di don Aldo Rossi
Giovedì 4 agosto 1859 vola verso il Cielo colui che doveva diventare l’esempio per tutti i sacerdoti: san Giovanni Maria Battista Vianney, detto più comunemente il santo Curato d’Ars. Il Papa san Pio X lo beatifica nel 1904, Pio XI lo canonizza nel 1925 e lo proclama patrono di tutti i parroci del mondo nel 1929. Il Papa Giovanni XXIII nel centenario (1959) con la lettera enciclica Sacerdotii Nostri Primordia lo ripropone come modello di tutti i pastori. Giovanni Paolo II lo dichiara "modello senza pari". Provvidenzialmente la nostra Santa Madre Chiesa ci ha posto davanti agli occhi la figura di questo santo al momento della più grande crisi sacerdotale che abbia conosciuto la storia.
Al tempo di san Pio X in Italia i sacerdoti erano quasi 69.000 su una popolazione di circa 33 milioni. Al tempo di Benedetto XVI i sacerdoti sono quasi 33.000 su una popolazione che supera i 57 milioni. La “densità” del clero si è più che dimezzata ed è inferiore a quella dei dentisti, psicologi e commercialisti(1). Il problema purtroppo non è solo nella “quantità” ma soprattutto nella “qualità”, cioè nella “formazione” che ricevono i seminaristi nei “nuovi seminari” per diventare sacerdoti. In questa società che si è progressivamente secolarizzata, in crisi di “valori”, “l’uomo di Dio”, ovvero il sacerdote, ha perso il suo carattere sacro diventando sempre più “l’uomo dell’uomo” ovvero un semplice assistente sociale. Al tempo del nostro santo, la Rivoluzione Francese eliminava i preti o li trasformava in preti “giurati” o secolarizzati, che avevano spesso sulla bocca parole di “cittadino, di civismo, di costituzione, e non mancavano critiche ai predecessori” (2).
La nostra società figlia della stessa Rivoluzione Francese, con la complicità del nuovo “aggiornamento” della Chiesa, in modo più subdolo e più efficace ottiene gli stessi risultati: eliminazione del sacerdote (in particolare mi riferisco alle migliaia di sacerdoti che hanno abbandonato il loro sacerdozio), o secolarizzazione dello stesso, sia nell’abito che nel modo di pensare e agire, avendo sulla bocca in particolare parole come “solidarietà”, “pace” “fratellanza” “aiuto dei poveri”, “fame nel mondo”, “il problema dell’inquinamento”, …e come molti sanno, il disprezzo dei predecessori e del passato della Chiesa non manca. Tutto questo è avvenuto soprattutto dopo il Concilio Vaticano II che non a caso da uno dei suoi padri, il Cardinale Suenens, è stato chiamato «il 1789 nella Chiesa». Cercando di leggere il piano della Provvidenza possiamo dire che la Santa Chiesa propone il Santo Curato d’Ars oltre che come modello per la santità sacerdotale anche come un “anti-virus” di questa peste della secolarizzazione o laicizzazione del sacerdote da cui dipende direttamente anche quella della società. Come diceva il Papa san Pio X, che considerava il nostro Santo come il suo compagno (socius meus): «Per far regnare Gesù Cristo nel mondo nessuna cosa è così necessaria come la santità del clero…». Quindi alla luce della teologia cattolica guardiamo cosa devono fare i sacerdoti per imitare il Santo Curato ed essere quel “sale della terra” per guarire questa società dalla “peste” della laicizzazione o secolarizzazione ricordando che «chiunque vuol essere amico di questo mondo, si fa nemico di Dio» (Gc 4,4). In particolare vedremo con l’aiuto di mons. Trochu, che ha scritto la più bella biografia del santo, chi è il sacerdote, quali devono essere le sue caratteristiche principali, il mezzo principale per riprodurle in lui stesso e… il segreto per riuscire.
CHI È IL SACERDOTE?
«Un uomo – dice il Santo – che sta al posto di Dio, un uomo che è rivestito di tutti i poteri di Dio… Provate ad andare a confessarvi dalla santa Vergine o da un angelo: vi potranno assolvere? No. Vi daranno il Corpo e il Sangue di Nostro Signore? No. La santa Vergine non può far discendere il suo divin Figlio nell’Ostia. Se anche foste di fronte a duecento angeli, nessuno di loro potrebbe assolvere i vostri peccati. Un semplice prete, invece, può farlo; egli può dirvi: “Va in pace ti perdono”. Oh! Il prete è veramente qualcosa di straordinario!... Dopo Dio il prete è tutto!» (3). «Oh, - afferma un giorno - come è grande il sacerdote! Il sacerdote non si comprenderà bene che nel Cielo… Se egli comprendesse qui che cos’è, ne morrebbe non di spavento, ma di amore» (4). San Tommaso d’Aquino c’insegna che la dignità dell’Ordine Sacro supera quella degli stessi Angeli. Di tutto questo il Curato d’Ars era ben consapevole. Fin dall’istante della sua ordinazione considerò se stesso come un calice, destinato unicamente ad un ministero divino… e non di assistenza sociale, o comunque “umano”, come potevano essere i preti giurati della rivoluzione francese da cui, fin da giovane con la sua famiglia, prese le distanze abbandonando la propria parrocchia per seguire un prete “refrattario”(5) che segnò profondamente la sua vita. Se la famiglia avesse seguito il prete “giurato” non solo il nostro Santo non avrebbe avuto la sublime considerazione del suo sacerdozio, ma probabilmente non sarebbe neppure divenuto sacerdote come molti giovani di oggi vedendo un sacerdozio che ha perso la sua sacralità e la sua identità. Non se ne conosce più la sublime grandezza e l’inestimabile beneficio. San Giovanni Vianney conosceva e viveva la grandezza del suo sacerdozio e sapeva bene che senza un vero sacerdote la società crollerebbe. Questo i nemici della Chiesa non lo ignorano. «Lasciate - dice il Santo - una parrocchia per vent’anni senza prete e la gente finirà per adorare le bestie. Quando si vuole nuocere alla religione, si comincia attaccando il prete, perché laddove non c’è più il prete, non c’è più sacrificio eucaristico e laddove non c’è più sacrificio, non c’è più religione» (6). Che cosa bisogna dire oggi, quando lo stesso sacrificio della Messa è stato ridotto ad una cena?...
L’UOMO DI DIO
«Ho visto Dio in un uomo» affermò un pellegrino vedendo il parroco di Ars dire ad un cappellano: «come vorrei perdermi e non trovarmi che in Dio». La prima caratteristica del sacerdote è quella di cercare continuamente questa unione con Dio e il Sommo Sacerdote Gesù Cristo, in modo che si possa dire con san Paolo: «Non sono più io che vivo ma è il Cristo che vive in me”». Per questo il vero ministro di Dio, come san Giovanni Maria Vianney, è prima di tutto un uomo di fede. Molti preti che l’hanno conosciuto da vicino hanno detto: «Don Vianney era l’immagine vivente della vita soprannaturale e la perfezione che indicava agli altri era la regola costante della sua condotta. La fede fu il movente di tutte le sue azioni e di tutta la vita e formò di lui l’esemplare di ogni virtù e la copia più perfetta del divino modello. Averlo conosciuto può considerarsi una grazia particolare di Dio»(7).
È ammirevole come il Nostro, in mezzo alle più grandi occupazioni e alle persone che lo importunavano, manteneva sempre questa vita interiore con Dio e la completa padronanza di sé. Dice il canonico Gardette: «Era tanto il suo abbandono al beneplacito divino che, anche in mezzo all’azione così varia e così faticosa del suo ministero, rimaneva sempre raccolto, come quando compiva i suoi esercizi di pietà, e si sarebbe detto che non aveva da fare che l’azione del momento. Era sempre guidato dalla sollecitudine dello zelo e non dall’attività della natura e bastava osservarlo per convincersi che in nessuna ora della giornata mai era turbata la libertà di spirito, la dolcezza di carattere, il riflesso della pace interiore» (8). Tutta la sua vita ruotava attorno a Dio come il suo centro, in ogni momento, in pulpito, in confessionale, o fra le diverse occupazioni del suo ministero, elevava il suo cuore a Dio, «essendosi fatta l’abitudine di uscir da Dio per l’azione, quando ciò fosse strettamente necessario, e di rientrare in Dio colla preghiera, appena gli fosse possibile»”(9).
Ai preti di oggi, che sono molto presi dal ministero il nostro modello direbbe, come consigliò un giorno a don Dufour: «Al presente non ho molto tempo per fare la mia preghiera regolarmente, e per questo, fin dal principio della mia giornata, mi sforzo di unirmi intimamente a Nostro Signore ed opero col pensiero di questa unione». Per questo, come racconta il suo biografo, «in ogni istante della giornata il suo pensiero considerava qualche azione della vita di Nostro Signore e dei Santi, con una spiccata preferenza per i misteri dolorosi, che lo aiutavano a seguire il Redentore nelle diverse stazioni, fino al Calvario; per questo aveva dato incarico alla buona Caterina Lassagne (una perpetua) di segnare le stazioni ai margini del suo breviario, e pensava con gli occhi bagnati di lacrime di compassione, alle diverse scene della Passione» (10). «La sua vita - afferma mons. Trochu - era la realizzazione integrale di questo pensiero profondo, nato dalla sua riflessione: “La fede è parlare a Dio come si parlerebbe ad un uomo”» (11).
Il nostro Santo, nonostante il grande lavoro, metteva sempre al primo posto Dio e la preghiera. La vita contemplativa - come insegna la Chiesa e in particolare san Tommaso d’Aquino - precede la vita attiva e l’una non esclude l’altra. Ma la prima ha la precedenza perché è la più perfetta e la più necessaria (12). Non ci si può nascondere dietro il molto lavoro o lo zelo delle anime. La prima anima da santificare è la propria e solo se santifichiamo noi stessi e siamo uniti a Dio possiamo anche santificare gli altri. La vita del Curato d’Ars afferma pienamente questa verità che non è altro la messa in pratica delle parole di Nostro Signore: «Io sono la vigna, e voi i tralci. Colui che rimane in me e io in lui, porta abbondanti frutti, perché senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5).
LA CONQUISTA DELLE ANIME
San Giovanni Maria Vianney fin dalla giovinezza, quando si trovava ancora con i suoi genitori, diceva alla sua piissima madre: «Se io fossi prete, vorrei guadagnare molte anime!». Il sindaco di Ars - racconta sempre mons. Trochu - gli aveva domandato un giorno di dicembre quanti grossi peccatori aveva convertito durante l’anno. «Più di settecento», rispose con un sorriso dove si nascondeva una fierezza soprannaturale. Il numero delle conversioni è incalcolabile. Si parla di 20.000 visitatori ad Ars nel 1827, nove anni dopo il suo arrivo, e di 80.000 o 100.000 l’anno che precede la sua morte. Nel Nostro non solo c’era il desiderio del bene delle anime, ma aveva nel sangue un vero “istinto della conquista”. «Il suo programma (all’inizio del suo ministero) - afferma il biografo - era stato meditato ai piedi del Tabernacolo, ed era quello di un pastore zelante per la salvezza del suo gregge: prendere contatto con la popolazione al più presto possibile ed assicurarsi la cooperazione delle famiglie migliori; perfezionare i buoni, richiamare gli indifferenti e convertire i peccatori; ma soprattutto pregare Dio, dal quale vengono con abbondanza tutti i doni, e santificare se stesso, per riuscire a santificare gli altri; infine, fare penitenza per i peccatori colpevoli. Prima di iniziare il suo lavoro si sentiva debole ed insufficiente, ma aveva con sé fin d’allora la forza misteriosa della grazia, e quella umiltà che Dio sceglie per abbattere le potenze dell’orgoglio: “Un santo prete compie grandi cose con mezzi apparentemente insufficienti.”(13). Da “buon soldato di Cristo” nel silenzio della notte si reca in chiesa per pregare il Signore che usi misericordia per il suo popolo e Pastore. “Mio Dio - esclamava il santo Curato - datemi la conversione della mia parrocchia. Io acconsento a soffrire tutto ciò che vorrete, per tutto il tempo della mia vita!... Anche i dolori più atroci per cento anni, purché il mio popolo si converta”»(14). E le sue lacrime cadevano sul pavimento. Al sorgere del sole il pastore era ancora là…Tutte le volte che le opere di ministero non gli imponevano di uscire, il “buon soldato” lo si trovava non nella casa, ma in chiesa. Vi furono dei giorni in cui usciva solo dopo l’Angelus della sera. Un giorno un signore attraversa il bosco non lontano dalla parrocchia e sorprende don Vianney inginocchiato. Il giovane curato, che non si era accorto di lui, ripeteva a calde lacrime: «Mio Dio, convertite la mia parrocchia». Il pio contadino, non osando interrompere la preghiera, si allontana con tutta la precauzione.
Le mortificazioni del Curato d’Ars sono diventate celebri. Mortificazioni da ammirare più che da praticare. Si dava la disciplina fino al sangue, mangiava e dormiva pochissimo, soffriva il freddo e soprattutto approfittava di ogni cosa, anche delle più piccole e indifferenti, per tormentare il suo povero corpo, o “il vecchio Adamo”, al dire del Santo. L’assiduità al confessionale (confessava fino a 18 ore al giorno!) - afferma mons. Trochu - «colle pene di cui era causa, gli sarebbe bastata per raggiungere un alto grado di perfezione; ma era così avido di penitenza che tutto gli sembrava di poco conto e cercava le mortificazioni così come un altro va in cerca dei piaceri»(15). Uno specialistadella penitenza, un Padre della Grande Certosa, afferma: «Confessiamo noi solitari, eremiti, monaci, penitenti di ogni regola, non osiamo seguire il Curato d’Ars altrimenti che con lo sguardo della nostra simpatica e cordiale ammirazione: non siamo degni di baciare le orme dei suoi piedi o la polvere delle sue scarpe»(16). Il buon Curato, come il Sommo Sacerdote, era cosciente che la sua missione era quella di salvare le anime soprattutto con la preghiera e con il sacrificio. Come afferma il Trochu: «Non cerca nuove vie di risurrezione morale, ma semplicemente applicherà gli antichi rimedi nelle forme tradizionali». E questo non si può dire non valga anche per il sacerdote del terzo millennio. La città di Ars in pochi anni, nonostante l’indifferenza, la perdita della fede e il grande disordine che aveva procurato la Rivoluzione, fu trasformata in un “santuario”.
LA SANTA MESSA
Il mezzo essenziale e necessario del sacerdote per unirsi a Dio e conquistare le anime è il Santo Sacrificio della Messa. Infatti il sacerdote,in persona Christi, rinnova lo stesso sacrificio di Nostro Signore per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. È in questo momento soprattutto che “l’uomo di Dio” è unito in maniera straordinaria e celeste al suo Signore che “assume” la persona stessa del sacerdote per rinnovare il suo Sacrificio. Per il sacerdote la Messa è tutto: è stato ordinato per questo. «Ogni pontefice è destinato a offrire doni e vittime» (Eb 8,3). Il santo Curato d’Ars da vero sacerdote dice: «Io non vorrei essere parroco, ma sono contento di essere prete per poter celebrare la Messa»(17). Molti dicevano che era così assorto in Dio che sembrava un angelo quando celebrava e che si commuoveva fino alle lacrime. L’unione con Dio che aveva durante la giornata si realizzava e si irrobustiva soprattutto durante la santa Messa che è considerato l’atto supremo di contemplazione della Chiesa. «Noi siamo così terreni - dice il santo - che la nostra fede ci indica le cose soprannaturali lontane 300 leghe di distanza, come se Dio fosse al di là dei mari. Se avessimo una fede viva lo vedremmo certamente nell’Eucarestia. Ci sono dei preti che lo contemplano ogni giorno, celebrando la Messa»(18). Allo stesso modo è durante il divino Sacrificio che alimentava il suo desiderio della salvezza delle anime e dei poveri peccatori per strapparli dai lacci del demonio e dalla voragine dell’inferno. «Durante la santa Messa dice il Santo - quando si prega il Signore, che è sull’altare, per i poveri peccatori, Egli dà ad essi raggi di luce, perché scoprano le proprie miserie e si convertano». Si univa veramente alla Vittima dell’altare che lo aiutava ad esercitare una pazienza eroica: «Quanto è bene - diceva - che un prete si offra a Dio ogni mattina in sacrificio». Possiamo affermare che per il santo Curato d’Ars, come per Padre Pio, la Messa era «come il sole che dà luce e forza durante la giornata».
Per sottolineare l’importanza che dava al santo Sacrificio è sufficiente considerare la sua preparazione e il suo ringraziamento, che purtroppo oggi non sono più di “moda”. «Secondo l’avviso del suo confessore - racconta mons. Trochu - tutto ciò che aveva fatto dalla sua levata fino a quel momento (della Messa) poteva essere considerato un’eccellente preparazione», ma egli voleva ancora alcuni minuti per meglio raccogliersi prima della celebrazione. Rimaneva immobile inginocchiato sul pavimento del coro, colle mani giunte e gli occhi fissi al Tabernacolo, e non vi era nulla che fosse capace di distrarlo in quegli istanti di intimità con Dio»(19). Per il ringraziamento don Vianney si recava davanti all’altare in cotta e stola. Racconta il suo biografo: «Vi furono dei pellegrini che non temettero di avvicinarlo anche in questi momenti per scrutarlo con curiosa attenzione, e di scambiare riflessioni sul suo conto; ma egli rimaneva sempre impassibile e sembrava non accorgersi di nulla che succedesse, tanto era assorto in Dio. Non aveva detto egli stesso in uno dei suoi catechismi: “Quando si è fatta la Comunione l’anima si immerge nel balsamo dell’amor di Dio, come l’ape fra i fiori”?».
Il suo amore per la Messa e la liturgia in generale lo si nota anche dal fatto che voleva paramenti e vasi sacri ricchissimi e preziosi: avrebbe voluto un calice d’oro massiccio perché «il più bello che aveva non gli sembrava ancora degno di contenere il Sangue di Gesù Cristo». Se pensiamo a quello che vediamo oggi nelle nostre chiese (sia fuori sia dentro), che cosa direbbe colui che è l’esempio di tutti i sacerdoti?... Purtroppo non solo si è impoverito tutto ciò che fa parte della bellezza esteriore, ma anche - ed è infinitamente più grave - lo stesso rito della santa Messa, che non esprime più la bellezza della fede cattolica, ma anzi «si allontana in modo impressionante sia nel suo insieme come nei particolari dalla teologia cattolica della Santa Messa» (20). L’esempio per tutti i sacerdoti ci invita con la Chiesa a fare della Messa il centro della nostra vita e considerarla il più grande beneficio. «Tutte le buone opere insieme non equivalgono al santo sacrificio della Messa: esse, infatti sono opere degli uomini, mentre la messa è opera di Dio. Il martirio è nulla in suo confronto: è l’uomo che sacrifica a Dio la sua vita, ma la Messa è Dio che sacrifica all’uomo il suo Corpo e il suo Sangue».
LA LOTTA COL DEMONIO
Il nuovo sacerdote secolarizzato, illanguidendo o perdendo la fede, non solo perde il senso e la necessità dell’unione con Dio e i suoi angeli, ma anche la realtà della lotta con il demonio. «Siate sobri e vigilate, perché il vostro avversario, il diavolo, vi gira attorno come un leone ruggente, cercando chi divorare», ci insegna il primo Papa (1 Pt 5,8). Per molti sacerdoti le realtà del demonio e dell’inferno o non esistono più o non bisogna dar loro importanza. Tutti si salvano, tranne forse alcuni casi eccezionali. Anche il messaggio della Madonna a Fatima del 1917, riconosciuto dalla Chiesa, sembra non abbia avuto successo. In questo clima di pacifismo sembra si sia voluti fare la “pace” anche con il demonio e per conseguenza si è perso progressivamente quello spirito di lotta che ha caratterizzato la Chiesa “militante” per duemila anni. Perché dal Papa Leone XIII è stata introdotta alla fine della messa la preghiera a san Michele Arcangelo, Principe delle milizie celesti, per poi toglierla con la nuova messa? Il santo Curato e altri santi sacerdoti come Padre Pio hanno dovuto lottare contro il demonio anche fisicamente. Per circa trentacinque anni, dal 1824 al 1858, fu in preda alle ossessioni esterne del Maligno. Ma «le lotte di don Vianney col demonio - ci dice Caterina Lasagne - contribuirono a rendere la sua carità più viva e più disinteressata»(21). D’improvviso in mezzo al più profondo silenzio della notte si udivano rumori contro la porta, mentre forti grida risuonavano nel cortile. Satana giunse fino a bruciare il suo letto. All’inizio, certo, c’era un po’ di paura nei confronti del “Grappino” - soprannome dato dal Santo - ma poi prese l’abitudine di queste persecuzioni infernali. Si affidava a Dio, faceva il segno della Croce rivolgendo qualche parola di disprezzo. «Se il maligno non mi lascia in pace - diceva - è buon segno… la pesca del giorno seguente sarà senza dubbio eccellente… Il “Grappino” è una gran bestia: mi dice lui quando verranno i grandi peccatori: è in collera, tanto meglio!»(22). In effetti il giorno dopo c’era sempre qualche grande peccatore che si convertiva al suo confessionale.
Il 23 gennaio 1840, sempre nel tribunale della confessione, avvenne qualcosa di eccezionale. Una donna che non aveva dato nessun segno di possessione diabolica incominciò a parlare con voce stridula e forte tanto che i presenti potevano ascoltare tutto quello avveniva tra il santo Curato e la penitente: «Leva la tua mano ed assolvimi… - disse la donna. Tu quis es? (chi sei tu?) - domandò il Santo. Magister Caput (cioè il capo), rispose il demonio. Poi continuando la sua risposta in francese, aggiunse: “Ah, rospo nero, quanto mi fai soffrire! Ci sono dei rospi neri che mi fanno soffrire meno di te…Ti avrò! Non sei ancora morto… Senza quella… (e qui una volgarità ripugnante indicava la Santissima Vergine) che è lassù noi ti avremmo; ma Ella ti protegge con questo grande dragone (San Michele) che è alla porta della tua chiesa… Dimmi, perché ti alzi così presto al mattino? Perchè predichi in un modo così semplice? Perché non predichi in un modo più elevato come nelle città?...»(23). A noi, in rapporto alle cose dette prima, di trarre le debite conclusioni e di vedere il sacerdote come il ministro della chiesa “militante” che lotta contro il demonio e contro il peccato e non solo contro la fame nel mondo, la droga, l’inquinamento, ecc…
IL SEGRETO DELLA RIUSCITA
Il “successo” sacerdotale ed in particolare pastorale ha un segreto: la sua devozione alla Santa Vergine, Madre del Sacerdozio. «Tutti i santi l’hanno amata la Madonna - dice mons. Trochu - ma pochi hanno potuto superare san Giovanni Maria Vianney». Lo stesso demonio, come abbiamo visto, afferma la grande protezione di Maria nei confronti del santo. Questa devozione inizia all’età di quattro anni, quando sua mamma gli dona in regalo una statuetta della Vergine Maria. A settanta anni di distanza ricorderà questa statua dicendo: «Quanto l’amavo!... Non potevo separarmene né giorno né notte, e non avrei neppure potuto dormire tranquillo, se non l’avessi avuta vicino a me nel mio lettino… La Santa Vergine raccolse la mia prima affezione; l’ho amata ancora prima di conoscerla»(24). Il suo amore della Madonna lo esprimeva con la recita assidua della corona del Rosario, che distribuiva a tutti. «Come era commovente - scrive don Raymond - vedere questi uomini dai capelli bianchi che da tempo avevano disertato la chiesa, trascurata la preghiera e la devozione alla Santa Vergine, tenere fieramente il Rosario in mano e recitarlo con fervore! Nessuno di loro poté resistere alle ingiunzioni del Santo Sacerdote, che comandava a tutti di portare con sé un Rosario e di recitarlo. Invano gli obbiettavano che non ne conoscevano più l’uso, e che, dopo tutto, si sapeva leggere… “Amico mio”, rispondeva il Curato, “un buon cristiano è sempre munito della sua corona; io non la lascio mai. Compratene una ed io le applicherò le indulgenze delle quali avete così grande bisogno, per supplire a una troppo debole penitenza”. Nella maggior parte dei casi agli uomini regalava una corona e tutti l’accettavano come un prezioso ricordo»(25). Eppure oggi diversi rettori e professori di seminario non consigliano più questa preghiera, che per il Magistero della Chiesa (a seguito anche delle apparizioni della Madonna di Lourdes e Fatima) è fondamentale.
Ma ciò che veramente ha contribuito a trasformare gli abitanti di Ars è stata la consacrazione solenne di tutti i parrocchiani a Maria Immacolata “Concepita senza peccato”, domenica 1° maggio 1836. Durante la cerimonia depone la lista dei suoi parrocchiani nel cuore in argento dorato, regalato da una signora di Ars, all’entrata della cappella della Santa Vergine. A questo evento il santo sacerdote dava una importanza particolare. Infatti mise vicino alla cappella della Madonna un quadro, che ricorda la cerimonia. Ogni famiglia aveva un “memento”: una immagine della Madonna sotto la quale ogni padre di famiglia scriveva la consacrazione. Il Curato la firmava e ognuno se la portava a casa. Nel 1927, afferma mons. Convert, se ne trovano ancora molte nelle famiglie. Più tardi i pellegrini che venivano ad Ars volevano possedere queste immagini, scrivere la loro consacrazione ed avere la firma del santo Curato. «Quante consacrazioni ha firmato! - dice un testimone - per la fiducia che aveva nella Madre celeste ne firmò tantissime». Affermava che non la si invoca mai invano, che Ella è tutta misericordia e amore per i poveri peccatori che ricorrono a Lei: diceva spesso che gli piaceva ringraziare Nostro Signore che aveva preso un così buon Cuore per i peccatori e soprattutto che ne aveva dato uno tanto buono alla sua santa Madre. Ha anche confessato «che consacrava i suoi parrocchiani alla Santa Vergine molte volte durante la notte; e tutti quelli, diceva, che andavano a lui per confessarsi, erano messi nel numero dei suoi parrocchiani». Don Toccanier dirà: «Il Curato offriva spesso la sua parrocchia alla Santa Vergine»(26). Prendiamo esempio dal nostro santo per far trionfare al più presto il Cuore Immacolato di Maria che è «così pieno di tenerezza per noi che i cuori di tutte le madri del mondo messi assieme non sono che un pezzo di ghiaccio in confronto al suo»(27).
CONCLUSIONE
Sappiamo bene che l’unico vero rimedio per l’uomo che porta in sé le conseguenze del peccato originale ha un solo nome: Gesù Cristo, il Sacerdote. Ed Egli continua la sua missione attraverso coloro che partecipano al suo sacerdozio ricevendo il sacramento dell’Ordine. Ma questa opera non si può veramente realizzare se al sacerdozio viene data un’altra orientazione. La missione del sacerdote è quella di Gesù Cristo: la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Gesù ha realizzato questa missione in particolare con il Sacrificio del Calvario, il sacerdote lo fa attraverso la santa Messa che è la rinnovazione dello stesso e unico Sacrificio. Ora, i nuovi sacerdoti devono celebrare una nuova messa (novus ordo missae) che non esprime più in modo chiaro questo sacrificio e si orienta (anche fisicamente) non più veramente verso la gloria di Dio ma verso l’uomo (l’assemblea), offrendo non più l’Ostia immacolata, ma i frutti della terra e del lavoro dell’uomo (vedi il nuovo offertorio della Messa). In questo modo la loro missione cambia orientamento avendo come fine principale non più Dio ma l’uomo. Come dice il Concilio Vaticano II la Chiesa è al «servizio dell’uomo» (Gaudium et spes, n. 3) e il sacerdozio (Presbyterorum ordinis) è orientato prima di tutto verso il corpo mistico (i fedeli) e non verso il Corpo di Cristo (Dio)(28). «L’ordine della finalità - afferma mons. Lefebvre - è stato invertito: il sacerdozio ha un fine primario che è quello di offrire il sacrificio, e un fine secondario che è l’evangelizzazione. Abbiamo numerosi esempi che mostrano sino a qual punto l’evangelizzazione prenda il sopravvento sul sacrificio e sui sacramenti. È fine a se stessa. Tale grave errore ha conseguenze tragiche: l’evangelizzazione, divelta dal suo scopo, risulterà disorientata, cercherà dei motivi che piacciono al mondo, quali la falsa giustizia sociale, la falsa libertà che si bardano di nomi nuovi: sviluppo, progresso, costruzione del mondo, miglioramento delle condizioni di vita, pacifismo»(29).
In questo modo il sacerdote facilmente perde di vista l’importanza dell’unione a Dio, della dimensione soprannaturale e della preghiera manifestata anche dal fatto che il breviario è ridotto ad un quarto di quello precedente la riforma. La salvezza delle anime si trasforma facilmente in un servizio sociale. In questa nuova visione, certo, imitare il santo Curato d’Ars diventa molto complicato se non impossibile a meno che si cambi la formazione nei seminari o si diventi dei “preti refrattari” come al tempo del nostro Santo per cercare di seguire la strada e la missione perenne della Chiesa e del suo Sacerdozio. È ciò che ha fatto mons. Lefebvre, il “Vescovo refrattario”, per trasmettere e salvare il sacerdozio cattolico. A lui penso sia doveroso dare un ringraziamento particolare in questo “anno sacerdotale”. Solo così ci può essere speranza di guarire il sacerdozio e la società dalla peste della secolarizzazione e formare sulla terra il vero regno di Dio. Allora i sacerdoti facilmente sapranno chi sono, che cosa devono fare e magari saranno anche più numerosi dei dentisti, psicologi e commercialisti…
da Tradizione Cattolica n° 71
Note
(1) GIAN PAOLO SALVINI, Il clero in Italia: timori e speranze, in «La Civiltà Cattolica», 2006, quad. 3735, p.243.
(2) MONS. TROCHU, Il Curato d’Ars – San Giovanni Maria Battista Vianney (1786 – 1859), Torino-Roma, 1937, p.13.
(3) SANTO CURATO D’ARS, Pensieri scelti e fioretti, a cura di Janine Frossard, 1999, p. 76.
(4) MONS. TROCHU, Il Curato d’Ars, cit., p.107
(5) I sacerdoti “refrattari” a differenza di quelli “giurati” erano coloro che non giuravano fedeltà alla Costituzione Civile del Clero del 26 novembre del 1790.
(6) SANTO CURATO D’ARS, Pensieri scelti e fioretti, cit., p. 77.
(7) MONS. TROCHU, Il Curato d’Ars, cit., p. 496
(8) Ibidem, p. 379.
(9) Ibidem, p. 379
(10) Ibidem, p. 381
(11) Ibidem, p. 381
(12) Summa Theologica II II, q. 182, art. 1.
(13) MONS. TROCHU, Il Curato d’Ars, cit., pp. 134-135.
(14) Ibidem, p. 140.
(15) Ibidem, p. 535.
(16) Ibidem, p. 541 - Lettera del P. Maurizio Maria Borel certosino, indirizzata all’abate Toccanier, in data 5 settembre 1865.
(17) Ibidem, p. 363.
(18) Ibidem, p. 593.
(19) Ibidem, p. 364.
(20) Breve esame critico del Novus Ordo Missae.
(21) MONS. TROCHU, Il Curato d’Ars, cit., p. 270.
(22) Ibidem, p. 275.
(23) Ibidem p. 289.
(24) Ibidem, p. 9.
(25) Ibidem, p. 338.
(26) Lettre aux amis de saint Francois, n. 26, 10 febbraio 2009, p. 6.
(27) SANTO CURATO D’ARS, Pensieri scelti e fioretti, cit., p. 91.
(28) Per quello che riguarda le variazioni nel sacramento dell’Ordine vedere lo studio sul documento Presbyterorum Ordinis nella rivistaNouvelles de Chretientè, n. 92-93, 2005, Du déréglement dans l’Ordre ou le sacrement de l’Ordre à Vatican II, dell’abbé Chautard.
(29) MONS. LEFEBVRE, Lettera aperta ai cattolici perplessi, pp. 58-59.
Tratto da: sanpiox.it
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