V Domenica del Tempo Ordinario - Anno B
"Non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano"
In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando era ancora buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: “Tutti ti cercano!”. Egli disse loro: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!”. E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni..
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L’evangelista Marco continua il racconto, cominciato Domenica scorsa, della giornata di Gesù a Cafarnao e ci presenta tre quadri: l’interno della casa di Simone con la suocera a letto con la febbre, le guarigioni di massa all'esterno, un luogo deserto, dove Gesù si è ritirato a pregare.
Gesù, in casa di Simone, si avvicinò alla donna, la suocera, inchiodata a letto dalla febbre (che i rabbini, a tempo di Gesù, chiamavano “il fuoco che beve l’energia delle persone”), e “la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva”.
Gesù ha reintrodotto la malata nel cerchio familiare. Ora ella sa che può essere utile a qualcuno. Così Gesù ha ridato senso alla sua vita. Mille volte, al di là della malattia, egli ha reintrodotto i malati nel cerchio della vita familiare o colui che è isolato nella comunità (l’emorroissa, il cieco-nato, ecc.). Egli, qui, non ha detto una sola parola, non ha fatto prima una preghiera, come farà Paolo nell’isola di Malta quando guarirà il padre di Publio (At.28,8) o come ha fatto Lui stesso quando ha risuscitato Lazzaro (Gv.11,41-42). Ha semplicemente fatto un gesto. Quante volte, anche fra di noi, può bastare un gesto, magari un sorriso, per aiutare qualcuno a sentirsi in famiglia, per dargli occasione di mettersi a disposizione! Questi miracoli facili possono fiorire nelle tue giornate, se come Paolo ti facessi tutto a tutti!
Ed ecco, la sera, dopo il tramonto del sole, quando è finito il riposo sabbatico, si raccoglie, davanti alla porta, la grande folla dei malati, dei sofferenti, sicuramente anche dei curiosi. L’evangelista moltiplica gli aggettivi che indicano la totalità per cui l’opera di Gesù sembra travalicare i confini di quella città e di quella regione palestinese, per arrivare davvero a tutti fino ai confini del mondo, fino alla fine dei tempi: “gli portavano tutti i malati e gli indemoniati … tutta la città era riunita davanti alla porta / guarì molti /scacciò molti demoni / tutti ti cercano / Andò per tutta la Galilea”.
Quante volte il Vangelo ci racconta di Gesù che si prende cura dei malati (pare che si tratti di circa un terzo del Vangelo). Accanto all’annuncio del Regno, la cura degli infermi occupa un posto fisso nel mandato che egli dà ai suoi discepoli: “li mandò ad annunciare il regno di Dio e ai guarire gli infermi” (Lc.9,2). C’è davvero da chiedere se Gesù non domandi ai sacerdoti – e ad ogni consacrato, ad ogni battezzato – di essere segno di Lui che continua a chinarsi sui sofferenti e sui malati avendo la parola, il gesto, la passione che traducono questo amore. E’ una buona notizia che non si proclama da pulpiti privilegiati o dai microfoni dei nostri altari, ma si porta corpo a corpo con il male che incontriamo.
La totalità è alla radice della fede: abbraccia tutti, abbraccia tutto.
Al mattino presto si alzò quando era ancora buio. Marco sottolinea il ritmo frenetico della giornata di Gesù a Cafarnao: senza tregua da mattina a sera, eppure all’indomani si alzò presto, quando era ancora buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Si alzò presto, come per bere lungamente, nella freschezza dell’alba, alla sorgente della preghiera, prima di una lunga e faticosa giornata sotto il sole e fra la gente.
Gesù è così impegnato, perché c’è una urgenza (“Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto”). L’annuncio della Buona Novella non permette che ci si fermi e ci si installi, anche se il popolo lo domanda (“Tutti ti cercano”). Essere discepoli è rimettersi sempre in strada, perché Lui, il Maestro, sempre ci precede in Galilea (Mt.28,7s), in quella Galilea delle genti che è il mondo (Mc.16,15).
Per tutta la giornata di Cafarnao Gesù insegna e guarisce. Per poco che si ascoltino i demòni che declinano i titoli del Cristo (“il santo di Dio”: Mc.1,24), eccolo già etichettato: è il Messia. Ma il Messia, quello autentico, non è un guaritore, e soprattutto non è il restauratore trionfale del regno d’Israele. E’ questo che il popolo ricerca e reclama. Ma, se Gesù cedesse, tradirebbe la sua missione. La soluzione unica è andare altrove e iniziare quel cammino, che lo avrebbe portato alla morte e alla risurrezione, invitando ciascuno a seguirlo. La vera natura del Messia apparirà in questo cammino, come il Risorto si è fatto riconoscere sul cammino di Emmaus.
Card. Piovanelli
Meditazione tratta da: diocesitrivento.it
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