse lanciato contro un leone. Ma, dal momento che i combattimenti con le belve erano terminati, gridarono: "Bruciatelo vivo!" In un attimo, i pagani e i giudei ammassarono la legna e delle carte. Quando il rogo fu posto nel centro dello stadio, Policarpo si tolse i vestiti, con la stessa tranquillità con la quale celebrava il santo sacrificio, e volle togliersi anche le scarpe, azione che non compiva mai poiché i fedeli si gettavano a baciargli i piedi. Dato che l'intenzione era quella di inchiodarlo al rogo, disse: "Lasciatemi libero, Colui che mi dona la forza di sopportare il fuoco, mi darà anche il potere di restare immobile sul rogo." Deposto sulla legna come una vittima per l'olocausto, levò gli occhi al cielo e rese grazie a Dio, in un'ultima preghiera, per averlo ritenuto degno di partecipare, con tutti i santi martiri, al calice di Cristo, per la resurrezione e la vita eterna nell'incorruttibilità dello Spirito Santo.
Quando ebbe pronunciato il suo amen, fu acceso il fuoco. Una grande fiamma si alzò, ma il fuoco assunse immediatamente la forma di una volta, come una vela gonfiata dal vento, che circondava il corpo del martire. Tenendosi al centro di essa, non come carne che brucia ma come un pane che cuoce o come oro e argento risplendenti nella fornace, sprigionando un profumo d'incenso o di altri preziosi aromi.
Constatando che il corpo del martire restava incombusto, i pagani ordinarono al boia di finirlo con la spada. Il sangue allora sgorgò in tale abbondanza da spengere il rogo, lasciando così la folla stupefatta. (Lo sappiamo dal “Martyrium Polycarpi”, scritto da un testimone oculare in quello stesso anno. È la prima opera cristiana dedicata unicamente al racconto del supplizio di un martire. E anzi è la prima a chiamare “martire” (testimone) chi muore per la fede).
I preziosi resti del martire furono inceneriti per opera dei giudei, ma i fedeli riuscirono a raccogliere alcune ossa che deposero in un luogo degno, dove si riunivano, ogni anno per celebrare, nella gioia, il giorno della sua nascita al cielo. Il glorioso martirio di san Policarpo sigillò, per un breve periodo, la persecuzione contro i cristiani.
Divenuto adulto, divenne discepolo di san Giovanni Teologo che annunciava il Vangelo in Asia insieme ai compagni san Bucolo e sant'Ignazio Teoforo. Facendo proprio ogni suo insegnamento e ponendo attenzione a tutto ciò che evocava la vita del Signore, san Policarpo condivise tutte le tribolazioni del discepolo Prediletto, sino all'esilio a Patmos. San Giovanni ordinò san Bucolo vescovo di Smirne, affiancandogli Policarpo come collaboratore e sostegno. Giunto a Smirne, Policarpo fu ordinato prete ed ebbe l'incarico della cura degli orfani; ma san Bucolo, vedendo prossima la morte, designò l'umile Policarpo suo successore.
Divenuto, per volontà divina e del suo Padre spirituale, pastore della Chiesa di Smirne, Policarpo ebbe la condotta dei suoi Padri predecessori, ripetendo fedelmente i loro insegnamenti e quelli che avevano sentito pronunciare direttamente dalla bocca del Signore. Dal suo esilio di Patmos, san Giovanni fece sentire i suoi elogi per l'angelo della Chiesa di Smirne, incoraggiandolo a restare fedele sino alla morte, affinché potesse ricevere la corona della vita eterna. Ricolmo della Grazia divina, compì molti miracoli: spense con la sola preghiera un incendio che minacciava una città da sette giorni, fece cadere una pioggia benefica per mettere termine ad un periodo di siccità, liberò dei posseduti e guarì alcuni malati, permettendo così la conversione di molti pagani.
Quando, all'inizio dell'episcopato di Policarpo, nel 101, sant'Ignazio fu condannato a morte e trasferito in catene a Roma per essere dato in pasto alle belve, nel viaggio che lo doveva portare alla capitale dell'impero, si fermò a Smirne per abbracciare, per l'ultima volta, il santo vescovo. Dopodiché, giunto a Troade, gli inviò una lettera per ringraziarlo dell'ospitalità ricevuta e per affidargli la cura della Chiesa antiochena. Nella lettera, sant'Ignazio trasmette a Policarpo alcuni divinamente ispirati insegnamenti sui doveri del Pastore: "Glorifica il Signore di avermi fatto degno di contemplare il tuo volto irreprensibile. Dimostra la tua dignità episcopale con una profonda sollecitudine nella carne e nello spirito. Preoccupati dell'unità, al di sopra della quale non esiste cosa più importante. Sopporta pazientemente tutti i fratelli, come il Signore sopporta te. Porta sulle tue spalle le infermità di tutti, come fa l'atleta esperto (…) Il tempo presente ti esige per tendere verso Dio, come il nocchiero attende il vento e l'uomo sbattuto dalla tempesta attende il porto."
In seguito, san Policarpo scrisse ai cristiani di Filippi per felicitarsi con loro di aver accolto Ignazio e gli altri martiri: "…le immagini della vera carità che avete meritevolmente scortato, essi che erano in quei ceppi degni dei santi che sono come dei diademi per coloro che sono stati prescelti da Dio". Li esorta a perseverare nella pazienza che avevano impressa in volto i martiri ed espone loro i principi della vita di una comunità cristiana animata dall'amore: "La fede è la madre di tutti; essa è la fonte della speranza e nasce dall'amore per Dio, per Cristo e per il prossimo. Colui che adempie a tali virtù, compie i comandamenti della Giustizia, poiché chi possiede la carità è lontano da ogni peccato."
Diresse, come un Apostolo, la Chiesa per oltre cinquanta anni. Nel 154, già carico di anni, fece un viaggio a Roma per incontrarsi con il Papa Aniceto circa la questione della diversità della celebrazione della Pasqua in Asia e per difendere la vera fede contro gli attacchi delle eresie. Il risplendere della sua santità e dei suoi insegnamenti produssero la conversione di molte anime che si erano lasciate sedurre dagli eretici Valentino e Marcione. Al momento di lasciare Roma, il Papa gli cedette la presidenza della Sinassi eucaristica e, dopo essersi scambiati un santo bacio, si lasciarono in pace, nel mutuo rispetto delle differenze tra le chiese locali.
Poco dopo il suo ritorno a Smirne, una violenta persecuzione, scatenata da Marco Aurelio, sconvolse tutte le chiese d'Asia. Fu in tale frangente che, al seguito di un gruppo di dodici martiri originari di Filadelfia, san Policarpo, all'età di ottantasei anni, trovò una gloriosa morte, nel giorno del Grande Sabato, similmente alla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Mentre i valorosi martiri di Cristo subivano ogni sorta di tormento, in vista di essere dati in pasto alle belve, il venerabile Policarpo conservava la naturale serenità, volendo restare in città per non abbondare il gregge spirituale. Ma, per le insistenze dei suoi compagni, che lo supplicavano di non esporsi prematuramente alla morte, si ritirò in una piccola proprietà non lontano dalla città, dove, notte e giorno, pregava per tutti gli uomini e per le Chiese del mondo intero. Tre giorni prima del suo arresto, essendo in preghiera, ebbe una visione, durante la quale il suo orecchio prese fuoco e fu consumato. Voltandosi verso i suoi compagni, annunciò tranquillamente che avrebbe dovuto dare la vita per Cristo tra le fiamme.
Aveva appena trovato un nuovo rifugio, quando dei soldati, che avevano saputo del rifugio torturando uno schiavo, fecero irruzione nella dimora. Rifiutandosi di fuggire, il vescovo li accolse con un volto radioso e dolcissimo, li invitò a pranzare con lui, chiedendo loro soltanto un momento per pregare. Acconsentirono; per oltre due ore, l'anziano vescovo restò in piedi, ricolmo della Grazia divina, facendo memoria di tutti gli uomini, piccoli e grandi, che aveva conosciuto e ricordando la Chiesa sparsa sulla terra. Giunta l'ora di partire, i soldati, colti da profondo timore, e pentendosi di aver portato a termine questo incarico, lo fecero salire su di un asino per condurlo a Smirne. L'intendente della polizia, chiamato non a caso Erode, gli venne incontrò, facendolo salire sul suo carro per tentare di persuaderlo a sacrificare a Cesare. Avendo perso il suo tempo, lo gettò dalla vettura sulla strada. Ferito ad una gamba, l'anziano vescovo continuò il cammino a piedi. Quando entrò nello stadio pieno di una folla urlante e avida di sangue, una voce divina si fece udire dai soli cristiani. Diceva: "Coraggio Policarpo!" Il proconsole lo esortò a rinnegare Cristo, dicendo: "Abbi pietà della tua età" -e disse anche tutte le altre cose che sono soliti dire i persecutori in tali circostanze- "Giura sulla fortuna di Cesare e pronuncia queste parole: Abbasso gli atei!". Facendo scorrere lo sguardo sulla folla dei pagani che riempivano l'anfiteatro, Policarpo rispose, sospirando: "Certamente, abbasso gli atei!". Poiché gli si ingiungeva di maledire Cristo, rispose. "Sono ottantasei anni che Lo servo e non mi ha fatto alcun male. Come potrei bestemmiare il Re che mi ha salvato?"
Il proconsole disse: "Se non muti opinione, ti lascerò alle belve". Policarpo rispose: "Chiamale, poiché è impossibile cambiare opinione per passare da una condizione migliore ad una peggiore; al contrario, è bene cambiare per passare dal male alla giustizia". - " Ti farò bruciare, se disprezzi il pericolo rappresentato dalle belve", disse il giudice. Policarpo, pieno di vigore e di gioia, rispose: "Mi minacci con un fuoco che brucia per un attimo e dopo si spenge; certamente, ignori il fuoco del giudizio e del supplizio eterno, riservato agli empi. Perché attendere ancora? Fai ciò che vuoi."
Poiché l'araldo aveva annunciato, per tre volte, che Policarpo si era dichiarato cristiano, la folla insistette perché gli fosse lanciato contro un leone. Ma, dal momento che i combattimenti con le belve erano terminati, gridarono: "Bruciatelo vivo!" In un attimo, i pagani e i giudei ammassarono la legna e delle carte. Quando il rogo fu posto nel centro dello stadio, Policarpo si tolse i vestiti, con la stessa tranquillità con la quale celebrava il santo sacrificio, e volle togliersi anche le scarpe, azione che non compiva mai poiché i fedeli si gettavano a baciargli i piedi. Dato che l'intenzione era quella di inchiodarlo al rogo, disse: "Lasciatemi libero, Colui che mi dona la forza di sopportare il fuoco, mi darà anche il potere di restare immobile sul rogo." Deposto sulla legna come una vittima per l'olocausto, levò gli occhi al cielo e rese grazie a Dio, in un'ultima preghiera, per averlo ritenuto degno di partecipare, con tutti i santi martiri, al calice di Cristo, per la resurrezione e la vita eterna nell'incorruttibilità dello Spirito Santo.
Quando ebbe pronunciato il suo amen, fu acceso il fuoco. Una grande fiamma si alzò, ma il fuoco assunse immediatamente la forma di una volta, come una vela gonfiata dal vento, che circondava il corpo del martire. Tenendosi al centro di essa, non come carne che brucia ma come un pane che cuoce o come oro e argento risplendenti nella fornace, sprigionando un profumo d'incenso o di altri preziosi aromi.
Constatando che il corpo del martire restava incombusto, i pagani ordinarono al boia di finirlo con la spada. Il sangue allora sgorgò in tale abbondanza da spengere il rogo, lasciando così la folla stupefatta. (Lo sappiamo dal “Martyrium Polycarpi”, scritto da un testimone oculare in quello stesso anno. È la prima opera cristiana dedicata unicamente al racconto del supplizio di un martire. E anzi è la prima a chiamare “martire” (testimone) chi muore per la fede).
I preziosi resti del martire furono inceneriti per opera dei giudei, ma i fedeli riuscirono a raccogliere alcune ossa che deposero in un luogo degno, dove si riunivano, ogni anno per celebrare, nella gioia, il giorno della sua nascita al cielo. Il glorioso martirio di san Policarpo sigillò, per un breve periodo, la persecuzione contro i cristiani.
Tratto da: www.orthodoxia.it/synaxarion (Vite dei Santi della Chiesa Ortodossa) »»»
Dalla “Lettera della chiesa di Smirne sul martirio di S. Policarpo”:
… levando gli occhi al cielo disse:
“Signore, Dio onnipotente, Padre del tuo diletto e benedetto Figlio Gesù Cristo, per mezzo del quale ti abbiamo conosciuto; Dio degli Angeli e delle Virtù, di ogni creatura e di tutta la stirpe dei giusti che vivono al tuo cospetto: io ti benedico perché mi hai stimato degno in questo giorno e in quest’ora di partecipare, con tutti i martiri, al calice del tuo Cristo, per la risurrezione dell’anima e del corpo nella vita eterna, nell'incorruttibilità per mezzo dello Spirito Santo. Possa io oggi essere accolto con essi al tuo cospetto quale sacrificio ricco e gradito, così come tu, Dio senza inganno e verace, lo hai preparato e me l’hai fatto vedere in anticipo e ora l’hai adempiuto. Per questo e per tutte le cose io ti lodo, ti benedico, ti glorifico insieme con l’eterno e celeste sacerdote Gesù Cristo, tuo diletto Figlio, per mezzo del quale a te e allo Spirito Santo sia gloria ora e nei secoli futuri. Amen”.
… levando gli occhi al cielo disse:
“Signore, Dio onnipotente, Padre del tuo diletto e benedetto Figlio Gesù Cristo, per mezzo del quale ti abbiamo conosciuto; Dio degli Angeli e delle Virtù, di ogni creatura e di tutta la stirpe dei giusti che vivono al tuo cospetto: io ti benedico perché mi hai stimato degno in questo giorno e in quest’ora di partecipare, con tutti i martiri, al calice del tuo Cristo, per la risurrezione dell’anima e del corpo nella vita eterna, nell'incorruttibilità per mezzo dello Spirito Santo. Possa io oggi essere accolto con essi al tuo cospetto quale sacrificio ricco e gradito, così come tu, Dio senza inganno e verace, lo hai preparato e me l’hai fatto vedere in anticipo e ora l’hai adempiuto. Per questo e per tutte le cose io ti lodo, ti benedico, ti glorifico insieme con l’eterno e celeste sacerdote Gesù Cristo, tuo diletto Figlio, per mezzo del quale a te e allo Spirito Santo sia gloria ora e nei secoli futuri. Amen”.
Nessun commento:
Posta un commento