III Domenica del Tempo Ordinario - Anno B
"Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini”
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo”.
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: “Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini”. E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: “Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini”. E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
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Siamo a Gerusalemme verso la fine del IV secolo a.C. e Israele, che non ha dimenticato l’amarezza delle deportazioni operate dagli assiri e la dura esperienza dell’esilio babilonese, è ora tutto impegnato nella ricostruzione della società giudaica. Le ricostruzioni, le restaurazioni si accompagnano facilmente all’integralismo, alla durezza nei confronti degli altri, alla difficoltà di lasciare spazio alla misericordia e al perdono. Israele vuole recuperare la fedeltà al suo Dio, ma è ossessionato dalla purezza della razza e si chiude in se stesso, ritiene la propria elezione un privilegio da difendere a qualunque costo e diventa fanatico nella convinzione che le nazioni pagane sono rifiutate dal Signore.
In questo ambiente nasce il libro di Giona. L’autore, un ebreo credente, imbevuto del pensiero biblico, crede davvero che Dio “ è misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per migliaia di generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato” (Es 34,6-7), che ama ogni uomo e sceglie Israele per salvare i pagani, non per contrapporlo ad essi. Questo ebreo credente non ricorre a ragionamenti, ma compone una storia il cui protagonista è Giona, un profeta che incarna ostinatamente i pensieri gretti e i sentimenti meschini del suo popolo.
Giona significa colomba e nella Bibbia la dolce e ingenua colomba rappresenta Israele (Os 7,11).
La storia è ambientata a Nìnive, la città che almeno da trecento anni è ridotta ad un cumulo di macerie, ma l’autore la immagina al massimo della sua potenza e la erige a simbolo del male, della tracotanza e della violenza contro i deboli. Gli Israeliti la odiano e ritengono che Dio, essendo giusto, approvi i loro sentimenti e sia pronto a punirla, facendole scontare le sue iniquità.
Ma Dio non la pensa così e il libro-parabola di Giona lo mostra con grande forza.
Giona, dopo aver tentato di fuggire dinanzi alla chiamata del Signore, si è dovuto arrendere alla chiarezza e alla forza dello straordinario intervento di Dio e – ecco la lettura odierna –, quando Dio lo chiama una seconda volta, obbedisce e va a Ninive ad annunciare quanto gli ha detto il Signore.
Con sua grande sorpresa, la predicazione nella città maledetta è coronata da un successo strepitoso. Si realizza quello che pareva impossibile: la parola di Dio tocca il cuore di tutti gli abitanti, a cominciare dal re. Così il Signore ebbe pietà della grande città (4,11) e i peccatori furono salvati dalla rovina. Ma questo fu possibile perché Giona rispose, finalmente, alla sua autentica vocazione.
La distruzione minacciata non era un puro mezzo di spavento, era del tutto seria e tale viene giudicata dagli abitanti di Nìnive. Essi ne comprendono forse anche l’aspetto positivo: che Dio, cioè, vuole sempre il bene e mai la distruzione, e che solo quando la conversione viene snobbata o calpestata, il rifiuto distrugge la gioia e provoca la rovina. Il Dio della misericordia “non ha piacere della morte del malvagio ma desidera che si converta e viva” (Ez.18,23).
“Giona non è solo Israele, è chiunque immagini ancora Dio come un giustiziere, è chiunque coltivi la segreta speranza di assistere un giorno alla punizione dei malvagi, è chiunque non abbia capito che non esistono nemici da sconfiggere, ma solo fratelli da amare e da aiutare ad allontanarsi dal peccato affinché possano essere felici”
Card. Piovanelli
Meditazione tratta da: diocesitrivento.it
In questo ambiente nasce il libro di Giona. L’autore, un ebreo credente, imbevuto del pensiero biblico, crede davvero che Dio “ è misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per migliaia di generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato” (Es 34,6-7), che ama ogni uomo e sceglie Israele per salvare i pagani, non per contrapporlo ad essi. Questo ebreo credente non ricorre a ragionamenti, ma compone una storia il cui protagonista è Giona, un profeta che incarna ostinatamente i pensieri gretti e i sentimenti meschini del suo popolo.
Giona significa colomba e nella Bibbia la dolce e ingenua colomba rappresenta Israele (Os 7,11).
La storia è ambientata a Nìnive, la città che almeno da trecento anni è ridotta ad un cumulo di macerie, ma l’autore la immagina al massimo della sua potenza e la erige a simbolo del male, della tracotanza e della violenza contro i deboli. Gli Israeliti la odiano e ritengono che Dio, essendo giusto, approvi i loro sentimenti e sia pronto a punirla, facendole scontare le sue iniquità.
Ma Dio non la pensa così e il libro-parabola di Giona lo mostra con grande forza.
Giona, dopo aver tentato di fuggire dinanzi alla chiamata del Signore, si è dovuto arrendere alla chiarezza e alla forza dello straordinario intervento di Dio e – ecco la lettura odierna –, quando Dio lo chiama una seconda volta, obbedisce e va a Ninive ad annunciare quanto gli ha detto il Signore.
Con sua grande sorpresa, la predicazione nella città maledetta è coronata da un successo strepitoso. Si realizza quello che pareva impossibile: la parola di Dio tocca il cuore di tutti gli abitanti, a cominciare dal re. Così il Signore ebbe pietà della grande città (4,11) e i peccatori furono salvati dalla rovina. Ma questo fu possibile perché Giona rispose, finalmente, alla sua autentica vocazione.
La distruzione minacciata non era un puro mezzo di spavento, era del tutto seria e tale viene giudicata dagli abitanti di Nìnive. Essi ne comprendono forse anche l’aspetto positivo: che Dio, cioè, vuole sempre il bene e mai la distruzione, e che solo quando la conversione viene snobbata o calpestata, il rifiuto distrugge la gioia e provoca la rovina. Il Dio della misericordia “non ha piacere della morte del malvagio ma desidera che si converta e viva” (Ez.18,23).
“Giona non è solo Israele, è chiunque immagini ancora Dio come un giustiziere, è chiunque coltivi la segreta speranza di assistere un giorno alla punizione dei malvagi, è chiunque non abbia capito che non esistono nemici da sconfiggere, ma solo fratelli da amare e da aiutare ad allontanarsi dal peccato affinché possano essere felici”
Card. Piovanelli
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